ADAMO

Enciclopedia Italiana (1929)

ADAMO

Giuseppe RICCIOTTI
Alberto PINCHERLE
Carlo Alfonso NALLINO
Giovanni Battista FREY * Carlo CECCHELLI

. Il vocabolo ebraico 'ādhām è originariamente nome comune che designa in genere la razza umana, o in particolare un suo individuo (latino homo); eccezionalmente, l'uomo in contrapposto alla donna (latino vir). Storicamente, in relazione al racconto biblico delle origini umane, ne designa il primo individuo, l'Uomo per eccellenza, divenendo così il nome proprio Adamo.

La derivazione del vocabolo non è sicura. Nel racconto biblico esso è evidentemente messo in relazione col vocabolo 'adhāmāh "suolo" (Genesi, II, 5-7; III, 19-23), la qual voce è una derivazione dalla radice 'dm "essere rosso, rosso-bruno", il colore cioè del suolo da coltivazione da cui era stato formato il corpo del primo uomo. Dei filologi alcuni hanno pensato ad una radice etiopica, col senso di "esser bello, formoso"; altri ad una radice araba, "unirsi", esser socievole; non pochi moderni invece lo ricollegano con l'assiro adāmu "fare, produrre" (cfr. admān "costruzione,; admu "fanciullo" prodotto del padre), per cui l'uomo sarebbe il "prodotto" la fattura di Dio.

Antico Testamento. - La creazione di A. è narrata due volte sommariamente, in Genesi, I, 26-27 (cfr. V, 1-2); e più ampiamente, inclusovi il racconto del Paradiso Terrestre e della caduta di A., in Gen., II, 4b; III, 24. Molti critici moderni attribuiscono questa doppia narrazione a due documenti differenti, fra i quattro principali di cui si comporrebbe il Pentateuco (fra cui il Genesi); nel nostro caso la prima narrazione proverrebbe dal cosiddetto Codice sacerdotale, la seconda dal documento Jahvista.

Secondo la prima narrazione l'Uomo fu creato alla fine del sesto ed ultimo dei giorni della creazione, quasi a coronamento di tutta l'opera divina. La creazione di lui è oggetto di una particolare deliberazione di Dio, il quale prima di iniziarla dice: "Facciamo l'Uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Gen., I, 26); anzi questa espressione, con particolare enfasi, è ripetuta subito appresso, ove genericamente si narra che "Dio creò l'Uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò" (I, 27). La seconda narrazione invece astrae dal giorno, ma si estende sul modo della creazione. Dice infatti, prima, che "Dio formò l'Uomo [dalla] polvere del suolo", riferendosi evidentemente alla parte materiale dell'Uomo, come mostra anche il verbo che in ebraico è applicato spesso al vasellaio, che forma o manipola con la creta i suoi vasi; poi aggiunge, che "gli soffiò nelle narici l'alito di vita", riferendosi cioè alla parte spirituale; per concludere infine che così "l'Uomo divenne un'anima vivente" (II, 7). Creato in tal maniera l'Uomo, la narrazione soggiunge che "Jahvè Dio piantò un giardino in Eden, ad Oriente, e vi pose l'Uomo che aveva formato" (II, 8), e ve lo pose "per lavorarlo e custodirlo" (II, 15). In questo giardino v'era "ogni sorta di albero bello a vedersi e buono a mangiarsi", e inoltre "l'albero della vita in mezzo al giardino, e l'albero della scienza del bene e del male" (II, 9). Iddio pertanto dette licenza all'Uomo di cibarsi dei frutti di ogni albero, salvo che di quello della scienza del bene e del male, giacché il giorno che l'Uomo ne avesse mangiato sarebbe morto.

