ACUSTICA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

ACUSTICA

Donato M. Fontana

(I, p. 453; App. I, p. 21; II, I, p. 23; III, I, p. 16; IV, I, p. 27)

Interesse sempre crescente riscuote il tema del disturbo acustico, nei diversi aspetti della generazione (inquinamento acustico), della valutazione del disturbo o del danno, della protezione.

Inquinamento acustico. − Si collega in genere alle sole cause non naturali, quali: le lavorazioni industriali e artigianali, il traffico stradale e quello aereo, gli impianti di servizi generali, le normali attività di lavoro e di svago; si distinguono inoltre i due casi, sotto molteplici aspetti assai diversi, del rumore negli spazi aperti (inquinamento del territorio e urbano) e negli spazi confinati (all'interno degli edifici).

La fonte di inquinamento esterno più importante, sia per intensità che per diffusione, è certamente quella dovuta ai mezzi di trasporto stradale, aeronautico e ferroviario. Nel trasporto stradale il rumore è prodotto soprattutto dal sistema di propulsione e dall'interazione fra il veicolo e la strada. Il primo dipende essenzialmente dalla velocità di rotazione del motore, mentre il secondo dipende dalla velocità del veicolo oltre che dalle caratteristiche del fondo stradale e dei pneumatici. Il rumore del motore prevale dunque in ambiente urbano, mentre sulle strade di grande comunicazione diventa significativo quello dovuto alla carrozzeria e soprattutto all'interazione dei pneumatici con il fondo stradale, fino a prendere il sopravvento per velocità superiori a circa 60 km/h.

Lo stato attuale delle tecniche di costruzione consentirebbe riduzioni importanti del rumore intrinseco del veicolo (motore-carrozzeria), e ciò risulta anche dai risultati raggiunti, per veicoli nuovi, laddove detta riduzione è commercialmente pagante, come nel caso di alcuni settori della produzione automobilistica; entro certi limiti pertanto il miglioramento generalizzato delle caratteristiche di rumorosità appare problema più normativo che tecnologico. Diverso è il problema del fondo stradale: esso è ovviamente legato in parte a quello della manutenzione, ma in larga parte è un problema tecnologicamente ancora irrisolto poiché, anche in presenza di un fondo liscio, permane la sorgente di rumore legata al ciclo di compressione ed espansione dell'aria fra pneumatico e terreno. Per ridurre anche tale effetto sono attualmente allo studio manti speciali, di tipo poroso.

Grandissima influenza, sia per il rumore del motore che delle sospensioni e delle gomme, riveste l'età media del veicolo e lo standard di manutenzione, oltre naturalmente lo stile di guida. Il ru more complessivo, infine, dipende dal numero e dal tipo dei veicoli in circolazione: i veicoli pesanti sono in genere più rumorosi del le automobili (un camion produce il rumore di circa dieci autovet ture), mentre del tutto particolare è l'influenza dei motocicli. Il singolo motociclo è generalmente molto rumoroso (all'incirca quanto un camion, seppure con spettri di frequenza diversi); il rumo re prevalente è quello del sistema propulsivo che raggiunge il mas simo livello nelle condizioni di accelerazione a bassa velocità, il che rende il motociclo uno dei maggiori responsabili dell'inquinamento acustico urbano, mentre trascurabile è la sua incidenza sulle vie di grande comunicazione.

Il rumore degli aerei è dovuto essenzialmente al motore e al deflusso aerodinamico dell'aria. Questo secondo dipende dalla ve locità dell'aereo: nelle condizioni di rullaggio, decollo e atterrag gio è trascurabile rispetto al rumore generato dal motore, mentre alle velocità di crociera diventa importante e, alle frequenze medio-alte (>600 Hz), prevalente.

Nel motore a reazione il rumore si genera alla presa d'aria, nel compressore, nelle camere di combustione, nella turbina e nel getto. Il rumore del compressore e quello dovuto al deflusso dell'aria aspirata vengono prevalentemente irradiati dalla presa d'aria. Una modesta emissione avviene dalla carcassa del motore, mentre il resto del rumore viene irradiato dallo scappamento. La sorgente di gran lunga più importante fra quelle ricordate, ai regimi di crociera, è quella dovuta al getto: il rumore viene prodotto subito a valle dell'ugello, nella regione caratterizzata da fortissima turbolenza, ove il getto ad alta velocità si mescola con l'aria (rumore aerodinamico del getto). Si tratta di rumore a largo spettro di frequenza.

Gli aeroplani a elica presentano generalmente rumorosità minore di quelli a getto. Essi possono essere azionati da motori a turbina (turboelica) o alternativi e sono caratterizzati da velocità minori di quelli a getto. In questi aerei il rumore da deflusso è generalmente trascurabile rispetto a quello del sistema propulsivo, le cui maggiori sorgenti sono lo scappamento e l'elica. Il rumore di quest'ultima è legato soprattutto alla velocità periferica delle pale (a parità di spinta).

