1968 · matriosca (o matrioska)

Bambola russa di legno, che si può aprire nel mezzo, contenente al suo interno una serie di altre bambole di dimensioni via via più piccole, ognuna delle quali (tranne l'ultima) è cava e smontabile a sua volta.

Se ne contano, a partire da quest'anno, diverse attestazioni su quotidiani e periodici italiani.

Dal Giappone alla Russia: le nesting doll

Souvenir russo per eccellenza, la matrioska (o matriosca) è una bambola di legno, che si può aprire nel mezzo, contenente al suo interno altre bambole di dimensioni decrescenti. La bambola più grande è detta “madre”, quella più piccola – l’unica non cava – è un pezzo intero, non smontabile, e prende il nome di “seme”.  La parola proviene dal russo matrëška, diminutivo di Matrëna, nome proprio femminile disceso dal lat. matrona (Nicolai 2003: 256); il modello è quello delle nesting dolls (da to nest ‘inserirsi l’uno dentro l’altro’).
La prima matrioska pare sia stata creata nel 1892 nell’ambito dei “Laboratori dell’educazione infantile” nati attorno al circolo di Abramcevo, nel quale il collezionista e mecenate Savva Ivanovič Mamontov (1841-1918) aveva riunito artisti e artigiani con l’idea di promuovere l’arte popolare russa. Era stato probabilmente Vasilij Petrovič Zvézdočkin, un noto giocattolaio di Sérgiev (oggi Zagórsk), a realizzare la prima tipica bambolina, prendendo a modello gli schizzi del pittore Sergéj Vasíl’evič Maljútin, che a sua volta aveva tratto ispirazione da una statuetta lignea raffigurante Fukuruma, divinità buddista dalla fronte molto spaziosa (Nicolai 2003: 257); originaria dell’isola giapponese di Honshū (dove la moglie di Mamontov l’aveva acquistata), la statuetta di Fukuruma, forse ispirata a sua volta alle scatole cinesi,  conteneva al suo interno altre quattro figure di dimensioni decrescenti. Il modello nipponico fu così riconvertito in una rotondeggiante contadina russa, dipinta con colori sgargianti, vestita con il sarafán (tipico abito femminile), la testa coperta da un fazzoletto a fiori. All’interno del pezzo più grande alloggiavano altre cinque contadinelle (ognuna caratterizzata da un dettaglio diverso), un ragazzo nella tradizionale camicia russa con abbottonatura diagonale (kosovorótka) e un bambino in fasce, per un totale di sette figure. Evidente, nei primi esemplari, il riferimento alla maternità e alla fecondità generatrice.
Nel 1900 la matrioska era approdata all’Esposizione Internazionale di Parigi: immediate le ordinazioni da parte delle ditte francesi, immediato il successo della bambola in tutta Europa. Intanto in Russia si aggiungevano a Sérgiev altri centri produttori e venivano creati nuovi modelli, diversi per numero di pezzi, foggia,  colori e persino soggetti rappresentati: la matrioska poteva richiamare i personaggi delle favole o i protagonisti dei grandi romanzi russi. In tempi più recenti si sarebbe affermata la moda di adattare al viso paffuto della matrioska le fattezze di uomini politici come Lenin, Stalin, Gorbaciov, Putin. La tendenza avrebbe attecchito anche da noi:

Prodi: «Silvio mi tolga dalla matrioska». Il professore: «Io l’unico a batterlo, nella bambolina dei leader sconfitti io non ci sto» (Francesco Alberti, Prodi: «Silvio mi tolga dalla matrioska», “Corriere della Sera”, 24 marzo 2009).

L’antefatto? In un congresso del PdL di pochi giorni prima era stato distribuito ai partecipanti un gadget molto particolare. Era una matrioska raffigurante Silvio Berlusconi; al suo interno i leader del  centrosinistra sconfitti alle elezioni – o, stando alla metafora, politicamente cannibalizzati – dall’ex-presidente del Consiglio.  
Ma torniamo alla storia. In Italia il giocattolo-soprammobile aveva suscitato l’interesse del pubblico sin dal suo primo apparire, ma per diversi decenni, in luogo del forestierismo, la nostra lingua – cfr. fr. poupée russe – aveva preferito ricorrere alla perifrasi bambola russa (Castoldi e Salvi 2003: 240); ecco, per es., la traduzione italiana di una commedia (Trois et une)  di Denys Amiel (1884-1977):

Scusa. Io conosco le donne meglio di voi. Una donna non esiste. In ogni donna ve ne sono 3, 4, 5, 10, ce n’è una diversa per ogni ora del giorno. Una donna è come una di quelle bambole russe che ne contengono una quantità le une dentro le altre (Tre, rosso, dispari, “Il dramma”, n. 144, 15 agosto 1932, pp. 5-42, a p. 22).

