ACCELERATORE

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

ACCELERATORE

Giorgio Salvini

. Fisica (App. II, 1, p. 4; III, 1, p. 4). - Gli ultimi quindici anni sono caratterizzati dalla realizzazione di macchine acceleratrici per protoni ed elettroni sempre più grandi, impegnative e costose, sino ad arrivare ai massimi protosincrotroni da 400 GeV del Laboratorio Enrico Fermi di Chicago (FNAL) e del Centro Europeo di Ricerche Nucleari (CERN), che descriveremo più avanti. Ma prima di fare un aggiornamento strettamente tecnico accenniamo ad alcuni aspetti delle ricerche fisiche attuali che costituiscono il movente per costruire nuovi e diversificati acceleratori.

Non si è sinora trovato un limite alla struttura energetica, microscopica del nostro universo fisico; in altri termini, al crescere dell'energia disponibile si trovano continuamente nuove particelle elementari, di massa sempre maggiore e di vita media piuttosto lunga. Questo estendersi dello spettro di masse è insieme un invito a continuare a cercare operando a energie sempre maggiori, e una ragione per soffermarsi in una fase di meditazione e di approfondimento alle energie disponibili. Oggi alcuni dubitano, più che alcuni anni or sono, della possibilità di una supermacchina di energia tale da poter produrre ogni possibile particella cosiddetta elementare.

La complessità teorica dello studio dell'urto tra particelle tipicamente nucleari (adroni) ha portato a fare nuove macchine che permettono nuovi tipi d'interazione. L'interesse dei fisici si è esteso verso le interazioni elettrone-positone ad altissima energia, e verso le interazioni deboli. Da qui apparecchiature nuove, quali gli anelli elettrone-positone, e l'approntamento, utilizzando i protosincrotroni, di speciali fasci di neutrini, con strutture di grandi rivelatori di particelle di ogni tipo. In questi nuovi campi si sono ottenuti risultati d'importanza fondamentale.

L'aumento dei ricercatori, la costituzione di una nuova generazione di costruttori, la concorrenza tra diversi paesi esercitano una continua pressione verso la realizzazione di nuove macchine: una pressione che è compito dei fisici più responsabili contenere e guidare. È giusto ricordare che tutte le macchine di alta energia costruite in questi anni hanno portato a risultati sperimentali nuovi e di grande interesse, con un'abbondanza tipica di una scienza in rigoglioso sviluppo.

I princìpi di accelerazione sono ancora gli stessi utilizzati per gli a. esistenti e funzionanti, sia nel caso delle macchine lineari sia in quello dei sincrotroni e degli anelli di accumulazione. Alcuni nuovi criteri di accelerazione e focalizzazione non ancora arrivati al successo, ma di grande stimolo e interesse culturale, verranno ricordati alla fine. Procediamo dunque a una breve rassegna di alcune delle maggiori imprese dal 1960 a oggi con il seguente ordine: sincrotroni; acceleratori lineari; macchine per la fisica dei nuclei; ricerche con nuove idee; conclusioni.

Sincrotroni. - Distinguiamo tra elettrosincrotroni e protosincrotroni (tab. 1). Nel 1968 è entrato in funzione l'elettrosincrotrone della Cornell University. Esso è il più grande (e il più piccolo) elettrosincrotrone sinora costruito: il più grande perché raggiunge un'energia massima di 10 ÷ 15 GeV, quindi un'energia per gli elettroni solo superata dall'a. lineare di Stanford, lo SLAC (Stanford Linear Accelerator Center), e perché ha un raggio di circa 100 m; il più piccolo (e questo si ricorda per dimostrare il progresso della tecnica in questi anni) perché il magnete del campo di guida ha una sezione trasversa minore di quella di qualunque elettrosincrotrone mai costruito, da 1 GeV in su: dell'ordine di 1/15 di m2. Con questa macchina, e altre consimili, si sono raggiunti importanti risultati nel campo delle interazioni fotone-protone ed elettrone-protone a grande energia (fattore di forma del protone; proprietà dei mesoni vettoriali).

