AEROTECNICA

Enciclopedia Italiana (1929)

AEROTECNICA

Luigi PALLAVICINI

. È quella parte dell'ingegneria che studia l'applicazione dei principî dell'aerodinamica. (v.).

Principî fondamentali della dinamica del volo.

a) Moto uniforme rettilineo. - Le forze in giuoco sono: il peso P applicato al baricentro, la reazione dell'aria F applicata al centro di pressione del velivolo, la trazione dell'elica passante per l'asse di essa, se una sola o la risultante delle varie forze traenti (o propellenti) nel caso di polimotori con eliche distinte.

Tutte queste forze giacciono nel piano di simmetria dell'apparecchio. Possono esistere anche altre forze e coppie, sia nel piano verticale che negli altri due ad esso ortogonali (inerzia, deriva, coppia di reazione delle eliche, ecc.): supporremo per il momento che esse siano nulle, perché consideriamo il volo di regime.

Perché si abbia moto uniforme, occorre che sia nulla la somma di queste forze e nulla la somma dei loro momenti rispetto ad un punto. La rottura dell'equilibrio definito dalla prima condizione produce variazioni alla traiettoria rettilinea percorsa dal baricentro; la rottura dell'equilibrio della seconda, e cioè di quella dei momenti, produce rotazioni dell'apparecchio intorno al baricentro, e cioè variazioni dell'assetto di volo del medesimo.

Ciò come effetto immediato; generalmente però l'alterazione di una delle due condizioni anzidette si ripercuote sull'altra. Esse cioè non sono del tutto indipendenti, ma più o meno collegate, a seconda dei casi.

In generale si può dire che è possibile il volo di regime orizzontale entro limiti abbastanza estesi, con differenti carichi installati a bordo, con differenti trazioni dell'elica e con differenti assetti dell'apparecchio sulla traiettoria.

Consideriamo ora il volo con moto uniforme rettilineo orizzontale, e riferiamoci ad una coppia di assi cartesiani come nella fig. 1.

La reazione dell'aria F si può scomporre in due componenti: Fz: forza portante ed Fz forza resistente, o resistenza all'avanzamento.

La Fz è la risultante di tutte le forze portanti della cellula, della fusoliera, degl'impennaggi, ecc.; di solito la forza portante della cellula è la sola che ha importanza; le altre, per la loro piccola entità, vengono trascurate. Si può quindi scrivere (v. aerodinamica):

dove S è la superficie utile della cellula, V la velocità dell'apparecchio relativa all'aria circostante (quindi la formula vale anche nel caso di vento) e cz. il coefficiente di portanza relativo all'assetto di volo, e cioè funzione (di solito e per un buon tratto funzione lineare) dell'incidenza dell'ala rispetto alla traiettoria.

Fx è la risultante di tutte le resistenze offerte da tutte le parti esposte al vento relativo, e cioè dall'ala (detta di solito resistenza utile) e da tutti gli altri organi, fusoliera, carrello, impennaggi, ecc. (di solito chiamate resistenze nocive). Avremo quindi:

dove cx è il coefficiente di resistenza dell'ala, funzione all'incirca parabolica dell'incidenza, ed r il termine dipendente dal complesso delle resistenze nocive.

Le unità impiegate sono kg., m., sec.; i coefficienti c risultano adimensionali; r è espresso in m2.

Per l'equilibrio delle forze deve aversi:

Le variazioni corrispondenti a una delle due equazioni si ripercuotono in variazioni corrispondenti nell'altra, perchè in entrambe figura la velocità e implicitamente l'assetto di volo, e cioè l'incidenza, che si estrinseca nei due coefficienti cx e cz.

Poiché la forza di trazione non può superare un certo limite, imposto dal massimo della potenza motrice installata a bordo e dal rendimento dell'elica, il secondo membro della prima equazione non potrà superare detto limite. Ad una certa quota, alla quale corrisponde un certo

il valore minimo di cx S + r compatibile con l'assetto dell'apparecchio (cioè con la portanza indispensabile al sostentamento) definirà il valore della velocità massima conseguibile a quella quota.

Analogamente, il secondo membro della equazione, che definisce il sostentamento dell'apparecchio, non potrà mai essere diverso dal peso dell'apparecchio. Ad una certa quota il valore massimo di czS (compatibile con la disponibilità di trazione) definirà il valore della velocità minima.

Vi è quindi interesse a raggiungere:

grandi valori di cxS e piccoli valori di cxS + r agli assetti estremi;

per ciascun assetto.

La prima condizione definisce lo scario di velocità; la seconda la maggiore economia di trazione necessaria ai varî assetti di volo.

Il massimo rapporto

(efficienza aerodinamica, impropriamente coefficiente di penetrazione) definisce l'assetto de] miglior rendimento aerodinamico.

La potenza necessaria al volo orizzontale risulta dal prodotto della trazione per la velocità, e cioè:

Essa cresce col cubo della velocità, ammettendo che cxS + r, come effettivamente si verifica alle piccole incidenze, e cioè nella regione prossima alla velocità max., resti costante al variare di cx.

Dividendo questa equazione per quella del peso ed esprimendo im HP, si ottiene:

Si vede chiara l'influenza della efficienza aerodinamica per ottenere diminuzioni della potenza richiesta o aumenti della velocità.

Oggi si sono raggiunti in pratica dei valori massimi di E intorno a 16 (in media gli uccelli hanno 20); ma in velocità massima non si possono utilizzare negli attuali apparecchi che assetti di efficienza in media fra 5 e 7, mentre la massima efficienza, o gli assetti corrispondenti ad efficienze prossime ad essa, servono per salire, e specialmente per ottenere velocità economiche, cioè per percorrere con il minor consumo di combustibile, le maggiori possibili distanze. Nella equazione (4) figurano una costante (peso P) e tre variabili HP, E, V. Queste due ultime sono legate fra di loro dall'equazione del peso attraverso le caratteristiche aerodinamiche dell'apparecchio. Infatti, perché si abbia volo orizzontale, deve essere ad una certa quota:

da cui:

Le rappresentazioni grafiche di solito impiegate (perché le relazioni analitiche sono troppo complesse e in genere lontane dal vero) per le caratteristiche aerodinamiche si riferiscono a:

separatamente in funzione di i incidenza; oppure cz, in funzione di

(polare fissa dell'apparecchio), e infine

in funzione di cz: (nomogramma Crocco; v. aerodinamica).

È facile, disponendo delle caratteristiche aerodinamiche dell'apparecchio e delle sue dimensioni di superficie e peso, calcolare, col sussidio della (4), la potenza necessaria al volo orizzontale alle varie velocità. È comodo rappresentare graficamente il risultato raggiunto.

Cambiando di quota, cambia nella (2) il valore di

e quindi di queste curve di potenza necessaria al volo orizzontale e alle varie velocità, ve ne saranno tante quante le quote alle quali la navigazione è possibile (fig. 2).

Si dimostra facilmente che ad assetto costante e quindi a parità di efficienza le velocità variano inversamente alle radici quadrate delle densità.

E quindi (dalla (4), nella quale la densità non compare), le potenze necessarie variano come le velocità. A quota infinita la velocità sarebbe infinitamente grande, ma anche la potenza occorrente sarebbe infinita.

La detta proporzionalità inversa ci offre la possibilità di tracciare rapidamente tutte le altre curve di potenza necessaria dopo averne tracciato una. Infatti esse sono omotetiche, con centro nell'origine degli assi e con rapporto d'omotetica

(fig. 2).

La conoscenza di questo fascio di curve è molto utile per la determinazione delle caratteristiche di volo del velivolo.

Sia nota la potenza massima del motore: questa potenza non può essere integralmente utilizzata, perché vi è il rendimento dell'elica: questo rendimento a piena ammissione di gas, varia con la velocità del velivolo e influisce anche sul numero di giri del motore, che, pur fornendo una coppia costante, lavora a potenze diverse; quindi la potenza effettivamente disponibile può essere rappresentata da una curva (fig. 3).

Salendo di quota per effetto della diminuita densità dell'aria, la potenza disponibile diminuisce secondo un coefficiente μ (v. motori) intermedio fra il coefficiente di diminuzione della pressione e quello della densità. Di solito si assume:

dove δ è la densità relativa.

Vi saranno quindi tante curve di potenza disponibile quante le quote (fig. 4).

Consideriamo una coppia di curve di potenza, necessaria e disponibile, ad una certa quota; esse s'intersecano in due punti A e B, corrispondenti a due velocità estreme VA e VB, alle quali la massima potenza disponibile del motore è completamente assorbita.

Il volo orizzontale sarà possibile anche a velocità intermedie a condizione di ridurre la potenza del motore. Vi è una velocità Vc alla quale la potenza richiesta è minima: in questa condizione (o nelle immediate vicinanze) si avrà a disposizione per la salita la maggior esuberanza di potenza. L'asse delle ascisse può essere graduato anche in angoli di incidenza; quindi alla velocità minima VA, alla massima VB e alla velocità di minor potenza corrisponderanno le incidenze ia ic ib decrescenti nell'ordine con cui sono state scritte.

Alla incidenza ic avviene una inversione nella manovra che il pilota deve compiere; infatti, per passare da VB a Vc il pilota aumenta l'incidenza e contemporaneamente riduce la potenza: per passare da Vc a VA, il pilota seguita ad aumentare l'incidenza, ma deve aumentare nuovamente la potenza.

L'incidenza ic costituisce quindi il punto di separazione fra due regimi differenti: il regime rapido, o primo regime, e il regime lento, o secondo regime. Quest'ultimo è di carattere acrobatico.

Dalla (4) si ha:

Ma

e cioè T sarà minimo quando E sara massimo (angolo d'incidenza ottima). Dalla fig. 3 si vede che

è la tg dell'angolo come ϕ, che rappresenta quindi a meno del fattore 75, lo sforzo di trazione. Lo sforzo trattore minimo si avrà dunque per la velocità VD corrispondente al punto di tangenza D. Per questa velocità

è minimo, e cioè è massima l'efficienza aerodinamica.

Per l'omotetia accennata fra le varie curve di potenza necessaria al volo, l'angolo ϕ non dipende dalla quota; e cioè sono indipendenti dalla quota lo sforzo trattore necessario, l'angolo d'incidenza, il rendimento aerodinamico. Crescono invece con la quota a parità di assetto la potenza necessaria e la velocità (inversamente proporzionale alla radice della densità).

Supponendo che il motore conservasse inalterata la sua potenza con la quota e l'elica il suo rendimento, alla quota max. si avrebbe la max. velocità. Si avrebbe infatti:

e cioè:

ossia:

Per determinare le velocità massime e così pure le minime alle varie quote, conoscendo le curve delle potenze disponibili alle varie quote (che differiscono per il coefficiente μ) e le curve delle potenze necessarie alle varie quote (che differiscono fra di loro secondo il rapporto di omotetia

enunciato), è quindi sufficiente ricercare le intersezioni come A e B delle due curve di potenza disponibile e necessaria riferentisi alla stessa quota.

Si vede dal grafico (fig. 4) che la distanza fra A e B, e cioè lo scarto di velocità, diminuisce progressivamente con la quota (perché diminuisce l'esuberanza di potenza) fino a che si arriva ad una certa quota dove le velocità minima e massima si confondono in un'unica velocità che è la sola possibile per l'apparecchio.

Questa quota non potrà essere superata se non alleggerendo l'apparecchio o aumentando la potenza motrice.

In essa il primo e secondo regime si confondono; ciò significa che l'assetto dell'apparecchio è nell'angolo d'incidenza ic per il quale la potenza richiesta è minima. Si badi che questo non è l'angolo ottimo, o di sforzo trattore minimo, o di efficienza aerodinamica max., ma è un angolo alquanto superiore.

La condizione di volo ad angolo d'incidenza ottimo è anche quella del minor consumo di combustibile (velocità economica). Infatti, perché si abbia velocità economica, deve essere minimo il consumo occorrente per percorrere l'unità di distanza, e poiché il consumo è all'incirca proporzionale alla potenza necessaria al volo, e inversamente proporzionale alla velocità, deve essere minimo il rapporto.

Ma dalla (4)

quindi per avere la velocità economica si deve avere E max. e cioè l'angolo ottimo.

Per fissare le idee, è bene osservare la posizione dei parametri di cui si è parlato (incidenza, caratteristiche aerodinamiche, potenza, velocità, ecc.) nelle rappresentazioni grafiche delle figg. 5 e 6.

Esse hanno un semplice valore indicativo; ad es., la velocità min. (fig. 5) è stabilita al punto di cz max. In pratica la velocità minima risulta alquanto superiore (e cioè si effettua ad un angolo d'incidenza un po' minore); si noti inoltre che in volo con motore tale velocità corrisponde al 2° regime. Per non complicare le considerazioni iatte, è stata trascurata l'influenza della inclinazione dell'asse di trazione sull'orizzontale alle varie incidenze; cosa che si traduce in una diminuzione del peso pari a T sen i (favorevole al volo) e dello sforzo di trazione (sfavorevole al volo) pari a T (1 − cos i).

b) Volo in salita e in discesa. - Il volo in salita ed in discesa con motore può essere considerato come un volo orizzontale riferito alla solita coppia di assi cartesiani x z ruotati dell'angolo di salita θ. (fig. 7).

Si ha allora:

Quindi il volo di salita può paragonarsi ad un volo orizzontale in cui il peso è ridotto a P cos θ e lo sforzo di trazione è aumentato di P sen θ. Naturalmente V è la velocità sulla traiettoria.

Questa velocità ammetterà due componenti: una orizzontale Vx = V cos θ, e una verticale o velocità ascensionale Vz = V sen θ.

La potenza occorrente nel volo in salita ad angolo θ sarà:

o anche:

Ricordando la (3), che per il volo orizzontale ci dava:

si vede che la Πnz è maggiore della Πn della quantità P Vz, e cioè, com'era logico aspettarsi, della potenza occorrente al sollevamento, se in una prima approssimazione si ammetta che la V della (3) sia uguale a quella della (3 bis).