Se non che l'Uomo era ancora solo: egli era già umanità e ne era il rappresentante più nobile, ma non era tutta l'umanità; tanto più che la prima narrazione surriferita, dopo aver accennato alla creazione dell'Uomo al singolare, improvvisamente passa al plurale e specifica che Dio "maschio e femmina li creò". Così la seconda narrazione prosegue specificando anch'essa: "E Jahvè Dio disse: Non è bene che l'Uomo sia solo; gli farò un aiuto adeguato a lui" (II, 18). Questa creatura di compagnia e di aiuto fu dapprima cercata fra tutti gli animali creati, ma nessuno di essi fu trovato essere un aiuto adeguato all'Uomo. Allora Dio, immesso un profondo sopore nell'Uomo, gli tolse una delle costole, cioè delle ossa più vicine al cuore, e di quella "costruì una donna e la condusse all'Uomo" (II, 22). Allora l'Uomo, rapito d'ammirazione, esclamò:

Questa volta, sì, è osso delle mie ossa, e carne della mia carne!

Costei si chiamerà 'iššāh perché dal'īš fu presa costei! (II, 23).

Nel quale carme si noti il giuoco di parole fra 'īš "uomo maschio", e la sua forma femminile 'iššāh "donna": infatti il doppio genere grammaticale della comune radice ebraica corrispondeva opportunamente al doppio sesso della comune specie umana (cfr. S. Girolamo nella Vulgata vir: virago). Quindi la narrazione continua: "Perciò l'uomo 'īš) lascerà suo padre e sua madre, e si congiungere con la sua donna e diventeranno ambedue una sola carne" (II, 24). Così la prima coppia umana era formata; l'Uomo, diventato 'īš rispetto alla sua 'iššāh, era l'adam[ità] compiuta.

Avendo A. trasgredito, per invito della donna istigata dal serpente, il precetto di Dio riguardo all'albero della scienza del bene e del male, "Jahvè Dio lo mandò via dal giardino in Eden, a lavorare il suolo da cui egli era stato estratto" (III, 23); il suolo infatti, dopo il fallo di A., era stato maledetto da Dio, sì che per sé stesso avrebbe prodotto triboli e spine e solo "col sudore del volto" A. ne mangerebbe il pane (III, 19). Espulso dal giardino, A. ebbe dalla sua donna i figli Caino (v.) e Abele (v.); quindi all'età di 130 anni generò Seth; dopo la nascita di Seth, visse "800 anni e generò figli e figlie, e furono tutti i giorni della vita di Adamo 930 anni, e morì" (V, 4-5). Dal fatto che, dei due primi figli di Adamo, Caino è presentato nella narrazione biblica come agricoltore, e Abele come pastore, è legittimo inferire che secondo lo scrittore anche A. abbia esercitato gli stessi mestieri dopo l'espulsione dal Paradiso Terrestre, insegnandoli poi ai due primi fgli.

La Bibbia non dà altre notizie su A.; solo il libro della Sapienza allude fugacemente alla penitenza fatta da A. per il suo peccato, dicendo che "la Sapienza divina lo estrasse dal suo fallo" (Sap. X, 1).

Nella mente di chi ha scritto le due narrazioni, ed anche di chi le ha redatte nel Genesi, esse hanno senza dubbio un valore strettamente storico. Messe poi a confronto con altre narrazioni delle origini dell'uomo, ritrovate presso altri popoli, esse mostrano queste note particolari: l'immediatezza di origine di A. da Dio creatore, esclusa ogni inframissione di semidèi, eoni, o eroi; la regalità dell'uomo sulla natura, e la sua somiglianza con Dio; la naturale intima correlazione fra l'uomo e la donna, per cui essi sono insieme e due e uno, in parità perfetta di natura ma con una certa sovreminenza dell'uomo come individuo (famiglia monogamica); decadenza della prima coppia umana, e conseguentemente di tutti i suoi discendenti, dal primitivo stato in cui era stata posta da Dio ad uno stato moralmente e fisicamente assai inferiore.

Nuovo Testamento. - Adamo vi è nominato parecchie volte: in Luca, III, 38 "Adamo di Dio" è posto in fine alla genealogia di Gesù; nell'epistola di Giuda (v. 14) una citazione di Enoch è introdotta dichiarando che egli fu "settimo, dopo Adamo".

