ADATTAMENTO

Enciclopedia Italiana (1929)

ADATTAMENTO (fr. adaptation; sp. adaptación; ted. Anpassung; ingl. adaptation)

Alessandro GHIGI
Filippo BOTTAZZI

Correlazione fra organismo ed ambiente, tale da consentire l'esercizio delle singole funzioni, in modo proficuo all'organismo, sia nei riguardi delle condizioni generali d'esistenza, sia in quelli delle abitudini particolari a ciascuna specie. Gli animali che vivono nell'acqua presentano, in confronto a quelli che vivono sulla terra, differenze anatomiche e funzionali corrispondenti alle diverse necessità fisico-chimiche imposte da quei due elementi. L'organismo è costituito, in massima parte, d'acqua, ad evitare l'evaporazione della quale è necessaria, sulla terra, ossia nell'aria atmosferica, una membrana più o meno impermeabile, rappresentata dalle varie disposizioni protettive del tegumento (peli, penne, squame, dermascheletri, conchiglie) mentre nell'acqua il tegumento può essere più o meno permeabile. Altra condizione più semplice di vita, per un corpo immerso nell'acqua, è il peso specifico minore di quel che non sia il peso specifico di un corpo immerso nell'aria. Il primo può restare facilmente sospeso nel liquido ambiente senza l'intervento di potenti organi di sostegno dei quali invece il secondo ha necessità. A quello giovano peraltro organi idrostatici che permettano le modificazioni del peso specifico; il secondo, solo quando è volatore, possiede organi capaci di render più leggero il corpo, come ossa pneumatiche, sacchi aerei e dispositivi che valgano ad aumentarne considerevolmente la superficie. L'ossigeno respirabile è scarso nell'acqua: esso viene assunto mediante apparati branchiali esterni, molto estesi e situati in quelle regioni del corpo nelle quali altri organi fanno circolare grande quantità d'acqua: l'aria atmosferica provocherebbe il disseccacamento della membrana respiratoria, rendendola impermeabile ai gas e perciò è necessario che la respirazione si compia, negli animali terrestri, per mezzo di organi interni, polmoni o trachee, e che sia regolata da valvole, che si aprono e si chiudono ritmicamente. L'acqua può mantenere in vita le cellule germinali e contiene alimenti in sospensione; è quindi possibile in quell'elemento la fecondazione esterna e la vita di forme fissate alle rocce ed al fondo. Gli animali che vivono sulla terra ferma debbono compiere, per mezzo di accoppiamento, la fecondazione interna e debbono muoversi per cercare il cibo.

Le esigenze generali delle specie che vivono nel medesimo ambiente spiegano, colla loro costanza, i fatti di convergenza morfologica e fisiologica, che si notano nella maggior parte degli animali viventi in quell'ambiente, qualunque sia la loro architettura tipica. Così un delfino, che appartiene alla classe dei Mammiferi ed un ittiosauro, fossile della classe dei Rettiliforme entrambe marine, assomigliano, nel loro aspetto esterno, più ai pesci che non ai mammiferi e, rispettivamente, ai rettili. Meduse, ctenofori, eteropodi, salpe, sono animali che appartengono a tipi sistematici molto differenti, ma offrono tali rassomiglianze, dovute a convergenze di adattamento, da esser facilmente riconosciuti come abitatori dei flutti.

Sono forse anche più manifeste le convergenze che si notano fra gli animali proprî di ambienti speciali. La talpa ed il lombrico si possono considerare come due modelli di adattamento alla vita sotterranea: la prima ha il corpo cilindrico, allungato, senza sporgenze, muso acuminato, orecchie esterne brevissime, zampe anteriori muscolose, brevi, divaricate, con piede espanso e terminato da forti unghie, capaci di funzionare come pale, occhi rudimentali talora chiusi dalle palpebre; il lombrico ha corpo sottile, cilindrico anch'esso, diviso in anelli regolari mobili e disposti in maniera da poter perforare ed avanzare nel terreno. La talpa è un insettivoro, ma gli spalaci che appartengono ai rosicanti, il Notoryctes typhlops, marsupiale australiano, il Chlamydophorus truncatus, armadillo sud-americano, sono tutti animali che vivono come la talpa ed a questa rassomigliano nella forma del corpo. Il lombrico è un anellide, ma le anfisbene (rettili dell'ordine dei Saurî), i tiflopidi (Serpenti), le cecilie (Anfibî), che hanno abitudini analoghe a quello, hanno corpo anulato e lombricoide.

