Vèto

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veto


vèto s. m. [1a pers. sing. dell’indic. pres. del verbo lat. vetare «vietare»; propr., «vieto, mi oppongo»] (pl. -i o invar.). – 1. Opposizione preclusiva di un soggetto a un atto legislativo, giudiziario o politico, espressa con il proprio voto contrario o con una specifica dichiarazione, o anche con il rifiuto della sanzione necessaria per l’efficacia dell’atto: mettere, porre o opporre il proprio v. a una legge, a una deliberazione; diritto di v., la facoltà o la prerogativa di un soggetto di porre il proprio veto, e avere, esercitare il diritto di v., ricorrere al v. o al diritto di veto. In partic.: a. Nel diritto pubblico romano, l’opposizione a una decisione di un magistrato, come prerogativa dei magistrati stessi e, con sfera più ampia, dei tribuni (v. intercessione). b. In diritto ecclesiastico, l’opposizione di uno stato all’elezione di un determinato pontefice, come prerogativa riconosciuta dalla fine del Cinquecento al 1903 ad alcuni grandi paesi cattolici come Spagna, Francia, Austria (v. esclusiva, n. 1 b). c. Nel diritto internazionale moderno, l’opposizione preclusiva a una decisione valida, non procedurale, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, come prerogativa riconosciuta ai membri permanenti. 2. fig. Divieto, opposizione preclusiva a un atto qualsiasi: la sua promozione è saltata, perché il direttore generale, che non lo può vedere, ha posto il v.; è minorenne e, dato il v. del padre, deve rimandare il matrimonio a quando avrà 18 anni; s’è comprata la pelliccia, nonostante il v. del marito.

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