I provvedimenti che si prendono per ridurre il rumore degli aeroplani, sia durante le operazioni a terra sia durante il volo per limitare l'effetto sul territorio, sono essenzialmente di natura organizzativa e operativa. Durante le operazioni a terra consistono nella individuazione di percorsi lungo le zone di minore irradiazione del rumore, nella limitazione della durata dell'esposizione, nelle protezioni individuali per gli addetti, nel posizionamento opportuno delle aree di manutenzione, nella limitazione delle operazioni alle ore del giorno più favorevoli, sia sotto l'aspetto del disturbo alla comunità che della propagazione del rumore, nell'uso di silenziatori, ecc. Durante il volo dell'aereo sul territorio tali provvedimenti consistono in interventi riguardanti le limitazioni delle rotte, degli angoli di salita e discesa, degli orari per le operazioni più rumorose, ecc. Poiché si tratta di provvedimenti sempre onerosi, le industrie aeronautiche hanno puntato sulla riduzione della rumorosità intrinseca del motore. I primi provvedimenti sono consistiti nell'adozione di configurazioni degli ugelli atte a ridurre la turbolenza nella zona di rimescolamento del getto. Risultati molto più importanti sono stati ottenuti passando dalla configurazione turbogetto a quella turbofan (turboventilatore). In questo motore la spinta complessiva è ripartita fra il getto vero e proprio e una ventola intubata. Per ciò che interessa il rumore, il risultato prevalente è una velocità del getto assai minore a parità di spinta, quindi minore turbolenza e rumorosità. È peraltro da osservare che i vantaggi offerti dalla configurazione turbofan non si esauriscono nella riduzione di rumorosità.

Per i veicoli su rotaia il rumore è prevalentemente dovuto all'interazione ruota-rotaia; per le motrici si aggiunge anche quello del sistema propulsivo.

Il primo dipende dal tipo di ruota, dal tipo di binario e dalla velocità. Se la ruota è metallica, il rumore è più alto (7÷10 dB) per binario con giunzioni bullonate rispetto a quello che si ha per il binario con giunzioni saldate. Il livello subisce incrementi di 6÷10 dB per ogni raddoppio di velocità. La rumorosità deriva soprattutto dalle asperità presenti sul binario e sulla ruota; di conseguenza per la riduzione della rumorosità un ruolo importante riveste la manutenzione di entrambi.

L'impegno dei produttori per la riduzione della rumorosità dei veicoli su rotaia riguarda soprattutto le vetture per impiego urbano. Gli interventi riguardano l'uso di sospensioni meno rigide, di sistemi di frenatura che non agiscano sulla ruota (per es. a disco), al fine di ridurne l'usura, soprattutto impedendo la formazione di appiattimenti locali; infine l'uso di ruote dotate di corone di rivestimento in materiali elastomerici o addirittura di pneumatici.

Il rumore prodotto dalle lavorazioni industriali e artigianali copre una gamma di possibili sorgenti estremamente ampia e differenziata. Nella maggior parte dei casi si tratta di sorgenti interne agli edifici che si riflettono in problematiche degli ambienti interni di tipo molto specializzato. Uno studio oculato dell'edificio è viceversa generalmente sufficiente per ridurre a valori accettabili l'inquinamento del territorio (all'esterno cioè dell'insediamento industriale). Più complesso è il caso di apparecchiature rumorose poste all'aperto. Ve ne sono alcune che devono necessariamente essere, almeno in parte, situate all'esterno: si tratta in genere di apparecchiature deputate allo scambio di calore o di massa con l'aria esterna (prese ed espulsioni d'aria, condensatori di macchine motrici a vapore, macchine frigorifere, scambiatori di calore, torri evaporative, ecc.). Queste si trovano in genere anche in ambienti urbani a scarsa presen za industriale, poiché costituiscono componenti essenziali degli impianti di climatizzazione.

Danno e disturbo da rumore. − Per molto tempo lo studio dei rumori (intesi come fenomeni acustici non periodici) ha riguardato soprattutto la ricerca di metodi che, partendo dalla conoscenza delle caratteristiche fisiche (essenzialmente la potenza in ogni intervallo di frequenza, ovvero lo ''spettro'' del rumore), consentissero la predizione del giudizio di un ascoltatore su quel particolare aspetto della sensazione auditiva, in base a cui un rumore si giudica più forte o più debole di un altro. Ciò ha condotto alla definizione di varie scale di misura (scala dei Phon; scala dei Son o Sone, ecc.), costruite con l'intento di ottenere criteri per associare un numero a qualsiasi rumore, mantenendo le proprietà dell'equivalenza (ovvero, che a numeri eguali nella scala definita corrispondano sensazioni soggettive equivalenti sotto l'aspetto della intensità percepita) e, nei casi più ambiziosi, mantenendo proprietà relazionali più ampie (ovvero, che a numero doppio corrisponda una sensazione giudicata di intensità doppia, ecc.). Si tratta di materia assai complessa, che presenta ancora ampi spazi di riflessione e ricerca e il cui stato attuale mette a disposizione procedure capaci di valutazioni sufficientemente accurate, per lo meno nei confronti della predizione delle caratteristiche di ''equivalenza'' per suoni e rumori con spettro periodico o aperiodico, ma in condizioni non troppo lontane dalla stazionarietà.

Solo in tempi relativamente recenti il problema è stato posto sotto un diverso aspetto, quello del disturbo, cioè del giudizio di un ascoltatore di ritenersi disturbato dal rumore stesso. Uno dei primi risultati fu che solo in rarissimi casi le caratteristiche fisiche del rumore, se si esclude il suo livello, sono capaci di risultare intrinsecamente disturbanti (in pratica si tratta di rumori stridenti, come l'attrito del gesso sulla lavagna). In particolare di nessun rilievo è risultata la distinzione classica fra ''suoni'' (periodici) e ''rumori'' (aperiodici, non stazionari), mentre ad assumere il massimo rilievo è l'atteggiamento psicologico dell'ascoltatore nei confronti della sensazione acustica (anche un'ottima musica può risultare disturbante per chi non desideri in quel momento ascoltarla). Pertanto, in questo ambito di problemi, termini come ''suono'' e ''rumore'' vengono usati in senso allargato in quanto riferiti al problema dei ''suoni non desiderati'', mentre si continua a parlare di ''suono puro'' per identificare componenti sinusoidali del fenomeno acustico studiato.