Ma è nel campo dei protosincrotroni che si è fatto il grande balzo verso le alte energie. Nel 1960 sono entrati in funzione il protosincrotrone di Ginevra, già ricordato, da 28 GeV e poco dopo un protosincrotrone analogo americano, da 33 GeV. I giganti della specie sono attualmente due. Si tratta del protosincrotrone del Laboratorio FNAL da almeno 400 GeV, e di quello del CERN anch'esso da almeno 400 GeV (fig. 1). Il primo è in funzione dal 1974, e già si è dimostrata la sua importanza nel campo delle ricerche direttamente adroniche e delle cosiddette interazioni deboli. Il secondo è in avanzato stadio di preparazione, e ne diamo nel seguito alcune caratteristiche fondamentali (tab. 2).

La realizzazione di questo superprotosincrotrone (SPS) europeo è ovviamente dettata da una finalità puramente scientifica, ma sono da sottolineare il suo significato dal punto di vista tecnologico, poiché si tratta di un'impresa al limite della tecnica e dell'ingegneria attuali, e dal punto di vista della collaborazione internazionale, poiché il CERN è un primo significativo esempio delle ampie possibilità dell'Europa, se essa sa unirsi in uno sforzo comune.

Anelli di accumulazione. - Poniamo gli anelli di accumulazione per elettroni o per protoni tra le macchine acceleratrici. Essi sono nati negli anni Sessanta e sono macchine in pieno sviluppo. In questi anelli, attraverso iniezione con una macchina acceleratrice propriamente detta, vengono accumulati fasci di particelle circolanti elettricamente cariche. I fasci circolanti sono due, e in senso opposto, sicché quando due particelle di verso opposto s'incontrano, si realizza uno scontro frontale con una grande energia disponibile. I fisici delle particelle elementari studiano le modalità di questi scontri (reazioni subnucleari di alta energia) che avvengono con una microscopica violenza non raggiungibile con altri mezzi. Nel caso degli anelli protone-protone si tratta di due fasci opposti di protoni che circolano in due separati anelli magnetici di guida, che periodicamente vengono fatti incontrare. Nel caso degli anelli di accumulazione elettrone-positone i due fasci sono costituiti l'uno da elettroni, l'altro da positoni, e hanno la stessa energia perché circolano in versi opposti nello stesso anello magnetico. Infatti il positone, antiparticella dell'elettrone, ha la stessa massa e ha carica opposta; pertanto l'azione trasversa di un campo magnetico su un elettrone di velocità v è la stessa di quella dello stesso campo su un positone di velocità −v.

Ricordiamo il grande vantaggio che i due citati tipi di anellì di accumulazione hanno in comune: la possibilità di ottenere urti nei quali si può liberare (per es., sotto forma di creazione di nuove particelle) una grande energia, maggiore di quella di cui si può disporre nelle macchine acceleratrici normali, i convenzionali elettro- e protosincrotroni. Infatti l'energia disponibile nell'urto tra due particelle dipende dalla loro velocità relativa. Più precisamente, la massima energia disponibile per produrre reazioni subnucleari è l'energia totale delle due particelle misurata nel loro centro di massa. Vediamo ora la cosa in termini quantitativi, relativistici.

Quando si urtano (procedendo in verso opposto) due particelle di massa rispettivamente m ed M, di quantità di moto p, P, e di energia totale Em, EM, vale la relazione generale:

in cui EcM è l'energia totale delle due particelle, misurata in un riferimento fermo rispetto al centro di massa del sistema m, M. Si assumono p, P entrambi positivi.

Distinguiamo ora due casi. Il primo è quello delle macchine convenzionali, per es. l'urto di un protone accelerato contro un protone fermo (bersaglio di idrogeno liquido). In questo caso possiamo porre: m = M = massa del protone = Mp; Em = Mpc2;

p = 0; P = Pp; in cui β è la velocità del protone urtante, divisa per c, velocità della luce nel vuoto.

La [1] diventa:

Se

qual è il caso per le macchine di alta energia, si può approssimare la [2] in EcM ≈ √2 Mpc2 √γ e, con EMp = Mpc2 γ, si trova

Quindi solo una frazione pari a

dell'energia totale del protone urtante è disponibile nell'urto protone-protone.

