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Smith, Adam

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Economista e filosofo (Kirkcaldy, Scozia, 1723 - Edimburgo 1790). Educato nelle università di Glasgow e di Oxford, divenne professore di logica (1751) e poi di filosofia morale (1752) nell'università di Glasgow. Negli anni 1764-66 viaggiò in Francia al seguito del giovane duca di Buccleuch, del quale era precettore. Ritornato in Inghilterra, si ritirò per dieci anni a Kirkcaldy, dedicandosi interamente agli studî. Nel 1778 accettò l'incarico di commissario alle dogane a Edimburgo che conservò fino alla morte. Nel 1759 pubblicò Theory of moral sentiments, e nel 1776 An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations. Fra le altre opere si ricordano: Essays (post., 1795) e Lectures on justice, police, revenue and arms (1763). La filosofia morale e sociale di S. fu influenzata da Hutcheson, suo maestro. S. studiò a fondo le opere dei fisiocratici, e di Locke, Petty, Hume e Steuart, che gli offrirono spunti per la sua teoria della moneta e della finanza pubblica. Nel suo sistema teorico egli sottolinea i benefici supremi dell'ordine naturale e delle inclinazioni naturali dell'uomo, che sono spesso compresse e distorte dalle istituzioni umane. La condotta umana, secondo S., è determinata da sei impulsi: egoismo, simpatia, desiderio di libertà, senso della proprietà, abitudine al lavoro e tendenza al baratto. Grazie a questi impulsi, ogni uomo sa perfettamente riconoscere il proprio interesse, e quindi dovrebbe essere lasciato libero di soddisfarlo secondo le proprie inclinazioni. D'altra parte, se l'uomo persegue il proprio interesse personale, egli persegue anche, indirettamente, il bene di tutti. La Provvidenza infatti ha impresso alla società un ordine naturale, ha equilibrato armoniosamente gli impulsi che muovono l'uomo, ed ha temperato l'egoismo di quest'ultimo con altri sentimenti, soprattutto con la simpatia. Ciascun individuo perciò, perseguendo il proprio particolare interesse, è "spinto da una mano invisibile a promuovere un fine che non era stato previsto dalle sue intenzioni", e cioè il bene comune; al contrario, afferma S., "non ho mai avuto occasione di constatare il bene fatto da coloro che affermano di operare per il benessere comune". Le conseguenze economico-politiche di questa filosofia etico-sociale sono assai rilevanti. Se si deve lasciare libero ogni membro della comunità di operare per massimizzare il suo profitto, perché in tal modo egli contribuirà al bene comune, allora l'intervento del governo nella società deve essere rigorosamente limitato. E infatti S. riconosce al governo solo tre compiti: assicurare la difesa da aggressioni straniere, istituire una rigorosa amministrazione della giustizia, provvedere alle opere pubbliche. Qualunque altro intervento del governo risulterà sicuramente dannoso. Ogni ingerenza statale nell'industria, nel commercio, nell'agricoltura altererà quell'ordine intrinseco che regna in questi grandi settori non meno che nell'attività economica individuale. Il pensiero sociale ed economico di S. costituiva così una rigorosa giustificazione teorica del laisser faire. S. criticò infatti aspramente tutti gli ostacoli concreti che si opponevano al trionfo dei suoi principî (privilegi, monopolî, regolamentazioni industriali, dazî eccessivi, ecc.). Per consenso quasi unanime S. è considerato il fondatore della scienza economica moderna (uno dei pochi studiosi che contestano tale affermazione è Schumpeter). È indubbio che l'elegante e organica presentazione dei vantaggi della divisione del lavoro e dello scambio fornita da S. rappresenti il punto di partenza della scuola economica "classica", che doveva avere in Ricardo uno dei suoi più illustri continuatori. La caratteristica più interessante dell'opera di S. è, al riguardo, la dimostrazione del come il mercato rappresenti lo strumento di coordinamento degli interessi individuali, realizzando quella cooperazione fra individui che è alla base di qualsiasi sistema economico. La dimostrazione dei vantaggi degli scambî internazionali, sia pure incompleta e imparziale, sarà, estesa e completata da Ricardo, fino a tutt'oggi, malgrado i suoi limiti, la più eloquente analisi a favore della libertà del commercio internazionale. Sia che si guardi a S. come precursore delle teorie "classiche" del valore-lavoro e antecedente fondamentale dell'opera di Ricardo, sia che si sottolinei invece l'estrema eleganza della sua presentazione della filosofia liberista, sembra indubbio che l'opera di S. costituisca il punto di partenza del pensiero economico moderno.

Vedi anche
David Ricardo Economista inglese (Londra 1772 - Gatcomb Park, Gloucestershire, 1823) di famiglia ebrea, convertito al cristianesimo. Considerato uno dei massimi esponenti della scuola classica, i suoi studi sulla svalutazione della moneta, sulla rendita fondiaria, sugli scambi internazionali ma soprattutto sulla distribuzione ... liberismo In senso ampio, sistema imperniato sulla libertà del mercato, in cui lo Stato si limita a garantire con norme giuridiche la libertà economica e a provvedere soltanto ai bisogni della collettività che non possono essere soddisfatti per iniziativa dei singoli (in tal senso è detto anche liberalismo o individualismo ... economia Complesso delle risorse (terre, materie prime, energie naturali, impianti, denaro, capacità produttiva) e delle attività rivolte alla loro utilizzazione, di una regione, uno Stato, un continente, il mondo intero. Anche uso razionale del denaro e di qualsiasi mezzo limitato, che mira a ottenere il massimo ... John Stuart Mill Filosofo ed economista (Londra 1806 - Avignone 1873). Figlio primogenito di James, che ne curò personalmente l'educazione, fu introdotto dal padre, in giovane età, nell'ambiente dei filosofi radicali. Frequentò specialmente J. Bentham e studiò gli scritti di A. Smith e D. Ricardo. All'età di diciassette ...
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