AFGHANISTAN

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

Vedi AFGHANISTAN dell'anno: 1958 - 1994

AFGHANISTAN (v. vol. I, p. 102)

G. Fussman

Sono noti alcuni siti paleolitici, soprattutto nel Nord del paese (Aq Kupruk, Kara Kamar, ecc.). La produzione artistica tuttavia inizia solo nel Neolitico. Il più antico insediamento conosciuto è quello di Mundigak, presso Kandahar, occupato a partire dal IV millennio a.C. (Mundigak I). Gli strati più antichi hanno restituito una ceramica molto raffinata, spesso decorata con forme e motivi di grande eleganza (animali, foglie, figure geometriche), statuette antropomorfe in terracotta e diversi manufatti. Alcuni sigilli di steatite fanno la loro comparsa a Mundigak III (3500-2800?) e Mundigak IV (2800-2000?). Questo ultimo periodo vede la costruzione di due edifici monumentali in mattoni crudi, denominati dall'archeologo che li ha scavati «palazzo» e «tempio», ma la cui vera funzione non è nota. Le loro facciate sono decorate da colonne incassate, semicircolari (palazzo) o a sezione triangolare (tempio). La ceramica di Mundigak III presenta analogie con quella del Belucistan (p.es. Amri), ma anche con quella della Turkmenia (Namazga III) e dell'Iran orientale (Šahr-e Sokhta I). Nel periodo IV, si osservano strette analogie soprattutto con il Belucistan (Kot Diji, Faiz Mohammad, Quetta).

Uguale complessità è attestata nella Battriana della stessa epoca. Nella Battriana orientale il sito di Šortugai (c.a 2200-1300 a.C.), sulla sponda sinistra dell'Oxus, è inizialmente una base commerciale della civiltà dell'Indo, qui impiantata senza dubbio per permettere un più agevole approvvigionamento di minerali preziosi (quali il lapislazzuli). In quest'epoca (Šortugai I) la sopravvivenza della popolazione è parimenti assicurata da culture irrigue: l'esistenza di un canale di irrigazione di almeno 25 km è più che probabile. In seguito (Šortugai II, III, IV) si allentano i legami con Harappā (che ha cessato di esistere) e si rafforzano quelli con le valli della riva destra dell'Oxus (cultura di Biškent).

Più a O, l'oasi di Dašlï, a Ν di Aqča, mostra una cultura molto diversa, la cui data è ancora oggetto di discussione (metà del II millennio a.C. per lo scavatore, V.l. Sarianidi; una fase ancora più antica secondo P. Amiet e H.-P. Francfort). Qui sono stati portati alla luce un insediamento fortificato rettangolare di 80x90 m, un palazzo (?) ugualmente rettangolare (88x84 m), costruito anch'esso in mattoni crudi, e infine un tempio (?) circolare. Alcune tombe sono state scavate regolarmente, migliaia di altre sono state saccheggiate dai cercatori di antichità. Esse hanno fornito materiale molto abbondante; ceramica, con vasi conici e vasi a becco privi di decorazione; alcune selci; vasi d'alabastro; vasi in serpentino; colonnette o mazze di pietra; specchi, spille, boccette, armi in bronzo; sigilli in bronzo divisi in comparti; amuleti in pietra. Si tratta di una civiltà originale, sensibilmente affine a quella della Margiana (Sapalli Tepe), ma anche a quella della Turkmenia meridionale (Namazga VI) e dell'Iran orientale (Hissar III C, Šāhdād).

Alla fine dell'Età del Bronzo, che in A. dura fino all'inizio del I millennio a.C., a Tillyā Tapa, presso Šibargan, è attestata una cultura diversa, nota in modo ancora estremamente frammentario (edifici su piattaforma di mattoni crudi e ceramica dipinta). A partire dal VI sec. a.C. tutte le regioni dell'A. sono gradualmente incorporate nelle satrapie dell'impero achemenide. Né a Herat, né a Kandahar, né a Balkh, dove lo spessore delle rovine impedisce di mettere in luce su ampie superfici gli strati più antichi, sono state individuate residenze satrapali che permettano di confrontare l'architettura e l'arte ufficiale dell'A. achemenide con quella di Pasargade o di Persepoli. I vasi in pietra dell'Arachosia (Kandahar) rinvenuti nel corso dello scavo della Tesoreria di Persepoli (mortai e pestelli) ne rappresentano l'unica testimonianza.