Gli animali che vivono nelle caverne hanno in comune con quelli che abitano sotto terra, fra gli altri caratteri, la riduzione degli occhi, la quale è pure frequente negli animali degli abissi marini. Molti di questi sono invece forniti di occhi talvolta enormi e fatti a telescopio, e si giovano della fosforescenza prodotta da interi animali od anche da speciali organi fotogeni posseduti da altri. Molluschi marini che vivono immersi nel fango, posseggono lunghi sifoni che, sporgendo alla superficie del fondo, consentono la circolazione dell'acqua entro la cavità del loro mantello; altri, propri della zona litorale battuta dalle onde, possono aderire come le ostriche, agli scogli, senza andare incontro al pericolo di essere sfracellati dai marosi.

Convergenze che non riguardano l'architettura del corpo, ma peraltro non meno interessanti, sono quelle che si notano fra gli animali che abitano particolari ambienti della terra emersa. Nella foresta sono molto utili quelle disposizioni che servono per arrampicarsi o per appendersi ai rami o per saltare da un albero all'altro, così la condizione quadrumane delle scimmie e dei prosimî e quella analoga dei piedi e del becco atti a stringer rami nei pappagalli; la coda prensile delle scimmie platirrine, di alcuni formichieri, del cercoletto, di parecchie specie di istrici; il patagio di insettivori, marsupiali, rosicanti ed altre disposizioni che hanno lo stesso scopo in alcuni rettili (Draco volans) ed anfibî. Nei mammiferi che abitano la steppa o il deserto sono talvolta molto sviluppati gli arti posteriori e la coda per favorire il salto, come nei canguri australiani ed in parecchi rosicanti del vecchio continente.

L'aspetto esteriore degli animali somiglia spesso all'ambiente nel quale essi vivono, la qual cosa è utile all'organismo talvolta per difesa, talaltra per offesa (v. mimetismo). Adattamenti di questa specie possono essere considerati, p. es., il colore verde degli animali che vivono tra le fronde o sull'erba (pappagalli o locuste), il grigio rossastro di quelli che abitano il deserto, il bianco degli animali polari e della regione delle nevi.

Molte ipotesi sono state formulate per spiegare gli adattamenti. La creazione indipendente degli organismi, dogma o teoria, è finalistica: Dio avendo creato separatamente ciascuna specie, l'avrebbe dotata fin dal suo inizio dei meccanismi necessarî per vivere in ogni singolo ambiente, onde il problema verrebbe risolto in via pregiudiziale. La talpa sarebbe stata creata con zampe atte a scavare perché potesse compiere quest'atto; agli uccelli sarebbero state date le ali perché potessero volare e così di seguito. Anche la teoria evoluzionistica di Lamarck (v.) è finalistica. Il bisogno crea l'organo necessario e l'uso lo fortifica e lo accresce considerevolmente. Ogni atto della vita esige uno sforzo e l'organo preposto all'esecuzione di quello, se non ha la capacità di compierlo, può acquistarlo, con una leggiera modificazione, trasmissibile ai discendenti per eredità. Con tale ragionamento si ammette che tutti i caratteri di una specie abbiano uno scopo e che l'ambiente li abbia plasmati in maniera da poter raggiungere quello scopo. Ciò non è esatto, perché la variabilità della specie si manifesta spesso in una serie di modificazioni sempre più accentuate in una direzione determinata (v. ortogenesi), fino al punto di diventare anche nocive e di condurre all'estinzione della specie medesima. Questo è accaduto a molte serie fossili, specialmente di rettili e di mammiferi, che avendo acquistato caratteri dannosi, perirono senza raggiungere quella forma, che le condizioni di ambiente avrebbero resa necessaria. Analogamente, parecchie razze di animali domestici hanno caratteri tali che soltanto l'uomo può conservare artificialmente, sottraendole alla concorrenza di altre razze ed alle vicissitudini dell'ambiente naturale. Spesso si confonde l'influenza dell'ambiente coll'adattamento: l'esperienza ha provato che molti fattori esterni provocando reazioni particolari negli organismi, ne modificano l'aspetto in tutto o in parte, ma nessuna esperienza. seriamente condotta, ha potuto mai provare che quei cambiamenti siano ereditarî.

