DE CAROLIS, Adolfo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE CAROLIS (De Karolis), Adolfo

Maria Flora Giubilei

Nacque il 6 genn. 1874 a Montefiore dell'Aso (Ascoli Piceno) da Gioacchino, medico condotto, e da Ester Pompei; iniziò gli studi nel 1881, proseguendoli nel seminario di Ripatransone (1886) e presso il ginnasio statale di Fermo (1887). Tra il 1888 e il 1892 fu allievo di D. Ferri all'accademia di belle arti di Bologna; ottenuto il diploma, nel 1892 il Collegio dei Piceni gli conferì una borsa di studio per frequentare a Roma la scuola di decorazione pittorica del Museo artistico industriale (dalla quale si licenziò con medaglia d'oro nel 1893), sotto la guida di D. Bruschi e, in particolare, di A. Morani (con Morani collaborò alle terrecotte della villa Blanc a Roma). Strinse amichevoli rapporti con gli artisti del cenacolo "In arte libertas", che si riuniva a Roma intorno a Nino Costa - suo amico - sulla scorta di sollecitazioni preraffaellite attentamente recepite: accolto ufficialmente in seno alla società nel 1897, esordì in quell'anno con due oli (Primo vere, Zurigo, coll. Maggi e Narcissus poëticus, Treviso, coll. priv.) alle mostre annuali del gruppo, dove espose fino al 1901.

Si tratta di opere pienamente legate alle poetiche costiane nell'evidente timbro quattrocentesco della soluzione creativa; ma il segno vi assume fluenze e scioltezze, increspature e avvolgimenti spiraliformi assolutamente originali (cfr. anche i disegni preparatori - Roma, coll. priv. - con lumeggiature a biacca, approntati per il primo quadro [Piantoni, 1972]; o, ancora, Studio per una Primavera, Treviso, coll. eredi De Carolis), una linea di chiara impronta liberty e simbolicamente evocativa, sulla scia di un Segantini e di un Previati.

Allo stesso clima e al medesimo anno, pervasi da un'assorta e distaccata malinconia, appartengono la tempera Ritratto della signora Lina (Treviso, coll. eredi De Carolis: Dania-Valentini, 1975, p. 1333 tav. 5) - quella Lina Ciucci che l'artista sposerà nel 1901, sua modella preferita, oltre che destinataria di un interessante carteggio (conservato presso gli eredi, in parte pubblicato, ibid., pp. 45-49) - e la Primavera (c. 1896, guazzo-tempera, Treviso, collez. priv.: ibid., p. 100, fig. 5), un busto femminile d'ispirazione botticelliana con chiome medusee che suggella, con la firma "opus magistri A. De Carolis de Matilica A. D. MCCCCLXXIV", espliciti riferimenti al Rinascimento fiorentino.

Tra gli anni 1897 e 1904 il D. si cimento nella decorazione pittorica con stucchi di villa Brancadoro a San Benedetto del Tronto, completata da un camino con ceramiche policrome e affrontata con profusione di figure e di freschi elementi fitomorfi: affascinante è il soffitto della sala da pranzo, per la presenza magica di personaggi mitici, splendenti nella loro piatta bidimensionalità, quasi ritagliati contro un empireo di nubi dalle concentriche striature orientaleggianti.

