AFGHĀNISTĀN

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

AFGHĀNISTĀN (I, p. 711; App. I, p. 56; II, 1, p. 67)

Elio FLORIDIA
Ettore ANCHIERI
Umberto SCERRATO

N Secondo recenti stime l'A. ha una popolazione di circa 12 milioni di ab., per quasi un quinto appartenenti a tribù nomadi. Nell'ultimo decennio le condizioni economiche dell'A. sono lievemente migliorate, grazie agli aiuti finanziarî concessi dagli S. U. A. (53,5 milioni di dollari dal 1949 al 1956) e dall'URSS (100 milioni di dollari nel 1956), e destinati in gran parte allo sviluppo degli impianti irrigui e idroelettrici, delle miniere, delle industrie e delle comunicazioni.

Dei 65 milioni di ha della superficie territoriale, ben 34 milioni sono improduttivi, 25 milioni sono occupati da prati e pascoli (sfruttati per l'allevamento, in prevalenza transumante, che conta: 12-14 milioni di ovini, 6-8 milioni di caprini, 2,5 milioni di bovini, 1,5 milioni di equini e 0,4 milioni di cammelli) e 1 milione da foreste, e solo 2,5 milioni destinati alle colture (grano 21 milioni di q, orzo 3 milioni di q, riso 3 milioni di q, mais da 2 a 6 milioni di q, patate 1 milione di q, frutta 7 milioni di q, cotone 200.000 q di fibra e 400.000 q di semi, barbabietola da zucchero 70.000 q di greggio). I restanti 2,5 milioni di ha non vengono utilizzati, pur essendo suscettibili di coltivazione con l'ausilio dell'irrigazione.

Alcuni sbarramenti già ultimati o in via di completamento sui fiumi Kābul, Arghand-āb e Surkh-āb e sul canale di Boghra, derivato dal fiume Hilmand, permetteranno di estendere l'irrigazione su circa mezzo milione di ettari di terreno e di aumentare considerevolmente la produzione di energia elettrica, che attualmente tocca appena i 50 milioni di kWh annui.

Il sottosuolo contiene notevoli giacimenti minerarî (ferro, rame, piombo, cromo, amianto, zolfo, oro, argento, mica, carbone e petrolio, scoperto di recente nella regione di Herāt e nell'Afghānistān settentrionale), ma l'estrazione è limitata soltanto a modeste quantità di carbone (circa 20.000 t annue), di oro, di ferro e ai famosi lapislazzuli del Badakhshān.

L'artigianato tradizionale, molto diffuso, produce tappeti, seterie e articoli di pelo di cammello, ma l'industria moderna è pochissimo sviluppata: lanifici a Kābul e Qandahār, cotonifici a Pul-i-Khumri, Gulbuhared e Jabal-us-Siraj, zuccherifici a Baghlan e a Gialālābād, cementificio presso Kābul, oltre a piccole fabbriche di olî di semi, saponi, cuoio, calzature e fiammiferi, in gran parte localizzate nella capitale.

Il commercio estero ha registrato nel 1956-57 un valore di 1,6 miliardi di afghani per le importazioni (cotonami, articoli in ferro, armi, materiale elettrico, cuoio, cemento, petrolio, tè e zucchero), provementi in massima parte dall'URSS, dall'India, dal Pakistan e dal Giappone, e di 1,5 miliardi di afghani per le esportazioni (pelli, di cui 2 milioni di karakul′ lana, cotone, tappeti, semi oleosi, oppio e legname), dirette principalmente verso l'India, l'URSS, gli S. U. A., la Gran Bretagna e il Pakistan.

Le comunicazioni sono ancora molto scarse e difficili: mancano del tutto le ferrovie e vi sono soltanto 3000 km di strade carrozzabili, sulle quali circolano appena 6000 autoveicoli. Il traffico aereo è limitato agli scali di Kābul e di Qandahār, nella quale è in costruzione un grande aeroporto internazionale.