I soli insediamenti messi in luce per ampi tratti si trovano in Battriana, a NO di Balkh (antica Battra): a Altïn 10 sono un «palazzo d'inverno» (80x55 m) composto di due corti giustapposte, circondate da portici con colonne di mattoni crudi, e un «palazzo d'estate» (36x36 m) costruito attorno a una corte centrale; a Kutlug Tepe è un «tempio circolare». Sebbene la Battriana abbia costituito in quel periodo una comunità politica con l'altopiano iranico, rafforzata dalla approssimativa identità di lingua e religione, la sua cultura materiale non ha confronti diretti a Occidente: si tratta di una cultura originale, appartenente a un insieme centroasiatico di notevole ampiezza. Al contrario, la ceramica del Sistan (Nād- e Ali) e dell'Arachosia (Mundigak) trova confronti nell'altopiano iranico.

La spedizione di Alessandro, a partire dal 330 a.C., segna una netta cesura. Il Mediterraneo greco, fino ad allora presente solo con le sue monete d'argento che servivano come numerario per l'impero achemenide fino in India, influenzerà da questo momento l'arte dell'A. per un millennio. Le grandi città vengono occupate da Alessandro (Battra, Kandahar). Si può solo supporre che uno dei bastioni di Battra (Balkh I) e la fondazione di Ai Khānum (Alessandria sull'Oxus?) risalgano a quest'epoca o all'inizio del III sec. a.C., quando il Nord dell'A. era una satrapia seleucide. L'insediamento di una popolazione greca o ellenizzata è comunque sicuro: è attestato dalle fonti letterarie e soprattutto dal fatto che verso il 240 a.C. esisteva ancora a Kandahar, ceduta da Seleuco a Candragupta nel 303 a.C., quindi più di sessant'anni prima, una popolazione che parlava e scriveva perfettamente in greco (iscrizioni di Aśoka a Kandahar).

La Battriana rimase greca. A partire dal 250 a.C. vi si sviluppò uno stato greco indipendente, il regno greco-battriano, a lungo noto solo attraverso le superbe monete dei suoi sovrani. La civiltà di quest'epoca è ora ben nota per merito degli scavi di Ai Khānum, che hanno permesso di esporre, su un'ampia superficie, le rovine di questa città abbandonata dai Greci intorno al 146 a.C. e che fu una capitale amministrativa e forse regia. Ai Khānum è posta alla confluenza del Kokča con l'Oxus: la città ha pertanto la forma di un triangolo rettangolo, con l'ipotenusa occupata da un'acropoli naturale, affacciata sul Kokča.

La maggior parte degli edifici scavati, che sono anche più importanti, si trovano nella città bassa, lungo l'Oxus, tra questo e l'acropoli. Le dimensioni sono enormi: la città, interamente cinta di possenti mura di mattoni crudi, si estende per 1,8 km da Ν a S e 1,5 km da O a E. Molti spazi sono rimasti vuoti: si tratta di un'urbanistica e di un'architettura manifestamente greche, ma applicate in terra di conquista, dove non si avevano problemi di spazio e dove la mano d'opera era a buon mercato. La città bassa si sviluppa attorno a un grande palazzo (250x350 m) formato da blocchi quadrilateri giustapposti. Attorno a questo si raggruppano quartieri residenziali, edifici militari (l'arsenale) e costruzioni caratteristiche dell'urbanistica e della vita politica greca: il ginnasio, il teatro, la fontana, la tomba del fondatore, i templi.

I muri sono di mattoni crudi, spesso su basamento di mattoni cotti, secondo una tecnica più centroasiatica che greca. Le dimensioni sono maggiori di quelle comunemente note nel mondo ellenistico, ma per una ragione politica, trattandosi di un'architettura coloniale. Le piante sono di tipo diverso: greco per gli edifici tipici dell'ellenismo (teatro, ginnasio, fontana); iranico e mesopotamico per i templi, sebbene nel secondo caso la statua di culto sia stata di tipo greco; originale per il palazzo e soprattutto per le grandi residenze della classe dirigente. Il palazzo e le grandi dimore sono in effetti composte di moduli, il più importante dei quali è una sala di rappresentanza quadrangolare, con tetto sorretto da colonne, aprentesi attraverso un portico su una corte o su un giardino, e separata dagli ambienti di servizio, situati sul retro e sui lati, da un corridoio a Π. Questo tipo di pianta avrà una grande fortuna in tutta l'Asia centrale sino alla fine del periodo kuṣāṇa.