A costo di una certa semplificazione della complessità dei fatti osservati, il tema degli effetti indesiderati di un rumore si può suddividere nei seguenti aspetti: a) danno in senso fisiologico; b) influenza su vari tipi di attività dell'uomo; c) generico fastidio (disturbo).

Danno fisiologico. − L'effetto fisiologico del rumore di gran lunga più importante è certamente quello sull'udito. Per ''danno fisiologico'' si intende una perdita di udito che può essere misurata dall'innalzamento della ''soglia auditiva'' (cioè della pressione acustica minima necessaria a produrre la sensazione uditiva). Tale innalzamento può essere reversibile o permanente (sordità temporanea o permanente).

I principali fattori che influenzano l'insorgere di sordità temporanea sono: livello, durata dell'esposizione e composizione spettrale del rumore. In molti casi, per rumori di livello e spettro poco variabili durante il tempo di esposizione, sembra evidente che esiste un'influenza risultante dal prodotto della potenza del rumore (intesa come continua) per il tempo di esposizione, ovvero dell'energia acustica complessivamente ricevuta; a questa si fa anche riferimento col termine di dose di rumore. L'entità dell'aumento temporaneo della soglia (espresso in dB) si può ritenere in prima istanza proporzionale al logaritmo della dose di rumore, ma con due importanti limitazioni: sembra esistere un valore del livello del rumore al di sotto del quale, qualunque sia la durata di esposizione, non vi è alcun aumento di soglia; e un tempo di esposizione oltre il quale, per qualsiasi durata, non si hanno ulteriori aumenti della soglia. Il primo limite può essere indicativamente posto intorno a un livello di pressione acustica di 75 dB per le basse frequenze (〈500 Hz) e di 70 dB per le medie. Il secondo limite si pone fra le 8 e le 12 ore di esposizione. L'influenza della composizione spettrale è ancor più complessa e, solo semplificando molto, si può affermare che le frequenze più alte risultano più dannose. Esistono correlazioni piuttosto evidenti fra lo spettro di frequenza del rumore e le bande di frequenza nelle quali si manifesta in modo prevalente l'abbassamento di udito. La correlazione non è peraltro identità; per rumori a banda stretta, per esempio, l'aumento della soglia si manifesta in bande di frequenza un po' più alte di quella del rumore eccitante.

Se l'esposizione non è continua, se il rumore è intermittente o fluttuante, o addirittura impulsivo, i fenomeni divengono più complessi e si possono descrivere solo attraverso una casistica molto articolata. Le variabili citate mantengono la loro importanza, ma solo in senso qualitativo, mentre subentrano nuove variabili relative soprattutto agli andamenti temporali dell'esposizione e del livello del rumore durante l'esposizione stessa.

L'aumento della soglia auditiva non segue immediatamente la fine dell'esposizione, ma raggiunge il suo valore massimo (cui, convenzionalmente, ci si riferisce) entro circa due minuti, per poi decrescere. Il tempo di recupero, ossia il tempo necessario perché la soglia torni al suo valore normale, è funzione crescente dell'aumento di soglia, ma con andamenti che dipendono anche da alcune caratteristiche dello stimolo e con importanti variabilità individuali. Di regola, un aumento di soglia di 10 dB si può recuperare in 3-4 ore mentre un aumento di soglia di 30 dB può richiedere alcuni giorni.

La sordità (totale o parziale) permanente è caratterizzata da un aumento della soglia di udibilità che rimane per la restante durata della vita, senza possibilità di regresso. Essa ovviamente può dipendere da molte altre cause, anche diverse dall'esposizione al rumore, e, per quanto riguarda quest'ultimo, può essere dovuta a un singolo episodio particolarmente intenso, con livelli superiori alla soglia del dolore (trauma acustico) o, più frequentemente, può evolvere in modo progressivo per l'effetto cumulativo di esposizioni ripetute.

Proprio questo secondo caso, che è di gran lunga il più importante almeno sotto il profilo della quantità delle persone a rischio, è il più difficile da studiare e quello su cui più incerti sono i risultati oggi disponibili. Ciò è dovuto al fatto che, non essendo ovviamente possibile effettuare sull'uomo studi sistematici di laboratorio che comportino menomazioni permanenti, i dati forniti da studi su animali non consentono estrapolazioni affidabili a causa delle differenze strutturali. Inoltre, mentre la menomazione si può formare nell'arco di una vita lavorativa (40 ÷ 50 anni), assai più recente è l'inizio di studi sistematici sul tema. Lo stato attuale della ricerca è pertanto fondato da un lato su studi di carattere statistico svolti in ambiente industriale e nell'ambito più generale degli studi sull'igiene e sicurezza dell'ambiente di lavoro, dall'altro su estrapolazioni dei risultati ottenuti dagli studi sulla sordità temporanea.

Gli studi audiometrici in ambito industriale consistono in 'sezioni istantanee' ovvero in fotografie della situazione in un dato istante, più che in serie storiche di dati. Per la ricostruzione di queste ultime occorre quindi individuare ambienti di lavoro che negli ultimi decenni siano rimasti pressocché immutati sia per le caratteristiche dell'ambiente stesso che per le caratteristiche del personale e dell'esposizione; il che comporta l'esigenza di omogeneità nelle forme di reclutamento, di organizzazione del lavoro, ecc. Solo allora si può istituire una relazione tra andamento del danno e durata dell'esposizione e anzianità di lavoro e, comunque, occorrono indagini parallele su persone non esposte per discriminare gli effetti del rumore ritenuto responsabile del danno dalle altre numerose possibili cause naturali di abbassamento dell'udito, a pari età della persona. Neanche è lecito immaginare che la messe di dati oggi disponibili possa di molto arricchirsi nel futuro, dal momento che ciò comporterebbe il mantenimento, negli ambienti di lavoro, di condizioni anche solo potenzialmente capaci di indurre danno, cosa ovviamente inammissibile.