Storia. - L'A., uscito indenne dalla seconda guerra mondiale, membro delle N. U. dal 1946, si trovò di fronte a due gravi problemi: la determinazione delle sue frontiere e lo sviluppo economico intermo. Durante il periodo bellico la bilancia commerciale dell'A. era migliorata, ma ciò nonostante il Paese rimaneva molto povero, con due terzi della popolazione dedita alla pastorizia ed un'economia arretrata, con scarse possibilità di progresso a causa della mancanza di capitali, di tecnici e di vie di comunicazioni. In questa situazione l'A. si rivolse principalmente agli S. U. A. e all'URSS per ottenere appoggi economici a vario titolo. Nel 1946 fu concluso un accordo tra il governo e la Morrison Knudson Corporation americana, per bonificare circa 320.000 ettari di deserto mediante un sistema di dighe e di laghi artificiali nelle valli del Hilmand e dell'Argand-āb. Furono anche tentate ricerche petrolifere da parte di società americane, ma con scarsi risultati. Dal 1949 al 1954, a seguito di un viaggio del ministro Abdul Majid Khan negli S. U. A., la Export-Import Bank concesse all'A. due prestiti per complessivi 40 milioni di dollari. Gli S. U. A. concedettero inoltre, tra il 1947 e il 1955, aiuti per 9 milioni di dollari da destinarsi a miglioramenti agricoli e all'ammodernamento dell'amministrazione pubblica, della scuola e della sanità. I rapporti commerciali con la Russia, facilitati dai bassi costi di trasporto, data la vicinanza territoriale e, indirettamente, dal blocco economico pakistano, divennero più stretti dal 1950, in seguito ad un accordo commerciale regolante scambî e pagamenti per la durata di quattro anni, e prorogabile di quattro in quattro anni. Nel dicembre 1953 un nuovo protocollo relativo alle relazioni commerciali ha ampliato il trattato precedente; con un successivo accordo, concluso a Kābul il 27 gennaio 1954 e rinnovato il 27 agosto 1955, l'URSS ha dato un serio appoggio economico, fornendo, oltre ai capitali per opere pubbliche e ricerche petrolifere, macchine, manufatti, petrolio, e assistenza tecnica. A seguito del viaggio a Kābul di M. Bulganin e N. Chruščëv (dicembre 1955), l'A. ottenne un prestito di 100 milioni di dollari e le relazioni economiche divennero ancora più strette con la conclusione di ulteriori accordi economici, l'ultimo dei quali è del 28 maggio 1959.

L'A. chiese ed ottenne anche aiuti dalle N. U. e ha concluso importanti accordi commerciali con Cecoslovacchia, India, Giappone, Germania occidentale, sviluppando una politica economica intesa ad attirare ingenti capitali stranieri. Per quanto concerne il problema delle frontiere, si giunse presto, con l'accordo del 29 settembre 1948 a fissare i confini fra A. e URSS. Assai più difficile si presentava invece il problema dei confini meridionali con il Pakistan. Tale questione ha dato luogo ad una tensione che sembrava dover sfociare, nel 1955, in un conflitto armato e che non accenna a risolversi, nonostante i tentativi di mediazione compiuti dagli S. U. A. dall'Egitto e dall'Arabia Saudiana. La politica estera afgana in questi ultimi anni tende allo sviluppo dell'amicizia con l'URSS e con il blocco orientale, ma cerca di evitare una troppo stretta dipendenza dall'URSS, mantenendo buone relazioni anche con l'America e i suoi alleati. L'A., paese tradizionalmente aperto alle influenze straniere, cerca di mantenere una linea politica di equilibrio fra i due blocchi, il che è stato confermato da una dichiarazione congiunta dei due primi ministri indiano e afgano, del settembre 1949, nella quale i due capi di governo dichiarano di concordare nella politica del cosiddetto "non allineamento".

Bibl.: E. Caspani e E. Cagnacci, Afghanistan, crocevia dell'Asia, Milano 1951; W. F. Fraser-Tytler, Afghanistan: A study of political developments in Central and Southern Asia, ed. riveduta, Londra 1953; Pazhwak A. Rahman, Afghanistan (Ancient Aryana), Londra 1954; J. Humlum, La géographie de l'Afghanistan, étude d'un pays aride, Copenaghen 1959.

Ricerche archeologiche (1933-1959).

L'archeologia afgana è ancora assai poco nota e per la vastità dei territorî ancora imperfettamente conosciuti e per la complessità dei problemi che essa presenta. Alla sua conoscenza il più valido contributo è stato portato dalla missione archeologica francese che iniziò i suoi lavori sotto la guida del grande Alfred Foucher, nel 1922, alla quale si affiancarono poi, a varie riprese, alcune missioni americane e dal 1957 la missione archeologica italiana.