Chiamando con Δ Πn questo incremento di potenza necessaria avremo:

Però questo ragionamento non è rigoroso; per l'esattezza occorre osservare che le V delle equazioni (3) e (3 bis) non sono uguali; infatti la prima discende dalla (2) e vale:

mentre la seconda discende dalla (2 bis) e vale:

Quindi la (5) nella sua forma rigorosa dovrebbe essere scritta così:

e sarà bene tener conto di ciò negli apparecchi a forte velocità ascensionale.

Il Δ Πn dato dalla (5) o dall'ultima relazione ora scritta non è che l'esuberanza di potenza; allorché essa è massima, sarà massima la velocità ascensionale, ma l'esuberanza di potenza è massima quando l'apparecchio vola a quell'angolo d'incidenza al quale corrisponde la potenza necessaria minima (o si trovi nelle immediate vicinanze, secondo la forma della curva della potenza disponibile).

Quindi, in via approssimata, la miglior salita viene effettuata a pieno motore, alla velocità di minima potenza e all'angolo d'incidenza (rispetto alla traiettoria) della minima potenza.

In tali condizioni la pendenza della traiettoria di salita è max., e risulta, se si tiene conto della (5) sempre in via approssimativa, dalla

in cui

e V è la velocità di minima potenza in volo orizzontale.

Queste proprietà si conservano tanto quando la salita sia effettuata in prossimità del suolo, quanto a quote più elevate. L'unica differenza consiste nel fatto che la Πn necessaria al volo in quota cresce con

mentre la potenza disponibile diminuisce secondo il coefficiente μ di riduzione della potenza.

Quindi l'esuberanza di potenza va gradualmente diminuendo con la quota, e con essa, in virtù della (5) e della (6), anche la velocità ascensionale e la pendenza della traiettoria di salita.

È ovvio che questi fatti si verificherebbero anche col motore a potenza costante con la quota; soltanto la diminuzione sarebbe molto più lenta, perché originata unicamente dall'accrescimento di potenza necessaria e non dalla diminuzione di potenza disponibile.

Eseguendo i calcoli, si trova che, se Zt è questa quota limite, si può scrivere, chiamando con Vz la velocità ascensionale alla quota Z e con Vzo quella ascensionale alla quota zero:

Sostituendo e integrando, si ha:

tempo occorrente per giungere alla quota Z. Si vede che per giungere alla quota Zt occorre tempo infinito.

Il volo in discesa con motore può essere studiato con le stesse equazioni (i bis) e (2 bis), dove nella equazione di trazione si sostituisca a + P sen θ il valore − P sen θ. Analogamente nella equazione di potenza.

Si potrebbe condurre analogamente a quanto è stato fatto per il volo in salita lo studio per il volo in discesa.

Però questo non presenta che limitato interesse; al più potrà rendersi talvolta necessario calcolare la velocità massima raggiungibile nella discesa verticale a pieno motore per servirsene nei calcoli di robustezza dell'apparecchio.

Il detto volo, di carattere nettamente acrobatico, viene effettuato ad un angolo d'incidenza tale che la portanza sia all'incirca nulla.

Quindi l'unica equazione di equilibrio di forze è la seguente: Trazione + peso − resistenza all'avanzamento, e cioè:

dalla quale si può ricavare la velocità di discesa.

Però la valutazione dello sforzo T è soggetta a grande incertezza; infatti per certi valori della velocità di traslazione in discesa e velocità ridotte di rotazione, l'azione dell'elica non è più propulsiva, ma addirittura frenante e molto superiore all'azione frenante dell'elica ferma (v. elica).

Di solito si preferisce supporre che la velocità di discesa max. sia 1.5 volte quella che si ricaverebbe dalla equazione precedente facendo T = O.

Molto più importante si presenta invece lo studio del volo librato.

Le sue equazioni sono:

Dalla (1 ter) si vede che a motore fermo il volo orizzontale non è possibile.

Dividendo le due equazioni membro a membro si trova:

tg θ dà la pendenza della traiettoria ed è uguale all'inverso dell'efficienza aerodinamica.

La pendenza minima si raggiunge con E max., ossia coll'apparecchio in assetto di angolo d'incidenza ottimo.

Per uno stesso valore di E a cui corrispondono due angoli d'incidenza, uno del primo regime e uno del secondo, si ha la stessa pendenza di traiettoria.

La pendenza di traiettoria, come risulta dall'ultima equazione scritta, è indipendente dalla densità; quindi, mantenendo l'angolo d'incidenza costante, non varia con la quota la pendenza (almeno come primo effetto); varia invece la velocità, come si vede dalla (i ter) in ragione inversa di

La velocità verticale di discesa Vz: risulta naturalmente uguale a V sen θ.

Analogamente a quanto è stato detto nel volo in salita è possibile calcolare il tempo massimo di discesa da una certa quota.

È interessante notare che la distanza percorribile in volo librato è uguale alla quota d'inizio di esso moltiplicata per l'efficienza aerodinamica corrispondente all'angolo d'incidenza a cui il volo librato viene effettuato.

E così la distanza max. sarà uguale all'efficienza max. per la quota d'inizio; ad es., un apparecchio di efficienza max. E = 15 può percorrere, da 1000 m., 15 km. Questa cognizione è molto utile in caso di panne di motore per giudicare prontamente se è possibile giungere al campo d'atterraggio viciniore o no.

Cli elementi del volo librato: pendenza, velocità orizzontale e velocità verticale possono essere rappresentati col diagramma polare della (fig. 8), in cui il raggio vettore rappresenta la velocità e l'angolo di esso la pendenza della traiettoria.

L'impiego del grafico è il seguente. Il raggio vettore, il quale corrisponde alla pendenza minima della traiettoria, viene ad intersecare le curve della velocità orizzontale e in discesa in determinati punti, la cui distanza dal polo, riportata sull'asse delle velocità permettono di leggere i valori di tali velocità. Inoltre, se una delle due curve (o tutte e due) è stata graduata in angoli d'incidenza, si può leggere altresì l'angolo d'incidenza tenuto durante il volo librato. Questo grafico viene di solito tracciato per la quota zero. Per ottenere le velocità vere alle varie quote, basta moltiplicare i valori ottenuti per:

La compilazione di questo grafico può essere teorica e pratica: teorica, partendo, come abbiamo visto, dalle caratteristiche aerodinamiche presunte; pratica, eseguendo diversi voli librati da una quota fissa e misurando le velocità verticali di discesa e quelle sulla traiettoria (o le componenti orizzontali).

La compilazione pratica del diagramma del volo librato è di grandissima utilità. Infatti da questo si può dedurre la curva della efficienza aerodinamica in funzione delle velocità, e in seguito, per mezzo della (4):

la curva pratica delle potenze necessarie al volo, e da questa infine le caratteristiche aerodinamiche effettive dell'apparecchio.

L'utilità di questo procedimento si manifesta specialmente nel caso, non infrequente, che le doti di volo di un apparecchio di nuova costruzione risultino notevolmente peggiori di quelle previste dal calcolo, perché si può subito scoprire se le deficienze riscontrate sono imputabili ad un cattivo rendimento dell'elica o alla presenza dei numerosi organi esposti al vento, che per la loro piccolezza (effetto scala; v. aerodinamica) non si erano potuti riprodurre sul modellino sperimentato alla galleria del vento, o infine a qualche errore di montaggio della cellula (incidenza errata, svergolamenti, ecc.).

Però, per l'esecuzione delle prove pratiche di volo librato occorrono anzitutto piloti abilissimi che, regolandosi sugli strumenti, sappiano tenere costante la pendenza della traiettoria, l'incidenza dell'apparecchio e il numero di giri del motore secondo come deve essere: a proposito di questo ultimo punto occorre notare infatti che l'elica va tenuta durante la traiettoria di discesa in condizioni di trazione nulla.

c) Piano di tangenza. - Studiando il volo orizzontale alle varie quote, si è visto che l'esuberanza di potenza è in continua diminuzione di mano in mano che la quota di navigazione diventa più elevata; questo si verifica tanto nel caso di motore a potenza costante, in cui cioè il coefficiente μ di coppia si mantenga sempre uguale all'unità, quanto nel caso in cui la potenza disponibile diminuisca con la quota (con legge intermedia fra pressione e densità). Infatti, la potenza necessaria al volo cresce con la quota in ragione inversa della radice quadrata della densità; ciò si vede dalla (4)

dove la potenza necessaria a parità di angolo d'attacco è proporzionale alla velocità, e dove quest'ultima è proporzionale a

Quindi, nel caso di motore a potenza costante, l'esuberanza di potenza diminuisce secondo √ρ; nel caso di motore a potenza variabile con μ (ad es. μ = 1.1 ρ − 0.1), l'esuberanza di potenza diminuirà secondo μ √ρ. Con l'esuberanza di potenza diminuisce anche la velocità ascensionale Vz che si è visto essere approssimatamente

Salendo in quota, arriverà un momento in cui Δ Πn = 0; quindi, per quell'angolo d'incidenza, l'apparecchio non potrà più salire, e se l'angolo di incidenza era quello per cui la potenza necessaria al volo era la minima, l'apparecchio avrà toccato la quota massima raggiungibile. Questa quota si chiama quota di tangenza. Poiché la velocità ascensionale praticamente diminuisce linearmente con la quota, il moto di salita sarà ritardato, e per giungere alla quota di tangenza ci vorrebbe un tempo infinito. Per questa ragione si è soliti sostituire alla quota di tangenza teorica una quota di tangenza pratica inferiore alla prima di alcune centinaia di metri.

Normalmente si stabilisce che la quota di tangenza pratica sia quella dove l'apparecchio ha ancora una certa velocità ascensionale: 0.50 m/sec. per piccoli apparecchi, 0.25 m/sec. per apparecchi grandi. Alla quota di tangenza teorica le equazioni di portanza e di potenza sono le seguenti:

dove μ è il rendimento dell'elica, HP la potenza max. del motore a terra; μ ed a sono relativi alla quota di tangenza.

Ma

sostituendo nella seconda delle equazioni scritte, si ha:

e ricavando V dalla prima:

L'equazione precedente può essere scritta più chiaramente così:

Il primo menbro è un numero caratteristico della quota, e una volta per tutte, ammessa la legge di variazione di a, può essere calcolata la

Il secondo membro è il prodotto delle seguenti quantità: peso per cavallo; radice quadrata del carico alare per metro quadrato; inverso del rendimento dell'elica; inverso della quantità E cz.

Per un dato apparecchio, per un dato carico e per un dato rendimento d'elica, la quota di tangenza sarà massima, quando è massimo il prodotto della efficienza aerodinamica per la radice quadrata del coefficiente di portanza che si ha a tale efficienza.

È facile vedere che ciò si verifica per quell'angolo d'incidenza per cui la potenza necessaria al volo è minima.

Infatti, sostituendo nella (4)

il valore della velocità necessaria al volo orizzontale ricavato dall'equazione di portanza, si ha:

In questa equazione, le sole variabili essendo HP, cz, E, si ha che HP sarà minimo quando E cz è massimo.

La quota massima raggiungibile non si ottiene dunque all'angolo d'incidenza ottimo, ma ad un angolo un po' maggiore, e dove lo sforzo di trazione è più grande del minimo. Si osservi inoltre che, a parità di altre condizioni, non basta avere valori elevati dell'efficienza massima, per raggiungere quote elevate, quando il tipo d'ala usato difetti di caratteristiche portanti.

A parità di E cz la quota di tangenza è proporzionale al rendimento dell'elica e inversamente proporzionale al peso per cavallo e alla radice del carico alare per metro quadrato.

È evidente l'influenza preponderante del peso; esso infatti figura nella equazione scritta alla potenza 3/2, mentre la potenza, il rendimento dell'elica e l'efficienza aerodinamica figurano alla potenza 1, e infine la superficie alla potenza ½.

Questo spiega come apparecchi molto caricati a metro quadrato (e quindi velocissimi) possano raggiungere ugualmente delle quote molto elevate.

Abbiamo ricavato la quota di tangenza partendo dall'equazione di potenza; vi sono però altri tre metodi d'indole pratica, che sono normalmente usati per determinare la quota di tangenza.

Il primo si fonda sulla misura delle velocità ascensionali, che viene effettuata durante la più rapida salita fino ad una certa quota inferiore a quella di tangenza. La detta misura può essere effettuata, perché dalla curva barografica opportunamente corretta per tener conto della variazione degli elementi atmosferici, curva barografica che è la curva di salita dell'apparecchio in funzione del tempo, si possono ricavare i tempi successivamente impiegati per superare dislivelli, ad esempio, di 500 m. e quindi le velocità ascensionali medie durante i dislivelli suddetti. Si trova praticamente che le velocità ascensionali diminuiscono linearmente con la quota, quindi, prolungando la retta delle velocità ascensionali (o estrapolando la curva delle velocità ascensionali nel caso che non sia una retta) fino al punto Vz = 0, si trova immediatamente la quota di tangenza. Di solito questa operazione viene fatta graficamente tracciando il diagramma cartesiano delle Vz disponendo le Vz sull'ascissa e le Z sull'ordinata.

Il secondo sistema potrebbe consistere nel misurare le velocità massime e minime (del 1° e 2° regime) a tutta potenza e a diverse quote: per esempio di 1000 in 1000 metri.

Tracciando un diagramma cartesiano di queste velocità (sulle ascisse le velocità e sulle ordinate le quote), si ottengono due rami di curva convergenti verso l'alto. Raccordando le due curve per estrapolazione, la quota di tangenza sarebbe ottenuta tirando la tangente orizzontale; alla quota di tangenza infatti, primo e secondo regime, velocità massime e minime, si confondono nell'unica velocità possibile per il sostentamento.

Il terzo metodo, che forse è il migliore, ed è certamente il più comodo, perché permette di ricavare contemporaneamente altri dati utilissimi, è quello di eseguire a due o tre quote differenti parecchie velocità in volo orizzontale tanto nel 1° quanto nel 2° regime, variando il numero di giri del motore.

Rimane così possibile determinare a quota zero (le misure effettuate ad altre quote servono per controllo) la velocità di minima potenza e contemporaneamente il valore della detta potenza minima.