Si possono comunque trarre dai dati disponibili alcune prime indicazioni. L'aumento della soglia auditiva comincia in genere a prodursi su una ristretta banda di frequenza intorno a 4000 Hz. Ciò accade in modo che sembra in larga misura indipendente dallo spettro del rumore e può forse attribuirsi al fatto che proprio su queste frequenze si pone la risonanza del canale auricolare. Procedendo nel tempo l'esposizione, e se il rumore presenta uno spettro a larga banda (senza importanti concentrazioni di potenza in particolari bande di frequenza), l'aumento di soglia diventa maggiore e interessa una banda più larga (3000 ÷ 6000 Hz). In seguito, nel giro di una decina di anni, in questa banda si raggiunge una saturazione (non si osservano ulteriori forti innalzamenti della soglia), mentre il fenomeno si estende verso le frequenze più basse. Poiché le bande di frequenza essenziali per la comprensione della voce parlata cadono appunto in questa zona, è solo a questo punto che in genere, in assenza di controlli audiometrici, la persona inizia a rendersi conto della menomazione. La diminuzione dell'udito alle frequenze medio-basse non sembra raggiungere mai un livello di saturazione, ma prosegue per tutta la durata della vita lavorativa (fig. 1).

I fenomeni descritti sono quantitativamente più intensi se i livelli del rumore sono maggiori. La fig. 2 mostra l'innalzamento della soglia auditiva su gruppi di persone esposti a tre diversi livelli di rumore in funzione del tempo di esposizione.

I dati della natura descritta sono disponibili per situazioni di rumore industriale a spettro largo e all'incirca stazionario o leggermente fluttuante e con esposizione continua della persona durante il normale orario di lavoro. Assai carente è il quadro generale delle informazioni relative a esposizioni saltuarie, con rumore intermittente, ecc. In attesa di acquisire dati specifici (la ricerca è molto attiva in questo settore) si fa largo ricorso a estrapolazioni di quanto accade per i fenomeni di sordità temporanea, giustificate dal fatto che nei due casi (temporanea e permanente) i fattori del danno e i meccanismi principali di azione presentano forti analogie. In linea di massima sembra che, a parità di livelli e di tempi d'esposizione, il rumore intermittente non impulsivo sia meno pericoloso di quello stazionario. Ciò fa sì che il riferimento a ipotesi di rumore stazionario porti a valutazioni che possono considerarsi cautelative per la salute delle persone.

L'insieme delle circostanze descritte ha portato a svariate proposte di procedure atte a valutare la probabilità che un lavoratore esposto per un dato periodo di tempo a un rumore di determinate caratteristiche possa subire una diminuizione permanente dell'udito più forte di quella che statisticamente subisce una persona della stessa età non esposta al lavoro.

A questo scopo è frequentemente seguita la Raccomandazione ISO R 1999, in base alla quale il rischio di menomazioni dell'udito, maggiori di quelle proprie dell'età, risulta nullo per individui esposti per quarant'anni, quaranta ore alla settimana, a livelli continui inferiori a 80 dBA.

Altri effetti fisiologici del rumore. − Esiste una gamma molto ampia di effetti fisiologici del rumore. Molti di essi consistono essenzialmente in una reazione al contenuto di informazione portato dal rumore e nella relazione fra l'informazione stessa e il soggetto. Si hanno però effetti fisiologici anche per rumori non significativi, anche se è difficile stabilire questa qualità del rumore. Si hanno effetti di breve durata legati soprattutto alla reazione del sistema nervoso e altri di maggior durata nel tempo dopo lo stimolo, legati piuttosto alla immissione di ormoni nel circolo sanguigno, da parte delle ghiandole endocrine.

Fra gli effetti del primo tipo si annoverano: riflessi della muscolatura volontaria (chiusura degli occhi, contrazione dei muscoli facciali); riflessi respiratori; alterazione (prevalentemente, ma non solo, accelerazione) del battito cardiaco; costrizione dei vasi sanguigni periferici; effetti vestibolari (alterazione del senso di equilibrio e altri). Gli effetti del secondo tipo sono prevalentemente riconducibili a fenomeni di stress.

La materia è assai complessa e tutt'altro che consolidata. È peraltro largamente diffusa l'opinione che gli effetti descritti possano configurarsi come nocivi solo se conseguenti a rumori di livello piuttosto elevato, maggiori di quelli critici per il danno all'udito, che è pertanto ritenuto ancora il criterio-pilota per la valutazione della potenzialità di danno fisiologico da rumore.

Influenza sulle attività umane. − Il rumore presenta un'influenza marcata e univoca sulla funzione dell'udito nei confronti della comprensione della voce parlata. Ricerche sull'influenza su altre attività, come la lettura, la discriminazione di segnali visivi e l'azione conseguente, l'attività di tipo intellettuale, di calcolo, di ufficio in genere, hanno invece dato risultati a prima vista contraddittori, tanto che si è ritenuto, e qualcuno è ancora di tale opinione, che al rumore si possa attribuire una reale influenza solo sull'esercizio dell'udito. L'approfondimento del tema ha però consentito di porre un nesso fra i vari risultati ottenuti e di definire alcuni lineamenti generali sull'influenza del rumore anche su altre attività. La chiave di interpretazione è nel fatto che il rumore produce un'eccitazione del sistema nervoso e che ciò in genere comporta una ridistribuzione dell'attenzione su un ambito più ristretto di obiettivi a scapito di tutti gli altri. Da ciò consegue una potenziale ininfluenza del rumore, o addirittura un beneficio, sull'efficienza in attività di routine, ovvero a modesto contenuto di situazioni impreviste, con ambiti di attenzione limitati e caratterizzati da obiettivi facilmente individuati. Al contrario, il rumore sarà probabilmente nocivo in situazioni non adatte a polarizzare l'attenzione, quali le attività connesse a stimoli infrequenti che si presentino in modo imprevedibile e non facilmente riconoscibili, prolungate per durate notevoli.