Greche sono al contrario la regolarità e la simmetria delle piante, la predilezione per i portici, l'uso dei colonnati di pietra (di ordine corinzio, ionico o dorico, secondo i casi), le antefisse che bordano i tetti, la diffusione degli ambienti da bagno e l'abitudine di decorarli con mosaici di ciottoli, la ceramica (anche quella comune), la scultura in pietra e in argilla. I Greci hanno insomma adottato, a volte migliorandole, le soluzioni tecniche locali in tutti quei casi in cui erano più adatte alla conformazione del terreno e al clima. In tutto ciò che riguardava direttamente la propria cultura, invece - che si trattasse della decorazione di lusso, dell'educazione, delle distrazioni o della lingua (abbiamo importanti iscrizioni) - essi hanno voluto vivere alla greca, seguendo da presso l'evoluzione dei modi e delle dottrine nel mondo ellenizzato dell'epoca. Mancano quasi del tutto, fino all'abbandono della città, tracce della cultura dei sedentari indigeni, e ancora più scarse sono quelle dei loro vicini nomadi, nondimeno ben attestate nel vicino insediamento di Takht-e Sangin (v.), sulla riva destra dell'Oxus.

In queste condizioni è difficile distinguere i prodotti importati da quelli eseguiti sul posto. Vengono senz'altro dal Mediterraneo anfore e stampi di gesso (modelli per la decorazione del vasellame di pregio). Sono stati certamente scolpiti sul posto, da scultori greci o profondamente ellenizzati, un pilastro ermaico, una statuetta virile ignuda e un'immagine di efebo. P. Bernard avanza buone ragioni per sostenere che un medaglione d'argento raffigurante Cibele, che ricorda tuttavia la produzione siriaca dell'epoca, e una figura di avorio dall'aspetto molto «orientale» siano prodotti locali. Ma la grande creazione degli scultori di Ai Khānum è quella di una plastica in argilla cruda e in stucco che avrebbe influenzato profondamente l'arte dell'Asia centrale e dell'India anche dopo la scomparsa dei Greci. Qualche oggetto indiano sembra aver fatto parte del bottino di guerra.

Altri siti di epoca greca sono noti nella Battriana afghana: Dilberjin, presso Balkh, dove è stato scoperto un gigantesco tempio detto «dei Dioscuri», troppo mal scavato perché si possa essere sicuri della sua pianta o della sua datazione; Jiga Tepe, presso Dilberjin; Šahr-e Bānu. Jiga Tepe, la cui datazione al periodo greco non è messa in dubbio (ma a quale secolo andrebbe datato?), è particolarmente interessante poiché conserva un tipo di fortificazione centroasiatica (tracciato circolare, mura con galleria, torri semicircolari cave all'interno) che si può contrapporre alle mura massicce e alle torri quadrangolari piene di Ai Khānum.

La dominazione greca non si limitò alla Battriana. All'inizio del II sec. a.C. i sovrani greci di Battriana si lanciarono alla conquista dell'India, che avrebbero poi dominato, compresa la valle del Gange, per tutto il II sec. e di cui avrebbero perso il controllo a poco a poco nel I sec. a.C. Le vicende politiche di quest'epoca sono assai poco note e l'unica testimonianza dell'attività artistica dei Greci a S dell'Hindukush sono le loro monete, meno belle di quelle coniate nel Nord, e con legende in parte indiane. Due siti che risalgono a quest'epoca sono noti (Kandahar e Begrām), ma scavati in modo insufficiente. Le fortificazioni greche di Begrām ricordano comunque quelle di Ai Khānum; quelle di Kandahar, coeve, sembrano perpetuare le fortificazioni achemenidi.

A partire dal 150 a.C. alcune popolazioni nomadi (Śaka nella fascia occidentale del paese, Yuezhi nella maggior parte della Battriana) invasero dal Nord i territori greci. Intorno all'inizio della nostra èra, l'A. è interamente sotto il loro controllo. Ciò significa la scomparsa completa delle forme greche di dominio e della cultura ufficiale greca. È impossibile per il momento dire come furono trattati i coloni greci che non appartenevano alle classi dirigenti. La popolazione iranica locale non sembra aver sofferto. Le distruzioni dovute alla guerra non indebolirono l'economia profondamente: Ai Khānum cessò di esistere come città, ma la rete di canali d'irrigazione non sembra essere stata toccata. A giudicare dalle testimonianze portate alla luce nell'Uzbekistan meridionale, gli Yuezhi utilizzarono gli artigiani locali per costruire e decorare i loro edifici di rappresentanza (Khalčayan). I ritrovamenti nelle loro tombe, individuate a Ν dell'Oxus, comprendevano solo ceramica grossolana e monete di fabbricazione locale.