Notevole, poi, tutta una serie di piccole opere (oli, acquerelli, pastelli, tempere, tecniche miste e disegni), che, variamente datate tra il 1892 e il 1928, accolgono soggetti paesaggistici, agresti e marini, spesso d'innegabile intonazione pascoliana: del resto, risale alla fine dell'anno 1900 il primo incontro dei D. con il poeta delle Myricae per il quale aveva disegnato ed eseguito un pomo in argento e la targhetta per il bastone, dono degli amici del Marzocco (oggi nel museo di casa Pascoli a Castelvecchio di Barga). Molto vicini alla produzione del Morani, sono connotati dapprima da un fare sintetico e spumoso, quasi evanescente nello slontanare dei piani, espressioni di spazi profondi appena suggeriti (cfr. Paesaggio con fiunze, 1892, olio, Roma, coll. priv.; idem, 1895, olio, Grottammare, Ascoli Piceno, coll. Sgattoni; Mandorli, 1895, tempera; Le ginestre, 1896, olio, coll. eredi De Carolis: in Dania-Valentini, 1975, pp. 129, 131, tavv. 1-3). Poi, anche in questi frammenti di sapore impressionistico, il segno diviene più fluente per distendersi in idilliche e pacificate- visioni alla Puvis de Chavannes (Tramonto, 1905, pastello, Roma, coll. Tranquilli: ibid., p. 143, tav. 10). Riferimento culturale, questo, che affiora nell'atemporale purezza di molte figure decarolisiane, nelle quali si ravvisano anche preziosismi illustrativi di tono "bizantino-quattrocentesco": è il caso di La donna della fontana (1898, tempera, Roma, coll. priv.: ibid., p. 101, fig. 16), superba immagine femminile presentata alla Biennale veneziana del 1899. Né si staccano L'angelo azzurro tra i cipressi (1899, acquerello, tempera e oro, Treviso, coll. eredi De Carolis: ibid., p. 139, tav. 8), che svela suggestioni boeckliniane; lo Studio di Madonnina (1898, olio, Treviso, coll. priv.: ibid., p. 102, fig. 17), segantinianamente materico nel suo carattere bozzettistico; l'opera Laudata sii per la bella luce che desti in terra, dai sostanziosi rabeschi d'oro, con la quale il D. sì aggiudicò il primo premio al concorso Alinari del 1899-1900; il Concerto (1901, olio, Trento, coll. Calderari: ibid., p. 1043 fig. 19), esposto alla IV Biennale, che ribadisce una tensione pienamente preraffaellita, alla Burne Jones, alla Rossetti, nei tipi androgini degli angeli, dai volti quasi febbricitanti; le variazioni sul tema delle Danaidi e Le Castalidi (1905, tecnica mista, Roma, Gall. naz. d'arte mod.).

Sono anni importantì per il D.: con una serie di bozzetti (Pistoia, coll. Risaliti-Valiani) partecipò al concorso Alinari (1900-1902) per una nuova edizione illustrata della Divina Commedia; si trasferì nel 1901 a Firenze, dove prese ad insegnare ornato all'accademia; elaborò nel 1900 il manifesto iniziale della rivista Marzocco (cfr. tra gli altri anche quelli della VIII Esposizione internazionale d'arte di Venezia [1909], della Fiera esposizione di cavalli [1910], dell'Esposizione industriale di Torino [1911]). Nacquero l'amicizia e la collaborazione con D'Annunzio - testimoniata da una fitta corrispondenza - e si rafforzò il legame con Pascoli: le illustrazioni commissionategli dall'"imaginifico" nel 1901 per la Francesca da Rimini - completate dal manifesto e dagli studi per le scenografle teatrali - inaugurano, quindi, una proficua stagione di incisioni per i tipi dei F.lli Treves di Milano, conclusasi nel 1917con il Notturno.