Una certa importanza riveste la familiarità col rumore; ciò che si è detto vale infatti per rumori cui il soggetto sia abituato, mentre i rumori inusitati generalmente sono dannosi per l'efficienza; ma ciò che in realtà sembra dannoso, più che il rumore in sé, è il suo carattere di novità e di imprevedibilità: infatti un peggioramento di efficienza può essere causato anche dal cessare inatteso di un rumore familiare.

Anche questa materia è assai complessa e lontana da una sistemazione che consenta previsioni affidabili. Può essere rilevato peraltro il fatto che affinché l'influenza del rumore si manifesti come nociva per le attività diverse dall'udito sono necessari livelli elevati, generalmente superiori a 90 dB, risultando sufficienti solo in pochissimi casi, e per compiti difficili, livelli più bassi, ma comunque non inferiori a 80 dB. Si tratta di livelli assai maggiori di quelli capaci di menomare fortemente la comprensione della voce, che pertanto si può ritenere l'effetto dominante del rumore sull'efficienza delle prestazioni umane.

Effetti sulla percezione della voce umana. − La presenza di un rumore sovrapposto alla voce umana peggiora la percezione del messaggio, cioè delle informazioni contenute nella voce stessa. Tale messaggio è più ricco di quello che potrebbe esprimersi, per esempio, mediante le identiche parole, ma scritte; esso infatti può con sentire il riconoscimento della persona che parla, fornire indizi sul suo stato d'animo, ecc. L'aspetto di gran lunga più importante e studiato è la comprensione di ciò che si vuole comunicare con le parole. È in effetti sulla comprensione delle parole che il rumore ha influenza. Fra comprensione delle parole e del linguaggio esiste comunque una profonda differenza: un discorso può risultare incompreso anche comprendendo tutte le parole, ovvero, come spesso accade nella vita quotidiana, anche in presenza di cattiva e/o parziale comprensione delle parole un messaggio nel suo insieme può essere capito se per esempio contiene ridondanze, o se si riferisce a situazioni ben note all'ascoltatore che orientino sui possibili contenuti del messaggio. Tutte le informazioni aggiuntive rispetto all'identità delle singole lettere della parola possono aiutare il riconoscimento del messaggio: pertanto, a parità di segnale e di disturbo, è in genere più facile riconoscere frasi complete che parole, parole più che sillabe, parole monosillabiche più che sillabe prive di senso. Se la persona che ascolta sta di fronte a quella che parla, la comprensione è migliore di quando ciò non avviene, o di quando la voce è emessa da un altoparlante.

La maggior parte dei risultati disponibili sul tema si basa su prove di intelligibilità di brevi frasi compiute, o di parole (anche monosillabiche) o di sillabe prive di senso; queste ultime, che risultano le prove più severe, vengono più propriamente chiamate prove di articolazione.

Si tratta di prove nelle quali frasi, parole, monosillabi vengono pronunciate in successione alla presenza di un gruppo di ascoltatori che scrivono ciò che capiscono o selezionano all'interno di un gruppo limitato di possibili scelte. Il tutto viene ripetuto in condizioni variabili di livello della voce e delle caratteristiche del rumore di disturbo. Anche se le modalità di prova sono generalmente standardizzate, si attribuisce a tali prove significato di misure relative e non assolute, data la forte influenza delle caratteristiche (cultura, destrezza, comportamento nel dubbio, ecc.) delle persone che costituiscono il gruppo di ascolto. Il risultato di queste prove si esprime nella percentuale di risposte esatte: esso viene definito livello di intelligibilità verbale e ha pieno significato quantitativo, ma non è direttamente utilizzabile per un giudizio sulla qualità della comunicazione. Quest'ultimo viene ottenuto − sulla base di criteri in larga parte convenzionali − dai risultati delle prove di intelligibilità e definito attraverso l'attribuzione di un voto o qualifica di merito (eccellente, buona, sufficiente, insufficiente): si parla per esempio di comunicazione buona se il 95% delle frasi viene compreso.

La qualità della comunicazione dipende dalla potenza acustica della voce e dalle caratteristiche del rumore. Il livello della voce umana per un dato individuo può essere variato entro una gamma di circa 50 dB. Ciò peraltro richiede manovre, atteggiamenti e sforzi graduati che consentono di riconoscere e definire, seppure in maniera solo qualitativa, diversi stadi soggettivi di livello di emissione della voce (voce sussurrata, pacata, normale, alterata, urlata). Esistono differenze da individuo a individuo e fra i due sessi. Il livello medio maschile a un metro di distanza varia fra 40 dBA (voce sussurrata) a 50÷60 dBA (normale), 60÷70 (alterata), fino a 80÷90 dBA (urlata). La voce femminile, negli stessi atteggiamenti, risulta mediamente più bassa, di quella maschile, di circa 5 dB. La voce può essere intonata su note pure (suono periodico), mentre nella normale conversazione si presenta piuttosto come spettro continuo a larga banda.