L'A. fin dai tempi più remoti si è trovato esposto a sollecitazioni diverse e contrastanti: da ovest la grande civiltà iranica e poi quella ellenistica, da est quella indiana, da nord la pressione dei popoli barbarici delle steppe dell'Asia Centrale. Questi mondi diversi si sono inevitabilmente venuti a incontrare e più spesso a scontrare sul territorio afgano. Il nord era toccato dalla grande via della seta, che convogliava da una parte i prodotti del lontano Est e dall'altro quelli del bacino del Mediterraneo, attraverso la mediazione iranica; un ramo di questa via della seta scendeva attraverso i passi del Hindū Kush fino all'India dopo aver raccolto un'altra via, quella del Sud, storicamente importante per aver costituito sempre la linea di marcia seguita dagli eserciti che dall'Īrān miravano alla conquista della valle dell'Indo. La configurazione geografica del paese e i tre mondi che lo premono da presso, l'iranico, l'indiano e quello delle steppe e il continuo variare degli equilibrî fra i tre hanno condizionato quindi naturalmente tutte le manifestazioni culturali dell'A. dando luogo a civiltà artistiche di estremo interesse, composite e complesse e spesso ibride, fin dai tempi più remoti.

Passando in breve rassegna le ricerche archeologiche nel paese taceremo quelle ormai famose di Haddha e di Bāmiyān, mentre includeremo quelle condotte fra il 1933 e il 1940, essendo stati resi noti solo recentemente i risultati della più parte di esse poiché gli studiosi che le condussero, Joseph Hackin, Ria Hackin e Jean Carl, scomparvero tragicamente durante la seconda guerra mondiale.

Preistoria e protostoria. - Sono ancora assai scarsamente conosciute. Alcune ricerche più o meno estese sono state condotte a varie riprese soprattutto nel SO dell'A. nella provincia di Qandahār nelle zone corrispondenti all'antico Sakastān (odierno Sistān) e all'Aracosia occidentale.

Le più importanti di queste ricerche sono state effettuate da J. M. Casal a Mundigak, circa 70 km a nord di Qandahār dove sono stati scavati due grandi tumuli dei quali il Tepe A ha permesso di accertare la successione di 13 strati che vanno dalla fine del 4° millennio fino al 3° sec., mostrandoci il processo di trasformazione da una stazione seminomade ad abitato sedentario, con l'erezione in tempi più tardi di costruzioni di carattere monumentale, che nelle prime fasi sono legati all'ambiente iranico mentre nell'ultima, databile all'inizio del primo millennio, si riscontrano forme proprie della civiltà di Harappa. I materiali reperiti, seppure non abbondanti, sono del più alto interesse perché ci testimoniano, fin da età remote, della particolare posizione di passaggio e di transito della regione fra le culture iranico-mesopotamiche e quelle dell'India. La ceramica ci offre indici particolarmente eloquenti per cui, ad esempio, quella del VII strato appartiene ad una produzione fortemente influenzata da quella della cultura di Quetta e nell'VIII strato i motivi decorativi delle culture della valle dell'Indo si sovrappongono a forme che hanno contatti con quelle iraniche di Tepe Hissar II B.

Nel 1949 dei sondaggi venivano fatti dalla missione americana di W. A. Fairservis Jr., presso il villaggio di Deh Mohrasi Gonde nel bacino dell'Argand-āb, i quali confermano che ci troviamo in una zona di transito fra le civiltà iranico-mesopotamiche e quelle della valle dell'Indo. Interessante la presenza di una figurina della "Magna Mater" assai simile ad una di Mundigak e a quelle della valle del Zob.

Per un periodo più recente, culture con carattere di mistione sono state accertate dai saggi eseguiti da R. Ghirshman nel Sistān a Nad-i ‛Ali, dove nell'esplorazione di due tumuli furono trovati, senza arrivare però al suolo vergine, due periodi di occupazione, il più recente è riferibile forse ad un abitato di età achemenide, mentre il più antico (9°-8° sec. a. C.) attesta contatti sia con l'Īrā?n (ceramica grigio-nera tipo necropoli B di Sialk) sia con il mondo scitico (punte di freccia a foglie di alloro e trilobate).

