VARZI, Achille

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VARZI, Achille

Alessandro Sannia

– Nacque a Galliate (Novara) l’8 agosto 1904. Di famiglia molto agiata, era il terzo figlio di Menotti (1871-1970) e di Pina Colli Lanzi (1875-1948).

Il padre era – insieme allo zio, il senatore del Regno Ercole Varzi (1866-1943) – tra i fondatori e i proprietari delle Manifatture Rossari e Varzi, importante industria tessile con sede nella stessa città di Galliate. I suoi fratelli maggiori erano Agnoletto (1900-1990) e Anacleto (1903-1961).

Sostenuto dalle condizioni economiche della famiglia, Achille ebbe modo di possedere fin da giovanissimo una motocicletta e si appassionò alle gare per il tramite del fratello Agnoletto, che era un buon pilota dilettante. Tuttavia, ben presto Varzi mostrò le sue doti di pilota superando in abilità il fratello e andando a competere fra i professionisti, fino ad aggiudicarsi, nel 1923 a soli diciannove anni di età, il titolo di campione italiano seniores. L’anno successivo sui circuiti di motociclismo Varzi avrebbe incontrato il suo eterno rivale – una contrapposizione enfatizzata ad arte dalla stampa sportiva per tutto il resto della sua vita – Tazio Nuvolari, campione già affermato e di dodici anni più anziano di lui. Riuscì a batterlo nel 1926, aggiudicandosi davanti a lui e per di più nella città natale di Nuvolari, Mantova, il titolo di campione italiano in sella a una Sunbeam 500.

Proprio Nuvolari convinse Varzi ad avvicinarsi al mondo delle automobili, facendogli acquistare nel 1928 una Bugatti Tipo 35C con cui potessero correre insieme. Ottenne un buon secondo posto al circuito di Alessandria, ma la collaborazione troppo stretta con l’amico-rivale gli risultava difficile da sopportare. Ebbe, intanto, ancora modo di dar prova della sua abilità di motociclista vincendo il Gran premio delle Nazioni del 1929, a Monza, ma decise di concentrarsi definitivamente sulle competizioni automobilistiche e dall’anno successivo non corse più in moto. Acquistò, dunque, una vecchia ma ancor valida Alfa Romeo P2 appartenuta a Giuseppe Campari e con essa riuscì a ottenere il titolo di campione italiano del 1929, con sei vittorie su quattordici gare (Alessandria, Roma, Trieste-Opicina, Coppa Ciano, Guipuzcoa e Monza). Nel 1930 fu nuovamente campione italiano, vinse ancora ad Alessandria, la Targa Florio, la Coppa Acerbo, a Monza e il Gran premio di Spagna alternandosi fra l’Alfa Romeo P2 e una nuova Maserati Tipo 26M, e fu secondo alla Mille miglia con un’Alfa Romeo 6C 1750.

La stampa specializzata iniziava ad appassionarsi al personaggio, caratterizzato da uno stile raffinato ed elegante sia nel modo di presentarsi sia in quello di guidare: sicuro, preciso, pulito. Era un perfetto contraltare al fascino popolare e genuino di Nuvolari, che ben si prestava a elucubrazioni, spesso fantasiose, da parte di giornalisti che descrissero una rivalità estrema in realtà mai così accesa ed esasperata.

Dopo le Alfa Romeo, Varzi tornò a una vettura francese, acquistando una Bugatti Type 51 che gli costò le prime antipatie da parte del regime fascista: il prestigio di un pilota italiano che vinceva le maggiori competizioni internazionali (nel 1931, i Gran premi di Francia e di Tunisia) appariva parzialmente offuscato dal fatto che fosse alla guida di un’azzurra vettura francese, davanti alle rosse Alfa Romeo.