Più importante il passo (I a Timoteo, II, 11-14,), in cui si dichiara non essere lecito alla donna di insegnare, e la sua inferiorità di fronte all'uomo è giustificata dal fatto che, secondo Gen., II, 21 segg., Eva fu creata dopo Adamo; e che la trasgressione fu opera principalmente della donna. L'argomento si ritrova in qualche modo in I ai Corinzî, XI, 2 segg. specialmente 8-9, dove l'ingiunzione alle donne di stare col capo coperto nelle adunanze, parallela a qilella di tacere (I Cor. XIV, 34; I Tim., II, 12) e di essere soggetta al marito (Ephes., V, 22 segg., ecc.), è fondata su questa ragione, che l'uomo non fu creato a causa della donna, ma questa a causa dell'uomo; perciò conviene che la donna abbia sul capo un segno di sudditanza, a causa degli angeli, mentre l'uomo sta a capo scoperto: ché l'uomo è immagine e gloria di Dio, mentre la gloria della donna è l'uomo; capo della donna è l'uomo, capo dell'uomo Cristo. Ma l'apostolo (cfr. Gal., III, 28) attenua quanto può apparire troppo duro, soggiungendo che né la donna è senza l'uomo, né l'uomo senza la donna nel Signore; che, se Eva fu creata da Adamo, l'uomo nasce ora dalla donna, e tutto deriva da Dio.

Di portata ben più grave sono altri due passi. Nel c. XV della I ai Corinzi, confutando alcuni, che negavano la risurrezione dei morti, l'apostolo argomenta per analogia, dalla risurrezione del Cristo. "Giacché, attraverso un uomo (è) la morte, attraverso un uomo la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così anche nel Cristo tutti saranno avvivati". Più oltre, il parallelo è ripreso, facendolo dipendere dalla distinzione tra ψυχή. ("anima" nel senso di "principio vitale") e πνεῦμα ("spirito"). Il primo uomo Adamo fu anima vivente; il secondo Adamo spirito vivificante... II primo uomo, dalla terra, di fango; il secondo uomo, dal cielo. E gli uomini si distinguono, parallelamente, in due categorie: terreni e celesti. E come portammo in noi l'impronta del terreno, così porteremo quella del celeste, quando, alla risurrezione, rivestiremo il corpo spirituale (vv. 20-22, 45-49). Il medesimo concetto è ripreso nella lettera ai Romani (V, 12-21): come attraverso un uomo è entrato nel mondo il peccato, ed attraverso il peccato la morte, e questa dominò dopo di Adamo, immagine del futuro (forma futuri: τοῦ μέλλοντος; si discute se sia neutro o maschile), e quindi a causa della trasgressione di un solo morirono molti, tanto più la grazia di Dio profittò ai molti, nell'unico uomo Gesù Cristo. I: gli è fatto così il perfetto contrapposto di Adamo. Delle ricche implicazioni di questi passi, del loro rapporto con il resto del pensiero di S. Paolo, e dello sviluppo della teologia cristiana che ha cercato d'interpretarli, si tratta altrove. Giova però osservare come il pensiero di S. Paolo abbia esercitato scarsa influenza, in genere, sul Cristianesimo dei primi due secoli, tanto che di questa concezione non troviamo se non scarse tracce, in Ireneo (Adversus haereses, V, 12, 3; cfr. III, 23, 3) e in Tertulliano (De anima, 40; De carne Christi, 16).

