Addio unisex: ora è agender

Il Libro dell'Anno 2015

Fabiana Giacomotti

Addio unisex: ora è agender

Né maschio né femmina: la tendenza agender, la più discussa dell’anno, soffia sulle case di moda di tutto il mondo e anche sulla società: l’Università del Vermont ha aperto per prima fra i suoi studenti il riconoscimento di un terzo sesso, il ‘neutral’.

Ritratto fotografico

Per qualche mese, vi è stata incertezza perfino sulla sua definizione. Poi, da quelle crasi semantiche e sintattiche che caratterizzano la storia dell’Occidente più efficacemente della storia stessa, ha preso forma anche la tendenza più controversa dell’anno: l’agender. Senza genere.

L’alfa privativa del greco apposta al sostantivo anglosassone che da oltre mezzo secolo simboleggia uno dei dibattiti sociali più sentiti.

Quale genere? Nessuno. Né maschio né femmina, un passo oltre il mito dell’indovino Tiresia che, per avere turbato l’ordine della natura, si trasformò per 7 anni in donna, e molto oltre le rivendicazioni femministe che da 60 anni ribadiscono la necessità di una declinazione pronominale neutra o almeno binaria delle professioni. Il credo della teoria agender («Il sistema binario vale per i computer, non per gli esseri umani»), che punta all’emancipazione politica e sociale di chiunque rifiuti di riconoscersi in uno o nell’altro sesso, ma senza ambire necessariamente a una trasformazione chirurgica dei propri organi sessuali, va conquistando ampi spazi mediatici e qualche presa di posizione importante: se l’Università del Vermont ha aperto per prima fra i suoi studenti il riconoscimento di un terzo sesso, ‘neutral’, quella manifestazione plateale e sincretica dei movimenti ideologici che è la moda ha portato invece in primo piano la questione attraverso una serie di sfilate e di iniziative commerciali, per esempio le ultime collezioni di Gucci firmate dal nuovo direttore creativo Alessandro Michele o il concept store Agender dei grandi magazzini Selfridges di Londra che, pur non nascondendo il proprio obiettivo economico, ne amplificano la notorietà anche presso pubblici trasversali. Scelte d’urto, moltiplicate attraverso i social network, che non necessariamente portano però all’accettazione del tema. La fotografa americana Chloe Aftel ha testimoniato con un reportage per il San Francisco Magazine la vita durissima di questo gruppo, costretto a subire violenze fisiche o verbali da chi, spiazzato dalla diversità, lo colpisce innanzitutto nei segni più evidenti della sua condizione, come appunto l’abbigliamento. Lo studente Sasha Fleishman, a cui è stato appiccato il fuoco all’inseparabile gonna sul bus che lo riportava a casa, è diventato il simbolo di questa nuova crociata. Pare infatti che gli agender subiscano più torti e aggressioni di chi appartiene alla comunità LGBT, ma anche in ambiti per definizione più aperti e disposti alla sperimentazione, come quello della moda, il fenomeno viene preso in considerazione, sfruttato, ma non necessariamente compreso. A fronte di stilisti come Michele, che veste con camicie in pizzo rosa e bermuda attillati efebi dai tratti inclassificabili per genere, come la britannica Margaret Howell, che specifica di «lavorare sulle persone, non sul loro sesso», come l’anima creativa di Loewe, Jonathan Anderson, per il quale «uomo o donna sono una zona neutrale» (un inatteso ribaltamento dei codici della famosa aria del Rigoletto?) e come, e ancora, Rad Hourani, canadese trapiantato a Parigi che ha fatto dell’agender la propria cifra stilistica definitiva, anche fra le aziende di moda la tendenza viene considerata non di rado innanzitutto come un utile strumento di marketing e di comunicazione. Fra i clienti e il grande pubblico la domanda ricorrente è invece e piuttosto se la moda agender del Terzo millennio equivalga all’unisex che scosse le coscienze dei ‘figli dei fiori’ e invase le strade fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta del Novecento. In apparenza, e persino volendo prendere come pietra di paragone le collane di fiori ricamate al posto della cravatta o le camicie in plumetis proposte da Alessandro Michele che chiunque potrebbe ritrovare nelle foto delle feste di Gunter Sachs e Brigitte Bardot, non vi è molta differenza fra i capi iconici di questi momenti storici.