Alla quota di tangenza la velocità sarà uguale a quella a quota zero moltiplicata per il rapporto, potenza max. a potenza minima. Nota così la velocità alla quota di tangenza e quella di minima potenza a terra, si ha subito il rapporto

e quindi la quota di tangenza relativa.

Questo sistema, schematicamente descritto, ha bisogno di due parole d'illustrazione. Esso presuppone anzitutto che il rendimento d'elica si mantenga costante tanto a terra quanto alla quota di tangenza. Orbene, se l'angolo d'incidenza è lo stesso a terra e alla quota di tangenza, e che debba essere così l'abbiamo dimostrato, il rendimento d'elica si mantiene effettivamente costante.

Dalla teoria delle eliche sappiamo che lo sforzo di trazione è:

dove D = diam. elica, n = numero giri, τ = coeff. di spinta.

Ma

quindi

a qualunque quota.

E poiché è per definizione (v. eliche)

si ha:

Se l'angolo d'incidenza non varia, il 2° membro è costante a qualunque quota, e quindi

è costante. Ma τ coefficiente di spinta è funzione del solo γ e di tal natura che τ e γ si mantengono in conseguenza costanti con la quota. E poiché il rendimento η è anche esso funzione del solo γ (come pure il coefficiente di potenza χ), esso avrà l'identico valore tanto in quota quanto a terra.

Inoltre la potenza occorrente per far girare un'elica è data da:

A quota zero nel volo a minima potenza, la potenza assorbita sarà:

dove χ sarà lo stesso del precedente per la dimostrata costanza di γ.

Dividendo membro a membro, si ottiene:

Inoltre:

quindi:

e sostituendo nella precedente:

Ma sappiamo che

quindi:

il che giustifica il procedimento anzidescritto.

d) Grafico caratteristico di un velivolo. - Le principali caratteristiche fin qui esaminate possono essere messe in evidenza in un unico grafico, dove sulle ordinate si rappresentano le quote e sulle ascisse le altre quantità che variano con la quota, e precisamente: densità relativa ρ; coefficiente di riduzione della potenza μ; potenze necessarie al volo orizzontale e varie incidenze; potenze disponibili; esuberanze di potenza; velocità verticali della più rapida salita; velocità verticali della più lenta discesa; velocità orizzontale massima; velocità orizzontale economica, velocità orizzontale di minima potenza; velocità orizzontale minima (2° regime); tempi di salita, ecc.

Possono inoltre essere rappresentate la quota del piano tangente teorico e di quello pratico, le pendenze della traiettoria di più rapida salita e della più lenta discesa, ecc.

e) L'autonomia del velivolo. - Il motore, sviluppando potenza, consuma olio e benzina.

Dividendo il consumo orario per il numero degli HP sviluppati, si ha il Consumo specifico di olio e benzina separatamente, o globalmente. Il detto consumo specifico di solito s'indica con c ed è espresso in gr./HP ora. Il consumo specifico non è costante (v. motori), ma varia a seconda delle varie aperture che si possono dare al carburatore; di solito cresce con la diminuzione di apertura. Ma anche a totale apertura dei carburatori esso è funzione del numero di giri del motore, per quanto queste variazioni siano piuttosto lente (ad es., per il motore Asso 500 HP il consumo specifico di benzina a piena ammissione varia da 215 a 230 gr. HP ora). Altrettanto avviene con le variazioni di quota, dove, a parità di HP effettivi sviluppati (e cioè tenendo nel debito conto il coefficiente μ), il consumo specifico cresce lentamente con la quota.

Ciò premesso, si vede che due elementi fondamentali per l'autonomia sono il carico consumabile e il consumo specifico. Altri elementi fondamentali saranno evidentemente la potenza necessaria al volo nelle migliori condizioni e il rendimento dell'elica.

Passiamo quindi a calcolare il consumo di combustibile per l'unità di distanza, ad es. 1 chilometro.

Nella (4):

esprimendo la V in km/ora, si ha:

HP è la potenza necessaria al volo, per produrre la quale il motore dovrà sviluppare una potenza η HP, dove η è il rendimento dell'elica.

Nell'unità di tempo il consumo sarà quindi

e in questo tempo l'apparecchio avrà percorso V chilometri.

Se indichiamo con K il consumo/km., avremo:

Ma, come si è visto dalla (4):

quindi:

dove si vede che per ottenere con un dato peso di apparecchio il minor consumo chilometrico, occorre avere minimo il consumo specifico, massimo il rendimento dell'elica e massima l'efficienza aerodinamica, e cioè volare all'angolo ottimo (sforzo di trazione

minimo).

Nella equazione scritta non figurano né la velocità né la quota di navigazione. Esse infatti sono implicitamente contenute in c ed E; in c, inquantoché esso dipende dalla quota; in E, inquantoché esso è connesso con la velocità e con la quota attraverso l'equazione di portanza del volo orizzontale. Si può notare che, restando E costante, anche il rendimento dell'elica resta costante.

Supponendo che il consumo specifico non varî con la quota (il che, come si è osservato, non è molto distante dal vero), il consumo/km. è indipendente dalla quota di navigazione; soltanto la velocità di crociera è maggiore in ragione di

e si risparmia tempo.

Avendo a bordo un carico B di combustibile, relativamente piccolo rispetto al peso totale dell'apparecchio, tale cioè che siano trascurabili le diminuzioni di consumo/km. per effetto del progressivo alleggerirsi dell'apparecchio, si avrà che la massima autonomia S sarà data da

e cioè:

ad es. per P = 1500 kg.; B = 200 kg.; c = 0.230 kg/HP per ora η = 0.7; E = 10 si ottiene S = 1175 km.

Se invece il carico di combustibile costituisce una rilevante frazione del peso totale del velivolo, l'equazione precedente va posta sotto la forma differenziale ed integrata.

A calcoli fatti si trova:

dove con P si è indicato il peso in partenza e con Pα il peso in arrivo. Nell'esempio precedente essendo

si otterrebbe per S = 1245 km. invece di 1175.

Dall'equazione precedente si vede che l'autonomia dipende esclusivamente dal rendimento dell'elica, dall'efficienza aerodinamica dell'apparecchio, dal consumo specifico del motore e dal rapporto fra peso in partenza e peso in arrivo, mentre è indipendente dalla quota di navigazione (ammesso che il consumo specifico non varii con la quota) e dalle dimensioni dell'apparecchio. Praticamente però si riscontra essere maggiormente difficile raggiungere forti valori del rapporto

in apparecchi grossi che in apparecchi piccoli per il maggior peso percentuale delle strutture resistenti.

Il peso per metro quadrato non ha teoricamente influenza, ma praticamente sì: infatti a parità di

è molto più difficile far decollare un apparecchio a velatura molto caricata che uno mediocremente caricato, perché il primo ha bisogno di una velocità maggiore del secondo per staccarsi dal suolo; il secondo avrà velocità economiche inferiori al primo.

Anche il peso per cavallo, per quanto non compaia nella formula, ha grande influenza nell'autonomia conseguibile da un velivolo. Nei fatti, piccolo peso per cavallo facilita il decollaggio, ma danneggia l'autonomia; questo si estrinseca attraverso il consumo specifico c che, come si disse, è fortemente variabile col grado d'ammissione; il consumo specifico è minimo in prossimità della maggiore ammissione, quindi quanto maggiore sarà l'esuberanza di potenza occorrente per il decollaggio, tanto maggiore sarà il consumo specifico e tanto minore l'autonomia.

Quanto si è detto finora nei riguardi dell'autonomia presupponeva calma di vento, condizione questa ben difficilmente realizzabile. Supponendo di aver vento contrario, la condizione di massimo percorso sarà ancora realizzata quando si abbia lo sforzo di trazione minimo, e cioè minimo il rapporto

in cui V è la velocità relativa al suolo e cioè risultante della differenza fra la velocità del velivolo rispetto al vento e la velocità del vento.

Ciò equivale nella rappresentazione grafica delle potenze necessarie al volo orizzontale (assi HP e V) a spostare l'origine della V di una quantità uguale alla velocità del vento e, da questa nuova origine, tirare la tangente alla curva delle potenze necessarie al volo orizzontale alla quota di navigazione (fig. 9).

Nel caso di bombardamento, in cui dopo un tratto di percorso S1, l'apparecchio si alleggerisce del carico C di bombe e deve compiere un tratto S2 per il ritorno, il carico B1 + B2 di combustibile sarà dato

per il ritorno da:

e per l'andata da:

f) Stabilità del velivolo. - Se per una causa accidentale un velivolo varia improvvisamente il suo assetto in volo, variano le reazioni aerodinamiche che si sviluppano alla velocità V di marcia del velivolo. In generale dette reazioni variano non soltanto come intensità, ma anche come posizione. Pertanto, prima di esaminare i varî problemi riguardanti la stabilità del velivolo, occorre rendersi conto della natura delle variazioni suddette.

Consideriamo quindi un aeroplano e rappresentiamo le reazioni aerodinamiche F rispetto ad una coppia di assi cartesiani fissa al velivolo stesso; si ottiene così una serie di raggi vettori, i cui estremi cadono su una curva chiamata polare mobile, o relativa.

La rappresentazione prima adoperata, che dava origine alla polare fissa o semplicemente polare, partiva da una coppia di assi fissa nello spazio, nella quale, cioè, l'asse x giaceva sempre nel letto del vento; ora invece l'asse x si sposta angolarmente nel piano verticale insieme con l'apparecchio (figg. 10 e 11).

La polare mobile, analogamente a quanto si fa con la polare fissa, può essere graduata in angoli di incidenza i. Consideriamo un'incidenza generica i ed un' altra ad essa infinitamente vicina i + d i. Le due risultanti aerodinamiche siano F ed F′. La variazione intemenuta nel passaggio dalla risultante F a quella F′, come risulta dalla figura, è evidentemente dovuta alla forza incrementale d F che, per variazioni abbastanza piccole, può confondersi col piccolo arco di polare mobile d i od anche con la tangente in A.

Poiché le variazioni dei valori di

sono sempre abbastanza prossime a quelle di c2, si potrà scrivere:

od anche:

ma

è quello che si chiama il gradiente di portanza, e cioè l'incremento del coefficiente di portanza per una variazione infinitesima di incidenza; dato l'andamento del coefficiente di portanza sensibilmente lineare coll'incidenza per i normali angoli di volo, e cioè nel campo del 1° regime, il gradiente di portanza si può ritenere costante. E siccome abbiamo ammesso che le variazioni di assetto dell'apparecchio siano brusche perché dovute a cause accidentali e cioè tali che la velocità dell'apparecchio non abbia tempo di cambiare, così si può concludere che le variazioni d cz siano sensibilmente proporzionali alle variazioni d i di incidenza.

Le linee d'azione delle forze incrementali d F si chiamano rette metacentriche.

Abbiamo quindi due fasci di rette: uno è quello delle rette metacentriche; l'altro è quello delle risultanti.

Esaminando un apparecchio durante una rotazione nel suo piano verticale di simmetria (beccheggio), abbiamo quindi una risultante F che cambia posizione secondo il fascio delle risultanti e di intensità secondo il fascio delle rette metacentriche; e cioè l'intensità della risultante successiva deriva dalla composizione geometrica della risultante precedente con una forza incrementale metacentrica di intensità proporzionale all'incidenza e di linea d'azione definita dalla retta metacentrica corrispondente.

La curva inviluppo delle risultanti secondo i varî angoli di incidenza si chiama curva metacentrica (fig. 12).

Pertanto l'equilibrio longitudinale di un apparecchio è definito: dalla polare mobile, dalla curva metacentrica e dal fascio di rette metacentriche.

La polare mobile ci definisce l'intensità e la direzione delle risultanti e l'intensità e la direzione delle forze incrementali metacentriche. La curva metacentrica ci definisce le giaciture delle risultanti. Le rette metacentriche ci definiscono le giaciture delle forze incrementali metacentriche.

Di queste, con quanto si è visto sin qui, sappiamo tracciare soltanto la polare mobile, che è facilmente ricavabile dalla polare fissa (fig. 10). Per ricavare le altre e cioè la curva metacentrica e il fascio di rette metacentriche, occorre conoscere sperimentalmente il fascio delle risultanti dell'apparecchio.

Infatti la curva metacentrica teoricamente risulta immediatamente come inviluppo delle risultanti; essa può essere graduata in angoli di incidenza; da ogni incidenza riportata sulla curva metacentrica si possono tirare le parallele alle tangenti alla polare mobile in corrispondenza delle incidenze omologhe, e queste sono appunto le rette metacentriche.

La ricerca del fascio delle risultanti viene eseguita al tunnel aerodinamico, mediante la cosiddetta misura delle coppie (v. aerodinamica).

Però l'operazione di tracciamento della curva metacentrica e del fascio di rette metacentriche risulta in pratica molto difficile e laboriosa, anche perché molto spesso la curva metacentrica presenta delle cuspidi di tracciamento difficile ed incerto. Si preferisce pertanto ricorrere al metodo della curva dei coefficienti di momento, dovuto al capitano del Genio navale ing. A. Rota.

Se (fig. 13) si impernia l'ala (o l'apparecchio), ad es. nel punto A, la risultante F, relativa ad una certa incidenza, darà luogo ad un momento M = F b dove:

e cioè:

Se l è una dimensione fissa dell'apparecchio, p. es. l profondità dell'ala, potremo sempre porre la condizione:

e perché sia soddisfatta questa equazione basterà attribuire a volta a volta dei valori opportuni a cm e cioè:

Poiché b ed l sono due misure di lunghezza, cm, sarà come c un coefficiente adimensionale. Questo è chiamato il coefficiente di momento. Sostituendo nell'espressione del momento più sopra scritto, avremo:

Unitamente alla polare, sia essa fissa o mobile, si potrà dunque tracciare la curva dei cm, che è funzione della sola incidenza.

Differenziando l'equazione precedente avremo:

Ma d'altra parte (fig. 15), chiamando co la distanza del punto A dal punto D in cui si verifica la forza incrementale metacentrica d F, avremo:

Poiché, passando l'altra componente dFt per il punto A, essa ha momento nullo.