L'islamismo. - Nel Corano Adamo (che, come tutti i patriarchi biblici e lo stesso Gesù, è qualificato "profeta") è implicitamente considerato padre del genere umano; Dio lo ha creato dal fango (XVII, 63 e XXXVIII, 71), dalla terra (III, 52), gli ha insufflato qualcosa del suo spirito (XXXVIII, 71-72), lo ha stabilito quale suo vicario (khalīfah) sulla terra (II, 28) e gli ha insegnato i nomi di tutte le cose (II, 29-31); poi ha imposto agli angeli di prostrarsi ad Adamo, cosa ch'essi fecero eccetto Iblīs, punito quindi da Dio (II, 32; VII, 10-17; XVII, 63-67; XVIII, 48; XX, 115; XXXVIII, 72-85). Collocato nel "giardino" con la moglie (il nome Eva non compare nel Corano), i due coniugi istigati da Satana gustano dell'albero vietato, sicché appaiono loro le loro nudità, e Dio, pur perdonando il loro peccato, li fa scendere per sempre dal "giardino" sulla terra e li ammonisce che, se verrà a loro una direzione da Dio, essi ed i loro discendenti dovranno attenervisi, sotto pena dei castighi della vita futura (II, 33-37; VII, 18-24 e 26; XX, 114-127). Il divieto di gustare dell'albero è chiamato "patto con Adamo" (XX, 114). Il racconto dei due figli d'Adamo ed Eva è riferito in V, 30-34, ma senza fare il nome di Abele e Caino. Il concetto delle conseguenze del peccato originale sui discendenti di Adamo, e quindi della necessità della redenzione per opera di Cristo, è ignoto all'islamismo. Il nome Adamo (Ādam) è talora adoperato come nome personale fra i musulmani.

Anche tra i musulmani in età posteriore a Maometto si sono formate, intorno alla figura di Adamo, numerose e fantasiose leggende, in gran parte d'origine giudaica; una fra esse, messa in bocca addirittura a Maometto (e confutata da Tommaso Campanella, Metaph., part. II, lib. X, cap.1, art. 8, che la conobbe attraverso Avicenna), dovrebbe provare la più assoluta predestinazione rispetto alla vita futura.

I Libri di Adamo. - Molte di queste leggende formano poi l'oggetto principale od unico di libri apocrifi giunti fino a noi, talvolta accresciuti da interpolazioni cristiane. I principali sono:

I. La Vita di Adamo e di Eva (in latino) e l'Apocalissi di Mosè (in greco, armeno e paleoslavo). I due racconti, spesso paralleli, narrano il peccato, la penitenza, le nuove tentazioni dei progenitori del genere umano e la nascita di Caino e di Abele, la morte di questo, la nascita di Seth, la malattia di Adamo, la sua morte e la sua sepoltura fatta dagli angeli, e infine la morte di Eva. Su questa trama s'innestano racconti di sogni e predizioni, un racconto del peccato degli angeli ribelli. I critici sono assai divisi sull'origine di questi apocrifi; ma più generalmente ammettono che abbiano un'origine giudaica. La loro composizione risale probabilmente al sec. I d. C.

Il testo latino della Vita íu pubblicato da W. Meyer, Abhandlungen der k. bayerischen Akad. der Wissensch., I Kl., XIV, 3 (1878), pp. 185-250; il testo greco dell'Apocalissi di Mosè da Tischendorf, Apocalypses Apocryphae, Lipsia 1866, pp.1-23; la versione armena dai Mechitaristi di Venezia, Libri estracanonici del Vecchio Testamento, Venezia 1896, pp.1-24; la versione paleoslava, molto libera, da Jagič, Slavische Beiträge zu den Bibl. Apokr., I, Die altkirchenslavischen Texte des Adambuches (Denkschriften der Wiener Akad. der Wissensch, Phil. Hist. Kl., XLII (1893), pp.1-104).

Una versione inglese critica, su tutti i testi conosciuti fino al 1913, fu fatta da Wells, in Charles, The Apocrypha and Pseudepigrapha of the Old Testament, Oxford 1913, II, pp. 123-154.

2. Il Testamento di Adamo, quale fu pubblicato da E. Renan (in Journal Asiatique, ser. 5ª, II, 1853, p. 427 segg.) consta di tre parti: la prima assegna a ciascun'ora della notte e del giorno un culto liturgico speciale che deve prestarsi a Dio da angeli o da altre creature; la seconda contiene, fra altro, profezie di Adamo sull'incarnazione, i miracoli, la morte, la risurrezione e l'ascensione al cielo del Cristo; la terza enumera i nove cori degli angeli e le loro funzioni.