Le sei tombe scavate nel 1978-79: a Tillyā Tapa, presso Šibargan, nell'A. nord-occidentale, appartengono probabilmente a un altro gruppo di popolazioni nomadi (Śaka o Parti). Si tratta di tombe principesche, databili tra il I sec. a.C. e il I d.C., e contenenti materiale di grande ricchezza: vesti ricamate d'oro, ornamenti e diademi d'oro e di pietre preziose, armi con fodero d'oro, ecc. L'analisi dei ritrovamenti mostra l'eclettismo del gusto di questi invasori, o piuttosto l'estensione geografica delle loro incursioni e saccheggi: vi si trovano insieme oggetti indiani, greci, partici, romani, scitici di Crimea e d'Asia centrale. Ma questo materiale non è tipico di una cultura in formazione: un simile eclettismo non si ritrova, per lo meno in queste proporzioni, nell'arte della Battriana kuṣāṇa.

Poco prima dell'inizio della nostra èra, il capo di uno dei sottogruppi Yuezhi, il sottogruppo Kuṣāṇa, impose la sua autorità su tutta la Battriana settentrionale, valicò l'Hindukush e invase il Panjab, all'epoca preda di principi rivali. In tal modo si formò, sotto Kujula Kadphises, l'impero kuṣāṇa, il cui sovrano più celebre fu Kaniṣka (fine del I sec. d.C.) e che, al suo apogeo, si estendeva dal golfo del Bengala alla Battriana. L'A. ne rappresentava il cuore, sebbene la sua parte occidentale (Kandahar, Herat, Maimana) sembra sia restata fuori dei confini dell'impero. La storia politica di questo periodo è nota in modo estremamente frammentario, ma sembra che nel complesso i primi due secoli della nostra èra siano stati un'epoca di pace e di prosperità. Questo fu anche il periodo di maggiore intensità degli scambi tra il mondo romano, il mondo indiano e il mondo cinese. Le vie di terra più frequentate attraversavano i valichi dell'Hindukush e si riunivano a Battra. Gli scavi di Begrām hanno ampiamente confermato le testimonianze letterarie sulla realtà di questo ipotetico ramo della «via della seta». Qui sono stati scoperti, in un magazzino databile alla fine del I sec. d.C. (?), lacche cinesi, avori indiani, vetri dipinti di Alessandria e di Siria, bronzi romani e modelli in gesso di vasellame di pregio probabilmente di origine alessandrina.

Gli eredi degli Yuezhi si trovarono così alla testa di un vasto impero, aperto a tutte le influenze esterne, composto di due parti estremamente diverse per lingua, cultura, religione: una parte indiana e una centroasiatica, storicamente iranica. Le comunicazioni tra le due parti di questo impero erano rese agevoli dall'ipotizzato periodo di pace e dall'unificazione economica testimoniata dalla monetazione kuṣāṇa. Dai loro antenati Yuezhi i sovrani kuṣāṇa avevano ereditato soltanto pochi elementi culturali: un'etica personale, la predilezione per il pesante vestito delle steppe (stivali, pantaloni, tunica e lungo mantello), per le armi di cavalleria, per i monili d'oro. Molti di questi tratti sono manifesti sul diritto delle monete d'oro che li raffigurano. Per il resto, sappiamo che essi erano completamente acculturati. Almeno da Wima Kadphises in poi (a partire dal 30 d.C.?) avevano adottato i culti locali; almeno da Kaniṣka in poi avevano persino adottato come lingua madre la lingua della Battriana. Questi fenomeni determinano il peculiare aspetto dell'impero kuṣāṇa, che deve la sua varietà al fatto che ogni regione culturale reagì diversamente alla commistione dei diversi influssi sopra ricordati.

A Ν dell'Hindukush, il sito più antico conosciuto attualmente è Surkh Kotal, considerato per lungo tempo un tempio del fuoco. In realtà si tratta di un tempio dinastico, costruito sotto Kaniṣka e dedicato alla Vittoria (Oanindo) protettrice della dinastia (come le Tychai greche o le Srī indiane). Le dimensioni sono gigantesche: un'intera collina fu trasformata per 60 m di altezza e 75 m di larghezza. Le tecniche fondamentali sono quelle della Battriana greca: stessa tipologia planimetrica (ambiente centrale circondato da un corridoio), stessa decorazione (lesene con capitelli corinzi, porticati, sculture in pietra e in argilla), stesso modo di costruire i muri con mattoni crudi e i tetti con argilla. Queste tecniche tuttavia sono adattate e semplificate: le decorazioni di pietra sono semplici rivestimenti; nelle colonne, solo la base è di pietra; i conci sono messi in opera con poca cura. Ne risulta un edificio che non ha nulla di greco: esso è un enorme tempio-terrazza di tipo iranico, che ospita nella corte e nella cella anche divinità indiane e che serve alla glorificazione del sovrano. Sono state rinvenute diverse statue, due delle quali almeno sembrano essere ritratti ufficiali. Si tratta in questo caso di un'arte ufficiale, poiché statue del tutto analoghe sono state ritrovate in un altro santuario regio kuṣāṇa a Mathurā (v.), dove sono identificate dalle iscrizioni. Sono delle statue a stele in rilievo basso, in cui il sovrano è rappresentato come sul diritto delle monete, stante, con le gambe divaricate, nell'abito delle steppe. Il complesso fu restaurato nell'anno 31 dell'era kuṣāṇa da un alto funzionario, Nokonzok, il custode delle terre di confine, del quale possediamo iscrizioni in lingua locale (battriano) ma in caratteri greci.

