1952 · cabina telefonica

Installazione prefabbricata, in legno o in metallo, in cui è collocato un telefono pubblico a schede o a gettoni.

Viene installata a Milano la prima cabina telefonica pubblica.

Tra Superman e donnine allegre

Il 10 febbraio di quest’anno la concessionaria nazionale Stipel installa in Piazza San Babila, nel centro di Milano, la prima cabina telefonica pubblica italiana. Telefoni pubblici esistevano già da tempo ma si trovavano tutti all’interno di edicole, bar e ristoranti, oppure nei cosiddetti Posti Telefonici Pubblici (PTP), come l’«ufficio delle comunicazioni» in cui Paolo Tarsis, protagonista di Forse che sì forse che no, aspettava di telefonare mentre «il rombo del suo cuore empiva la cabina ottusa» (d’Annunzio 1910: 461); è questa una delle primissime attestazioni della parola – dal fr. cabine, forse discesa dal tardo-latino capănna ‘capanna’ (cfr. DELI2, s. v. cabina) –, usata non con il significato di 'stanza per dormire di un'imbarcazione' o di 'capanno per cambiarsi sulla spiaggia', bensì nella nuova accezione di luogo per telefonare, spazio pubblico ma protetto da rumori o intrusioni esterne; raccolto come le mura domestiche, tra le quali non c’era spesso ancora traccia di apparecchi telefonici.
Le prime cabine pubbliche vengono impiantate in Inghilterra e Stati Uniti già nel primo decennio del Novecento; in Italia vengono conosciute mediante racconti e resoconti di viaggio, ma soprattutto attraverso numerosi film che influenzano un immaginario che si arricchisce progressivamente di dettagli e fantasie: e se a Londra le pareti delle mitiche cabine rosse sono tappezzate dai “biglietti da visita” delle prostitute – «entravi per chiamare tua zia e c’era l’impero dei sensi che ti si apriva davanti» (Elena Tebano, «Ora che il cuore non mi batte più», “Corriere della Sera”, 25 agosto 2014) –, in America Clark Kent usa proprio una cabina per smettere i panni del giornalista imbranato e indossare quelli eroici di Superman. E se non c’è un Superman italiano, non sarà forse colpa della mancanza delle cabine?


Mai soli?

Le prime cabine telefoniche pubbliche italiane, prodotte dalla ditta Publicab, sono strutture prefabbricate in vetro e metallo (inizialmente anche in legno) e presentano un apparecchio telefonico da utilizzare mediante l’inserimento di monete e gettoni (introdotti già nel 1945, ma la cui produzione si impenna a partire dal 1959), oppure di schede telefoniche (in circolazione dal 1976). Diverse sono le tipologie di apparecchio messe a disposizione negli anni all’interno delle cabine pubbliche: dai telefoni con combinatore a disco ai telefoni a tastiera, dall’arancionissimo e squadrato Rotor (dal 1987), per monete, gettoni e schede, fino al più tecnologico e metallizzato Digito (2002), il primo a permettere di telefonare anche inserendo euro. Nel 2012 viene inoltre sperimentato a Torino il primo impianto telefonico pubblico con touch screen e accesso a Internet, creato per fornire agli utenti un sistema di comunicazione sempre più aggiornato, per telefonare e inviare sms, ma anche per utilizzare le caselle di e-mail e i social network: così «la vecchia cabina telefonica cambia vita e diventa un hub multimediale» (Francesca Cerati, La cabina telefonica intelligente di Telecom debutta a Torino, “Il Sole 24 ore”, 2 aprile 2012).
«Fino ai primi anni Settanta l’installazione di cabine all’aperto, solo nelle realtà metropolitane, prosegu[e] ad un ritmo più che moderato» (Saporiti 2009: 37). Ma se nel 1971 si registrano solo 2.500 cabine pubbliche, alla fine dello stesso decennio il numero è più che decuplicato: 33.000 telefoni imprimono la loro immagine sul panorama urbano (ma non solo) italiano. In quegli stessi anni lo slogan pubblicitario della nuova concessionaria SIP recita: «Non sei mai solo quando sei vicino a un telefono». Ed effettivamente, data la rapidità con cui continuano ad essere impiantate nuove cabine, risulta sempre più difficile soffrire di solitudine. Nel frattempo le installazioni telefoniche subiscono però una trasformazione e, da spazi chiusi su ogni lato, tornano a essere chioschi aperti, sul genere di quelli un tempo presenti in bar e ristoranti: fra le ragioni di questo ritorno alle origini il desiderio di scoraggiare telefonate chilometriche, e soprattutto la necessità di favorire l’accesso agli impianti da parte dei portatori di handicap.


I dismessi e i salvati

La diffusione della telefonia cellulare e le nuove modalità di comunicazione (come phone center e internet point) sono alla base del progressivo declino nell’uso delle cabine telefoniche. In Italia data al 2009 la decisione della Telecom, la nuova concessionaria, di dare inizio al progressivo smantellamento degli impianti di telefonia pubblica: è stato così stabilito di ridurre di 30.000 all’anno il numero complessivo delle postazioni, che aveva raggiunto quota 103.861. I primi a sparire sono stati i telefoni pubblici da cui partono meno di tre chiamate al giorno, mentre vengono conservati tutti gli impianti installati nei luoghi di grande rilevanza sociale (ospedali, carceri, scuole, rifugi di montagna, stazioni ferroviarie, aeroporti), che rappresentano però solo il 10% degli impianti presenti sul territorio nazionale. Sulle cabine sopravvissute iniziano così a comparire cartelli con su scritto: «Questa cabina telefonica sarà rimossa dal giorno…»; i cittadini, i Comuni, le associazioni dei consumatori, etc., hanno sessanta giorni di tempo per opporsi alla rimozione, scrivendo un’e-mail certificata all’indirizzo cabinatelefonica@agcom.it per segnalare e motivare il proprio parere contrario e, in questo modo, “adottare” la cabina a rischio di estinzione.
Specialmente nei piccoli borghi, dotati spesso di un unico telefono pubblico, sono sorte vere e proprie campagne di sensibilizzazione o di protesta, pagine Facebook in sostegno del caro apparecchio, concorsi di idee per tutelarlo. Ma progetti finalizzati a salvare le vecchie cabine, rinnovandone uso e funzione, circolano già da tempo in tutto il mondo: a San Paolo, in Brasile, le cabine telefoniche sono state trasformate in piccole opere di arte urbana; in Giappone sono diventate acquari tecnologici; a New York sono state adibite a librerie on the road, secondo un progetto dell’architetto John Locke esportato poi in Italia, Inghilterra e Germania; a Roma e Milano Silvia Minenti ha invece lanciato il progetto “Piante al telefono”, per riadattare i telefoni pubblici in serre e fioriere coloratissime. Seppur snaturate della loro funzione originaria, le cabine telefoniche continuano così a caratterizzare i profili e l’identità degli spazi urbani contemporanei.


Francesco Lucioli

Bibliografia

D’Annunzio Gabriele, 1910, Forse che sì forse che no, Milano, Fratelli Treves.
DELI2 = Il nuovo Etimologico. DELI. Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, a cura di Manlio Cortelazzo e Michele A. Cortelazzo, Bologna, Zanichelli, 2009 (prima ediz.: 1979-1988).
Saporiti Marco, 2009, Storia della telefonia in Italia, Milano, Cerebro.