Quest'ultima parte è un'interpolazione, opera di un autore cristiano. I due primi frammenti si trovano, oltre che nei manoscritti siriaci pubblicati dal Renan, in codici etiopici e arabi di una compilazione del sec. VII intitolata Apocalissi di Pietro a Clemente e vi fanno parte della cosiddetta Caverna dei tesori che narra la storia del mondo dalla creazione fino a Cristo; ivi costituiscono veramente un testamento, giacché sono le ultime parole di Adamo al suo figlio Seth. Nella loro forma presente, questi due frammenti sono cristiani, ma parecchi elementi sembrano ricondurci ad un nucleo giudaico. È difficile determinare l'epoca della loro composizione.

Una edizione critica del testo siriaco fu curata da M. Kmosko, in Patrologia syriaca, II, Parigi 1907, pp. 1306-1360. La versione etiopica e araba fu edita da C. Bezold, nelle Orientalische Studien zu Nöldeke's 70 Geburtstag gewidmet, Giessen 1906, pp. 893-912; il testo greco dei due primi frammenti fu pubblicato, dopo il James, da F. Nau, in Patrologia syriaca II, cit., pp. 1362-1392.

3. Gli scritti adamitici armeni sono otto: la versione della Vita di Adamo e di Eva, la Morte di Adamo, la Storia della Creazione e della caduta di Adamo, la Storia dell'espulsione di Adamo e di Eva, la Storia dei figli di Adamo, Abele e Caino, la Promessa di Seth, la Storia della penitenza di Adamo e di Eva, la Parola di Adamo a Seth. Nella loro forma presente, provengono da autori cristiani ma non gnostici (contro Preuschen). Molti elementi ne sembrano attinti ad un libro di Adamo primitivo, di origine giudaica, o a tradizioni rabbiniche.

Il testo armeno di questi scritti fu edito dai Mechitaristi, Libri estracanonici del Vecchio Testamento, Venezia 1896, pp.1-25, 307-333; una traduzione tedesca ne fu fatta da Erwin Preuschen, Die apokryphen gnostischen Adamschriften aus dem Armenischen übersetzt und untersucht, Giessen 1900.

Due altri libri che si connettono con questa materia, sono il Conflitto di Adamo e di Eva con il diavolo (in etiopico e arabo) e la Caverna dei tesori (in siriaco, in etiopico e in arabo).

Tutti gli apocrifi su Adamo sembrano derivare da tradizioni giudaiche che forse già al tempo di Gesù Cristo erano consegnate in iscritto. L. Ginzberg ha tentato ricostituire questo libro giudaico di Adamo primitivo, valendosi degli apocrifi e degli scritti rabbinici; v. art. Adam, Book of, in Jewish Encyclopaedia, I, New-York 1901, pp. 179-180.

Adamo nella leggenda. - Nella copiosissima fioritura leggendaria intorno alla figura di Adamo, anche nella tradizione relativamente tarda, fino in epoca bizantina, alcune leggende ebbero grandissima diffusione, e meritano che se ne faccia un breve cenno. Così, fu accolta con favore da S. Girolamo e da altri scrittori ecclesiastici quella, raccolta e sviluppata in Oriente dal Libro della caverna dei tesori, siriaco (v. sopra, e, per la sua diffusione in Oriente, A. Götze, in Zeitschr. für Semitistik, II-III, 1924-1925) secondo la quale Adamo, espulso dal Paradiso Terrestre, depositò in una caverna montana l'oro, l'incenso e la mirra destinati ai Re Magi; ed in quella caverna fu sepolto. Le ossa di Adamo e il tesoro furono ricoverati da Noè nell'Arca, e così salvati dal diluvio. Poi furono trasportati al centro della Terra, il Calvario, che per ricevere il deposito si aprì in forma di croce, con le braccia rivolte ai quattro punti cardinali. Così il sangue del Cristo crocifisso, cadendo sulle ossa del primo uomo, lo purificò dal peccato originale. Vale la pena di confrontare il motivo teologico implicito nell'ultima parte della leggenda con la dottrina di S. Paolo su riferita. Ma vi è penetrato anche un altro motivo leggendario, sorto probabilmente nel Giudaismo della Dispersione, secondo il quale la terra, della quale Adamo fu formato, venne raccolta dai quattro punti cardinali (onde l'acrostico 'Α[νατολή], Δ[ύσις], " A[ρκτος], Μ[εσημβρία] "Oriente, Occidente, Settentrione, Mezzogiorno").