Ed in armonia alla (19):

si ha anche:

ed eguagliando le (22) e (23) si ha:

la quale ci permette la costruzione delle rette metacentriche. Infatti (fig. 15), portata in A B′ la profondità dell'ala l e conducendo da B′ la parallela alla tangente alla curva dei coefficienti di momento cm relativa all'incidenza i, resta individuato un punto D tale che:

ossia la retta metacentrica m passa per D, ed essendo parallela alla tangente in i alla polare mobile (fig. 14), essa è perfettamente definita.

Se abbiamo anche il fascio delle risultanti F, l'intersezione M della retta metacentrica colla risultante ci dà la posizione del metacentro e cioè di un punto generico della curva metacentrica.

In questo modo, partendo dalla polare mobile e dalla curva dei coefficienti di momento, si può disegnare il fascio delle rette meta- centriche e, disponendo pure del fascio delle risultanti, anche la curva metacentrica.

In quanto si è detto fin qui, per amore di semplicità non si sono fatte distinzioni fra ala isolata e apparecchio completo. In realtà, se all'ala isolata aggiungiamo delle resistenze nocive, che cioè non producono portanza, la polare mobile e per conseguenza la curva metacentrica, risultano modificate. E precisamente la polare mobile viene a deformarsi nel senso che le resistenze nocive si aggiungono nella direzione del vento relativo (e cioè la polare mobile si allarga a ventaglio) e la curva metacentrica cambia di forma e posizione; invece il fascio delle rette metacentriche praticamente rimane lo stesso. Se ne conclude che le rette metacentriche sono il luogo dei metacentri dell'apparecchio al variare delle resistenze nocive aggiunte.

Consideriamo dunque un apparecchio in equilibrio sotto l'azione delle solite tre forze T (trazione) P (peso) F (risultante) passanti tutte per il baricentro G (fig. 16); la risultante F passa inoltre per il metacentro M ed è tangente alla curva metacentrica in detto punto. Per un improvviso aumento di incidenza si genera la forza d F passante per il metacentro M e della quale la linea d'azione è la retta metacentrica m. Nascerà un momento d M uguale alla forza d F moltiplicata per il braccio c. Se la curva e la retta metacentrica sono come in figura, il momento d M tenderà a far picchiare l'apparecchio e cioè ad opporsi al movimento di cabrata che aveva originato la forza d F. Cioè, in questa condizione l'apparecchio è stabile inquantoché anche senza che il pilota intervenga col comando di profondità, l'apparecchio ripristina da sé la primitiva posizione. Se invece il baricentro si fosse trovato dietro la retta metacentrica, il momento d M avrebbe avuto senso contrario e cioè all'accidentale aumento di incidenza si sarebbe aggiunto un ulteriore aumento di incidenza il quale a sua volta avrebbe provocato un ulteriore momento d M e così via. L'apparecchio quindi, se il pilota non intervenisse col timone di profondità, si sarebbe cabrato fino a rovesciarsi. Se la rottura occasionale dell'equilibrio fosse stata invece una diminuzione di incidenza, si sarebbe verificato ugualmente il rovesciamento, ma nel senso opposto e cioè della picchiata.

Pertanto la stabilità longitudinale di un apparecchio dipende dalla posizione relativa del baricentro e delle rette metacentriche, e può definirsi quella attitudine del velivolo a riprendere automaticamente la posizione dell'equilibrio che accidentalmente fosse stata alterata. La stabilità longitudinale teoricamente può essere totale, ed in tal caso, a qualunque assetto di equilibrio si trovi il velivolo, esso tende a rimanervi senza intervento del pilota, oppure parziale e cioè vi sono assetti di volo in cui il pilota deve intervenire con azioni sui comandi in armonia alle rotture di equilibrio.

La distanza del baricentro dalle rette metacentriche ci fornisce un indice di stabilità, perché quanto essa sarà maggiore, tanto più energicamente l'apparecchio tenderà a riacquistare la posizione primitiva.

Questo indice di stabilità può essere così espresso:

Ricordando la (23):

dove co era la distanza fra la retta metacentrica ed il punto A di oscillazione, che nel nostro caso si può sostituire col baricentro, si può scrivere:

dove c è appunto l'indice di stabilità. E se vogliamo riferirci all'unità di peso avremo:

Questa quantità si chiama altezza metacentrica virtuale e perché l'apparecchio sia stabile deve essere sempre positiva. Inoltre rifacendoci anche all'unità di velocità e densità (questo è giustificato dal fatto, che anche per gli impennaggi le reazioni aerodinamiche sono proporzionali ad

si ha:

La frazione del secondo membro (rapporto fra il gradiente di portanza ed il carico a metroquadrato) è costante ai normali angoli di volo in un apparecchio e differisce poco da apparecchio ad apparecchio. Quindi il segmento c può considerarsi non soltanto qualitativamente come indice della stabilità, ma anche quantitativamente. Pertanto lo chiameremo coefficiente di stabilità longitudinale. Normalmente, nella progettazione degli apparecchi, per ottenere una buona stabilità, ma non eccessiva per non rendere troppo faticoso il pilotaggio, si fa in modo di avere per c una lunghezza fra il 6 e l'8% della profondità alare. Altri costruttori assegnano a c un valore compreso fra 10 e 20 cm.

Buoni valori di c si ottengono proporzionando opportunamente gli impennaggi e collocandoli a distanza idonea. A questo proposito occorrono due parole di illustrazione.

Nelle normali costruzioni, il baricentro dell'apparecchio risulta in genere ad 1/3 della profondità dell'ala. Il fascio di rette metacentriche, che per i normali angoli di volo risulta abbastanza compatto, per l'apparecchio senza impennaggi risulta in media al 20 ÷ 25% della profondità dell'ala. Quindi, a meno di ricorrere a costruzioni specialissime, l'apparecchio senza impennaggi risulta instabile. Invece la presenza degl'impennaggi ha l'effetto di spostare verso la coda, parallelamente a sé stesso, il fascio delle rette metacentriche.

Infatti, (figg. 17 e 18) se

è il gradiente di coefficiente normale dell'impennaggio di profondità, la componente normale della risultante dell'impennaggio stesso sarà:

dove i è l'incidenza dell'impennaggio ed Sp la sua superficie. L'impennaggio ammetterà una sua curva metacentrica, inviluppo delle varie Fnp e quindi delle forze incrementali metacentriche d Fnp. Queste forze composte con le analoghe d Fn originate dalla cellula daranno luogo a risultanti d F* che saranno arretrate di cp rispetto alle precedenti.

L'arretramento cp risulta (fig. 18):

Il valore di Fnp è stato determinato precedentemente: occorre però notare che l'incidenza i è quella assoluta e cioè contata a partire dalla linea di spinta nulla dell'impennaggio. Se vogliamo poi tener conto del fatto che l'aria mossa dalla cellula influisce sull'impennaggio, rendendolo meno efficace, si può introdurre il termine correttivo (1 − ε) in cui ε è una quantità 〈 1 fornita dalla pratica. Si ha allora, effettuando i calcoli:

Da questa equazione si vede che il valore di cp, arretramento del fascio delle rette metacentriche per effetto degl'impennaggi, è indipendente dall'incidenza e dipende invece dal momento dell'impennaggio di coda, rispetto alla cellula, dalla superficie della cellula stessa, dai gradienti di coefficiente normale della cellula e dell'impennaggio, ed infine dal coefficiente ε. In media si può porre 1 − ε = 0,5. Inoltre i gradienti della cellula e dell'impennaggio dipendono dalle caratteristiche dei profili prescelti; di solito gl'impennaggi sono a profilo simmetrico, quindi hanno gradiente minore di quello della cellula; mediamente si può assumere per valore del rapporto dei due gradienti 0,5; quindi la (27) si trasforma nella seguente relazione approssimata:

Se dunque si deve avere, p. es., c = 0,07 l e si verifica co = 0,2 l, poiché, come da figura 17, si ha

sarà:

da cui:

Dalla quale, prescindendo dai coefficienti numerici, che possono avere maggiore o minor valore, in dipendenza anche del grado di stabilità desiderato, si vede che per una certa superficie alare e per una certa profondità alare, per avere piccolo impennaggio, occorre centrare l'apparecchio piuttosto avanti e collocare gl'impennaggi di coda il più distante possibile dalla cellula. Naturalmente non conviene eccedere per non avere apparecchi troppo lunghi. Si osservi l'importanza della profondità alare che figura allo stesso titolo della superficie della cellula, della lunghezza della fusoliera e della superficie dell'impennaggio.

Fin qui non si è fatta alcuna distinzione fra impennaggio fisso e mobile, anzi parlando di impennaggio si è inteso parlare del complesso costituito dal piano fisso e dal timone. Allorquando il pilota, agendo sui comandi, inclina il timone di un angolo τ si produce sull'intero impennaggio un incremento di reazione:

e quindi un momento pari alla forza precedente moltiplicata per lp. Riducendo questo momento all'unità di densità e di velocità, e facendo altre opportune trasformazioni si ha:

che dà la misura dell'efficienza del timone.

Senza addentrarci in calcoli complicati, possiamo contentarci di osservare che il coefficiente di manovrabilità indicato dalla (29) deve uguagliare almeno il valore che si verifica in apparecchi moderni ben centrati e di buona maneggevolezza. Se ciò non è, bisogna aumentare il valore

senza toccare il

e cioè il gradiente dell'intero impennaggio, cosa che si ottiene di solito aumentando il timone e diminuendo di altrettanto il piano fisso senza variare la forma e la dimensione complessiva dell'impennaggio.

Inoltre, siccome l'esperienza dimostra che il gradiente dell'impennaggio si mantiene costante per una diecina di gradi sopra e sotto, dopo di che rapidamente si annulla (e cioè la reazione aerodinamica non aumenta più coll'aumentare dell'angolo di barra), occorre verificare che la spinta sull'impennaggio sia sempre sufficiente ai varî regimi di volo.

Questa verifica basta sia fatta per alcune condizioni caratteristiche e cioè picchiata in candela, velocità orizzontale massima e velocità minima del 2° regime. Siano F1 F2 F3 le risultanti nelle tre condizioni descritte e d1 d2 d3 le distanze delle loro linee d'azione dal baricentro. I momenti saranno evidentemente F1 d1, F2 d2 e F3 d3.

Occorre quindi che l'impennaggio possa reagire con dei momenti superiori. Dovrà quindi essere

Ma Fp, a parità di altre condizioni (velocità, densità, lunghezza di fusoliera, ecc.) è funzione soltanto di

e poiché

dato il tipo di impennaggio, è pressoché costante, occorre che Δ τ, e cioè l'angolo di barra, si mantenga notevolmente inferiore alla diecina di gradi indicata come massimo, per poter avere ancora un sufficiente margine di manovrabilità.

Purtroppo non tutti gli apparecchi esistenti raggiungono questi limiti minimi di manovrabilità ed i piloti abili rimediano quando è possibile col motore e, facendo lavorare l'impennaggio ad una velocità divenuta superiore, lo rendono equivalente ad un impennaggio di maggior superficie.

Fino ad ora abbiamo parlato di stabilità longitudinale. Analogo studio potrebbe anche farsi per la stabilità di rotta e per quella trasversale. Senonché queste due ultime, fra l'altro, sono intimamente connesse fra di loro; infatti, per esempio, ad ogni inclinazione laterale del velivolo, si generano delle componenti nel piano orizzontale. Per assicurare la stabilità di rotta nei movimenti di alambardata nel piano verticale, basta che il centro di deriva (punto di applicazione delle risultanti che nascono allorché l'apparecchio naviga in deriva e cioè presentando più o meno un fianco) si trovi dietro il baricentro. In tal modo ad ogni deviazione dell'asse di simmetria dell'apparecchio, nascerà una coppia che tenderà a riportarlo nel letto del vento. Tanto più lontano si troverà il centro di deriva dal baricentro e tanto più energica sarà la coppia raddrizzante. Il centro di deriva può essere ricercato come baricentro della proiezione delle ali, della fusoliera, del díspositivo d'atterramento e dei timoni verticali, sul piano longitudinale dell'apparecchio. Poiché, dato il disegno normale degli apparecchi, il centro di deriva viene a trovarsi abbastanza avanti, lo si fa retrocedere applicando all'estremità della coda un piano fisso di deriva.

Se il diedro trasversale delle ali è abbastanza piccolo e se la fusoliera si presenta anteriormente a fianchi abbastanza arrotondati, non vi sarà necessità di un grande impennaggio verticale fisso e quello che si risparmierà nel piano fisso di deriva, sarà opportuno metterlo nel timone di direzione che è bene avere esuberante.

La stabilità trasversale (rollio) si migliora col dare alla cellula un certo diedro trasversale di pochi gradi, in modo che le ali viste di fronte si presentino come un V molto aperto. Non conviene eccedere in questo diedro, sia per non rendere troppo pigro trasversalmente l'apparecchio, sia perché la superficie portante utile è limitata alla proiezione orizzontale delle ali. L'organo di comando per la manovrabilità laterale è dato dagli alettoni, applicati di regola alle estremità delle ali per aumentarne l'efficacia. L'azione dell'alettone non va considerata proporzionale alla superficie di esso, ma agisce nel senso di modificare la curvatura dell'ala antistante. Oggi quindi si preferisce di fare alettoni lunghi e sottili, per quanto con questo sistema si venga evidentemente a diminuirne il braccio di leva.

Spesso in apparecchi biplani gli alettoni sono applicati ad entrambe le ali.

g) Moto vario del velivolo. - Lo studio del moto vario del velivolo può essere fatto analogamente a quanto si è detto per il moto rettilineo, purché nell'equazioni del moto si introducano le forze d'inerzia che si sviluppano in seguito alle variazioni della velocità. Si dimostra facilmente coi consueti procedimenti della meccanica razionale che le equazioni di portanza e di trazione, nel caso più generale di moto vario, divengono:

dove Vc e Vo, Rv ed Ro sono le proiezioni verticali ed orizzontali della velocità V e del raggio di curvatura R della traiettoria, e ϕ la pendenza di essa sull'orizzontale.