Si sarebbe dovuto attendere il 1956 per una delle prime attestazioni di matriosca (la variante con la k sembra essersi diffusa più tardi), per altro riferita a una bambola copriteiera e non al complesso di figure di legno:

Circa 10.000 lire costa Matriosca, uno dei personaggi più popolari del mercato sovietico, e si tratta di una pupa di pezza, raffigurante una donna matura, prosperosa, con una gonna imbottita che serve a tenere calde le vivande (Il turismo nell’URSS: un lusso che pochi possono permettersi, “La Stampa”, 4 maggio).

Negli anni successivi la parola prende piede ed è usata sempre più spesso per designare il tradizionale gruppo di bambole di legno, che si affianca ad altri oggetti vessillo dell’Unione sovietica, simboli di una realtà estremamente composita e diversificata, in cui il passato rurale si fonde con il progresso tecnologico e i viaggi spaziali. In un reportage dall’Expo di Bruxelles (1958) il giornalista e critico letterario Paolo Ricci osserva:

Naturalmente le matriosche vanno a ruba, ma anche le bottigliette di vodka sono ricercatissime, insieme ai barattolini di caviale e ai modellini di Sputnik che trasmettono il bip-bip (I 2 padiglioni dell’Expo, “Il contemporaneo”, ottobre 1958, p. 166).

Dal 1968 il forestierismo si impone sul traducente italiano bambola russa, forse anche grazie al Salone internazionale delle vacanze e del turismo di Torino: nello stand russo si riescono a vendere «parecchie migliaia di oggetti di artigianato, come le bambole “matriosca”, e i cofanetti laccati e dipinti» (Già 70.000 i visitatori per il Salone delle vacanze, “La Stampa”, 5 marzo 1968; l'articolo è a firma r. l.). Sarebbe sbagliato però bollare la bambolina russa come un mero souvenir o un semplice giocattolo. Nel 2009 Karl Lagerfeld disegna per Chanel la matrioska-bag; dalla campagna russa la famigliola di contadine panciute approda alle passerelle dell’alta moda.


Ricorsività, effetto Droste e mise en abyme

Con matrioska o effetto matrioska si indica anche un qualsiasi oggetto o processo ricorsivo i cui elementi si ripropongono uguali a sé stessi, annidandosi l’uno dentro l’altro e potenzialmente all’infinito. L’immagine della matrioska incarna dunque alla perfezione il principio di ricorsività, tipico (ma non esclusivo) del linguaggio umano:

Invece di congiungere due frasi e dire io vivo a Manhattan e io vado a vedere il Seagram Building preferiamo dire io che vivo a Manhattan vado a vedere il Seagram Building. Questo tipo di «abbreviazione» – una frase (relativa) dentro una frase (principale) – mostra a occhio nudo una strategia caratteristica del linguaggio umano: una struttura di un certo tipo, contenuta in una struttura dello stesso tipo.  Questa specie di «effetto matrioska» si chiama «ricorsività» (Moro 2012: 40).

L’idea di un qualcosa che ricorre uguale, ma a un diverso livello gerarchico, è anche alla base dell’espressione mise en abyme, con cui, in arte e in letteratura, s'intendono esprimere i concetti di “figura nella figura” o di “racconto nel racconto”; questa tecnica di costruzione di un testo (verbale o figurativo) prende anche il nome di effetto Droste, dall’omonima marca olandese di cacao: sulla scatola del prodotto è raffigurata una donna che tiene un vassoio su cui sono poggiati una scatola di cacao e una tazza; su entrambi compare la stessa immagine, una donna che tiene un vassoio su cui sono poggiati una scatola di cacao e una tazza… (il processo potrebbe continuare all’infinito).
Non è raro che il concetto di mise en abyme sia esemplificato nella critica letteraria e artistica proprio mediante l’immagine della matrioska. Gesualdo Bufalino, intervistato dal «Corriere della Sera» a proposito del suo ultimo romanzo (Tommaso e il fotografo cieco),  risponde così a una domanda («Trovo nel titolo dell’ultimo capitolo una parola nuova, epiprologo. Che vuol dire?») del giornalista:

“Ė un piccolo mostro linguistico che sposa epilogo e prologo. Come dire che la fine del libro coincide con l’inizio d’un altro che contiene il primo. Qualcosa di simile alle matrioske russe o alle scatole cinesi. E un effetto che in retorica si chiama mise en abyme” (Matteo Collura, Bufalino: la vita? Un patatrac, 16 aprile 1996).