La sfida giunse al culmine con il Gran premio di Montecarlo del 1933: una corsa fra le più celebri della storia dell’automobilismo sportivo, che vide Nuvolari e Varzi alternarsi continuamente nella posizione di testa fino a che quest’ultimo giunse per primo a tagliare il traguardo del centesimo e ultimo giro. Varzi, aristocratico e di spirito fortemente indipendente, era del tutto indifferente alle opportunità di tipo politico e se la sua azzurra Bugatti infastidiva le gerarchie italiane, ebbe modo di disturbare in egual misura anche quelle tedesche, vincendo l’Avusrennen a Berlino. Sempre nel 1933, tuttavia, fu coinvolto in un primo scandalo, venendo accusato di aver combinato a tavolino il risultato del Gran premio di Tripoli (primo classificato), che determinava il vincitore della lotteria nazionale.

Nel 1934 firmò un contratto con la scuderia Ferrari (che allora gestiva il reparto corse dell’Alfa Romeo) in sostituzione di Nuvolari, passato alla Maserati. Alla guida della Tipo B si aggiudicò la Coppa Ciano, la Targa Florio e i Gran premi di Alessandria, Nizza, Penya Rhin e Tripoli, oltre alla Mille miglia con un’Alfa Romeo 8C 2600, aggiudicandosi per la terza volta il titolo di campione italiano. Fu, dunque, il primo pilota della storia a vincere nella medesima stagione le due grandi corse italiane: la Targa Florio e la Mille miglia, per di più alla guida di vetture nazionali.

La pace con il regime fascista sembrava fatta, ma Varzi non se ne curava e già l’anno successivo ‘tradì’ Enzo Ferrari e passò a lavorare per una casa automobilistica tedesca, la Auto Union. Alla guida della P-Wagen, tuttavia, ottenne solo due vittorie: alla Coppa Acerbo e al Gran premio di Tunisi. Il 1936 non andò meglio, a causa dell’arrivo di un altro grande pilota nella squadra della Auto Union, Bernd Rosemeyer. Varzi vinse solo il Gran premio di Tripoli, ma il risultato fu merito esclusivamente degli ordini di scuderia che imposero a Hans Stuck di rallentare: il Terzo Reich, in segno di rispetto verso l’Italia fascista, aveva deciso che a vincere nella colonia libica, pur alla guida di un’automobile tedesca, fosse un pilota italiano.

Varzi crollò. Tutta la debolezza e le tensioni interiori del giovane campione presero il sopravvento sul suo carattere apparentemente algido e impenetrabile. All’Auto Union Varzi aveva conosciuto Paul Pietsch, allora giovane pilota alle prime armi, e aveva avviato una relazione con la di lui moglie, una donna dal passato oscuro la cui identità non è del tutto certa: viene ricordata come Ilse Engel (Angelo), ma non vi è conferma che il cognome da nubile sia autentico. Engel era dedita al consumo di morfina e trascinò Varzi nella tossicodipendenza. La droga gli parve l’unico aiuto per superare l’ironia con cui lo aveva accolto Italo Balbo, allora governatore di Libia, dopo la sua antisportiva vittoria a Tripoli.

Rimase lontano dalle gare per diversi mesi, vivendo una turbinosa relazione con Engel, che nel frattempo aveva lasciato il marito, il tutto meticolosamente censurato e nascosto agli occhi del pubblico per salvaguardare l’immagine di un pilota celebre quanto ormai scomodo per il regime fascista. Varzi riapparve solo in una corsa minore a Sanremo, nel luglio del 1937, dove vinse agilmente con una Maserati 1.5 prestatagli da un amico. Tuttavia, la sua immagine pubblica creava ulteriori imbarazzi: elegantissimo come sempre, con l’immancabile sigaretta fra le labbra e Ilse al braccio, in un periodo in cui la morale diffusa e ancor meno il regime politico non accettavano questi comportamenti.

Con questa vittoria in tasca, per quanto poco significativa, Varzi tornò comunque all’Auto Union per chiedere di essere riassunto. Ottenne un contratto per tre sole gare: corse mediocremente il Gran premio d’Italia (sesto classificato); a Brno si presentò sotto l’effetto della droga, ebbe gravi difficoltà in prova e alla fine rinunciò a correre; la terza opportunità non ci fu.

