Acuita visiva

Dizionario di Medicina (2010)

acuità visiva


Misura quantitativa della capacità di vedere distintamente particolari molto fini di un oggetto; è detta anche visus. È definita come l’inverso dell’angolo minimo, sotteso dalla separazione di due linee o punti di massimo contrasto (per es. neri su fondo bianco), che consente di vederli come distinti. In condizioni di luce diurna (visione fotopica superiore a 10 cd/m2) l’a. v. di un soggetto normale corrisponde a un angolo visivo di un minuto primo (angolo limite). Questo valore corrisponde anche alla semiperiodicità del più sottile reticolo sinusoidale di massimo contrasto che si riesce a distinguere da una superficie omogenea (circa 1′, corrispondente a una frequenza spaziale di circa 30 cicli/ grado). Tipicamente l’a. v. viene valutata con tabelle ottotipiche, come le tabelle di Snellen o Landolt, che riportano simboli di massimo contrasto e di varia grandezza ordinati in righe per grandezza. Il soggetto deve riconoscere una lettera o il suo orientamento e il visus del soggetto è dato dal rapporto fra la dimensione delle lettere lette correttamente e quella di riferimento, che per il sistema europeo corrisponde alla dimensione dei simboli della decima riga (per il sistema americano a quella della ventesima). I simboli della riga di riferimento hanno elementi corrispondenti a un minuto primo.

Fattori limitanti dell’acuità visiva

I fattori che limitano l’a. v. sono di natura sia ottica che neuronale. L’ottica dell’occhio, sebbene straordinariamente precisa, è anche essa soggetta a un limite di incertezza. Per un soggetto adulto, la proiezione di un punto piccolissimo sulla retina forma un piccolo cerchio sfuocato di circa 0,8′ di diametro. Questo effetto genera un’attenuazione del contrasto di mire ottiche superiori a 30 cy/deg (cicli per grado, misura delle frequenze spaziali), contribuendo al limite risolutivo del nostro sistema visivo. Il fattore neuronale che determina la risoluzione visiva e la densità dei fotorecettori della retina, ossia dei sensori che trasducono il segnale luminoso in segnale nervoso. Nella parte di retina a più alta risoluzione (la fovea) questi sono strettamente impacchettati e sottendono circa 0,5′ di grado visivo, definendo una frequenza di campionamento pari a circa 120 cy/deg. Come in ogni sistema a campionamento discreto (per es. si pensi ai pixel di una fotocamera), la massima frequenza del segnale correttamente rilevato corrisponde alla meta della frequenza di campionamento, e segnali a frequenze più alte possono essere distorti. Per la visione foveale non vengono generati distorsioni o segnali spuri (aliasing), poiché il campionamento nervoso e superiore al potere risolutivo dell’ottica. Questo e stato dimostrato utilizzando stimoli retinici non alterati dalle proprietà dell’ottica dell’occhio (generati con interferometri a laser): il potere risolutivo a questi stimoli e risultato essere pari a circa 0,4′ (equivalente a un visus di 25/10), un valore molto simile alla distanza fra i fotorecettori. Tuttavia, per particolari compiti, siamo in grado di discriminare distanze più piccole della separazione fra coni: la minima separazione per percepire due segmenti contigui come allineati sulla stessa retta e limitata. L’a. v. di allineamento, detta anche iperacuità, è uguale a circa 4′′, un valore ca. 10 volte superiore alla separazione fra coni. Questa elevata capacita e conferita da un’analisi di orientamento effettuata a livello dei neuroni corticali e infatti migliora con un apprendimento percettivo. Questi risultati dimostrano anche che il sistema nervoso visivo centrale non introduce un peggioramento della nostra capacita risolutiva: siamo quindi di fronte a una strabiliante macchina biologica per quanto riguarda i limiti di risoluzione spaziale (➔ visione).

acuità visiva

Alterazioni dell’acuità visiva

L’a. v. peggiora notevolmente con l’eccentricità dello stimolo retinico, raggiungendo un valore 10 volte minore a 20° di eccentricità. Il peggioramento è di natura esponenziale e segue molto da vicino la decrescita della densità dei fotorecettori (coni) con l’eccentricità. L’a. v. peggiora notevolmente al buio (condizioni scotopiche). Ciò è dovuto al fatto che i fotorecettori che lavorano a basse intensità di luce (bastoncelli) non trasmettono più informazioni indipendenti al sistema nervoso centrale; infatti l’attività di 100 o più di essi converge su un unico neurone gangliare retinico, determinando un peggioramento della frequenza di campionamento. L’a. v. risulta modificata sia per alterazioni dell’ottica dell’occhio sia per patologie nervose. Occhi troppo lunghi (miopi) o troppo corti (ipermetropi) producono immagini retiniche sfuocate, con una conseguente perdita di acuita visiva. L’aggiunta di lenti correttive riporta il fuoco sulla retina e ristabilisce una corretta acuita. Un peggioramento di a. v. in assenza di alterazioni dei mezzi ottici di solito è indice di patologie nervose che possono riguardare sia i fotorecettori, come nella retinite pigmentosa, sia i circuiti nervosi retinici, sia le infiammazioni del nervo ottico.

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