Altre condizioni interessanti, riguardanti il moto vario del velivolo, sono la partenza e l'atterraggio.

La partenza avviene dopo un periodo più o meno lungo di rullaggio, in cui dapprima ha luogo l'innalzamento della coda, dovuto alla velocità che l'aeroplano acquista di mano in mano, ed in seguito il distacco di esso dal suolo.

L'innalzamento della coda sino alla linea di volo viene inizialmente favorito dall'aumento di portanza che il pilota dà all'impennaggio orizzontale eseguendo la manovra di picchiata, la quale viene in seguito gradualmente invertita coll'aumentare della velocità di rullaggio. Il distacco dal suolo avviene quando la velocità ha raggiunto un valore tale da creare una forza di sostentamento corrispondente al peso dell'apparecchio.

Lo studio della partenza può essere fatto scrivendo le equazioni di portanza e trazione opportunamente adattate a questo caso. La prima dà la velocità occorrente al distacco dal suolo, la seconda la trazione occorrente per vincere le forze resistenti, cioè la resistenza all'avanzamento, l'attrito sul terreno e nei mozzi delle ruote e le inerzie di massa.

La resistenza all'avanzamento cresce, come si è visto, col quadrato della velocità; la resistenza d'attrito invece diminuisce per effetto della portanza che di mano in mano si sviluppa; le inerzie di massa sono funzioni della legge del movimento e cioè sono legate alle quantità precedenti. In generale le resistenze per apparecchi terrestri sono relativamente piccole.

Negl'idrovolanti invece esse hanno valori molto più rilevanti ed essenzialmente seguono una legge di variazione molto rapida. Infatti esse dipendono dall'immersione dello scafo che va gradatamente diminuendo per l'apparente alleggerirsi dell'apparecchio in seguito allo svilupparsi della portanza.

Lo studio della partenza di un idrovolante va fatto in due fasi distinte, e cioè una prima fase in cui l'apparecchio giunge a mettersi sul redan ed una seconda che si chiude col distacco dalla superficie dell'acqua. La seconda fase è in tutto simile a quella corrispondente alla partenza degli aeroplani.

Le due fasi però sono separate dal passaggio del redan, inquantoché la resistenza all'avanzamento nell'acqua del solo redan è in generale molto minore della resistenza offerta dallo stesso più una piccolissima altezza di scafo. La resistenza d'attrito nell'acqua, nella prima fase, può crescere in modo che la trazione dell'elica non riesca a superarla, mentre se potesse passare sul redan, l'idrovolante potrebbe continuare a svolgere la sua seconda fase fino a involarsi dall'acqua. Esiste cioè una velocità critica nella quale la resistenza della carena più la resistenza dell'apparecchio nell'aria possono superare la trazione dell'elica. E ciò è tanto più facile inquantoché a basse velocità il rendimento dell'elica è molto basso.

Pertanto, mentre per gli apparecchi terrestri la partenza in genere non è motivo di calcoli speciali, nello studio degl'idrovolanti invece si è soliti a misurare alla vasca Froude le resistenze all'avanzamento a varie velocità della carena, a varî gradi di immersione (tenendo conto non soltanto della portanza della cellula, ma essenzialmente delle reazioni dinamiche dell'acqua, che per le apposite forme della carena deve favorire il sollevamento di essa). Si compila pertanto un diagramma cartesiano, ove sulle ascisse si riportano le varie velocità fino a quella di involamento al più alto carico previsto e sulle ordinate le trazioni disponibili e le sommatorie delle varie resistenze che alle dette velocità si verificano. Se la curva della trazione disponibile si mantiene sempre al disopra di quella delle resistenze l'involamento è possibile. Il vertice del diagramma delle resistenze individua la velocità critica.

Progetto di massima di un velivolo.

a) Impostazione del progetto. - Gli elementi del problema sono: i dati di volo e di carico, la potenza disponibile, le caratteristiche aerodinamiche.

Nella dinamica del volo abbiamo esaminato le principali leggi che legano fra di loro gli elementi suddetti. Ad essi occorre aggiungere ancora le caratteristiche di robustezza della macchina, che influiscono notevolmente sul suo peso.

Per eseguire il progetto di massima di un apparecchio, occorre quindi partire dal complesso degli elementi esposti, poiché se durante la costruzione vengono rispettate la forma esterna e il peso delle varie parti ed il motore fornisce la potenza preventivata, la macchina presenterà in generale effettivamente e con buona approssimazione le caratteristiche di previsione.

Nelle leggi della dinamica del volo non vi è nulla di astruso perché esse sono state ricavate da poche e notissime formule di meccanica generale. Però l'influenza reciproca dei varî elementi è così grande e così interdipendente che la variazione anche piccola di un solo degli elementi del problema, si ripercuote profondamente su tutti gli altri.

Oggi, però, per quanto l'aerotecnica da 10 anni a questa parte abbia fatto progressi notevolissimi, non si può ancora decidere con sicurezza quale sia la forma generale che deve avere un apparecchio per raggiungere determinate caratteristiche. È vero bensì che ormai sono quasi definitivamente abbandonate le costruzioni multiplane, che le travi di sostegno degli impennaggi di coda sono per lo più racchiuse in un'unica fusoliera o scafo centrale, ecc., ma non si sa quale sia il miglior profilo alare, quale la migliore disposizione della superficie alare in pianta, quali le migliori forme di penetrazione da dare alle varie parti esposte al vento, in relazione alle caratteristiche che si vogliono ottenere. Vi ha di più: ancor oggi non è chiusa la competizione fra la forma biplana e quella monoplana, perché se è vero che quest'ultima aerodinamicamente è senza dubbio migliore, per contro riesce più pesante e non si è ancora potuto stabilire fin dove gli svantaggi di peso siano compensati dai vantaggi aerodinamici. Tanto che in questi ultimi tempi è ritornata nuovamente in onore una soluzione di compromesso fra le due precedenti soluzioni rappresentata dal monoplano a tiranti detto a semicantilever. Pertanto il progetto di massima è oggi qualche cosa di personale che risulta dalle conclusioni che il singolo progettista ha creduto di trarre dal complesso delle leggi che regolano la dinamica del volo, dalla propria esperienza e da quella altrui ed anche dai requisiti di visibilità, maneggevolezza, carico, ecc., che gli vengono imposti.

Un passo per questa via si è compiuto in questi ultimi tempi per opera del generale Crocco che ha suggerito una rappresentazione grafica, della quale parleremo più avanti un po' più diffusamente, che lega la potenza necessaria, la superficie alare, il peso e cioè le principali dimensioni del velivolo, con le caratteristiche aerodinamiche intrinseche della forma del velivolo stesso e coi dati di volo risultanti. Con operazioni grafiche semplicissime diviene allora possibile, disponendo di una curva che riepiloga in sé le caratteristiche aerodinamiche del tipo, trovare le migliori dimensioni relative del velivolo per ottenere i dati di volo imposti, o viceversa quali dati di volo si ottengano, fissate le caratteristiche dimensionali. E poiché la rappresentazione grafica del Crocco si serve di parametri unitarî (p. es., peso a metro quadrato, HP/tonn., ecc.) non solo è possibile studiare apparecchi di dimensioni differenti, simili fra loro, ma anche, fissate alcune caratteristiche di dimensioni, trovare le altre.

Questo permette senz'altro una prima classificazione di tipi di apparecchi, o di famiglie di apparecchi, dal punto di vista aerodinamico. Quando si sarà potuto fare altrettanto nel campo del peso dell'apparecchio e cioè quando si saranno potute classificare le varie famiglie di apparecchi nei riguardi del peso risultante, sarà facile dall'esame simultaneo di queste e delle precedenti trovare la soluzione ottima; e cioè quella forma esterna, quelle dimensioni di potenza e superficie, quello schema costruttivo e quei materiali da costruzione, tali che l'apparecchio risultante presenti le migliori doti di volo, porti il maggior carico possibile, richieda la minore potenza ed il minor consumo di combustibile e presenti la necessaria robustezza e maneggevolezza.

Oggi, non essendo ancora in grado d'impostare il problema della progettazione di massima di un velivolo in questi termini, siamo costretti a dare delle indicazioni generiche sui principali tipi, sia dal punto di vista aerodinamico sia da quello costruttivo.

Forma biplana. - Dal punto di vista aerodinamico, militano contro questo tipo molte e gravi ragioni, poche a favore - fra queste ultime è da citare quella della maneggevolezza; infatti un apparecchio biplano risulta di apertura alare minore del monoplano equivalente, quindi con momento polare d'inerzia nel piano frontale minore. Perciò a parità di disponibilità di coppie per la manovra, il biplano si presta meglio del monoplano alle acrobazie ed in genere si presenta dotato di maggiore agilità e sensibilità di comandi. Inoltre, le ali sottili hanno di solito un rendimento aerodinamico migliore (considerando isolatamente l'ala) e presentano un coefficiente di resistenza all'avanzamento, ai piccoli angoli di attacco, e cioè nella regione delle alte velocità, notevolmente minore. Sotto questo aspetto si potrebbero ottenere velocità massime, salite ed autonomie migliori. Però, a causa dell'induzione mutua fra le ali che ha l'effetto di diminuire le sue caratteristiche aerodinamiche, occorre aumentare la superficie alare e così la resistenza all'avanzamento torna ad aumentare per questa via. Inoltre le ali biplane sono collegate fra di loro con montanti, crociere, ecc., organi questi che introducono nell'apparecchio resistenze nocive, senza portare alcun beneficio di portanza.

Sono stati escogitati varî sistemi per diminuire l'effetto della induzione mutua fra le ali; fra essi i principali sono: aumentare la distanza fra le ali, arretrare l'ala inferiore rispetto alla superiore (décalage) e fare l'ala inferiore più corta e più piccola della superiore (quando quest'ultimo fatto è notevolmente pronunziato, l'apparecchio prende il nome di sesquiplano).

Quest'ultimo sistema rappresenta una soluzione di compromesso fra il biplano e il monoplano; gli altri due arrecano effettivamente dei vantaggi aerodinamici, però richiedono l'allungamento degli organi di collegamento fra le due ali e quindi presentano l'inconveniente di aumentare le resistenze nocive e di appesantire la costruzione.

Si può concludere in genere che un intervallo fra le ali, uguale alla profondità alare media, ed un décalage di 15° sono reputate indicazioni generiche buone.

Complessivamente l'efficienza massima di un buon biplano è compresa fra 10 e 11 (rapporto max. portanza resistenza) mentre coi monoplani a tiranti si ha di solito 12 ÷ 13 e nei monoplani puri, e cioè colle ali completamente a sbalzo, si supera sempre il 14 e si è arrivati in casi speciali fino a 16.

Quindi indubbiamente il biplano si trova in condizioni di inferiorità per la quota di tangenza, per l'autonomia e talora per la velocità minima. Nel 2° regime, questa inferiorità viene ancora ad accentuarsi perché pare che ai forti angoli d'incidenza l'ala inferiore venga a far lavorare quella superiore in una condizione d'ombra aerodinamica. Inoltre ai forti angoli d' incidenza il fenomeno del distacco della vena fluida dal dorso dell'ala che produce improvvisa perdita di portanza (donde la facilità di scivolare d'ala o di cadere in vite) sembra verificarsi prima nei biplani che nei monoplani.

Invece nella regione delle alte velocità e cioè ai piccoli angoli di incidenza, un buon biplano può gareggiare e talvolta anche vittoriosamente, coi monoplani equivalenti.

Dal punto di vista costruttivo il biplano invece si trova in condizioni di superiorità, tanto che se ne risentono gli effetti in un certo modo nel peso della cellula, rispetto al monoplano.

Forma monoplana. - Si presenta con caratteristiche diametralmente opposte a quelle esaminate e che si possono sintetizzare così: netta superiorità aerodinamica - rilevanti difficoltà costruttive. In questi ultimi anni, specialmente sull'esempio dei tedeschi, si è fatta però molta strada, imparando a distribuire i carichi lungo l'apertura alare, a dare all'ala in pianta una forma triangolare o ellittica, che, migliorando il rendimento aerodinamico, ha altresì il vantaggio di diminuire i momenti d'incastro ed aumentare le sezioni resistenti, sia per effetto dell'aumentata corda, sia col dare maggior spessore percentuale all'ala partendo dall'estremità ed andando verso il centro. Con questi artifizî si sono raggiunti dei pesi di cellula discreti, pure con aperture alari molto rilevanti, che si avvicinano ai 35 m.

Ciò che nel monoplano con ala a sbalzo è più difficile a realizzare è la resistenza alla torsione specialmente ai piccoli angoli di volo, dove a causa delle elevate velocità le risultanti sono maggiormente arretrate, quando non si siano deliberatamente scelte ali per le quali sia piccolissimo il cammino del centro di pressione al variare dell'incidenza. In caso contrario i momenti che tendono a torcere l'ala nel senso di diminuirne l'incidenza, sono molto rilevanti. Ciò naturalmente è pericolosissimo, perché variando l'incidenza per effetto dell'elasticità torsionale variano di posizione le risultanti, dando origine così ad ulteriori oscillazioni che possono assumere facilmente carattere di vibrazioni e produrre lo sconquasso dell'apparecchio. Quasi sempre i grandi monoplani a sbalzo hanno l'ala completamente rivestita di lamiera metallica, strettamente collegata con la struttura resistente interna. Ciò, se si riesce a mantenere il peso della cellula entro limiti accettabili, costituisce un elemento di superiorità del monoplano, perché l'ala viene ad essere automaticamente protetta dagli agenti atmosferici e quindi non sono più possibili eventuali svergolamenti dovuti all'umidità, al sole o ad altro.

Dicevamo che, come soluzione di compromesso fra il biplano ed il monoplano puro, ha trovato molto favore in questi ultimi tempi il monoplano a tiranti. Si tratta di un'ala monoplana collocata al disopra della fusoliera (come negli apparecchi parasol), trattenuta al centro da una piccola capra fissata alla fusoliera o dalla fusoliera stessa al centro e da quattro tiranti (saettoni) due per lato, che partendo dalla parte inferiore della fusoliera, od anche da elementi rigidi del carrello d'atterramento, vanno a metà circa delle due semi-ali.