E proprio il capitolo dannunziano si costituisce come momento d'intensa e originale creazione, prendendo le mosse da posizioni liberty-preraffaellite con quell'ampia, leggera e pur sostenuta sferzata curvilinea che pone come Leitmotiv delle immagini per la Francesca. Poi, nella Figlia di Vorio (1903; del 1906 sono le scenografie teatrali e il manifesto per la Casa Ricordi), il D.approda ad un segno, sì fluente e continuo, ma indurito e semplificato dalla tecnica xilografica: ne deriva una spiccata propensione di richiamo secessionista per netti contrasti di bianchi e neri, che coagulano visioni agresti e domestiche in momenti di arcaico sapore omerico. Mito che ancora informa, seppure cristallizzato in ghirigorare calligrafico e fiabesco, l'à plat della Fedra (1907; preceduta nel 1905 dalla Fiaccola sotto il moggio), il cui segno concreta in cadenze bistolfiane ora la feriffità, ora la limpidezza del primordio. Né sono da dimenticare le illustrazioni per i quattro libri delle Laudi (Maia, 1907; Elettra, 1908; Alcione, 1911; Merope, 1912), che trovano nel coevo volgersi del D. a un sintetismo plastico di ascendenza michelangiolesca la sostanza della loro forza simbolica. Il momento conclusivo, e forse il più alto, della fruttuosa collaborazione tra il poeta e l'artista, è tuttavia da ricercarsi in quattro francobolli - "capolavori" nella sintesi di forma e contenuto - emessi per celebrare nel 1920 l'impresa di Fiume, dei quali il D. eseguì i bozzetti attenendosi alle indicazioni dello stesso D'Annunzio (Zeri, 1980, p. 298, ill- 361-364).

Non meno importante, per quanto diverso, il rapporto d'amicizia con Pascoli (o quello con Angelo Conti): spesso il D. creava. autonomamente le numerose copertine, i fregi, e i capilettere per il mondo profondamente umano e sottilmente simbolico del poeta. È proprio l'abilità a sintetizzare, a rendere l'idea dominatrice assoluta delle sue opere che emerge come fattore vitale di questa produzione: a cominciare da Mirabile visione (1901) e, poi, I primi poemetti (1904), Odi e inni (1906), Nuovi poemetti (1909), Carmina (1914), Poemi italici e le Canzoni di re Enzio (1920), tutti editi da Zanichelli di Bologna. Vi si ritrova la forza espressiva dell'emblema cinquecentesco, la capacità catalizzatrice del messaggio, concentrato in pochi elementi significativi nella voluta semplicità e immediatezza. E anche nelle ultime illustrazioni, a piena pagina, il D. ci dà esemplari di grande maestria, traduzioni formicolanti della dimensione affrescata, matasse di filamenti che affiorano alla superficie dei legni xilografici appiattendo la tensione muscolare e la piasticità delle figure michelangiolesche in una serie di forme "tatuate" (Barilli, 1977) d'impronta classico-mitologica. Nel 1903 il pittore espose ad una personale alla Soc. promotrice di belle arti di Firenze e alla Biennale veneziana con Verba amatoris ad pictorem; illustrò le Fiale di Govoni; a seguito dell'amicizia con R. Papini approdò alla rivista fiorentina Leonardo, con incisioni per la testata fissa e le pagine interne (4 genn. 1903 - novembre 1904; fu sostituito nella nuova serie da G. Costetti) ed una serie di interessanti scritti darte che lo confermano teorico consapevole, lucido e aggiornato (cfr. Dania-Valentini, 1975). Per Il Regno di E. Corradini eseguì testata, copertina, illustrazioni interne e pubblicò brani critici. Rimarchevole inoltre, negli anni 1903-1905, la collaborazione alla raffinata Novissima (Milano-Roma 1901-1911), diretta da E. De Fonseca, e a Hermes (Firenze 1904-1906: il D. coprì tutto l'arco delle pubblicazioni), fondata da G. A. Borgese, per la quale delineò una densa e olimpica copertina e scrisse il saggio L'Arte decorativa moderna (febbraio 1904). Collaborò quindi ad Ebe, rivista chiavarese (1905-1907), dove le xilografle dei D. sono poste a stimolante confronto con quelle di R. Melli. Per terminare la rassegna dei suoi impegni nelle riviste d'arte militanti, ricordiamo l'importante capitolo dell'Eroica, fondata alla Spezia da E. Cozzani nel 1911, di cui il D. fu nume tutelare con la "bella scuola" di xilografia - promuovendo anche la prima Mostra internazionale di xilografia a Levanto nel 1912 - fino alla rottura, ufficializzata dal numero di aprile-maggio del 1914 (p. 151), in nome di un diverso orientamento stilistico imperniato sulla figura di L. Viani (cfr. "L'Eroica", 1981 pp. 21 s.).