Adamo ed Eva nell'iconografia.

La storia di A. ed Eva è spesso riprodotta nella primitiva arte cristiana, a volta rappresentandovisi tutti gli episodî dalla creazione dell'uomo e della donna alla cacciata dal Paradiso (ed anzi fino alle susseguenti fatiche espiatorie), ma più di frequente contenendola nel solo episodio intermedio del peccato originale.

La più antica scena di questo episodio noi la troviamo nelle catacombe di S. Gennaro dei Poveri a Napoli, in un quadretto in affresco che deve attribuirsi con certezza alla seconda metà del sec. II. Vengon poi altre numerose figurazioni delle catacombe romane ed una importante degli inizî del secolo III (purtroppo frammentaria) in un cubicolo dell'ipogeo sepolcrale degli Aurelii (eretico) scoperto presso la Via Labicana in Roma.

I particolari della rappresentazione sono sempre gli stessi. I progenitori stanno in piedi a fianco dell'albero a cui s'avvolge il serpente. Nel sarcofago di Giunio Basso che è del sec. IV (Grotte Vaticane) se ne ha un bell'esemplare, e in un sarcofago lateranense, pure del sec. IV, si vede Iddio, nella persona del Verbo umanato, che pone le sue mani divine su di un agnello sorretto da Eva e su di un fascio di spighe tenuto da A., volendosi significare nel secondo il frutto che A. ritrarrà dalla sua fatica e nel primo la lana che Eva sarà costretta a filare e tessere per coprirsi. Gli scultori dei cofanetti d'avorio bizantini prediligono il soggetto di A. ed Eva, forse (come sospettò il Graeven) per aver modo di trattare il nudo. Un cofanetto del Museo Olivierano di Pesaro ci mostra i progenitori che escono dall'Eden sotto l'impulso dell'angelo che li scaccia. Sulle valve bronzee della porta del Duomo di Pisa Bonanno ripeté questa scena quasi nell'identica forma aggiungendovi gli episodî precedenti dal discorso del serpente alla appropriazione del frutto proibito.

Il miniaturista della Bibbia destinata a Carlo il Grosso (il celebre codice della Biblioteca di S. Paolo in Roma) offre la serie completa degli episodî, dalla creazione ai lavori. Questa serie, anche ampliata, noi ritroviamo in tutte le cosmogonie figurate nei mosaici, negli affreschi e nelle sculture delle chiese medievali, che sarebbe lungo qui enumerare. Anche circa la diffusione del soggetto nell'arte del Rinascimento e in quella posteriore, ci limitemo ad accennare semplicemente a due capolavori: i riquadri scultorî di Jacopo della Quercia sulle porte del S. Petronio di Bologna; i riquadri pittorici di Michelangelo nella volta della Sistina. D'altra parte ora il soggetto non interessa più come espressione d'idea religiosa, quanto come interpretazione dell'artista singolo. E questa è perciò materia che si tratta in altre più opportune sedi.

Bibl.: Per i racconti del Genesi e la teologia di S. Paolo si veggano i commenti ai varî libri e la bibliografia alle voci genesi e paolo, s. Inoltre A. Vitti, Christus-Adam, in Biblica, 1926, p. 121 segg., 270 segg., 384 segg.; per le leggende P. Baldini, in Ricerche religiose, II (1926), p. 139; per gli apocrifi, J. B. Frey, in Vigouroux, Dictionnaire de la Bible, Supplément, Parigi 1926, col. 101 segg.; per il Giudaismo post-biblico, Encycl. Jud., s. v.

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