Periodo preislamico. - Assai scarse sono le nostre conoscenze per il periodo ellenistico. Solo recentemente (1958) abbiamo avuto una prova di grande importanza della vitalità dell'elemento greco venuto al seguito dell'esercito di Alessandro in A. con la scoperta di un editto bilingue greco-aramaico di Aśoka nei pressi di Qandahār. L'iscrizione ci permette poi di localizzare quasi con certezza una delle fondazioni di Alessandro, e risolve il problema della durata della dominazione greca nell'Aracosia e ci fissa i limiti occidentali raggiunti dall'impero Maurya e nello stesso tempo è il documento più occidentale della propaganda buddista di Aśoka.

Purtroppo le ricerche condotte a Balkh alla ricerca di Bactra dalla missione archeologica francese una prima volta da A. Foucher e poi, nel 1947, da D. Schlumberger, non sono state positive, sebbene i materiali ceramici raccolti nell'ultima campagna non siano trascurabili.

Le nostre conoscenze archeologiche sul periodo dei sovrani indogreci e greco battriani sono ancora quasi esclusivamente affidate alla numerosa messe di belle monete che continuamente vengono alla luce nel paese. Segnaliamo fra i ritrovamenti importanti quello di Mīr Zakah, dove in una fonte sacra furono recuperate monete che vanno dal 4°-3° sec. a. C. fino a Vāsudeva, l'ultimo dei grandi Kuṣāṇa e quello di Kunduz.

A partire dal 1° sec. e soprattutto con il periodo Kuṣāṇa i dati in nostro possesso si fanno più numerosi e particolarmente ricca è stata la messe di documenti dell'arte buddistica di tipo gandharico che gli scavi francesi ci hanno assicurato.

Non lontano da Kābul, nel 1935 fu scavato da J. Carl il fortino di Saka. Ha il perimetro movimentato da torri rotonde e con feritoie a punte di freccia, di tradizione iranica, attribuibile probabilmente al regno di Hermaios, l'ultimo dei sovrani indogreci (1° sec.). Nello stesso anno, nelle immediate vicinanze di Kābul, sul Tepe Maranǧan, veniva messo in luce un monastero buddistico che restituiva delle interessanti statue in terra cruda mista a paglia e crine, che costituiscono l'esempio più meridionale di questa tecnica propria dell'Asia centrale. Dal monastero proviene anche un tesoretto di dracme di argento sassanidi e un gruppo di monete d'oro scifate kushano-sassanidi.

Nel 1937 veniva scavato dallo stesso studioso, nel Fondukistan, un monastero buddistico ricco di pitture e sculture in terra cruda dipinta, le quali sono databili nel 7° sec. e costituiscono uno dei prodotti più tardi dell'arte buddistica dell'A., prodotto dall'incontro delle raffinate forme dell'arte indiana tardo-gupta con lo spirito ed iconografie centro-asiatiche.

Nel medesimo anno J. Meunier scavava a Shotorak, presso Kapiçi-Begram, un santuario, probabilmente quello dove Kaṇiṣka ospitò gli ostaggi cinesi. L'impianto planimetrico del monastero è simile a quello di altri che si trovano a Taxila e presenta la particolarità, eccezionale in un edificio religioso, di essere provvisto di torri angolari rotonde. Vi furono trovate numerose sculture in schisto verde, fra le quali la bellissima stele con il Dipankara Jataka e il rilievo con la conversione di fratelli Kaśiapa. Nessuna delle sculture sembra anteriore a Kaṇiṣka (il cui regno, secondo una delle opinioni più accreditate, andrebbe posto intorno alla metà del 2° sec. d. C.), e queste, insieme a quelle provenienti dal convento di Paitawa, da Burg-i Abdalla, da Begram e da Kābul, costituiscono un gruppo abbastanza omogeneo nell'arte del Gandhāra, chiamato gruppo del Kapiça, contraddistinto da una visione frontale della figura umana, che ricorda la scultura tardo-romana, e che molto probabilmente si ispira all'arte ufficiale dei sovrani kuṣāṇa. Nella stessa zona furono scavate due altre fondazioni buddistiche, nel 1939 quella di Qol-i Nader (J. Meunier) e nel 1940 quella di Tepe Kalan (J. Carl).