Il secondo caso è quello dell'urto tra due fasci di protoni lanciati a velocità opposte e uguali in modulo, come in un anello di accumulazione, e d'impulso p = P = Pp ciascuno. In questo caso si ha: m = M = Mp; EM = Em = EMp. La [1] diventa (tenendo conto della nota relazione relativistica E2 = m2c4 + p2c2): EcM = 2EMp. Come si vede, l'energia EcM nel centro di massa è pari a tutta l'energia disponibile per le due particelle. Il vantaggio reale è enorme, e tra l'altro molto maggiore di quanto la meccanica non relativistica, in questo caso non utilizzabile, porterebbe a prevedere. Diamo due esempi.

L'urto di un protone di energia totale E = 500 GeV contro un protone fermo (energia totale pari a circa 1 GeV) può portare a una massima energia totale nel centro di massa di

Questa stessa energia nel centro di massa si può ottenere con l'urto di due protoni di circa 16 GeV ciascuno, che corrono l'uno contro l'altro in due anelli di accumulazione che s'intersechino in punti opportuni: due anelli di raggio R ≈ 100 m anziché un protosincrotrone di R ≈ 1 km.

Un altro esempio più interessante ancora: un positone da 40 GeV che urta contro un elettrone fermo porta nel centro di massa un'energia massima disponibile di

Questa stessa energia nel centro di massa si può ottenere da un anello e+e- ove corrono l'uno contro l'altro dei fasci di elettroni e positoni da 100 MeV ciascuno. Un anello di accumulazione siffatto potrebbe avere oggi dimensioni dell'ordine di un metro; un a. lineare per elettroni da 40 GeV sarebbe anche oggi una macchina lunga almeno alcuni chilometri.

Naturalmente in questi confronti occorre ricordare che la frequenza degli urti negli anelli di accumulazione è molto minore che nell'urto di un fascio convenzionale contro bersagli fissi. La grandezza che misura la "resa in urti" di un anello di accumulazione è la sua "luminosità": il numero degli urti al secondo è pari al prodotto della sezione d'urto per questa "luminosità". Essa è proporzionale alla densità di uno dei fasci e al numero di particelle incidenti dell'altro fascio nell'unità di tempo. Oggi si raggiungono luminosità di 1032 cm-2 sec-1: questo significa che in un anello con questa luminosità il numero dei processi d'urto d'interazione particella-particella ha la frequenza di uno al secondo, se la sezione d'urto del processo è 10-32 cm2. Sezioni d'urto di questo valore, e minori ancora, sono quelle che interessano gli urti elettrone-positone e i processi ove sono in gioco in modo significativo le cosiddette forze deboli o fermiane.

Distinguiamo ora brevemente tra anelli per protoni (pp) e anelli per positoni (e+e-).

Il più grande anello pp, e oggi (1976) l'unico in funzione, è a Ginevra, al CERN. Si tratta dell'ISR (Intersecting Storage Ring) costituito in realtà da due anelli con fasci opposti di protoni da 30 GeV ciascuno: la massima energia nel centro di massa è di circa 56 GeV. Questo doppio anello non è di per sé propriamente una macchina accelerante, perché è alimentato dallo stesso protosincrotrone PS di energia massima 28 GeV, che inietta già i protoni all'energia voluta. Si osservi che il PS alimenterà anche il superprotosincrotrone (SPS) da 400 GeV. Lo schema di funzionamento dell'ISR è dato in fig.1; in esso si vedono i due anelli quasi circolari che s'intersecano a piccolo angolo in otto sezioni diritte lunghe circa 20 metri. In queste sezioni si pongono gl'imponenti dispositivi sperimentali.

L'ISR è in funzione dal 1972. Si sono ottenuti risultati di grande interesse sulla sezione d'urto totale pp alle massime energie, e sulle modalità dell'urto con basso trasferimento d'impulso (urti blandi, di striscio, tra protoni veloci). Sono in corso misure fini a elevato trasferimento d'impulso e ricerche su nuovi stati o particelle.