Incredibilmente, Varzi riuscì ancora a ottenere un ulteriore ingaggio per il 1938 dai fratelli Maserati. Esordì a Tripoli, ma non riuscì a concludere la gara.

Giovanni Canestrini, influente e importante giornalista sportivo, intervenne presso le autorità italiane. Per evitare che un eroe nazionale si esponesse al ridicolo in quel modo, il regime dispose il ritiro del suo passaporto e della sua licenza di corridore; inoltre, le autorità tedesche, sollecitate da quelle italiane, ritirarono il passaporto a Engel, così da spezzare la pericolosa relazione fra i due. La famiglia di Varzi, primo fra tutti il padre, che gli fu sempre molto vicino, e i suoi amici riuscirono a creare una sorta di barriera protettiva intorno a lui e lo convinsero ad avviare un percorso di disintossicazione, dapprima in Svizzera e poi in un luogo appartato sull’Appennino emiliano.

Nel 1939 l’Alfa Romeo lo convocò per una prova, lo trovò in condizioni non ottimali, ma gli offrì ugualmente un ingaggio fisso, con un discreto stipendio mensile. In questo modo, il regime contava di renderlo innocuo e mantenerlo in un contesto in qualche modo protetto, evitando rischi per lui e imbarazzi per l’immagine internazionale dell’Italia. Sempre nel 1939, Varzi sposò una vecchia amica d’infanzia, Norma Colombo. La tutela dell’Alfa Romeo lo tenne lontano dalla seconda guerra mondiale, che passò indenne. Nel 1946 era pronto per riapparire in pubblico, in un contesto fortemente mutato ma che era disposto a dimenticare certe sue debolezze del passato.

Fu chiamato da Canestrini a far parte della ricostituita Commissione sportiva dell’Automobile Club.

Provò poi a rimettersi alla guida di un’automobile da corsa a Indianapolis, ma ruppe quasi subito il motore. Ricontattato dall’Alfa Romeo, gli fu proposto di correre con la 158 ‘Alfetta’. Esordì al Gran premio delle Nazioni a Ginevra con un modesto sesto posto, ma subito dopo conquistò una nuova vittoria, a Torino, al circuito del Valentino. Per quanto molto provato dagli eventi, il suo stile di guida sembrava essere tornato quello del passato. La sua ultima vittoria europea fu quella del Gran premio di Bari del 1947, accompagnata dalla sua partecipazione alla Temporada argentina, alla guida di una vecchia Alfa Romeo Tipo 308 8C d’anteguerra, dove vinse due delle cinque gare (Rosario Santa Fe e Interlagos).

Nel 1948 tornò in Sudamerica per la Temporada, con una nuova Alfa Romeo Tipo 12C, ma con ancor minor fortuna, aggiudicandosi solo una vittoria a Interlagos, la sua ultima in assoluto. Ebbe anche un’esperienza motonautica al concorso di Luino, in realtà non la prima della sua carriera, perché già nel 1935 aveva vinto il concorso del Garda con un motoscafo Asso.

Morì il 1° luglio 1948 a Berna, durante le prove del Gran premio di Svizzera. Fu un incidente banale, apparentemente inspiegabile, in cui il campione perse il controllo della vettura, ribaltandosi e venendone schiacciato.

Fonti e Bibl.: G. Terruzzi, Una curva cieca. Vita di A. V., Vimodrone 1991; A. Colombo - M. Zannoni, Tenni e V. nel cinquantenario della loro scomparsa, Torino 1998; G. Terruzzi - G. Cancellieri, V. L’ombra oscura di Nuvolari, Vimodrone 2010; Piloti dell’altro mondo. Come si correva tanto tempo fa, a cura di A. Zana,Torino 2016, pp. 87 s.; A. Silva, A. V., in Alfetta, la “vetturetta” che corse con i grandi, Torino 2019, pp. 72 s.

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