Ritenerli però identici equivarrebbe a sostenere che l’unisex dei Sessanta sia uguale a quello lanciato negli anni Dieci e Venti da Coco Chanel quando indossava i cardigan del duca di Westminster, suo amante, e che il prototipo dell’agender sia stato lo Chevalier d’Éon, quel diplomatico affascinante e ambiguo che attraversò l’Europa di fine Settecento sfidando persino la Borsa di Londra a scommettere sul suo sesso di nascita. L’agender è, non semplicemente ma in maniera incontestabile, la nuova fase evolutiva di un fenomeno che affonda le proprie radici nei miti greci e che non di rado ne trova anche nell’agiografia cristiana: basti pensare a Santa Vilgefortis o a Santa Marina, entrambe figure che superano la mera nozione di ‘travestite’, di drag come si direbbe oggi, per qualificarsi come esseri dotati di caratteristiche appartenenti a entrambi i sessi, o a nessuno, e la cui iconografia sembra anticipare la Ballad of Genesis and Lady Jaye, il progetto pangenico di fusione attraverso la chirurgia plastica messo in scena all’inizio del decennio dalla coppia di performer Genesis P-Orridge e Lady Jaye e usato come colonna sonora della sfilata Prada primavera-estate 2015. Rispetto all’unisex, la differenza dell’agender è ancora più sottile. Il fenomeno dei Sessanta (pensiamo ai primi jeans della Wrangler che tanti hanno indossato nell’adolescenza) postulava una forma genericamente maschile che le donne adottavano per sé senza adattamenti, quel tipo di moda che tuttora viene definito ‘stile boyfriend’. I primi tentativi di moda agender si videro alla metà degli anni Ottanta, quando lo stile nipponico rivisitato di Rei Kawakubo per Comme des garçons irruppe sulla scena parigina, ma l’adozione di capi non-gender di taglio e complessità superiori a quelli di una t-shirt portano la data dei primi anni del nuovo millennio, quando Hedi Slimane, allora a capo della linea Dior Homme, iniziò a infilare fra gli espositori delle boutique dei tailleur pantalone dal taglio ideale anche per le donne. Oggi che è alla guida di Saint Laurent, Slimane vende indifferentemente alla clientela maschile e femminile gli stessi stivaletti e gli stessi chiodi, così come le giacche doppiopetto di Neil Barrett vantano una clientela ambosessi. «La questione non è chi indosserà il capo, ma la sua funzionalità», dice appunto Margaret Howell. L’adattamento della portabilità è una conseguenza, così come lo fu per Coco Chanel ma, ancora, con una differenza fondamentale. Quello era ancora un derivato, per certi versi una seconda scelta rispetto all’originale, che rimaneva il pezzo autentico, il modello.

Dunque, un’involuzione. L’abbigliamento agender è invece un’evoluzione di questo concetto, sebbene non necessariamente praticabile o interessante per tutti.

È un pensiero, un campo di ricerca che dichiaratamente invita a esplorare i confini dell’identità di ciascuno, e a differenza dell’unisex non annulla le differenze, ma si adatta alla proiezione che ciascuno ha di sé.

Modelli unisex
Modello collezione uomo di Jonathan Anderson

Chevalier d’Éon

Charles-Geneviève-Louis-Auguste-André-Timothée d’Éon de Beaumont (Tonnerre 1728-Londra 1810), conosciuto come Chevalier d’Éon, fu un diplomatico francese, avventuriero e massone che visse la prima metà della vita come uomo e l’altra metà come donna. Aristocratico e agente segreto, dopo un breve periodo di interesse per la letteratura (collaborò all’Année littéraire di É.-C. Fréron), passò in diplomazia, al servizio di Luigi XV in Russia (1755) e poi a Londra, e partecipò in seguito a varie campagne militari della guerra dei Sette anni. Nelle sue missioni usò spesso travestirsi da donna e i contemporanei furono assai dubbiosi circa il suo sesso. Lui stesso nella sua autobiografia affermò di essere nato femmina, ma di essere stato cresciuto come un maschio perché suo padre avrebbe ereditato da suo suocero solo se avesse avuto un figlio maschio.