Vari scrittori sono ricorsi alla matrioska per alludere all’architettura di un testo in cui i vari livelli interagiscono, richiamandosi l’un l’altro. Dino Buzzati, in Una bambola russa (1961), racconta le reazioni della piccola Anna al regalo del nonno, una matrioska gigantesca. La bambina si avvicina fremente di gioia alla bambola e inizia a smontarla pezzo dopo pezzo, sollevandone la metà superiore. Puntualmente, all’apparizione del pezzo più interno, il gesto della bambina è accompagnato da un tuono; dapprima lontano, cresce d’intensità sino a concretizzarsi in deflagrazioni potentissime e in dense nuvole di fumo, sempre più vicine alla casa della piccola:

Ma l’ultimo tuono era stato lugubre e spaventoso, era stato troppo, un nuvolone gigantesco a forma di carciofo era ingigantito […] Adesso, alla successiva bambola, che cosa sarebbe successo? «No, no» la bimba urlò all’improvviso, con voce disperata. «Adesso basta!». E fuggì dalla sala, scossa dai singhiozzi, buttando via, in un angolo, la bambolina maledetta (Viganò 2003: 246).

Qui la matrioska innesca il racconto ma lo struttura anche, in una sorta di gioco di specchi. Il rimpicciolirsi della matrioska sembra ingigantire la minaccia esterna; allo stesso modo l’iniziale gioia di Anna si trasforma via via in un disperato terrore.
Ricorre alla parola matrioska anche Cristina Comencini nel titolo di un romanzo del 2002 (Matrioška, Milano, Feltrinelli): il riferimento è alla protagonista Antonia, artista eccentrica e dal fisico pingue che, con il passar del tempo, ha finito con il fagocitare l’Antonia bambina, l’Antonia ragazza sportiva, l’Antonia donna muscolosa ma slanciata. Nel romanzo, che la scrittrice e regista costruisce come una biografia-intervista, il racconto della propria vita permette ad Antonia di portare alla luce gli strati più remoti della sua personalità e le innumerevoli storie di cui è stata protagonista.
Il concetto di stratificazione del sé rende la matrioska un’immagine (e un termine) molto frequente nel linguaggio della psicologia: non è raro che gli psicoterapeuti ci invitino a «osservare e riconoscere tutte le bambole che ci compongono come persone, mettendole idealmente in fila davanti a noi […] per poi ricomporre la nostra Matrioska consapevole, integrata, rispettosa di ciò che l’ha resa quello che è» (Moresco 2011: 292). L’idea della personalità-matrioska è invalsa anche fra i non specialisti e nella lingua corrente. Fino a che punto valga la pena di raggiungere gli strati più profondi non è però sempre chiaro, almeno stando agli autori della serie Underemployed-Generazione in saldo (trasmessa da MTV nel 2013). Tra le battute della serie ce n’è una che insinua qualche dubbio in proposito: «Mia figlia è una matrioska di personalità, e sono una più stronza dell’altra» (Alessandra Comazzi, Racconto di una generazione in saldo, 26 luglio 2013, http://www.lastampa.it/Blogs/cose-di-tele).


Elisa De Roberto

Bibliografia

Castoldi Massimo, Salvi Ugo, 2003, Parole per ricordare. Dizionario della memoria collettiva. Usi evocativi, allusivi, metonimici e antonomastici della lingua italiana, Bologna, Zanichelli.
Francesetti Gianni, Gecele Michela, Gnudi Franco e Mariano Pizzimenti, 2011 (a cura di), La creatività come identità terapeutica. Atti del II Convegno della Società Italiana Psicoterapia Gestalt (Torino, 10-12 ottobre 2008), Milano, Franco Angeli.
Moresco Maria Cristina, 2011, L’adattamento creativo nell’identità femminile. Come una Matrioska, tutte le donne che ci sono in te, in Francesetti e altri, pp. 291-294.
Moro Andrea, 2012, Parlo dunque sono. Diciassette istantanee sul linguaggio, Milano, Adelphi.
Nicolai Giorgio Maria, 2003, Dizionario delle parole russe che s’incontrano in italiano, Roma, Bulzoni.
Viganò Lorenzo, 2003 (a cura di), Le cronache fantastiche di Dino Buzzati, Milano, Arnoldo Mondadori, 2 voll.