Materia plastica sintetica, dura e impermeabile, utilizzata nell'industria automobilistica per imballare oggetti e in svariate altre occasioni. ► Sin.: polistirene.
Appare per la prima volta sulla Enciclopedia Italiana Treccani, nell’Appendice (alla voce masse plastiche).
Un arbusto orientale in fabbrica
Nell'Appendice alla Enciclopedia italiana Treccani (s. v. masse plastiche), tra le «resine sintetiche ottenute per polimerizzazione di composti organici [che] hanno acquistato recentemente notevolissima importanza» (Levi 1938), viene menzionato il polistirolo, dalle «proprietà simili alla gomma» e, cioè, «elastico ed estensibile» (ibid.). Il polistirolo, o polistirene (polimero dello stirene), era stato brevettato l’anno prima.
Il materiale era stato scoperto per la prima volta nel 1839 da Eduard Simon (1789-1856), un farmacista berlinese. Simon aveva distillato dalla resina del Liquidambar orientalis, una specie di storace, una sostanza oleosa che aveva chiamato Styrol (dal ted. Styrax ‘storace’ e Öl ‘olio’); dopo qualche giorno l’olio si era tramutato in gel e l'uomo, credendo che il cambiamento di stato fosse dovuto a un processo di ossidazione, aveva dato al nuovo materiale il nome di Styroloxyd. Nel 1866 lo scienziato Marcellin Berthelot (1827-1907) aveva dimostrato che non si trattava di ossidazione, ma di polimerizzazione. Di qui il nome polistirolo, voce dotta di ambito chimico, ma ormai entrata nell’uso comune, composta da poli(mero) e stirolo. Oggi il termine non sarebbe del tutto corretto (più corretto polistirene, ma è utilizzato in testi per addetti ai lavori e assai meno diffuso: Minervini 1998: 100), perché -olo indica convenzionalmente gli alcoli: in passato, tuttavia, questo suffisso poteva designare una qualsiasi sostanza aromatica.
Dagli anni Quaranta del secolo scorso molte industrie italiane si dedicano alla produzione e alla commercializzazione del prodotto, che si presta a usi vari: è un materiale termoplastico, che si può lavorare in molteplici modi con il calore, e le diverse forme in cui si presenta gli conferiscono altrettante proprietà. A temperatura ambiente è trasparente, brillante e duro: in questa forma si presta alla fabbricazione di custodie trasparenti o di materiali di cancelleria. Normalmente il nome polistirolo fa però subito venire in mente una massa di palline bianche, leggere, più o meno grandi: si tratta in questo caso di polistirolo espanso, lavorato con il vapore acqueo. In questo caso il polistirolo, impermeabile e leggero, è usato soprattutto negli imballaggi, per confezionare recipienti per il cibo e per proteggere le merci durante il trasporto; un compito che svolge con efficacia se pensiamo che, in occasione del trasporto della Pietà di Michelangelo a New York (1963), la preziosa scultura viaggiò «protetta da miliardi di palline di polistirolo espanso» (Polistirolo espanso, “La Stampa”, 13 febbraio 1978; l'articolo è a firma i. b.).
Se i granuli vengono fusi in un estrusore (un apparecchio che serve a comprimere) si ottiene il polistirolo estruso, caratterizzato da una struttura più compatta; in questa forma serve alla fabbricazione di pannelli, usati principalmente negli apparecchi elettrici e nell’edilizia, dove il polistirolo estruso è particolarmente sfruttato per le sue qualità isolanti.
Il marmo e il polistirolo
Nonostante l’indubbia utilità il polistirolo, suo malgrado, è assurto agli onori della cronaca per episodi piuttosto sconcertanti. Commenti indignati sono seguiti alla notizia secondo cui l’argine del fiume Carrione, distrutto da un’inondazione nel novembre del 2013, era sì di «cemento armato, ma pieno di polistirolo» (Michele Bocci, Rabbia alluvionati, il sindaco in fuga, “la Repubblica”, 9 novembre 2014). Decisamente meno drammatico il fatto riportato dall’edizione napoletana del “Mattino”: «truffa delle sigarette: polistirolo al posto della “stecca”» (2 febbraio 2015); le due vittime del raggiro ci avranno pure rimesso qualche euro, ma sicuramente guadagnato in salute (e imparato forse un motivo in più per diffidare delle merci di contrabbando).
Molto spesso la parola polistirolo è usata anche metaforicamente, o calata in paragoni spregiativi, per mettere in rilievo l’artificiosità, la banalità, la dozzinalità di qualcosa. Il fotografo e pubblicitario Oliviero Toscani ha descritto il consumismo sponsorizzato dalla televisione in questi termini:
Il presente in televisione sono sempre le merci da acquistare. Per i bambini sono le bambole, i mostri, le scarpe che trasformano in calciatore di serie A, le merendine di plastica al sapore di polistirolo (Toscani 2001: 61).