Gli anelli e+e- hanno forse dato in questi anni i risultati più importanti e straordinari in assoluto, e ancor più in relazione al basso costo rispetto alle massime macchine acceleratrici convenzionali. Il primo anello e+e- entrato in funzione nel mondo è ADA (tab. 3), capace di un'energia 2 × 250 = 500 MeV nel centro di massa. Un successivo anello è stato ACO, Orsay (Parigi). Risultati scientifici inattesi sono stati ottenuti nel 1970 ÷ 74 a Frascati con ADONE (fig. 2): la scoperta della produzione multiadronica. Successivamente a SLAC, con l'anello SPEAR, si sono scoperte le particelle Jψ e ψ′, e si è confermato l'aumento della sezione d'urto multiadronica ad alta energia; ad Amburgo, con l'anello DORIS (simile a SPEAR), si sono scoperti nuovi stati intorno all'energia totale di 2,7 ÷ 3,6 GeV.

Nella tab. 3 sono date le caratteristiche principali anche degli anelli per elettroni in corso di realizzazione. Sono in discussione nuovi anelli protone-protone, elettrone-protone e anche protone-anti-protone. Come si vede, gli anelli e+e- PEP e PETRA sono oggi i massimi della categoria. La costruzione di questi anelli è iniziata a SLAC e a DESY (Amburgo); i fisici di vari paesi stanno già preparando le apparecchiature e i rivelatori necessari alla misura delle interazioni e+ + e-, per le campagne di misura che inizieranno probabilmente alla fine del 1979.

Descriviamo brevemente l'anello PETRA, che verrà messo anche a disposizione dei fisici europei.

Si tratta di un anello magnetico (fig. 3), di una lunghezza totale di 2304 m. Gli elettroni verranno accelerati e mantenuti alla massima energia da due stazioni a radiofrequenza poste in posizioni diametralmente opposte. Elettroni e positoni circoleranno nello stesso anello e raggiungeranno un'energia massima di 15 ÷ 20 GeV, a partire da 5 GeV. Gli elettroni vengono iniettati nell'anello PETRA attraverso un meccanismo piuttosto complicato. Dapprima accelerati da un a. lineare che li versa in DESY, l'elettrosincrotrone da 6 GeV in funzione ad Amburgo dal 1961; quindi, dopo una prima accumulazione nell'anello esistente DORIS, verranno iniettati da DESY in PETRA. Alla fine di questo processo di stivaggio e di accelerazione si hanno nell'anello PETRA due fasci circolanti di elettroni e positoni dell'energia suddetta, e raccolti in pacchetti di ≈ 1011 elettroni o positoni, lunghi ciascuno alcuni centimetri e distanziati di alcune centinaia di metri.

Sottolineiamo ancora che il compito delle due radiofrequenze è molto pesante: esse debbono accelerare gli elettroni, iniettati in PETRA, da qualche GeV a 15 ÷ 20 GeV per fascio; ma poi debbono costantemente compensare le grandi perdite di energia elettromagnetica di cui tra poco parleremo. Raggiunta la massima energia, i fasci di elettroni e di positoni ruotano per alcune ore, mentre la loro densità si riduce lentamente per vari processi d'urto e distruttivi: urti contro i gas residui della ciambella e in minor grado disturbi dell'interazione fascio-fascio. Gli urti contro il gas residuo dànno una vita media inversamente proporzionale alla pressione del gas residuo, e la vita media può essere dell'ordine di 10 ÷ 40 ore quando la pressione del gas residuo è dell'ordine di 10-9 torr. Dopo un tempo di quest'ordine il processo di "riempimento" della ciambella, o camera a vuoto, di PETRA va ripetuto dall'inizio.

Queste macchine, PEP e PETRA, permetteranno, per es., di esplorare l'esistenza di leptoni pesanti (v. particelle elementari, in questa App.) sino a masse individuali di 10 ÷ 15 GeV, o di nuovi mesoni vettoriali sino a 30 ÷ 40 GeV.

Un punto di grande importanza per gli anelli e+e- di grande energia, è costituito dalle perdite per irraggiamento.