Questo tipo di costruzione compete in leggerezza colla costruzione biplana, presenta sufficiente rigidezza alla torsione e permette l'impiego di profili d'ala relativamente sottili. Per contro però è inferiore al monoplano a sbalzo come rendimento aerodinamico, ne conserva il difetto di poca maneggevolezza ed aggiunge qualche difficoltà nello studio della stabilità longitudinale.

Dopo d'aver stabilito in base alle considerazioni esposte ed a tutte le altre derivanti dai requisiti a cui deve soddisfare l'apparecchio (collocamento del carico, visibilità per i piloti e per l'equipaggio, eventuale difesa militare, sistema del carrello d'atterramento, ecc.) la forma generale, si passa ad un primo dimensionamento.

In generale la potenza motrice è nota perché legata ai tipi di motori esistenti, e così pure il carico utile (equipaggio, passeggeri, bagagli, carico militare, carico di combustibile, ecc.) deve considerarsi un dato di progetto. Quindi per soddisfare ai dati di volo che si vogliono raggiungere (velocità minima, quota di tangenza, autonomia, velocità massima) occorrerà una certa superficie in relazione al peso totale di previsione della macchina.

Questo peso è funzione anche della superficie, come pure la superficie è funzione delle caratteristiche aerodinamiche del profilo alare e dell'intero apparecchio. Quindi al dimensionamento della superficie in generale non si potrà giungere che dopo approssimazioni successive ed alle prove aerodinamiche che saranno eseguite al tunnel sul modello dell'apparecchio.

In questo lavoro preparatorio le formule di normale impiego sono:

per la determinazione della velocità max.; in essa Πn viene uguagliata alla potenza disponibile e cioè ridotta, per effetto di un rendimento presunto dell'elica (0,75 ÷ 0,80) se ve ne è una, e assume valori ancora più bassi se ve ne sono più di una;

per la determinazione della velocità minima assoluta; in essa bisogna comprendere in S anche le altre superfici portanti occasionali (timoni, fusoliera, ecc.) e da P occorre detrarre la componente verticale dovuta all'inclinazione dello sforzo di trazione;

per la determinazione della quota di tangenza,

per la determinazione dell'autonomia alle varie condizioni di volo,

per la determinazione dei tempi di salita, ecc.

Come si vede in tutte queste equazioni, direttamente o indirettamente, figurano le caratteristiche aerodinamiche del profilo alare cx e cz a varie incidenze, dell'intero apparecchio, E e r (la 2a viene ritenuta costante per semplicità sebbene ciò non sia alle varie incidenze) e del propulsore η.

Per quest'ultimo elemento la pratica c'insegna che, nel caso di una sola elica, si può contare su rendimenti di 0,70 ÷ 0,80.

Per questa causa quindi non vi saranno forti errori, tanto più se, per tener conto d'immancabili appesantimenti che si verificano durante la costruzione, si terranno le cifre minori fra quelle indicate. Degli altri elementi la quantità r o meglio

è una caratteristica derivante dal disegno, e con un po' di pratica e basandosi su confronti con apparecchi già costruiti può essere stabilita con approssimazione sufficiente per i primi calcoli di massima.

Rimangono le caratteristiche cx e cz e conseguentemente la E. Queste dipendono dal profilo alare, dalla forma in pianta dell'ala o delle ali e dalla disposizione di esse.

Esistono degli atlanti che riuniscono le caratteristiche aerodinamiche di migliaia di profili alari sperimentati al tunnel. Di solito i modellini di ala sperimentati sono ad allungamento 6 (apertura = 6 volte la profondità) e spessore costante lungo tutta l'ala.

Questo facilita abbastanza le ricerche perché si può passare dall'allungamento 6 ad altri allungamenti, mediante le formule di Prandtl che sono riportate in tutti gli atlanti (v. aerodinamica).

Non altrettanto però può dirsi per le forme di ali che in pianta si discostano dalla rettangolare (ali ellittiche, trapezoidali o variamente sagomate) e per le ali composte da più profili o di spessore variabile lungo l'apertura.

Inoltre tutto questo complesso di esperienze è stato eseguito in condizioni diverse (velocità di vento, tipi di tunnel, dimensioni di scala dei modelli, ecc.), e per quanto di solito negli atlanti dette condizioni siano accennate, la scelta del profilo alare e della forma dell'ala è laboriosa ed incerta.

In argomento potranno riuscire di una certa utilità le seguenti osservazioni pratiche:

1. Il max. di c, dedotto dalle caratteristiche aerodinamiche dell'ala ed introdotto nella formola (2) della portanza per il calcolo della velocità minima, dà luogo a una velocità minima inferiore a quella che un abile pilota riesce poi effettivamente a fare sui campi di esperienze in regime acrobatico.

2. A parità di curva di rendimento sono migliori quei profili che presentano valori maggiori di cz e di cx. E questo per tre ragioni: prima di tutto perché avendo dei cz maggiori, la superficie alare può essere diminuita e quindi l'apparecchio può raggiungere ugualmente alte velocità; in secondo luogo, se la modifica suddetta non viene effettuata perché l'alta velocità non occorre, viene ad essere aumentato il prodotto E cz che si vide essere caratteristico della quota Z di tangenza a parità di

per ultimo perché l'influenza nociva di

è tanto meno sentita quanto più forti sono i S valori di cx e cz. Ciò si vede chiaramente dall'espressione di E:

Scelto dunque il profilo alare, il suo allungamento, la forma dell'ala o delle ali, stabilita la forma generale e le sue dimensioni di superficie, potenza e peso probabile, è conveniente fare un modellino dell'apparecchio e provarlo al tunnel.

Esso fornisce la polare ed il fascio delle risultanti. Da questi due elementi si ricava, come si è visto, la curva metacentrica ed il fascio di rette metacentriche e si può studiare il grado di stabilità dell'apparecchio.

Dalla polare poi si ricavano tutti gli elementi aerodinamici da introdurre nelle formole viste e si può quindi verificare se la superficie scelta è quella giusta oppure no, e compilare le caratteristiche di volo di previsione, in base a diverse ipotesi di peso totale e di rendimento d'elica.

Questo lavoro di molta importanza per la buona riuscita dell'apparecchio è piuttosto lungo e penoso. Per cui di grande utilità riesce l'impiego delle polari logaritmiche di Eiffel che permettono di risolvere graficamente con grande rapidità e sufficiente approssimazione i problemi suddetti, o meglio ancora del nomogramma logaritmico del Crocco.

b) Le polari logaritmiche di Eiffel ed il nomogramma logaritmico di Crocco. - Scrivendo sotto forma logaritmica le equazioni (2) e (3) si ha:

Se si scelgono come ascisse i valori di log (cx S + r) e come ordinate i valori di log cz S e si traccia la curva corrispondente, si ha la polare logaritmica dell'apparecchio. Infatti per le due equazioni scritte si può giungere ad un punto qualsiasi della polare, portando di seguito ed in un ordine qualunque i 4 segmenti seguenti:

sulle ascisse, log Πn;

sulle ordinate, log. P;

sulle ascisse e sulle ordinate,

il che equivale a segnare su un asse inclinato a 45° il valore:

su un asse inclinato a 2/3 il valore:

In sostanza i 4 assi della polare logaritmica e cioè i due cartesiani, quello inclinato a 2/3 e quello inclinato a 1/1 possono divenire i supporti di 6 graduazioni e cioè: ordinate: pesi e portanze; ascisse: potenze e resistenze all'avanzamento; asse a 2/3: velocità; asse a 45°: densità. Il tutto graduato secondo scale logaritmiche e coi coefficienti numerici più sopra indicati.

Poiché ogni condizione di volo deve essere rappresentata da un punto della polare a cui corrispondono dei valori ben definiti di portanza e resistenza e poiché ad esso si giunge riportando i quattro segmenti suddetti, peso, potenza, densità e velocità, in un ordine qualunque, così uno qualsiasi degli elementi suddetti, può essere immediatamente trovato conoscendo gli altri.

Per comodità l'origine della scala delle velocità si sceglie a 150 km./ora (41.67 m/s). In questa condizione il segmento che rappresenta V è zero e deve essere:

in conseguenza si possono mettere a posto le altre scale.

Vediamo qualche esempio pratico.

Noti P e Πn, si determina la velocità V e l'angolo di incidenza i, alla quota di navigazione nota

conducendo dal punto a sull'asse delle quote un'ordinata a b lunga quanto il peso P, dall'estremo di questa un'ascissa b c lunga quanto la potenza Πn e, dal nuovo estremo c, la retta c d parallela all'asse della velocità.

Questa retta taglia la polare in due punti d e d′ che dànno le due incidenze del 1° e 2° regime, le caratteristiche cz S e cr S + r relative alle due incidenze i e i′ ed i segmenti c d e c d′ la misura delle velocità orarie (fig. 19).

Viceversa, noto il peso P e la velocità V alla quota

si trova facilmente la potenza necessaria, conducendo la spezzata a b c d (fig. 20).

Rimangono così anche definite l'incidenza ed i valori dei coefficienti di portanza e resistenza.

La velocità massima è determinata nella fig. 19, relativa al primo esempio, quando si faccia coincidere la potenza necessaria con quella effettivamente disponibile.

La velocità minima si determina conducendo la spezzata a b c d (fig. 21), definita dal tratto O a relativo alla quota, dal tratto a b relativo al peso e dalla tangente c d alla parte superiore della polare. Il segmento c d intercetto fra peso e portanza massima dà appunto il valore della minima velocità.

E così per altri casi che il lettore potrà risolvere da sé.

Dovendo apportare una variante alla superficie dell'apparecchio, basta moltiplicare le cz e le cx per la nuova superficie e si avrà così la nuova polare logaritmica che potrà immediatamente risolvere tutti i problemi del volo ad eccezione di quelli relativi alla quota di tangenza. Quest'ultimi possono essere risolti connettendo la polare logaritmica dell'apparecchio con una serie di curve che stanno a rappresentare le potenze disponibili depurate dal rendimento dell'elica alle varie quote. Questo sistema detto della polare elica-apparecchio Pistolesi, dal nome dell'ideatore, permette di risolvere non soltanto il problema della quota di tangenza, in quanto che fra le varie curve di potenza ve ne sarà una tangente alla polare e quella darà l'indicazione della quota raggiungibile, ma anche di conoscere il numero dei giri ed il rendimento del propulsore alle varie incidenze ed alle varie quote.

Questo metodo non è tanto utile in sede di progetto di massima quanto in sede di messa a punto dell'apparecchio costruito. Indicheremo invece il metodo del nomogramma logaritmico del Crocco (fig. 23), che rende dei servizî ben maggiori durante l'esecuzione del progetto di massima del velivolo.

In questo nomogramma gli assi logaritmici sono due ad angolo retto, uno a 45° per le densità ed uno con pendenza 1/2 per le velocità. Sui due assi ad angolo retto, le caratteristiche aerodinamiche sono, sull'ordinata, l'efficienza del modello e sull'ascissa i coefficienti di portanza dell'intero apparecchio ridotti a m/sec. di velocità e metro quadrato di superficie: le caratteristiche di peso e potenza sono, sull'ordinata, potenza specifica e cioè

dove con HP si intende la potenza disponibile depurata dal rendimento del propulsore, e sull'ascissa il carico alare kg/mq.

La regola d'impiego di questo nomogramma è in tutto simile a quella precedentemente enunciata per l'impiego delle polari logaritmiche di Eiffel, e cioè: una terna di valori - velocità, carico alare, potenza specifica - rappresenta una soluzione compatibile quando l'estremità della spezzata, formata dai logaritmi di quei valori portati successivamente e nel senso indicato dalle scale, cade sulla curva caratteristica del tipo di apparecchio considerato. Si noti che per tipo di apparecchio si intende dire la famiglia di apparecchi simili, costituita cioè da infiniti individui fra loro uguali per le caratteristiche aerodinamiche unitarie, ma differenti non soltanto per le dimensioni, ma anche per la potenza specifica e per il carico alare. Senza entrare ulteriormente in dettagli basta notare che il punto D, corrispondente ad un carico alare di 100 kg/m2 e ad una potenza specifica di 500 HP effettivi per tonn. di peso, individua i tre elementi fondamentali del volo e precisamente: la velocità massima a bassa quota rappresentata dal segmento D E pari a 380 km/ora, la velocità minima D F, pari a 95 km/ora e la quota di tangenza rappresentata dai segmento D L che corrisponde ad una densità relativa di 0,28. Risulta inoltre immediatamente la velocità di minima potenza dal segmento di 126 km.

Il punto E della curva caratteristica corrisponde, per le condizioni di carico e di potenza specifica prescelta, alla massima velocità, il punto C all'incidenza della minor potenza e quindi all'angolo per cui si ha il massimo di E cz (quota di tangenza massima), ed il punto A all'angolo ottimo, o di massima efficienza o di velocità economica.

La caratteristica fondamentale di questo nomogramma è che qualunque punto situato sulla E D e che può essere ottenuto con altre coppie di valori della potenza specifica o del carico alare, presenta lo stesso scarto di velocità e la stessa quota di tangenza, variando invece i valori della velocità (max., min., economica, ecc.) secondo un rapporto costante. Mentre invece, per ottenere variazioni di quota di tangenza lasciando inalterate le velocità, bisogna spostarsi col punto D (individuato dalla potenza specifica e dal carico alare) lungo la retta D L.

c) Il complessivo dell'apparecchio. - Determinate così le dimensioni fondamentali dell'apparecchio: superficie, potenza motrice, installazione del carico, impennaggi, ecc., si può cominciare a disegnare il complessivo dell'apparecchio.

Sorgeranno ad ogni passo delle difficoltà di dimensionamento dipendenti dalla robustezza che debbono avere le varie parti. In questo lavoro, che è forse quello in cui il progettista deve dimostrare maggiormente le proprie doti, sarà opportuno aiutarsi con dei calcoli di massima di dimensionamento o di opportuni confronti con apparecchi e parti di apparecchio esistenti.