Verso la fine del II sec., una volta abbandonato il grande tempio (A), si costruì sulla sommità della collina, riutilizzando una parte delle rovine di questo, un piccolo tempio del fuoco (B), di pianta nettamente iranica (cella circondata da un corridoio cieco), che fu distrutto da un incendio. A E della collina, nella pianura, si alzava una piccola piattaforma con pareti decorate da lesene e capitelli corinzi in pietra: si tratta verisimilmente della testimonianza archeologica più antica che possediamo sui culti buddhistici nella Battriana meridionale. L'unificazione dell'impero e la protezione dei sovrani kuṣāṇa (Wima Kadphises era devoto a Śiva e Kaniṣka aveva la reputazione di protettore del buddhismo) avevano permesso infatti alle religioni indiane di penetrare in Asia centrale a partire dai primi secoli della nostra èra. I monumenti buddhistici della Battriana sono spesso male datati. A Ν come a S dell' Oxus, vanno da un'epoca molto antica (Kara Tepe e Surkh Kotal, fine del I sec. d.C.?) a un'epoca notevolmente più recente (Haibak, Qunduz, Dilberjin, Battra: III-V sec.?). Lo śivaismo è attestato a Surkh Kotal e soprattutto a Dilberjin, dove una pittura kuṣāṇa, senza dubbio piuttosto tarda, rappresenta Śiva e Pārvatī.

La città kuṣāṇa di Dilberjin, la cui datazione è problematica a causa delle incertezze legate alla cronologia degli ultimi sovrani kuṣāṇa e alla data della loro sottomissione ai re sasanidi (che oscilla dal 250 al 370 d.C., secondo i diversi studiosi), sembra nel complesso più tarda di Surkh Kotal. In essa tuttavia sono molto più evidenti le influenze iraniche e centroasiatiche: vi è utilizzata la volta; un muro di difesa è attraversato da una galleria; vi ricompaiono le torri semicircolari; la pittura mostra influssi sasanidi molto precisi (divinità femminile seduta in trono, frontalmente, con ginocchia divaricate; disposizione dei nastri). Dilberjin mostra anche uno dei primi affreschi con donatori allineati, tutti vestiti con caftano ricamato: assistiamo alla nascita in quest'area di un'arte pittorica di cui si ritrova l'equivalente sulla riva destra dell'Oxus (Kara Tepe, Balalïk Tepe) e che influenzerà profondamente l'arte dell'Asia centrale oggi cinese (donatori di Qïzïl), l'arte della Sogdiana e la stessa pittura islamica ghaznavide (affresco di Laškari Bāzār). Ma l'arte greca è ancora presente in una statua di terracotta raffigurante Eracle, il cui culto era particolarmente popolare in Asia centrale tanto da servire spesso da modello per la raffigurazione del Vajrapāni buddhistico.

Il grado di ellenizzazione delle regioni situate a S dell'Hindukush, nel periodo indo-greco, è attualmente difficile da valutare: l'unica testimonianza diretta è fornita dalle monete reali, che sembrano di fattura meno buona delle monete della Battriana greca, anche se spesso coniate dagli stessi sovrani. La formazione dell'impero kuṣāṇa e la supremazia politica della classe dirigente venuta dal Nord o a questo ancora legata, si accompagnarono certamente a un rafforzamento delle influenze da parte del mondo iranico e centroasiatico ellenizzato. L'influenza del mondo romano, testimoniata in modo certo dalla monetazione e confermata dai ritrovamenti di Begrām (supra), pesò nello stesso senso. Le tecniche della scultura illusionistica greca, il gusto irano-partico per la frontalità, l'arte occidentale del basso rilievo istoriato, l'amore per la decorazione ellenizzante (lesene e capitelli corinzi, cornici, modanature attiche, ecc.) furono in tal modo messi al servizio di una religione indiana (il buddhismo) e dei suoi specifici monumenti religiosi (stūpa, cappelle, monasteri). Nacque così la c.d. arte greco-buddhistica (romano-buddhistica secondo alcuni) del Gandhāra, ben attestata in A. e che attraverso l'A. influenzò profondamente l'arte buddhistica dell'Asia centrale. Quest'arte compare nel Gandhāra e nel Sud-Est dell'A. a cavallo tra il I sec. a.C. e il I d.C. Ben presto (inizio del I sec. d.C.) il Buddha vi viene rappresentato antropomorficamente e non più mediante simboli come nella prima arte indiana. Lo stesso processo si svolge, all'incirca nello stesso momento, nell'arte tutta diversa di Mathurā e gli storici dell'arte continuano a interrogarsi per sapere a quale delle due assegnare la priorità. In realtà, non si tratta di un problema tecnico, ma di evoluzione religiosa, e non è verisimile che l'ellenismo abbia influito in questo campo.