Per quanto attiene le caratteristiche del rumore, i dati utilizzabili riguardano rumori stazionari a spettro continuo e larga banda. È stato verificato che l'influenza maggiore è esercitata dalle bande di frequenza media. Si è cercato di reperire un parametro unico, di semplice valutazione, funzione del livello e della sua composizione spettrale ma capace di descrivere col suo valore numerico l'effetto del rumore sulla comunicazione. A tale scopo si adopera ora corren temente il cosiddetto SIL (Speech Interference Level), il cui valore numerico è definito come media aritmetica dei livelli del rumore nelle ottave centrate sulle frequenze di 500, 1000, 2000, 4000 Hz. Nella tab. è riportato il valore di SIL massimo consentito per ottenere una comunicazione buona a varie distanze fra parlante e ascoltatore, per persone che si trovano di fronte, di sesso maschile. Se le persone non si trovano di fronte i valori del SIL sono all'incirca di 5 dB più bassi. In assenza di una misura dei livelli per bande, anziché al SIL si può fare riferimento, seppure con peggiore approssimazione, al livello ponderato A (dBA: valore correntemente determinabile con il ''misuratore normalizzato di livello sonoro'') tenendo presente che gli stessi effetti richiedono un livello in dBA superiore al SIL di circa 7 dB.

Effetti di disturbo. − Fin qui si è visto che, per livelli superiori a circa 80 dBA, gli effetti nocivi del rumore possono concretarsi in danno fisiologico, temporaneo o permanente, all'udito. Per livelli più bassi, ma non inferiori a circa 60 dBA, tali effetti possono dare luogo a un peggioramento della comprensione del linguaggio, o costringere chi parla a un maggiore affaticamento per farsi comprendere. In questi casi si tratta di effetti in qualche modo quantificabili (rischio di danno, livello di intelligibilità, ecc.). Per livelli di rumore ancora più bassi si hanno invece effetti non graditi che peraltro non si esprimono in nessun altro modo che con la sensazione di disturbo manifestata dal soggetto che subisce il rumore. Tale manifestazione può essere espressa verbalmente o attraverso comportamenti (tentativi di far cessare il rumore o comunque di sottrarsi a esso, ecc.).

Si tratta di una indagine estremamente complessa, per difficoltà di carattere non soltanto operativo, ma soprattutto concettuale. Infatti, anche se la condizione di disturbo è collegata al rumore, a questi bassi livelli tale reazione deve ritenersi, almeno per grandissima parte, collegata non tanto al rumore in sé, ma al contenuto di informazione che esso porta e alla disposizione psicologica del soggetto nei confronti di quest'ultima. Esiste al riguardo un'evidenza sperimentale ampiamente fondata e ciò emerge peraltro da numerose esperienze familiari di vita. Rumori piuttosto forti, ma costantemente associati a un ambiente, non risultano fastidiosi per chi vive abitualmente in quell'ambiente, mentre può risultare molesto un rumore inatteso o insolito anche se di livello più basso. Inoltre uno stesso rumore può venir tollerato se ritenuto ineluttabile o collegato a eventi fausti, o considerato insopportabile se ritenuto evitabile o comunque effetto di un altrui abuso, ecc. Rumori debolissimi (come il tipico gocciolio di un rubinetto) possono risultare fastidiosissimi se interpretati come segnali di situazioni sgradevoli o eventi pericolosi, ecc. Sotto tale aspetto condizione sufficiente perché un rumore risulti fastidioso è che sia percepibile e riconoscibile rispetto ad altri.

Un dato rumore può essere percepito e riconosciuto in presenza di altri, che nel loro insieme costituiscono il ''rumore di fondo'', anche se il suo livello è inferiore al rumore di fondo; la presenza di quest'ultimo peraltro innalza la soglia di udibilità del primo. Cosicché, per paradossale che appaia, un rumore molesto può cessare di essere tale in presenza di un rumore di fondo sufficientemente alto. L'influenza del livello di fondo non si limita a questo. Se il disturbo è dato dall'informazione, non è sufficiente che il suono sia percepito a livello sensoriale, ma deve esserne riconosciuto il messaggio; ciò richiede un coinvolgimento psicologico che possiamo descrivere come attenzione. Anche la capacità di attrarre l'attenzione aumenta quanto più il rumore si distingue rispetto a quello di fondo. Generalmente la differenza di livello necessaria per attrarre l'attenzione è maggiore di quella necessaria per la percettibilità, a meno che non ci sia una prevenzione del soggetto.

A fronte di tali difficoltà pratiche e concettuali esiste una vasta gamma di situazioni in cui è fortemente sentita l'esigenza di valutare la probabilità che un rumore possa produrre disturbo ovvero, diversa faccia dello stesso problema, di stabilire un livello normale di tollerabilità. Ciò fra l'altro postula che tale livello esista, cosa che alla luce di quanto detto appare ben lontana dall'essere ovvia.

D'altra parte esistono anche numerose prove del fatto che, se si opera in circostanze ambientali definite e su grandi numeri di soggetti, nei comportamenti medi emergono correlazioni sicure fra alcune caratteristiche del rumore e il manifestarsi del disturbo. Si è quindi molto lavorato in tal senso e, per ciò che riguarda l'influenza di tali caratteristiche, si dispone di risultati piuttosto affidabili. Essi peraltro non consentono alcuna previsione, se non vengono integrati dalla definizione dell'influenza determinante del rapporto psicologico informazione-soggetto, sul quale ciò che si è potuto fare appare ancora assai rudimentale.

Un modo ampiamente utilizzato per ottenere risultati non dipendenti dai fattori psicologici è stato semplicemente quello di eliminare (per quanto possibile) questi ultimi.