Il complessivo serve essenzialmente per rettificare il primo preventivo di peso; pertanto alle sommarie calcolazioni di peso, si sostituiranno le sommatorie dei pesi dei varî organi costruttivi - e si passerà al centraggio dell'apparecchio. Questo comprende quel complesso di operazioni mediante le quali il baricentro viene collocato nella posizione più favorevole e vengono apportate quelle modificazioni alla cellula ed agli impennaggi atte ad assicurare la stabilità, specialmente in rapporto alle perturbazioni prodotte dall'elica, dalla coppia del motore, dai gas di scappamento, ecc.

Circa la posizione del baricentro è da osservare anzitutto che è bene che sia immutabile; per ottenere questo, occorre disporre i carichi consumabili in modo tale che colla loro presenza o meno, il baricentro non abbia a spostarsi. Non sempre ciò è possibile, e perciò si diffonde l'uso di prevedere sull'apparecchio un comando di regolazione d'incidenza del piano fisso orizzontale.

È desiderabile inoltre che l'asse di trazione passi per il baricentro o almeno molto vicino ad esso, per non creare dei momenti variabili collo sforzo di trazione che perturberebbero l'equilibrio. Ciò si ottiene, se occorre, inclinando lievemente l'asse di trazione del motore. La perdita di rendimento alla quale si va incontro, se l'angolo è di pochi gradi, è trascurabile di fronte al miglioramento della stabilità e della manovrabilità.

Negl'idrovolanti in generale non è possibile soddisfare questa condizione. Si usa pertanto di far colpire l'impennaggio di profondità dal vento dell'elica in modo tale che la coppia, data dal motore in funzione, sia compensata da una coppia in senso opposto data dal soffio dell'elica sul piano orizzontale: mancando l'una, manca anche l'altra.

Per effetto della coppia di reazione del motore, il velivolo tende a ruotare in senso opposto a quello dell'elica, onde per non affaticare costantemente il pilota, si usa neutralizzare per metà questa coppia, e non completamente per non ritrovarla di uguale intensità e di segno contrario nel volo a motore spento e specialmente in alcune acrobazie. I metodi usati sono: aumento di incidenza o di superficie dell'ala che tende a restare più bassa, oppure spostamento laterale in senso opposto del baricentro dell'apparecchio.

Il flusso d'aria a valle dell'elica ha andamento elicoidale; quindi agendo sui piani, tanto orizzontali che verticali, tende a far sbandare e virare il velivolo. Anche questo effetto, per la ragione precedentemente esposta, viene corretto solo parzialmente. Per la correzione si può inclinare il piano fisso di deriva in modo da farlo colpire lateralmente dal vento, o inclinare opportunamente l'asse del motore ed anche far l'impennaggio orizzontale un po' più lungo da una parte che dall'altra. Quando il motore ha l'uscita dei tubi di scappamento da una parte sola, nasce una forza che tende a far ruotare e derivare l'apparecchio. Anche qui si corregge parzialmente inclinando opportunamente la deriva e l'asse di trazione.

Ultimato il centraggio dell'apparecchio se ne verificano la stabilità e la manovrabilità, provvedendo in pari tempo alla definitiva determinazione delle superfici fisse e di comando.

Si può così ultimare il disegno complessivo, il preventivo definitivo dei pesi da introdurre nei calcoli di robustezza delle varie membrature e si può passare allo studio dei dettagli costruttivi e delle installazioni: il che costituisce il progetto definitivo.

Il progetto definitivo del velivolo.

a) Sollecitazioni principali e prove statiche. - Determinato, con la maggiore approssimazione possibile, il peso del velivolo a carico completo e stabilite le principali dimensioni di esso, mediante il disegno complessivo dell'apparecchio, si può procedere al progetto definitivo e cioè allo sviluppo dei calcoli di robustezza ed alla conseguente esecuzione dei disegni di dettaglio. I calcoli di robustezza vanno eseguiti per le principali sollecitazioni che si possono verificare durante le varie manovre del velivolo a terra o in volo, con un certo margine di sicurezza in modo che, qualunque sia la sollecitazione che si verifica (anche durante manovre che il calcolo non ha previste), le deformazioni risultanti rimangano comprese entro i limiti di elasticità. Normalmente le sollecitazioni che si prendono in considerazione sono quelle che si verificano nelle seguenti condizioni di volo: volo rettilineo a grande incidenza, volo rettilineo a massima velocità (piccole incidenze), picchiata in candela, brusca richiamata dopo una picchiata in candela, volo rovesciato; e nelle seguenti condizioni d'atterraggio: atterraggio normale, atterraggio con vento di fianco.

In ciascuna di queste condizioni si prevede un certo coefficiente di sicurezza che dipende dalle dimensioni, dalla velocità e dal grado di maneggevolezza, per quelle sollecitazioni che variano di intensità con le caratteristiche suddette. I varî coefficienti di sicurezza, variabili con la natura delle sollecitazioni (più elevati per velivoli piccoli, veloci e molto maneggevoli), se si tiene conto della intensità delle forze e del punto d'applicazione, possono essere raggruppati in un coefficiente unico; ad esempio, se si stabilisce per un determinato tipo di velivolo un coefficiente n, si intende che le varie sollecitazioni F1 F2 F3 da introdurre nei calcoli sono le forze f1 f2 f3 che effettivamente si sviluppano nelle varie condizioni di volo considerate, moltiplicate tutte per l'unico coefficiente n di maggiorazione. Questo coefficiente n può essere di sicurezza o di rottura: cioé di sicurezza se le varie membrature del velivolo, sottoposte ai carichi F = nf applicati nei punti dove le sollecitazioni f effettivamente si verificherebbero, producono soltanto deformazioni elastiche che scompaiono appena il carico F viene a cessare; di rottura se le membrature dell'apparecchio si rompono appena dopo che la forza F abbia raggiunto interamente il valore n f.

Il coefficiente n sarà quindi rappresentato da un numero variabile con le caratteristiche di peso, velocità e maneggevolezza dell'apparecchio. Invece le altre sollecitazioni, la cui intensità non dipende dalla natura del velivolo, potranno essere rappresentate da un coefficiente n costante; ad es., per il volo rovescio, trattandosi in fondo di una sollecitazione dove il punto d'applicazione è pressoché uguale in tutti i tipi di velivolo, e dato che le ali rovesciate portano pressappoco tutte allo stesso modo, la sollecitazione di rottura potrà essere comune in tutti i tipi di velivolo; ad es. per la cellula 4 volte il peso sopportato dalla cellula stessa.

In generale i coefficienti adottati per le sollecitazioni elastiche sono il 30 ÷ 40% di quelli per le sollecitazioni che provocano la rottura.

Da quanto si è visto finora, specialmente in materia di stabilità di apparecchi, deriva una grandissima difficoltà a stabilire con esattezza quali siano le forze in giuoco e quali i punti di applicazione; quindi tutti i governi dei varî stati sono intervenuti per fissare condizioni di sicurezza base che in genere si riferiscono alle varie sollecitazioni sopra enunciate, e conseguentemente prove statiche di controllo che tutti gli apparecchi debbono superare per ottenere il certificato di navigabilità. Il giorno in cui la progredita esperienza aeronautica avrà permesso di stabilire categoria per categoria, o meglio ancora tipo per tipo, quali dovranno essere le garanzie specifiche di robustezza, le costruzioni aeronautiche risulteranno con ogni probabilità più leggiere e le doti di volo conseguentemente migliorate.

In Italia oggi vigono le Norme di collaudo di materiali aeronautici, stabilite dalla Direzione generale del Genio e delle Costruzioni aeronautiche.

Per quanto riguarda le doti di robustezza della cellula esse stabiliscono una prova statica fondamentale e 5 verifiche sussidiarie: inoltre, per le strutture monoplane che presentano speciali pericoli per la torsione, è prevista una prova statica speciale, ed in genere alle commissioni collaudatrici è riserbata la facoltà di imporre quelle altre prove che a loro giudizio ritenessero opportune.

La prova fondamentale di solito è a carico verticale diretto e viene eseguita collocando l'apparecchio rovesciato e fissato per la parte centrale (fusoliera) e caricandone la cellula con sacchi di sabbia o altri pesi, fino a raggiungere il coefficiente stabilito, in modo che la risultante del carico venga a passare ad 1/3 della profondità alare, a partire dal bordo d'attacco. Poiché la portanza della cellula è di verso contrario al peso della cellula stessa, il carico considerato è

dove P è il peso dell'apparecchio e Pc quello della cellula. Il coefficiente n di rottura dipende dalla natura dell'apparecchio ed è determinato in base al peso totale e alla velocità max. secondo la tabella seguente nella quale i pesi sono in testa a ciascuna colonna e le velocità nella prima di esse.

Questa prova, che corrisponde al caso della brusca richiamata dopo la picchiata in candela, può essere conglobata con quella del piano alare (e cioè delle sollecitazioni che si sviluppano nel piano alare durante la picchiata in candela), inclinando la cellula rovesciata verso l'indietro, e cioè coda in basso, di un angolo tale che la componente nel piano alare uguagli la sollecitazione in oggetto. Questa ultima è una delle 5 verifiche suddette. Le altre 4 riguardano: il volo rovescio, dove il carico applicato è 4 (P-Pc) con risultante a 1/5 dal bordo d'attacco; la cellula all'atterraggio per la quale, in previsione di un atterraggio brusco la cellula deve resistere ad un carico invertito (e cioè analogo del caso del volo rovescio) pari a 12 volte il peso della cellula, applicato sulla linea baricentrica della cellula stessa; il caso del volo alle piccole incidenze, di massima velocità e picchiata in candela, dove cioè i punti di applicazione delle forze sono molto indietro talvolta addirittura fuori delle ali. Per questa prova le Norme di collaudo hanno preferito fissare senz 'altro il carico che la travatura posteriore deve sopportare e cioè:

per il caso della massima velocità;

per il caso della picchiata in candela dove le dimensioni a, d, l risultano dall'apparecchio.

Circa il modo di distribuzione del carico, le Norme di collaudo ritengono che esso debba essere uniforme lungo l'apertura alare per ali a pianta rettangolare, e proporzionale alla profondità alare nel caso di ali di pianta diversa della rettangolare; ammettono soltanto che le estremità delle ali, per effetto delle perdite marginali, non siano caricate e quindi in ciascuna di esse. siano lasciate libere delle porzioni, lunghe frontalmente quanto 1/4 della profondità alare; naturalmente però il totale del carico applicato deve risultare uguale a quello indicato.

Nel caso si tratti di cellule biplane, le Norme di collaudo ammettono la mutua influenza delle ali e l'influenza dell'allungamento alare, per conseguenza prescrivono che agli effetti del carico le due ali vengano sostituite con altre due ali virtuali delle seguenti superficie:

per l'ala superiore:

per l'ala inferiore:

dove l è la profondità media dell'ala, L l'apertura ed h la distanza fra le ali.

Quando lungo la cellula siano distribuiti dei carichi concentrati (carrelli, motori, serbatoi di combustibile ecc.) essi debbono essere applicati in senso contrario e ciò si effettua di solito mediante opportuni rinvii, con intensità n volte maggiore del valore di detti carichi. Altrettanto si fa per le trazioni esercitate da eliche che siano disposte lungo la cellula, le quali però vengono considerate ad un coefficiente minore, di solito uguale a 3.

Altre prove particolari sono previste, come ad es. prove sugli alettoni (con conseguente torsione della cellula), o su parti di cellula; ad es. le centine, considerate come travi semplicemente appoggiate ai longheroni, devono sopportare un carico pari a una volta e mezza il carico che loro competerebbe durante la prova di rottura dell'intera cellula.

b) Materiali per la costruzione. - La scelta del materiale appropriato è cosa della massima importanza, inquantoché non soltanto ha influenza sul peso del velivolo e sulla maggiore o minore attitudine di resistere al genere di sollecitazione alla quale sarà sottoposto (sollecitazioni ripetute, vibrazioni, ecc.) ma anche perché da essa dipendono le qualità di conservazione e di durata del velivolo. Inoltre bisogna valutare opportunamente le difficoltà maggiori o minori di lavorazione (essiccamento e stagionatura dei legni, trattamenti termici del metallo, incrudimenti ed in generale modificazioni microstrutturali durante le lavorazioni ecc.), le attitudini delle maestranze e le difficoltà di approvvigionamento.

Nei riguardi del peso risultante, hanno anche grande influenza le dimensioni dell'intero velivolo e le dimensioni dei singoli organi. Infatti, perché la costruzione possa riuscire leggiera, occorre che le sollecitazioni in giuoco riescano le minori possibili ed a questo provvederà il disegno della struttura resistente, cercando di far correre gli sforzi secondo le loro linee d'azione più naturali, limitando al massimo le deviazioni, cercando di far resistere a diversi sforzi gli stessi organi e giungendo ad una concentrazione massima degli sforzi: in tal modo la macchina e le varie strutture riusciranno di linee sobrie ed eleganti. D'altra parte occorre che il materiale prescelto sia quello che maggiormente si addice. Qualche esempio chiarirà questo concetto. Sia da progettare un apparecchio di piccole dimensioni e quindi con sollecitazioni relativamente piccole; se lo si volesse costruire interamente in metallo, a meno che non intervenissero altre ragioni, si commetterebbe un errore, perché molti organi, se calcolati di dimensioni tali da resistere alle sollecitazioni previste risulterebbero di così piccolo spessore da renderne impossibile la costruzione, o perché dimensioni siffatte non si trovano in commercio od anche perché detti organi si deformerebbero certamente sotto l'azione di sollecitazioni secondarie (che non mancano mai e che il calcolo è spesso impotente ad analizzare) o di urti accidentali esterni.