I monumenti buddhistici dell'A. hanno lo stesso aspetto di quelli che si trovano più a S: stessi stūpa, a volte molto alti, costituiti da un nucleo di pietrame e terra rivestito da un paramento in pietra, esso stesso protetto da un intonaco bianco di estrema durezza. Questi stūpa si alzano spesso sul fronte di colline, su una piattaforma in parte costruita in muratura, e poggiano su uno o più corpi di base, circolari o quadrati, decorati da lesene con capitelli corinzi. Al di sopra sono uno o più tamburi circolari, spesso decorati da archi ciechi, una «cupola» molto alta e ombrelli in pietra. Il tutto era dipinto di bianco e ornato con campanelle e banderuole. Il monastero, cioè una corte circondata da celle, si trovava in genere dietro lo stūpa, che era il monumento offerto alla vista dei fedeli laici. Tra il grande stūpa e il monastero, che costituivano le parti essenziali del complesso, venivano costruiti nel corso del tempo dei piccoli stūpa, detti a torto «votivi», e cappelle, i monumenti più riccamente decorati in qualsivoglia sito, contenenti spesso a centinaia bassorilievi e statue.

Il sito più antico in A. è quello di Darunta, presso Jalalabad, certamente esistente intorno agli inizî della nostra èra, forse anche prima. Scavato poco e male, ha tuttavia restituito il celebre reliquiario in oro, alto 9 cm, la cui datazione è molto discussa e che Fussman assegna all'epoca tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. Esso presenterebbe la più antica raffigurazione del Buddha attualmente databile. Un sito inedito, scoperto ai piedi della collina di Tapa Maranjān a Kabul nel 1982, risale probabilmente a un'epoca parimenti antica, almeno nella sua prima fase. In una posizione elevata che domina Begrām, il monastero di Šotorak ha dato pezzi antichi, di fattura impacciata, che si è tentati di datare al periodo kuṣāṇa.

Il sito più ricco e più ampiamente scavato è quello di Hadda, presso Jalalabad, sicuramente già attivo nel periodo kuṣāṇa, ma giunto alla piena fioritura forse solo più tardi. La ricchezza di questo complesso è probabilmente dovuta al fatto che vi si conservava una reliquia preziosa del Buddha, ancora venerata quando vi passò Xuanzang verso il 630. La produzione è molto abbondante: sculture di scisto e di calcare, di argilla cruda e di gesso (spesso chiamato stucco), in cui si distinguono le mani di artisti capaci di produrre gli uni opere di aspetto puramente ellenistico (Eracle-Vajrapāni, Antinoo), gli altri pezzi che richiamano Taxila nel Panjab o Tumšuq in Asia centrale. La pittura vi è rappresentata da qualche frammento a fondo bianco, dalle linee pure, molto diverse dalle contemporanee testimonianze di Dilberjin, e dagli affreschi in un ambiente a forma di grotta destinato alla meditazione. Hadda non soffrì del passaggio sotto la dominazione politica dei Sasanidi. Costoro non sembrano aver perseguitato i buddhisti, e non è neppure sicuro che il tempio del fuoco inserito nel complesso monastico di Hadda/Tapa Sotor sia da attribuire alla loro azione: si tratta forse di un fenomeno di acculturazione spontanea. Sotto i Sasanidi vengono costruiti nei pressi di Kabul molti nuovi complessi buddhistici, altri continuano a vivere. Goldara può così essere datato al V-VI secolo. Questi siti della regione di Kabul sono poveri di sculture. Ma esistono almeno due complessi in cui la produzione artistica fu particolarmente fiorente nel VI-VII sec.: Tapa Maranjān, sito che sovrasta Kabul, vissuto per breve tempo, e soprattutto Tapa Sardār, che fu attivo fino al IX sec., sopravvivendo alla conquista islamica. La scultura in argilla dei periodi più tardi di Tapa Sardār, di rara eleganza, unisce all'antico sostrato gandharico tratti gupta e soprattutto kashmiri, rappresentando una testimonianza chiave per la storia della plastica indiana del VII-VIII sec. d.C. Singolare è la totale assenza di elementi iranici in questo sito, posto sulla via che porta in Iran: anche l'altare del fuoco che vi è stato scoperto può infatti interpretarsi senza difficoltà in chiave indiana (homa).