Ciò avviene con sperimentazioni di laboratorio. I rumori sono prodotti artificialmente mediante dispositivi elettroacustici, in modo tale da essere quasi totalmente controllati nelle loro caratteristiche fisiche (livello, composizione spettrale, intermittenza, regolarità o causalità della ripetizione, ecc.) e inoltre, non avendo riscontro con rumori della vita comune, da poter risultare sotto il profilo psicologico e della comunicazione pressocché neutri. La reazione al rumore viene osservata su gruppi di poche persone (al massimo qualche decina) ben disposte verso l'esperimento ed edotte entro certi limiti sulle sue modalità di svolgimento; si tratta quindi di persone con atteggiamento psicologico, per quanto possibile, neutro, anche se ovviamente, dato che la prova si basa su giudizi soggettivi emessi in risposta a precisi quesiti sulla situazione acustica, rimane un'intrinseca influenza della cultura, posizione sociale, soddisfazione per il proprio status, ecc., dei soggetti presi in esame. Alle persone si chiede generalmente di esprimere un giudizio mediante l'attribuzione alla situazione acustica di un aggettivo, scelto entro un elenco prefissato (silenzioso, percettibile, noioso, fastidioso, intollerabile, ecc.).

I risultati di queste prove mostrano livelli di correlazione più o meno elevati fra le risposte e talune caratteristiche del rumore. Più importanti risultano l'influenza del livello del rumore, la sua durata nel periodo dell'esperimento e la frequenza. Influenza hanno anche il carattere fluttuante o impulsivo del rumore, la fluttuazione di frequenza, la possibilità di localizzare la sorgente del rumore. Emerge anche l'influenza di fattori ''non acustici'' fra cui la novità o familiarità del rumore, l'attività del soggetto durante la prova e la prevedibilità del fatto e del momento in cui il rumore si presenterà.

Si effettuano inoltre altri tipi di esperimenti volti a comprendere, almeno in parte, gli aspetti psicologici del problema: ciò si può ottenere osservando il comportamento delle persone in situazioni reali. In tali casi la situazione acustica non è sotto il controllo dello sperimentatore; inoltre i risultati che si possono ottenere si rivelano affidabili e statisticamente attendibili esclusivamente se fondati sul comportamento di un numero elevato di persone (centinaia) esposte alla medesima situazione acustica. Occorre pertanto riferirsi da un lato a rumori con caratteristiche pressocché uniformi e che interessino vaste aree di territorio: per esempio, rumore urbano prodotto dall'insieme di molteplici cause distribuite sul territorio stesso, o anche di poche sorgenti ma capaci di interessare un vasto territorio (industrie, aeroporti, ecc.). D'altro lato si studia la risposta di persone che vivono in quell'area e che pertanto, almeno in parte, sono coinvolte e compartecipi della generazione del rumore, conscie delle sue cause e psicologicamente non neutrali verso di esse. Si conducono campagne di misura delle caratteristiche del rumore per quegli aspetti (fra cui quelli già descritti) che risultano potenzialmente influenti sulla risposta della comunità. Questa viene poi valutata attraverso la distribuzione di questionari o dal rilievo di altre forme di comportamento sociale (proteste sulla stampa locale, azioni giudiziarie, ecc.).

In questo genere di prove emergono assai chiaramente taluni effetti del contenuto di informazione: per esempio, in aree dove molte persone traggono beneficio da una data industria, i relativi rumori sono assai più tollerati; si riscontra una maggiore sopportazione per tipi di rumore di cui ciascuno si ritiene parzialmente responsabile, o che si ritengono inevitabili, come quelli, se indifferenziati e non attribuibili a specifiche cause, del traffico, delle attività commerciali e artigianali, ecc.

Le caratteristiche del rumore meglio correlate con i comportamenti osservati rimangono comunque quelle già citate per le prove di laboratorio, ma le correlazioni stesse sono affette da indeterminazioni assai maggiori. Al contempo si mettono in evidenza correlazioni con fattori nuovi quali la caratterizzazione urbanistica del sito (rurale, suburbana, urbana), l'attività prevalente (residenziale, industriale, terziario), la natura e intensità del traffico, le fasce orarie nelle quali si presenta il rumore, ecc.: circostanze che si ritiene possano esercitare la loro influenza solo in quanto a loro volta correlate ai già ricordati fattori psicologici e quindi capaci di funzionare per essi come descrittori della situazione, seppure in modo grossolano, entro limiti ristretti e sempre in senso statistico.

Concetti come quelli di ''descrittore'', ''correlazione'' e ''statistica'' sono concetti cardine di tutta questa materia. E ciò è importante rilevare perché da un lato essi mostrano il carattere essenzialmente pragmatico dei procedimenti adottati e dei risultati ottenuti (ci si contenta di basarsi su rapporti di correlazione, ben diversi, sotto l'aspetto sia pratico che concettuale, dai rapporti causali) e perché, dall'altro, il loro significato è esclusivamente statistico (in nessun modo estendibile a situazioni individuali). È opportuno porre in evidenza tale circostanza, poiché in vari settori e situazioni è assai forte la tentazione di compiere tale estrapolazione.

Il concetto di descrittore della situazione è certamente molto comodo, soprattutto se si riesce a stabilire un procedimento che consenta di riassumere gli effetti di tutte le variabili ricordate in un solo parametro, meglio se esprimibile in forma numerica. Ciò è stato fatto in vari modi e per varie situazioni. Di regola si tende a cercare separatamente un descrittore per il rumore e uno per le altre variabili fra cui quelle legate ai fattori psicologici, capaci di influire sulla reazione al rumore stesso. I primi vengono generalmente chiamati indici di rumore, i secondi criteri di disturbo.