Fra il 1936 ed il 1939 e poi successivamente nel 1942 e nel 1946 veniva esplorato a circa 60 km da Kābul, alla confluenza del fiume Ghorband con il Pangishir, l'antica città conosciuta oggi come Begram, la quale deve corrispondere all'antica capitale del Kapiça. Tra i resti, che sono stati identificati come quelli della "Nuova città reale", fu scoperto nel 1937 un celebre tesoro composto di avorî indiani, di lacche cinesi, di vetri, bronzi e gessi di arte ellenistico-romana di estremo interesse appartenente a qualche re o viceré kuṣāṇa che lo seppellì sotto l'incalzare di qualche invasione. Il tesoro è una delle testimonianze più vive ed appassionanti della particolare situazione di questo territorio situato all'incontro delle grandi vie di comunicazione fra oriente ed occidente. Lo scavo della "Nuova città reale" ha messo in evidenza tre principali fasi di occupazione, il più antico databile forse nel 2° sec. a. C., cioè del periodo dei re indogreci, al quale apparterrebbero le fortificazioni in terra e mattone crudo con torri rettangolari che si confrontano con la fase più antica di Taxila (Sirkap). La seconda fase con un tracciato di tipo quadrangolare ha analogie con la fase più recente di Taxila (Sirsukh) e va attribuita all'età kuṣāṇa, e secondo R. Ghirshman sarebbe stata distrutta dal re sassanide Sapore I intorno alla metà del 3° sec. d. C. A questa seconda fase appartiene il tesoro. Poco dopo la distruzione ora ricordata la città, sebbene in scala ridotta, risorge nuovamente per essere ancora una volta distrutta dagli Eftaliti intorno alla metà del 5° sec. d. C.

Nel 1942 R. Ghirshman esplorava una zona poco discosta da Begram, Burg-i Abdalla, nella quale riconosceva l'"Antica Città Reale". Su strutture assai arcaiche si impostava una fortezza, la cui origine, si è avanzata l'ipotesi, può risalire ad Alessandro Magno.

Nei pressi di Bāmiyān nel 1957 la missione italiana scopriva un nuovo gruppo di grotte buddistiche, alcune delle quali conservanti resti di pitture di un certo interesse, databili intorno al 6° sec. d. C. Esse si vanno ad aggiungere alle altre universalmente note della valle principale, alcune delle quali furono esplorate nel 1933 da J. Hackin, dopo la pubblicazione dei grandi volumi su Bāmiyān, e sulle quali un rapporto sommario postumo è stato reso noto recentemente.

A circa 12 km da Kābul sul colle di Khair Khaneh, uno sperone roccioso dominante la strada di Balkh che convogliava i traffici fra l'Asia Centrale e l'India, fu scoperto nel 1935 (J. Hackin e J. Carl) un santuario brahminico, l'unico rinvenuto nella regione, dedicato al dio Sūrya e databile fra il 4° e il 5° sec., allorché i culti iranici del fuoco e del sole si diffondevano in India attraverso la mediazione afgana. Nella pianta del tempio si rivelano profonde influenze indiane, mentre l'influenza sassanide è evidentissima nelle due sculture recuperate, delle quali una rappresenta il dio Sūrya e l'altra un donatore. Fatto piuttosto eccezionale in Afghānistān, esse sono in marmo.

Le ricerche in Battriana sono ancora in fase iniziale. A quelle di Balkh abbiamo già accennato. Ricorderemo qui l'esplorazione di un monastero buddistico a Qunduz da parte di J. Hackin nel 1936, nel quale furono ritrovate delle testine di stucco, alcune assai prossime a modelli ellenistici, mentre altre sembrano prodotti più legati all'arte locale. L'architettura nelle volte e nelle cupole mostra soluzioni di tipo iranico.

Nel 1939 gli inglesi E. Barger e Ph. Wright scoprivano parzialmente un edificio che conservava tre basi di colonne di tipo ellenistico simili a quelle del tempio del fuoco di Jandial a Taxila. Dalla stessa Qunduz proviene una serie si rilievi in calcare bianco, venuti alla luce in tempi diversi, che, pur inserendosi nel quadro generale dell'arte del Ghandara, hanno delle particolari caratteristiche stilistiche ed iconografiche che ci autorizzano a crederli prodotti tipici di una scuola battriana.

La missione francese compiva inoltre nel 1938 sondaggi presso Mazār-i Sherīf, a Shahr-i Banu e a Zaker Tepe, che non furono poi proseguiti a causa dell'insorgere dei noti eventi bellici. A Shar-i Banu gli scavi accertarono la sovrapposizione di più abitati che negli strati più profondi si accompagnavano a monete di Eutidemo e di Eliocle mentre monete kuṣāṇa erano in quelli superiori.