Gli impegni numerosi, tuttavia, non lo distolsero dai rapporti con il gruppo artistico toscano della "Giovane Etruria", presentato da Papini, nel 1904 in occasione di una mostra a palazzo Corsini cui lo stesso D. partecipò. Con L. Tomasi, G. Chini, G. Lolli, S. Tofanari, abbelli le sale della Promotrice fiorentina per ospitarvi la, prima Mostra d'arte toscana nel 1905. Di questo anno è Il Ponte delle ore laboriose, momento-clou di sapore nabis, degli affreschi per il villino Regis de Oliveira di Roma (distrutto; per le fotografie si veda Il pittore e il decoratore moderno, s. 1, s. n. t., tavv. LV-LVI). Nel 1907, oltre a decorare la palazzina dell'architetto A. Nanni, in via Nardi a Firenze, iniziò le pitture dei salone del Consiglio provinciale di Ascoli Piceno, terminate nel 1009.

Si tratta di un lavoro di ampio respiro preludio all'impresa bolognese del 1908 - in cui l'artista si misura con gli spazi delle pareti complicando il progetto decorativo del villino de Oliveira; è un fregio orizzontale organizzato in architetture luminose e dilatato dal colore trasparente delle figure. Ai soggetti mitologici, svolti con "domestica solennità" di ascendenza michelangiolesca, ora con un senso di stasi gravitante non priva di malinconici riferimenti all'antico, ora con elastici e leggeri "passi di danza" (cfr. Cavalli del Sole, 1907, tempera, Ascoli Piceno, Pinacoteca civica: evidenti le analogie d'impostazione e di soggetto, ingentilito da una triaggiore levità), si affianca l'affresco del soffitto, intessuto di motivi fitomorfl e nastriformi, prezioso come una pagina miniata e perfettamente integrato nella globale concezione decorativa.

Nel 1907 la Società "Francesco Francia" di Bologna bandì il concorso per il progetto di compimento e di decorazione del salone del podestà: il D. sottopose alla commissione - tra i cui membri si trovavano L. Bistolfi, I. B. Supino, G. Moretti, G. Bacchelli - il suo lavoro contrassegnato dal motto "Savena", curato nella parte architettonica da R. Brizzi, e vinse, nel 1908, il primo premio.

La sua arte, "magnifica", "impetuosa di fervore evocativo, ricca di immagini e sicura nell'unità dell'insieme" (Relazione della commissione giudicatrice del Concorso..., Bologna 1908), riassume alla perfezione la "storia e i fasti della città di Bologna". Nel 1910 l'artista presentò l'elaborato conclusivo e nel 1911, coadiuvato dal fratello Dante, da F. Pasqui, A. Spadini, G. Barbieri (si aggiunse nel 1916 D. Pettinelli), iniziò speditamente i lavori: non mancarono difficoltà di ogni sorta, dai finanziamenti lacunosi al cedimento di alcune strutture approntate per voltare il soffitto, alla cattiva ed eterogenea tenuta degli intonaci, fatto che rese necessario il rifacimento di parti già completate. Alla morte del D. nel 1928, gli affreschi - punto di riferimento, negli anni Venti, per molti artisti - erano pressoché finiti tranne uno, la Presa della rocca di Galliera, terminato dal Pasqui su disegno del maestro. Danneggiato durante la seconda guerra mondiale, il soffitto fu restaurato e in parte rifatto dal Pettinelli; ulteriori problemi di caduta si ripresentarono nel 1969, risolti, dopo un acceso dibattito, con il distacco conservativo degli affreschi della volta (novembre 1972 -gennaio 1973; cfr. Barilli, 1977 e Solmi, 1979: sono attualmente in deposito nel magazzino del restauratore O. Nonfarmale).