È noto che una carica elettrica che procede con moto non rettilineo uniforme (quindi con un'accelerazione diversa da zero) irraggia energia sotto forma di onde elettromagnetiche, o meglio di fotoni. Nel caso degli elettroni circolanti in un anello di accumulazione l'accelerazione degli elettroni è quella centripeta. Si dimostra che l'energia perduta, cioè irraggiata da un elettrone per ogni giro nell'anello, misurata in keV, è data dalla relazione: W = 88,5 E4/R, dove E è l'energia degli elettroni in GeV, R il raggio di curvatura dell'orbita, in m. Per es.: per E = 15 GeV, R = 200 m, risulta W = 22.000 keV per elettrone. Si stima che la potenza perduta per irraggiamento in PETRA sarà di almeno 2000 kW. Queste sono perdite enormi e costituiscono il limite più grave al raggiungimento di altissime energie con anelli e+e-.

È da dire che questa dissipazione si manifesta come emissione di fotoni distribuiti approssimativamente secondo uno spettro S-3/2, ove S è la energia del fotone, limitato a un'energia massima Sc = (3/2) (E/Mc2)3c/R. Questa energia non è attualmente impiegata se non in minima percentuale per ricerche particolari di fisica atomica molecolare (luce di sincrotrone). Se si troverà un conveniente impiego di essa (dalla sterilizzazione e conservazione dei cibi alla lavorazione e indurimento delle sostanze plastiche) si potranno dare ulteriori giustificazioni, al di fuori delle ricerche di fisica fondamentale, per la costruzione di nuove più grandi macchine per elettroni.

Gli urti diretti di annichilazione e+e- sono necessariamente rari (in una giornata di funzionamento si possono osservare poche centinaia di eventi) e questo significa che nella sezione d'interazione ove gli urti avvengono occorre porre rivelatori di grande apertura angolare e molto complessi, anche allo scopo di ben distinguere le particelle prodotte. Ciò ha portato in questi anni alla costruzione e allo sfruttamento di apparati molto costosi e sofisticati, preparati da squadre composte da decine di fisici e tecnici. È chiaro che nel caso degli anelli di accumulazione il contatto tra i fisici che hanno costruito la macchina e i fisici che fanno misure alle sezioni diritte è più stretto e continuo che nelle macchine convenzionali, quali i protosincrotroni, per i quali la sperimentazione è relativamente più distaccata dalla macchina.

Acceleratori lineari. - Ci limitiamo qui a ricordare il più potente a. lineare esistente. Si tratta di quello denominato SLAC, impiantato alla Stanford University, a Palo Alto, SUA. È entrato in funzione nel 1967, accelera elettroni, e ha una lunghezza di più di tre km (10.000 piedi); con esso si raggiungono energie massime per elettroni di più di 20 GeV. Come si è visto, nessun elettrosincrotrone propriamente detto arriva oggi a questa energia, anche per i limiti imposti dalle perdite per irraggiamento. Con lo SLAC si è arrivati quindi alle massime energie d'urto elettrone-protone. Ma non è questo il solo punto qualificante della macchina SLAC; con essa si possono ottenere intensità di fascio di gran lunga superiori a quelle di ogni altra macchina, con correnti di picco di 50 mA, e correnti medie di 60 μA. Queste grandi intensità non sono inutili. Infatti con questo a. si sono potuti studiare processi d'urto anelastici elettrone-protone di grande interesse ed estremamente rari: si è potuto stabilire che questi urti avvengono come se nella sua sostanza nucleare il protone fosse costituito da enti elementari puntiformi, i "partoni". Le potenze in gioco per questo a. lineare sono piuttosto imponenti: sono impegnati 245 klystron ciascuno dei quali raggiunge una potenza di picco di circa 20 MW; la potenza media del fascio è di circa 1 MW.

Ricordiamo che sono arrivate oggi a buon fine le prime ricerche per a. lineari a bassa temperatura (cavità superconduttrici), che permetteranno di realizzare guadagni di energia per metro molto maggiori che negli a. attuali.

Macchine per la fisica dei nuclei. - Tra le evoluzioni notevoli ricordiamo la struttura a tandem dell'a. di Van de Graaff.