Secondo la teoria del Darwin (v.), l'ambiente può produrre modificazioni utili all'organismo, ma questo fatto andrebbe considerato come secondario, mentre la causa principale andrebbe ricercata nella cernita naturale, che elimina tutti gli individui meno adatti, lasciando sopravvivere, attraverso la lotta per l'esistenza, quelli più adatti. È stato obbiettato che la cernita naturale non è creatrice e che agisce soltanto su modificazioni esistenti, eliminando le nocive e conservando le utili. Queste evidentemente preesistono all'azione della cernita, la quale non può essere adunque causa determinante di adattamenti, ma solo elemento di conservazione degli stessi. Inoltre, se è ammissibile che caratteri di scarsa importanza per la vita possano essere suscettibili di modificazioni lente, la stessa cosa non è per gli adattamenti alle fondamentali condizioni di esistenza. Per gli uccelli volatori, p. es., l'utilità delle ali si è resa manifesta solo quando essi hanno potuto sollevarsi in aria, mentre è chiaro che nessuna utilità poteva derivare all'organismo da ali inadatte al volo; anzi un'eventuale trasformazione degli arti anteriori atti alla corsa in monconi alari avrebbe dovuto rappresentare un regresso assolutamente nocivo.

La teoria delle mutazioni (v. mutazione), più recente di tutte, spiega gli adattamenti, attribuendo importanza primaria al caso (Concklin, Cuénot ed altri) e secondaria alla cernita naturale. Fra le numerosissime razze di moscerini dell'aceto (Drosophila melanogaster) ottenute dal Morgan nei suoi allevamenti, ve ne è una senz'occhi ed un'altra senz'ali, entrambe razze stabili, i cui caratteri sono trasmissibili alla discendenza. Poste in libertà evidentemente non potrebbero sopravvivere come le loro parenti alate e provviste d'occhi, ma in un sotterraneo buio o in una caverna, ovvero in luogo battuto dal vento or l'uno or l'altro di questi caratteri risulterebbe non dannoso od anche decisamente utile. Le Typhlocharis sono gamberelli ciechi, viventi altrettanto bene in certe caverne (Lete, penisola Salentina) quanto in acque scoperte (Tiberiade). La teoria delle mutazioni conduce ad ammettere un preadattamento, nel senso che in ogni tempo e in ogni luogo sono nate forme adatte all'ambiente, le quali hanno vissuto, ed altre non adatte che sono perite; il contrasto fra le due tendenze si riassume nel sostenere da un lato che p. es. gli animali cavernicoli sono diventati ciechi perché non avevano bisogno degli occhi, dall'altro che essi hanno trovato nelle caverne, perché già ciechi, l'unico ambiente al quale erano già precedentemente adattati.

Oltre all'adattamento morfologico, devesi distinguere quello fisiologico e chimico-fisiologico.

Infatti l'ambiente non può determinare mutamenti di forme se non mediante mutamenti di metabolismo e di scambî materiali che provoca negli organismi. Esempî di adattamenti fisiologici e chimico-fisiologici sono i seguenti. I ricettori si adattano ciascuno a una determinata specie di stimoli, che finiscono per essere i soli adeguati, tutti gli altri rimanendo stimoli inadeguati. Anche qui l'adattamento suole essere di altissimo grado, ma non esclude affatto l'azione stimolante degli stimoli inadeguati, ancor che a una soglia elevatissima. Il biossido di carbonio è prodotto universale, costante dei processi ossidativi svolgentisi in ogni specie di animali. Nei vertebrati superiori il centro respiratorio si è adattato alla presenza di questa sostanza che, entro certi limiti di tensione, rappresenta anzi il fattore chimico regolatore per eccellenza del ritmo respiratorio. L'acido carbonico è, inoltre, per le sue peculiari proprietà, il più efficace regolatore della normale reazione dei liquidi interni. Verosimilmente gli organismi non avrebbero potuto raggiungere l'attuale loro alto grado di perfezione, se non si fossero adattati a utilizzare questo prodotto naturale del loro metabolismo e le riserve alcaline del loro corpo per conservare la normale reazione chimica del loro ambiente interno, che sembra essere tanto indispensabile per l'integrità fisica e funzionale del protoplasma. L'acclimazione, p. es., alle grandi altitudini, cioè alle bassissime pressioni parziali dell'ossigeno atmosferico, è una forma di adattamento fisiologico, che si manifesta con modificazioni funzionali, chimiche e morfologiche costanti, quali sono p. es. una lieve iperpnea, l'aumento numerico degli eritrociti nel sangue, e perfino un mutamento della forma e della capacità del torace.