Tapa Sardār non è l'unica testimonianza nell'Est dell'A. dell'arte Hindu-Sāhi (VI-VIII sec.) detta del Kashmir; ma gli oggetti più noti sono costituiti da sculture hindu.

I secoli VI-VII vedono in effetti in queste regioni la costruzione di templi hindu (Čigha Sarai a Ν di Jalalabad, Khair Khāna nella piana di Kabul) le cui statue di culto, spesso in marmo bianco, presentano caratteristiche stilistiche comuni che ne rendono possibile l'attribuzione a quest'arte: tra esse il linga di Tagāo, la testa śivaita di Mahipar, la statua di Umā-Maheśvara proveniente dagli scavi di Tapa Skandar, i Sūrya di Khair Khāna, le statue di Durgā Mahiṣāsuramardinī di Gardez, il frammento viṣṇuita di Gardez. Come nell'India dello stesso periodo, il buddhismo assume in misura sempre maggiore elementi hindu e non ci si stupisce di assistere alla costruzione nel monastero di Tapa Sardār di una cappella contenente una grande immagine di Durgā Mahiṣāsuramardinī («che uccide il demone-toro») in argilla cruda. Le statue di Gaṇeśa scoperte nei templi sikh oggi in funzione a Kabul risalgono a quel periodo.

Il sito di Bāmiyān, nel cuore dell'A., meriterebbe di essere studiato di nuovo alla luce delle scoperte di questi ultimi anni in Battriana. È uno dei siti noti da maggior tempo e i suoi due grandi Buddha stanti scolpiti nell'alta parete di conglomerato (alti 38 e 55 m), le sue decine di grotte artificiali dal soffitto spesso scolpito a forma di volta a botte, di cupola o a Laternendecke, le pitture che ornano i suoi sacelli (Buddha, donatori, ma anche il dio solare e sovrani in trono), la bellezza del paesaggio e il nome magico di «via delle carovane» di cui Bāmiyān era una tappa obbligata, accendono l'immaginazione. Si è spesso affermato che Bāmiyān era stata una delle tappe attraverso cui l'arte buddhistica e la predilezione indiana per le grotte artificiali avevano raggiunto l'Asia centrale. Ma è difficile trovare a Bāmiyān, almeno fino a ora, fondazioni che si possano far risalire a prima del IV sec. d.C. Le tecniche di copertura (cupole su trombe, volte a botte) imitate nella decorazione delle grotte non possono essere anteriori a quest'epoca. La pittura presenta spesso divinità dalle pose eleganti che ricordano l'arte tardo-gupta o l'arte del Kashmir. L'influsso tardo-sasanide è parimenti evidente nella postura dei sovrani seduti, nella resa dei panneggi e dei nastri, nelle corone dei principi. Uno studio recente, fondato su analisi della ceramica raccolta nelle città (Šahr-e Zahāk) e negli insediamenti fortificati della regione, almeno in parte contemporanei ai complessi monastici, ha permesso di datare la costruzione di questi siti tra il V e il X secolo. Tutto ciò spinge ad attribuire alla Bāmiyān che oggi vediamo una data molto tarda, posteriore al V sec., con un periodo di massima fioritura tra il VI e il VII sec., che colloca questo sito molto dopo Dilberjin e Kara Tepe (in Battriana) e forse Kučā nel Xinjiang: l'importanza di Bāmiyān nella storia dell'arte centroasiatica deve dunque essere riconsiderata. Bāmiyān in ogni caso appartiene a questo insieme centroasiatico: la sua pittura, come quella di Dokhtar-e Noširwan, per le sue tecniche e le sue tinte ricorda molto più Dilberjin e Kara Tepe che Hadda. I fregi con donatori in caftano sono tipicamente centroasiatici. Al contrario, il vicino sito di Fondukistān, annidato in una piccola valle laterale del versante meridionale dell'Hindukush, di poco posteriore al 689 d.C., ricorda innanzitutto, per la delicatezza e l'eleganza delle sue statue in argilla dipinta, l'arte tardo-gupta e soprattutto quella di Tapa Sardār.