Il tandem nasce alla fine degli anni Cinquanta. Lo schema di funzionamento è dato in fig. 4. E una macchina che accelera ioni inizialmente negativi, leggeri o pesanti (per es., atomi d'idrogeno con un elettrone addizionale), prodotti da una speciale sorgente; questi ioni negativi vengono accelerati dal potenziale di terra a quello di alta tensione, ovviamente positivo. A questo punto gli elettroni vengono liberati in corsa, per es. da un getto d'idrogeno, e rimangono protoni (ioni idrogeno positivi): questi aumentano ulteriormente la loro energia cinetica, con l'accelerazione che li porta dal terminale ad alta tensione a un estremo ancora a terra, da parte opposta all'estremo iniziale. È chiaro che questo sistema permette di raddoppiare l'energia per ione rispetto a una macchina elettrostatica normale (non tandem) che operi con la stessa differenza di potenziale massima.

Quanto si è detto per gli ioni negativi idrogeno può estendersi a molti nuclei e si potrà arrivare, per nuclei pesanti, a energie per nucleone dell'ordine di alcuni MeV.

Una caratteristica dei tandem, macchine il cui perfezionamento è in continuo progresso, è l'estrema precisione nella misura dell'energia degli ioni accelerati: si può infatti contare su una stabilità della tensione acceleratrice dell'ordine di 100 V, e su una risoluzione energetica di almeno una parte su diecimila. Questo punto è ovviamente di grande importanza per il futuro delle ricerche sulla struttura del nucleo atomico. Una macchina tandem da almeno 14 MV di tensione massima al terminale verrà presto istallata nel Laboratorio nazionale di Legnaro (Padova). È allo studio, presso la università di Milano, la possibilità di coordinarla con un ciclotrone in serie.

Ricerche con nuove idee: acceleratori ad azione collettiva. - Le macchine acceleratrici di alta energia oggi in funzione sono essenzialmente a. ad azione individuale: questo significa che ogni particella è accelerata da un campo elettromagnetico costruito con componenti in stazione fissa, macroscopiche, e che il campo elettromagnetico di guida e di focalizzazione è costituito essenzialmente da masse di ferro e da conduttori fissi.

L'azione è individuale, perché la presenza di molte particelle, sino a un certo limite, non muta l'evoluzione dinamica di ciascuna di esse. Questo "sino a un certo limite" è il punto di partenza delle considerazioni che seguono. Infatti è naturale attendersi che l'evoluzione di ogni singola particella venga influenzata dalle vicine se le particelle accelerate in fascio formano, a un certo punto, per la loro numerosità, dei campi magnetici ed elettrici macroscopici capaci di turbare il moto di ognuna. Questo limite d'intensità dei fasci di particelle dovuto ad azioni collettive che invalidano l'approssimazione individuale che si è detta, è oggi raggiunto da quasi tutte le macchine, a causa dell'esigenza di disporre di fasci di protoni o di elettroni sempre più intensi. I primi disturbi si registrarono chiaramente dieci o quindici anni or sono, e oggi gli effetti collettivi costituiscono un limite alle intensità raggiungibili.

Si noti che gli effetti negativi sul fascio (oscillazioni eccessive, autodistruzione) si sentono già quando i campi elettrici e magnetici da azione di fascio collettivo sono dell'ordine del decimillesimo dei campi imposti al fascio dall'esterno.

Questa è dunque una difficoltà, ma viene spontaneo il domandarsi se questi campi dovuti alle stesse particelle non si possono imbrigliare e utilizzare per creare nuovi tipi di a., ove le particelle dei fasci sono guidate e accelerate per azione combinata di campi esterni e dei loro campi collettivi.

Valutazioni tecniche di ordine generale portano a prevedere che qualora questo coordinamento dovesse riuscire si potrebbe arrivare a disporre di campi guida e di campi focheggianti di valore maggiore di quelli impiegati oggi negli a. esistenti, con enormi riduzioni delle dimensioni e dei costi, e aumento dell'intensità.

Varie idee sono state avanzate e studiate piuttosto a fondo, ma i successi pratici sono ancora piuttosto lontani. Tuttavia è conveniente qui prospettarle, anche per il loro indiscutibile contenuto di seria ispirazione scientifica. Accenneremo brevemente a due ordini di idee: la focalizzazione a betatrone, e l'a. ad anelli di elettroni.