L'indice di rumore è sempre formato assumendo come base il livello di rumore espresso in dBA modificato con correttivi (in più o in meno) che tengono conto delle altre variabili acustiche. Per esempio, della durata si tiene conto in genere attraverso un criterio di ''dose'', cosicché si applica una correzione nulla se il rumore è continuo, una correzione di −3 dBA se il rumore è presente per il 50% del tempo, −6 dBA per il 25% e così via. Altri correttivi si applicano per la frequenza, il carattere impulsivo, ecc. Il risultato è una grandezza, omogenea a un livello e misurata in dBA, che viene proposta come unico parametro di merito, capace col suo valore di consentire, per confronto col ''criterio di disturbo'', di predire il probabile comportamento medio di molti soggetti esposti. Analogamente il criterio di disturbo viene formato partendo da un livello base in dBA, collegato a un tipo di reazione in condizioni di riferimento prefissate (per esempio, prova di laboratorio) e correttivi in più o in meno legati a descrizioni sintetiche della situazione nei confronti delle caratteristiche non acustiche (caratterizzazione urbanistica, attività prevalenti, livello di traffico, fasce orarie, ecc.). Sono stati elaborati indici e criteri diversi per diverse categorie di rumore (rumore urbano, rumore di aerei, ecc.). Molti di tali criteri sono stati oggetto di normalizzazione in sede internazionale (per es.: Raccomandazioni ISO R 1996 per il rumore urbano, ISO R 1670 per il rumore aeroportuale, ecc.).

Protezione dai rumori. − Per le linee generali delle tecniche di protezione dai rumori all'interno di spazi confinati v. XXX, p. 238; App. II, ii, p. 755 e IV, i, p. 28, dove sono illustrati i problemi tipo e i relativi rimedi; fra l'altro, quello di disporre pareti pesanti per ottenere buone qualità di isolamento acustico nei confronti della propagazione per via aerea. Purtroppo è ancora assai diffusa l'opinione che materiali leggeri e porosi (feltri, fibre, schiume, ecc.) presentino capacità di isolamento acustico, che viceversa non hanno affatto. L'equivoco è generato anche dall'uso consolidato, in ambito commerciale, di definire tali materiali come isolanti termoacustici. In effetti essi presentano in genere buone qualità di isolamento termico e talvolta proprietà fonoassorbenti (v. App. II, i, p.23) mentre sono totalmente inidonei a ottenere l'isolamento acustico.

Negli ultimi anni il problema della riduzione del rumore anche in spazi aperti ha riproposto lo studio di dispositivi di isolamento che non richiedessero il confinamento mediante involucri della sorgente o dell'ascoltatore. Sempre più frequentemente si fa ricorso all'impiego di ''barriere acustiche'', cioè a pareti di limitata altezza, dotate di capacità fonoisolante, poste fra la sorgente del rumore e l'area disturbata. Poiché le onde sonore nelle condizioni usuali subiscono fenomeni di diffrazione (le lunghezze d'onda non sono piccole rispetto alle dimensioni dell'ostacolo), il rumore si propaga, seppure in modo attenuato, anche nelle zone dalle quali la sorgente non può essere vista. In fig. 3 sono rappresentate le distanze a, a1, a2 e gli angoli ·, ,, Α che definiscono l'attenuazione del rumore dalla sorgente b al ricevitore d dovuta alla presenza della barriera c. L'attenuazione dipende dalla lunghezza d'onda del suono e dagli angoli · e ,. Per una data lunghezza d'onda l'attenuazione in prima istanza dipende dalla deviazione Α, mentre in modo più rigoroso può essere correlata al ''numero di Fresnel'', N (fig. 4).

L'attenuazione (ovvero la riduzione del livello, in dB) ottenibi le dipende anche da altre circostanze quali la posizione della sor gente rispetto al terreno, la natura della sorgente, la natura del terreno, ecc. La fig. 4 dà un'idea di tale dipendenza; in essa è rappresentata l'attenuazione A dovuta alla barriera c, rappresentata in fig. 3, in funzione del numero di Fresnel N calcolato mediante l'espressione: N = (a1+a2−a) ove Ο è la lunghezza d'onda del suono emesso dalla sorgente b e a, a1, a2 rappresentano le grandezze indicate in fig. 3. L'attenuazione è riferita a diverse circostanze della sorgente di rumore: I, sorgente puntiforme elevata; II, sorgente lineare incoerente; III, sorgente puntiforme vicina al terreno; nei casi più frequenti essa si aggira sulla decina di dB e raramente supera i 15÷18 dB. Un impiego tipico di tali dispositivi è per l'attenuazione del rumore del traffico sulle vie di grande comunicazione, soprattutto in ambiente urbano o suburbano.

Sono allo studio metodologie fortemente innovative di riduzione del rumore, di tipo attivo anziché passivo, volte non a porre ostacoli alla propagazione del rumore, ma ad ''annullarlo'' sovrapponendo a esso un rumore eguale e contrario (ovvero in controfase), prodotto con mezzi elettroacustici mediante il ricorso, oggi possibile, all'intelligenza artificiale e ai cosiddetti ''sistemi esperti''. Si tratta di un indirizzo di ricerca estremamente interessante, attualmente solo ai primi passi.

Bibl.: C. M. Harris, Manuale di controllo del rumore, trad. it., Milano 1983; annate delle riviste Journal of the Acoustical Society of America (Acoustical Society of America, USA) e Rivista Italiana di Acustica (ESA, Roma).

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