Si abbia un tubo metallico di determinato diametro e lunghezza che debba resistere ad un certo carico P. Trattandosi di presso-flessione, il tubo va calcolato colla formula di Eulero

dove E è il modulo di elasticità del metallo impiegato ed I il momento d'inerzia della sezione. Se si fa un bilancio tra i diversi metalli a disposizione, ad es. acciaio di determinate caratteristiche o duralluminio di determinate altre caratteristiche, si può trovare, specie se il diametro imposto è abbastanza grande, che l'acciaio risulta più conveniente del duralluminio. Ma se lo spessore del tubo risulterà troppo piccolo, ecco che il duralluminio tornerà ad essere più conveniente. Inoltre, se il diametro del tubo sarà libero, in genere si troverà che il duralluminio sarà più conveniente, e forse ancora più convenienti altre leghe ultraleggiere come ad es. l'electron.

Viceversa, se il metodo di costruzione impiegato è quello delle saldature autogene (ad es. tipo di costruzione Fokker), è indispensabile adoperare acciaio di caratteristiche medie, per non correre il rischio di alterare troppo col calore della saldatura, le caratteristiche meccaniche

Si comprende quindi facilmente, senza entrare in ulteriori dettagli, quanta importanza abbia agli effetti del peso, non soltanto il disegno costruttivo della macchina, ma anche la giudiziosa scelta del materiale da costruzione.

Volendo in via di massima confrontare la leggerezza dei diversi materiali, p. es., con la compressione semplice, si può ragionare così: le caratteristiche dei materiali sono in tal caso:

Spruce, R = 300 kg./cm2 P = o,432 kg./dm

Acciaio trattato R 7000 kg./cm2 P = 7,8 kg./dm3

Duralluminio trattato R = 3000 kg./cm2 P = 2,8 kg./dm3

Electron pressato R = 2000 kg./cm2 P = 1,8 kg./dm3 dove R è il carico massimo alla compressione (nel senso delle fibre per il legno) e P il peso specifico.

La sezione da impiegare sarà:

il peso risultante PΩ ossia

l'indice di peso

sarà per i varî materiali indicati:

È ovvio che, cambiando condizioni di confronto, cambieranno anche gli indici di peso; quindi il risultato ottenuto nel caso in esame è tutt'altro che generale. Ad esempio il legno ed in particolare lo Spruce a tensione resiste meglio che alla compressione. L'acciaio, il duralluminio, l'electron invece resistono allo stesso modo sia nell'una che nell'altra sollecitazione. Quindi nel caso della tensione il

dello Spruce è il più favorevole.

c) Cenni sul calcolo della cellula. - Tralasciando di parlare di tipi speciali di ali - a longheroni multipli, a struttura cellulare, a cassone, ecc. - esaminiamo brevemente il procedimento di calcolo di una cellula biplana con ali a due longheroni.

La prima cosa da fare, dopo determinata la ripartizione del carico fra le due ali, è quella di fissare la posizione delle due travature, anteriore e posteriore. Questa si effettua di solito in modo che, nelle varie ipotesi di volo, i carichi sulle due travature abbiano a risultare i minori possibili. Ad es., nella condizione di carico verticale diretto (risultante a 1/3) sarebbe conveniente che il carico si ripartisse in due parti uguali fra travatura anteriore e posteriore (e cioè le due travature dovrebbero essere equidistanti dalla posizione della risultante). Una cellula ben studiata dovrebbe avere per quanto possibile la travatura anteriore così avanzata che il carico su di essa, derivante dalla ipotesi del volo rovescio, non fosse molto distante da quello derivante dalla ipotesi delle grandi incidenze e la travatura posteriore così arretrata da far sì che il carico su di essa, nella ipotesi delle grandi incidenze, non fosse superato da quello del volo alle piccole incidenze od in picchiata in candela.

In tali condizioni il longherone anteriore viene a trovarsi a meno del 10% della profondità dell'ala a partire dal bordo d'attacco e il posteriore fra il 35 ed il 60%.

Si determinano così i massimi dei varî carichi, che sono quelli da introdurre nei calcoli per il dimensionamento.

Se le due ali sono, come nel caso generale considerato, collegate fra di loro da elementi di collegamento (ad es. montanti e crociere, oppure esclusivamente montanti rigidi variamente inclinati), bisogna procedere alla miglior suddivisione dei longheroni in campate. Infatti ogni longherone può essere considerato come una trave continua appoggiata in punti intermedî e caricata con un carico ripartito uniformemente o no.

Applicando l'equazione di Ciapeyron o dei tre momenti alle varie campate dei longheroni, si possono ricavare i momenti negli appoggi, e lungo le campate stesse gli sforzi di taglio e quindi le reazioni negli appoggi.

Queste reazioni negli appoggi (considerando, ad es., una travatura verticale costituita da un longherone superiore, da quello sottostante e dal complesso degli organi di collegamento) sono come altrettante forze esterne applicate alla travatura che producono sollecitazioni di compressione e di trazione nelle varie campate di longherone e negli organi di collegamento; queste sollecitazioni vengono determinate cogli ordinarî metodi della statica grafica (Cremona, Saviotti ecc.).

Sulle varie campate di longherone si verificano quindi sforzi di flessione dovuti al carico ripartito e sforzi di compressione o trazione dovuti alla presenza degli organi di collegamento fra le due ali i quali d'altra parte riducono quelli di flessione, mentre su di essi si verificano soltanto sforzi di trazione o compressione. Gli sforzi assiali, tanto nei longheroni quanto negli altri organi vanno aumentando dall'estremità della cellula verso il centro. Quindi in generale è bene diminuire le campate procedendo verso il centro.

Inoltre nel carico diretto i longheroni superiori risultano compressi, mentre gli inferiori sono tesi; tenendo conto anche del fatto che l'ala superiore lavora maggiormente di quella inferiore per effetto dell'induzione mutua, vi sono stati costruttori che hanno adottato la soluzione di fare le campate dell'ala superiore più piccole. Ne risulta quindi a parità di numero di campate una maggiore apertura dell'ala inferiore: soluzione questa felicissima dal punto di vista costruttivo, ma non altrettanto da quello aerodinamico. Sembra migliore la soluzione di sopprimere una campata all'ala inferiore, accorciandola per altro in proporzione. L'inverso avviene naturalmente nell'ipotesi di carico invertito, ma poiché i coefficienti di rottura imposti per il caso del volo rovescio e dell'atterraggio, portano a sollecitazioni minori, così le considerazioni esposte hanno maggior importanza nel caso del carico diretto.

Circa gli organi di collegamento, risultano compressi nel caso del carico diretto e di travatura a soli montanti, quelli che vanno, guardando dal basso in alto, verso il centro dell'apparecchio, mentre risultano tesi quelli che se ne allontanano. Naturalmente nel caso di carico invertito anche la direzione delle sollecitazioni si inverte e ciò che era teso risulta compresso e viceversa. Nelle travature a montanti verticali e diagonali, i montanti risultano in ogni caso compressi; oltre le diagonali che vengono fatte di solito in cavi di acciaio o in profilati di acciaio ad alta resistenza, incapaci di resistere a compressione, necessitano delle contro diagonali per i casi di carico invertito.

Contemplando le varie ipotesi del carico verticale diretto e invertito si ricercano dunque i massimi delle varie sollecitazioni che hanno luogo nelle varie campate di longherone, nei montanti e nelle diagonali.

Analogo procedimento bisogna seguire per quanto riguarda le sollecitazioni nel piano alare, dove si determinano i massimi degli sforzi sulle varie campate di longherone, sui contraffissi e nelle crociere dei piani alari, e per quelle di torsione dove si determinano i massimi degli sforzi sui contraffissi precedenti, sui montanti di cellula e nelle crociere d'incidenza.

Si può quindi compilare una tabella delle varie membrature della cellula, con l'indicazione dei carichi massimi, ripartiti (portanza-resistenza all'avanzamento), assiali (trazioni della cellula secondo i tre assi principali) e concentrati (carichi eventuali, trazioni delle eliche, reazioni di cerniera degli alettoni, ecc.) e procedere al dimensionamento definitivo dell'ossatura di cellula (longheroni, contraffissi, montanti, crociere, mensole di supporto degli alettoni, attacchi di carrucole, cavi di rimando, centine, ecc.).

d) Cenni sul calcolo dei longheroni. - Si è visto che un longherone può essere considerato come una trave continua sollecitata da un carico ripartito. Però la presenza degli sforzi assiali trasmessi dai controventamenti delle travature verticali ed orizzontali, non consente l'applicazione pura e semplice dell'equazione che serve però a risolvere il problema in una prima approssimazione. Occorre applicare le equazioni di Albenga che, nella loro forma più pratica, sono le seguenti:

dove le l sono le lunghezze delle campate, M1 Md i momenti flettenti a sinistra e a destra del nodo considerato, Δ y i dislivelli fra gli estremi delle campate, E ed I i moduli di elasticità ed i momenti d'inerzia, e1 e ed le eccentricità dei carichi assiali P, ed infine ρ, τ, γ sono delle funzioni di

date da apposite tabelle nel caso della trave compressa o della trave tesa.

Con queste formule si ricavano i momenti sugli appoggi e lungo le campate, che permettono il dimensionamento del longherone, nonché le reazioni sugli appoggi, che, se notevolmente differenti da quelle trovate prima coll'equazione dei tre momenti, serviranno ad una più esatta approssimazione nella ricerca degli sforzi assiali negli altri organi della travatura.

Perché il longherone riesca leggiero occorre cercare di concentrare il materiale in regioni lontane dall'asse neutro. Sorge così il longherone a traliccio, nel quale le solette assorbono gli sforzi di trazione e compressione derivanti dal carico assiale e dal momento flettente, mentre il traliccio resiste al taglio. La presenza di organi compressi relativamente lunghi e sottili nel longherone, e cioè aste di traliccio, parte di solette compresse, costringe ad altrettante verifiche euleriane per la presso-flessione. Di solito i longheroni risultano alti e stretti, perché nel piano verticale debbono resistere agli sforzi assiali ed al carico ripartito, mentre nel piano orizzontale il carico è molto minore.

Infatti nulla vieta di diminuire le campate del longherone sul piano orizzontale, perché gli organi di controventamento essendo tutti interni all'ala, non risultano esposti al vento. Di solito in questo calcolo non si tiene conto del contributo apportato dalle centine, perché essendo molto sottili, sono pochissimo resistenti agli sforzi di compressione orizzontali nel loro piano. I longheroni vanno poi calcolati in tutti i loro dettagli costruttivi, con speciale riguardo agli sforzi secondarî che si possono verificare allorché gli assi di sollecitazione dei varî organi (montanti, contraffissi, aste di traliccio, attacchi di crociere, ecc.), per ragioni costruttive o per deformazioni, non vanno a concorrere nelle cerniere ideali che il metodo di calcolo impiegato presuppone.

e) Cenni sul calcolo delle altre parti dell'apparecchio. - Le fusoliere possono essere sottoposte a tre tipi fondamentali di sollecitazione: flessione diretta ed inversa e torsione. La prima ha luogo nella brusca richiamata dopo la picchiata in candela dove la fusoliera ha la tendenza a flettersi verso il basso per la risultante della azione dell'impennaggio orizzontale e per le inerzie di massa che si sviluppano durante la manovra, dai varî carichi distribuiti lungo la fusoliera (equipaggio, carico utile, non baricentrico, istrumenti, ecc.) e dalla fusoliera stessa. La seconda ha luogo nella manovra inversa (massima azione picchiante del timone di profondità oppure atterraggio). La terza di flessione laterale e torsione, ha luogo nell'alambardata durante l'atterraggio ed in seguito alla massima azione dell'impennaggio di direzione o anche ad azioni combinate.

Le Norme di collaudo stabiliscono nei varî casi l'entità dei carichi incrementali da applicare ed i coefficienti di robustezza da adottarsi.

Il calcolo delle fusoliere si effettuerà considerandole come mensole incastrate nella cellula; il dimensionamento verrà effettuato secondo gli sforzi massimi che vengono a crearsi in ciascun organo, dopo d'aver scomposto i carichi applicati secondo le varie travature. Qualche maggiore difficoltà presenterà il calcolo delle fusoliere completamente rivestite in metallo od in legno compensato e dove detto rivestimento sia considerato come parte resistente. Infatti, se il calcolo generale è semplice poiché basta proporzionare i momenti d'inerzia di ogni sezione di fusoliera ai momenti flettenti che vi si verificano, il calcolo di dettaglio per determinare la robustezza locale in ogni punto è molto difficile per l'esatta valutazione degli sforzi secondarî localizzati. Tanto che in questi casi spesso l'empirismo prevale e si preferisce ricorrere ad alcune prove statiche parziali preventive.

I carrelli d'atterramento vanno calcolati non soltanto dal punto di vista della robustezza ma anche da quello dello scopo a cui devono servire. Ad esempio, perché l'apparecchio si presenti facile all'atterramento, occorre che il carrello sia abbastanza avanti rispetto al baricentro dell'apparecchio, per diminuire i pericoli di capottata: per altro non bisogna esagerare per non appesantire troppo la coda e per non favorire troppo il beccheggio durante il rullaggio.

Il carrello inoltre deve attutire gli urti in maniera soddisfacente e cioè deve assorbire con un lavoro di frenamento determinato, le forze vive in giuoco.

Si possono facilmente stabilire le equazioni dei lavori, fissando la velocità verticale di atterramento e le corse degli organi ammortizzatori, e da queste si possono dedurre le caratteristiche alle quali gli elastici, le molle o i dispositivi di frenamento idraulico debbono soddisfare. Analoghi calcoli vengono effettuati per il pattino di coda e per i meccanismi smorzatori delle oscillazioni del carrello, quando esistono.

Le ossature del carrello e le incastellature del pattino di coda debbono venire sottoposte a calcoli di robustezza tanto nel caso di brusco atterraggio verticale, quanto nel caso di imbardata, secondo i coefficienti stabiliti dalle norme di collaudo.

Gl'impennaggi infine vanno calcolati sotto il triplice aspetto della robustezza, delle efficienze aerodinamiche e della facilità di comando. Circa quest'ultimo punto non essendo possibile demoltiplicare troppo gli sforzi con giuochi di leve o altro, per non andare incontro ad ampiezze di comando troppo forti, si ricorre alla. compensazione aerodinamica degli impennaggi, come a quella degli alettoni.

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