L'idea del betatrone a plasma consiste nel creare un fascio intenso di elettroni autostabilizzato, per usare il forte campo magnetico di questo fascio come campo guida per particelle più pesanti, quali i protoni.

L'a. ad anelli elettronici è piuttosto complesso, ma ancora geniale ed elegante. Cominciamo da un esempio in realtà impossibile. Se si ha un grumo, una sferula di elettroni (per esempio 1012 elettroni in una nuvoletta di diametro di alcuni millimetri), questa sferula può essere accelerata in un a. elettrostatico: se la differenza di potenziale è, per es., di 2 MV, gli elettroni arrivano all'uscita positiva ciascuno con energia di 2 MeV. Ma supponiamo che entro la sferula si trovino alcuni protoni. Essi non ne sfuggiranno perché c'è una "buca di potenziale", che li trattiene entro la sfera negativa, e verranno accelerati quindi insieme con gli elettroni. La massa di un protone è 1836 volte quella dell'elettrone, e a parità di velocità l'energia totale di una particella è proporzionale alla massa: quindi quei pochi protoni avranno ciascuno, nel nostro esempio, un'energia totale finale di 3670 MeV.

Questo è dunque il criterio: mettere una piccola percentuale di ioni pesanti entro un'opportuna configurazione elettronica, e usare gli elettroni come traino di masse più pesanti.

Ma una semplice sferula di cariche negative è ovviamente impossibile, perché è distrutta dalla repulsione reciproca degli elettroni. Si tratta di creare una configurazione elettronica stabile, che svolga la funzione di traino ora detta. Questa è stata indicata da V. I. Veksler (1956 e anni seguenti) nell'anello elettronico relativistico (fig. 5): un fascio di elettroni circola ad anello entro un campo magnetico opportuno. Questo anello si può formare per induzione con una tipica accelerazione a betatrone.

La somma delle forze elettriche repulsive tra gli elettroni più le forze attrattive di corrente elettrica degli elettroni circolanti, più la forza attrattiva dovuta alle cariche positive (protoni) entro l'anello, può dare una configurazione stabile di cariche essenzialmente negative. Questa struttura ad anello può essere accelerata con le conseguenze anticipate nel nostro esempio della sfera.

Questa possibile macchina è stata studiata intensamente al Lawrence Radiation Laboratory di Berkeley (SUA) e ai Laboratori di Dubna (URSS) con risultati alterni: le speranze di a. di protoni e ioni pesanti da molti GeV possono essere ancora piuttosto lontane. Non è escluso un loro interesse futuro nella cosiddetta fusione nucleare a confinamento inerziale.

Ma conviene chiudere con un'osservazione generale. I problemi di funzionamento e di stabilítà delle macchine ad azione collettiva sono più difficili di quelli risolti dalla tecnica e dalla matematica di oggi per il corretto funzionamento degli attuali grandi acceleratori.

Nessuno forse può dire a che punto saremo con le macchine collettive nei prossimi anni: è una sfida intellettuale elevatissima, e dobbiamo essere grati ai grandi laboratori che l'affrontano. Ma è importante ribadire un'esigenza che ci sembra fondamentale: il progresso delle nostre conoscenze matematiche.

Infatti l'indagine sulle caratteristiche generali dei collettivi di particelle - nelle macchine acceleratrici come nelle ricerche sul plasma - porta rapidamente a problemi complessi, a equazioni non lineari e in generale alla richiesta di nuovi rigorosi strumenti matematici oggi ancora incompleti.

Non è escluso che su questa via si debba arrivare a nuove scoperte matematiche e a un livello scientifico tecnico su un piano nuovo, che disterà dalle macchine di oggi quanto queste si sono evolute rispetto ai primi a. elettrostatici di questo secolo. Vedi tav. f. t.

Bibl.: E. Segrè, Nuclei e particelle, Bologna 1966; E. Ferrari, E. Persico, S. Segre, Principles of particle accelerators, New York e Amsterdam 1968; J. P. Blewett, Recent advances in particle accelerators, in Advances in electronics and electron physics, vol. XXIX, New York 1970; CERN, A design of the European 400 GeV research facilities, I, II, Ginevra 1970.

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