L'operazione dei D., grandiosa e coerente "sintesi immaginaria", "fusione degli stili in una visione superumana indifferente, celebrativa" (Solmi, 1979), ribadisce la totale reversibilità e duttilità della sua arte; quella natura di "decoratore", che lungi dall'essere una connotazione negativa, si propone a suo stesso dire come lo stile che rivela ogni grande artista e fonde sotto un eguale segno rivelatore tutte le diverse espressioni artistiche".Tra il 1916 e il 1920 dipinse episodi storici nell'aula magna dell'università di Pisa (distrutti per gli eventi bellici; cff. Monti, 1977). Del 1921 sono i dipinti sulla facciata del palazzetto Veneto (non più esistente) e il progetto di decorazione, mai eseguito, per la chiesa di S. Francesco, entrambi a Ravenna; nello stesso anno partecipò al concorso per le celebrazioni dantesche con una xilografia col ritratto del poeta. Nel 1922 e fino al 1924, coadiuvato nell'esecuzione dal fratello Dante, da B. Boncompagni, e dal Pettinelli, attese alle pitture della sala consiliare della provincia di Arezzo (restaurata dall'arch. G. Paoli): famosi il ciclo, degli Uomini illustri aretini, il Lavoro delle miniere e il Lavoro dei campi. Intanto si trasferì a Roma, per insegnare scenografia e poi decorazione all'accademia di belle arti (1922); nominato accademico di S. Luca (1923), nel 1924 pubblicò a Roma (ed. della Fiamma) il volumetto La xilografia, breve storia della tecnica, attento soprattutto all'operare degli italiani, di Ugo da Carpi in particolare, e poi dei tedeschi (Holbein, Dürer); dipinse ad affresco il Crocefisso per la cappella ai caduti nella collegiata di San Ginesio (Macerata), grandioso albero della vita dai toni essenziali ed arcaici (1924-25). Nel 1925, con U. Oppi, avviò la decorazione della cappella di S. Francesco nella chiesa del Santo a Padova; nel 1926 fu la volta della vetrata e del mosaico per la cappella di villa Puccini a Torre del Lago (Lucca).

L'artista morì a Roma il 7 febb. 1928, senza riuscire a terminare le illustrazioni della collana dei "Poeti greci" edita dal bolognese Zanichelli, per il quale, dopo la serie di volumi pascoliani, aveva ideato nel 1926 le xilografle per i Fioretti di s. Francesco.

Fonti e Bibl.: Per carteggi e scritti vari dei D. si veda: C. Di Marzio, Un carteggio di G. Pascoli, in Coir. della sera, 19 maggio 1939; Id., Lettere di D'Annunzio e D. per le illustrazioni delle tragedie, in Rivista italiana del dramma, 15 luglio 1939, pp. 1-11; S. Zavatti, Lettere inedite di G. Pascoli ad A. D., in Convivium, n. s., I (1947), 5-6, pp. 662-68; Id., Lettere inedite di G. Pascoli, in Il Grido, agosto-settembre 1949; Id., Pascoli inedito (lettere al D.), in Italia che scrive, XXXII (1949), pp. 173 s.; M. Maffi, Le lettere ined. di D'Annunzio a D., in Il Messaggero, 2 apr. 1950; S. Zavatti, Epistolario ined. di G. Pascoli ad A. D., in Nuova Aurora, 16-31 dic. 1950; Id., Lettere ined. di Pascoli al pittore A. D., in Giorn. dell'Emilia, 7 ag. 1951; Id., Sei lettere ined. di G. Pascoli, in Il Paese, 7 genn. 1956; O. Vidolin, Lett. ined. di A. D., in Gazzettino sera, 29-30 maggio 1958; G. Pascoli, Lett. agli amici lucchesi, a cura di F. 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