Abitaculo

Enciclopedia Dantesca (1970)

abitaculo


Il termine latino abitaculum è diffuso nella tradizione medievale, specie religiosa, sia col valore proprio che con quello figurato (Girolamo, Leone Magno, Tertulliano, Ilario, Lattanzio, Gregorio Magno, Prudenzio), ma lo si trova già nei testi scritturali (Habacuc, Geremia, Luca, Paolo). D. usa tre volte la forma italiana a. nel Convivio, due delle quali in traduzioni di brani latini.

Col valore generico di " abitazione ", " casa " (cfr. la prosa di Guittone in Monaci, Crestomazia, n° 76 VI 92 " onni abitaculo d'omo pacifico esser vorria "), è in Cv III I 3 Oh quante notti furono, che li occhi de l'altre persone chiusi dormendo si posavano, che li miei ne lo abitaculo del mio amore fisamente miravano! Alcuni studiosi tuttavia pensano che qui la parola si riferisca all'aspetto della persona amata (Passerini, Flamini), all'oggetto stesso " in cui si termina e posa l'amore " (Busnelli), o addirittura alla mente stessa di D., tutta occupata dal pensiero della sua donna. Analogo significato generico la parola ha nella traduzione del lucaneo " O vitae tuta facultas / pauperis angustique lares ! ": oh sicura facultà de la povera vita! oh stretti abitaculi e masserizie! (Cv IV XIII 12). Da Cicerone è liberamente tradotto il passo di Cv IV XXI 9 celestiale anima discese in noi, de l'altissimo abitaculo venuta in loco lo quale a la divina natura e a la etternitade è contrario (" est enim animus caelestis ex altissimo domicilio depressus et quasi demersus in terram ", Senect. XXI 77), in cui a. designa la " sede celeste ", il " cielo ".