Sebbene i fenomeni di adattamento implichino per i più un concetto finalistico, si deve ormai assolutamente escludere l'intervento di entelechie, di cause finali, nel determinismo dei medesimi. La capacità di adattamento degli organismi viventi è straordinariamente grande, non perché in essi operino fattori intelligenti, ma perché, date le proprietà chimico-fisiche di quel sistema colloidale sui generis che è il protoplasma, molto distanti sono i limiti estremi, entro i quali può variare nelle due opposte direzioni il decorso delle reazioni protoplasmiche agli agenti esteriori, senza che questi ne producano necessariamente l'alterazione irreversibile, specie se l'influenza dei fattori ambientali si esercita in maniera graduale e continuativa.

Ogni avanzamento nella scala evolutiva può essere considerato, se vogliamo, come corrispondente a un nuovo acquisto d'invarianza ambientale e può esserci manifestato sotto forma di un maggior grado di complessità morfologica e funzionale dell'organismo riguardato nel suo complesso. Ma non ogni nuova invarianza acquistata costituisce un progresso di adattamento, perché le specie precedenti non erano meno perfettamente adattate al loro ambiente, relativamente più variabile, delle nuove specie al nuovo ambiente, relativamente più stabile.

Le più importanti invarianze ambientali acquistate possono essere ordinate nel seguente modo. In primo luogo sono da porre l'invarianza nutritiva (cioè il sicuro controllo della concentrazione delle sostanze nutritive nei liquidi e nei succhi cellulari), e quella che si riferisce all'interna regolazione della concentrazione degli idrogenioni: esse formano la base dell'esistenza d'un'infinità di forme viventi inferiori, dalle quali dovrebbero poi derivare le forme superiori; l'invarianza osmotica, e quella della composizione minerale dell'ambiente interno pericellulare, si può dire con A. B. Macallum che datino dalla comparsa di un apparato renale; l'ultima acquisita è stata l'invarianza termica, che ha liberato tutti gli omeotermi dalle fluttuazioni della temperatura esteriore, e ha assicurato alle loro cellule una uniformità di condizioni d'esistenza non mai raggiunta da quelle dei loro inferiori antenati.

A ogni nuova invarianza, effetto di complicate reazioni protoplasmiche, corrisponde un nuovo piano di sviluppo organico, un nuovo adattamento.

L'assoluta invarianza, in un complesso di equilibrî dinamici qual'è l'organismo vivente, è manifestamente irraggiungibile. Il più che si può raggiungere è la compensazione automatica di ogni leggera oscillazione al di qua o al di là dell'optimum.

I meccanismi che mantengono la relativa invarianza del livello nutritivo, della concentrazione degli idrogenioni, della pressione osmotica, della composizione minerale e della temperatura, nell'ambiente pericellulare, sono altrettanti equilibrî dinamici, che reagiscono ai cangiamenti imposti dall'ambiente esterno in maniera tale da neutralizzarli nell'ambiente interno, e però costituiscono altrettanti gradi di emancipazione dall'ambiente esterno; se vogliam dire, altrettante forme di adattamento.

Bibl.: E. Rabaud, L'adaptation et l'évolution, Parigi 1922; L. Cuénot, L'adaptation, Parigi 1925; T. R. Brailsford, Principles of Biochemistry, 2ª ediz., Filadelfia e New York 1924 (v. The inclusion of the environment, pp. 315-317); A. B. Macallum, The paleochemistry of the body fluids and tissues, in Physiol. Review, VI (1926), pp. 316-357; L. J. Henderson, The fitness of the environment, New York 1913.

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