Thomas Stewart

Alessandro Michele per Gucci

Lo stilista Alessandro Michele, 42enne romano, è il nuovo direttore creativo di Gucci, succedendo a Frida Giannini di cui era stato per alcuni anni il braccio destro. Ha studiato presso l’Accademia costume & moda di Roma e ha iniziato la sua carriera da Fendi, dove Karl Lagerfeld e Silvia Fendi sono stati i suoi mentori. Dal 2002 è entrato nel designer office di Gucci, assumendo sempre maggiori responsabilità. Della sua prima collezione autunno/inverno 2015-16 a Milano nel febbraio 2015, è stato scritto da S. Marchetti su D: «...è la realtà vista addosso alle nuove generazioni di ragazzi e ragazze visti nelle più grandi capitali, per sone il cui vero scopo non è appartenere a un sesso o a un ruolo sessuale, ma trovarne uno nuovo e meno definito».

Modelli della collezione 2015-16 di Gucci

Santa Vilgefortis

La leggenda, risalente all’8° secolo, narra che la figlia di un re pagano del Portogallo, crudele e tiranno, era stata promessa in sposa a un suo alleato. La fanciulla, che si era convertita al cristianesimo e aveva promesso a Cristo la sua verginità, passò la notte precedente al matrimonio implorando Dio di impedire la cerimonia e, la mattina seguente, il suo volto si ricoprì di una folta barba. Quando il promesso sposo la vide, rifiutò il matrimonio e ripartì per le sue terre.

Il re, chieste spiegazioni alla figlia che gli confessò l’intervento divino, decise che fosse messa a morte come il suo Dio, crocifissa. La leggenda vuole che la santa, prima di spirare, donasse una sua scarpina d’oro a un violinista povero che stava vicino a lei. Questa figura ha preso il nome di Santa Vilgefortis (che potrebbe derivare dal latino virgo fortis), ma è nota anche con molti altri nomi. Venne per molti secoli venerata come una presunta Beata Vergine non canonizzata come santa, cui fu dedicato un giorno di festa nel Martirologio romano, il 20 luglio, come la vergine martire Santa Liberata, fino a quando il suo culto fu soppresso dal Concilio Vaticano II nel 1969 e rimossa dalla lista dei santi.

Scultura lignea di Santa Vilgefortis

Ballad of Genesis and Lady Jaye

Genesis P-Orridge è stato una della figure più innovative della musica e dell’arte degli ultimi 30 anni, un ponte tra l’era pre- e quella post- punk. Fondatore dei gruppi COUM Transmissions, Throbbing Gristle e Psychic TV a partire dal 2000, Genesis ha iniziato a sottoporsi a una serie di interventi chirurgici per assomigliare quanto più possibile a sua moglie, Lady Jaye, partner artistica per 15 anni. Questo è stato il suo più forte atto d’amore e la sua più rischiosa e ambiziosa performance: il divenire una lei, la sua lei, come espressione della propria arte, cui egli stesso ha dato il nome di Creating the Pandrogyne. Dal 2003 le loro performance chiamate Breaking sex hanno avuto come oggetto l’unione e il superamento dei sessi per arrivare, tramite la chirurgia cui entrambi si sono sottoposti, ad assomigliarsi per essere un uno fisico. Questo percorso creativo è stato narrato anche in un documentario della regista Marie Losier nel 2011 dal titolo Ballad of Genesis and Lady Jaye.

Genesis P-Orridge e sua moglie Lady Jaye

Per approfondire

- www.genderqueer.com

- www.chloeaftel.com

- Il Foglio, edizione del sabato, 24 gennaio 2015

- Evelyne e Maurice Lever, Le Chevalier d’Éon, une vie sans queue ni tête, 2009

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