Questa diversità, questo contrasto nettamente percepibile tra due siti peraltro vicini (due giorni di cammino) mostrano con chiarezza che non esiste una scuola artistica propriamente afghana. L'A. è un punto di incontro, prontamente sensibile agli sviluppi religiosi e alle correnti artistiche che si susseguono nel mondo indiano, nel mondo iranico e in quello centroasiatico. L'originalità della sua produzione artistica dipende proprio da questa commistione di influenze, le cui proporzioni variano a seconda del luogo, del periodo e della natura dei monumenti, religiosa o politica.

Bisogna sottolineare il fatto che molte di queste creazioni artistiche risalgono a periodi di difficoltà politiche per il paese: a partire dal IV sec. si moltiplicarono le incursioni e le invasioni (Sasanidi dall'Iran, Unni, Eftaliti, Turchi, ecc.) e si costituirono dei principati il cui sovrano era spesso un invasore recente, come testimonia incontestabilmente la monetazione eftalita. In questi anni travagliati, distruzioni e saccheggi non mancarono, ma nel complesso gli insediamenti religiosi sopravvissero, sia pure con sorti diverse. Tapa Sardār e Bāmiyān restarono in vita persino dopo la conquista arabo-islamica. Ma assai per tempo, a partire dal IX sec., l'Islam impose le sue concezioni religiose, i suoi edifici caratteristici (palazzi, moschee, minareti, torri celebrative) e la sua arte decorativa (bronzi cesellati, ceramica invetriata, vetri dipinti, stucchi traforati di arabeschi).

Il monumento più antico è una moschea abbaside a Balkh. A Ghazna sono stati messi in luce i resti del palazzo di Mas'ūd III (1099-1114); due torri celebrative, con decorazioni di mattoni scolpiti, poco posteriori, si alzano ancora nei pressi del palazzo. I palazzi di Laškari Bāzār sono stati costruiti dalla stessa dinastia, ma nella loro ultima fase risalgono al periodo ghoride (XII sec.), come anche il superbo minareto di Jām e l'arco di Bust. Al periodo ghaznavide sono assegnati anche il mihrāb in legno scolpito di Šark, nella valle del Logar, tra Kabul e Ghazna, e il mausoleo di Bābā Hātim, 50 km a O di Balkh.

V. ANCHE AI KHĀNUM; BĀMIYĀN; BATTRIANA, ARTE DELLA; DILBERJIN; GANDHĀRA; GHAZNA; HAḌḌA; KABUL; KANDAHAR; KANIṢKA; KUṢĀṆA, ARTE; SURKH KOTAL; TAPA SKANDAR; TILLYĀ TAPA.

Bibl.: In generale: J. Auboyer, L'Afghanistan et son art, Parigi 1968; F. M. Rice, B. Rowland, Art in Afghanistan, Londra 1971; F. R. Allchin, N. Hammond (ed.), The Archaeology of Afghanistan, Londra 1978; L. Dupree, Afghanistan, Princeton 1980; W. Ball, J. C. Gardin, Catalogue des sites archéologiques d'Afghanistan, Parigi 1982; L'Archéologie de la Bactriane ancienne, Colloque franco-soviétique de Dushanbe, CNRS, Parigi 1985; V. Sarianidi, Die Kunst des Alten Afghanistan, Lipsia 1986.

Nei Mémoires de la Délégation Archéologique Française en Afghanistan (MDAFA), Parigi (32 volumi usciti fino al 1988), sono pubblicati gli scavi di Mundigak (J.-M. Casal), Šortugai (H. P. Francfort), Ai Khānum (P. Bernard, H.-P. Francfort, P. Leriche, C. Rapin S. Veuve e altri), Balkh (A. Foucher, D. Schlumberger, M. Le Berte), Begrām (J. Hackin, R. Ghirshman), Surkh Kotal (D. Schlumberger, M. Le Berre, G. Fussman), Šotorak (J. Meunié), Hadda (J. Barthoux, B. Dagens), Goldara (G. Fussman, M. Le Berre), Bāmiyān (A. Godard, J. Hackin, B. Dagens, M. Le Berre), Fondukistān (J. Carl), Khair Khāna (J. Hackin, J. Carl), Laškari Bāzār (D. Schlumberger e altri) e Jām (A. Maricq).

K. Fischer e altri, Nimruz, Bonn 1974-1976; P. Bernard, F. Grenet, Découverte d'une statue de... Surya dans la région de Caboul, in Studia Iranica, X, 1981, I, pp. 127-146. Si veda la bibliografia alle singole voci topografiche.

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