Nel senso figurato di prodotto scadente, spacciato per genuino, polistirolo è entrato persino nella critica letteraria militante. Alfonso Berardinelli, con riferimento a Umberto Eco e alla sua opera, ha parlato di «massimo promotore mondiale» del «superamento della distinzione fra buono e scadente, fra marmo e polistirolo. L’Italian Style, come stile che permette di vendere cose scadenti come se fossero buone, deve a lui quasi tutto» (Berardinelli 2001a: 84).
Dall’Hourloupe a l’Oulipo
Materiale scialbo e anonimo per un verso nel sentire comune, per un altro verso il polistirolo ha alimentato la fantasia di molti creativi e di molti artisti. Particolarmente produttivo il suo incontro con il mondo del design. Risale al 1968 l’invenzione della poltrona Sacco®, oggi prodotta in ben 40 modelli. Quell’anno Franco Teodoro, Piero Gatti e Cesare Paolini creano per Zanotta, un’azienda di Nova Milanese, un'economica poltrona di polistirolo, capace di adattarsi a qualsiasi silhouette. I tre designer si ispirano a un materasso usato dai contadini, riempito di foglie di castagno, la cui rivisitazione moderna ha però ben poco a che spartire con una vera poltrona:
niente schienale, niente braccioli, o imbottitura rigida. La poltrona Sacco era una massa informe di polistirolo, più un mucchio di sabbia coperto dalla stoffa che una poltrona vera e propria. Era una piccola montagna morbida, sempre sul punto di franare. Ti ci sedevi e sprofondavi, e impiegavi il tempo a trovare la posizione giusta per il tuo peso, per la tua schiena e le tue gambe. Il polistirolo faceva un rumore strano, quando ti sedevi, un rumore secco e granuloso (Varvello 2008: 96).
Nel 1966 aveva scoperto il polistirolo Jean Dubuffet (1901-1985), perché «rispondeva all’esigenza di un netto taglio con il peso della storia offrendo al contempo notevoli pregi da un punto di vista tecnico» (Pugliese 2006: 37); leggero, maneggevole, facile da tagliare e dipingere, il polistirolo espanso si può ammirare in tutta la sua “plasticità” nel ciclo polimaterico Hourloupe del grande pittore e scultore francese. Il polistirolo è stato anche “musa ispiratrice” di Raymond Queneau, che gli ha dedicato un poemetto di dodecasillabi (La chanson du styrène, 1957). Qui la letteratura incontra la réclame: il poemetto, tradotto in italiano come La canzone del polistirene (Milano, Scheiwiller, 1985), era stato composto da Queneau per un cortometraggio pubblicitario di Alain Resnais; il futuro fondatore dell’Officina di Letteratura Potenziale (Oulipo) aveva elaborato un poema capace di esaltare il «ritmo della tecnologia, descrivendo tutto il processo di formazione del polimero, la sua struttura chimica e composizione fino al momento dell’industrializzazione e dell’utilizzazione» (Schettino 2014: 130).
Negli anni Sessanta La chanson du styrène (l'allusione è al canto delle sirene) viene tradotta in italiano da Italo Calvino, che si serve in vari punti della consulenza di Primo Levi. Il testo circola negli ambienti della Montedison ma rimane inedito sino al 1985, quando viene pubblicato come strenna fuori commercio; eccone qualche verso nella traduzione di Calvino (Queneau 1985, cit. da Schettino 2014: 131):
Già prima il materiale, tiepido, pronto all’uso
viene compresso contro una filiera: “estruso”,
ossia spinto all’ugello per forza di pistone;
lo scalderà il cilindro al punto di fusione.
È lì che fa il suo ingresso nel bollente crogiolo
il rapido, il vivace, il bel polistirolo.
Ogni epoca, a quanto pare, ha bisogno della propria epica.
Elisa De Roberto
Bibliografia
Bajani Andrea e altri, 2008, Ho visto cose... Racconti dalla patria del design: dieci scrittori per dieci oggetti di culto, Milano, Rizzoli.
Berardinelli Alfonso, 2001a, Italian style nel futuro di tutti, in Berardinelli 2001b, pp. 69-94.
Berardinelli Alfonso, 2001b, Nel paese dei balocchi. La politica vista da chi non la fa, Roma, Donzelli.
Levi Tullio Guido, 1938, Masse plastiche, in Treccani 1938, p. 493.
Minervini Pantaleo, 1998, La lingua italiana alle soglie del 2000: analisi e prospettive, Brindisi, Schena.
Pugliese Marina, 2006, Tecnica mista. Materiali e procedimenti nell’arte del XX secolo, Milano, Bruno Mondadori.
Schettino Vincenzo, 2014, Scienza e arte. Chimica, arti figurative e letteratura, Firenze, Firenze University Press.
Treccani 1938 = AA. VV., Enciclopedia italiana. I Appendice, vol. XXVII, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana Treccani.
Varvello Elena, 2008, Rifugi, in Bajani e altri, pp. 91-107.