Durante i lavori per la costruzione della strada che da Kābul porta a Mazār-i Sherīf e a circa 60 km da questa città furono avvistate delle importanti rovine che la missione francese iniziò ad esplorare nel 1951 (D. Schlumberger) mettendo in luce un grandioso complesso sacro di età kuṣāṇa che costituisce una delle scoperte più notevoli di questi ultimi anni nota sotto il nome di Surkh Khotal. Oltre a varie costruzioni accessorie si è scavato un tempio preceduto da una grandiosa gradinata. L'edificio è nella pianta assai simile ai templi iranici del fuoco, ma si differenzia da essi per il fatto che è completamente aperto sulla fronte come un iwan. Mentre l'impianto è di tipo iranico, alcuni partiti architettonici come le basi ioniche delle colonne sono di tipo occidentale, e la decorazione in parte è derivata dalle consuete formule indo-greche ed in parte, come in alcune sculture, è di tipo kusāna. Non è ancora possibile precisare il genere di culto cui era destinato il complesso, pur trattandosi certamente di una religione di tipo iranico. Si è pensato inizialmente ad un tempio del fuoco, ma l'ipotesi per varie ragioni non sembra accettabile. Come non è accertata l'altra che vorrebbe vedervi un tempio dinastico, simile a quello di Mathura.

La scoperta di una grande iscrizione non ha per ora risolto il problema. Questa iscrizione, scritta in un alfabeto derivato dal corsivo greco, è redatta in un linguaggio finora sconosciuto di tipo medio-iranico del gruppo orientale al quale converrebbe il nome di battriano (V. B. Henning) più che quello di eteo-tokharico proposto dal primo editore (A. Maricq). L'iscrizione, di assai difficile interpretazione, ci informa di un restauro apportato alla costruzione (fatto già accertato in sede di scavo) la quale era stata eretta da Kaṇiṣka. Il documento non porta purtroppo nessun contributo alla controversa questione della cronologia di questo sovrano. Le statue ritrovate, appartenenti a principi e sovrani kuṣāṇa, sono stilisticamnente nella stessa corrente di quelle di Mathura, cioè apparterrebbero ad un'arte di corte o per meglio dire ufficiale della dinastia Kuṣāṇa, la quale sarebbe l'elaboratrice di uno stile a tendenza anticlassica, che avrebbe influenzato in maniera particolarmente notevole la scultura gandharica della zona afgana, sortendo dei risultati analoghi ma indipendenti, alla scultura tardo-romana (cfr. più sopra il gruppo del Kapiça).

Nel 1957 nella regione di Ghaznī la missione archeologica italiana iniziava i suoi lavori durante i quali erano segnalate molte zone preislamiche. Nei pressi di Ghaznī medesima, sul Tepe Sardar, in posizione dominante la piana, veniva iniziato nel 1959 lo scavo di una fondazione buddistica e di un grande stupa. Precedentemente nel 1957 poco a nord di Ghaznī sull'altipiano di Ǧakatu erano state scoperte alcune iscrizioni di tipo eftalita di carattere buddistico e nel 1958 i resti di una città assai antica ed un sistema di fortificazioni; un saggio preliminare in una zona di piccoli tumuli faceva affiorare resti di strutture associate a monete di tipo Napki Malka databili al 7° sec. d. C.

Periodo islamico. - Le ricerche nel campo dell'archeologia islamica ebbero inizio con una prospezione di J. Hackin nel 1936 nel Sīstān afgano durante la quale si segnalavano importanti resti appartenenti a costruzioni e città in parte distrutte dall'invasione di Tamerlano nel 1384. Essi spesso si impostavano su più antiche fondazioni precedenti l'invasione araba. Particolarmente notevoli sono le rovine di Tar-o Sar, Cigani, e Peshwaran.

Le ricerche venivano riprese dopo la parentesi bellica e la missione francese centrava i suoi sforzi nella ricognizione di Lashkari Bazar: un enorme campo di rovine posto sulle rive dell'Hilmand, poco a nord di Bust, città abbandonata, che si erge alla confluenza dell'Hilmand con l'Argand-āb. Lashkari Bazar si compone di un insieme di castelli e palazzi tutti in discrete condizioni di conservazione, nel principale dei quali, il cui nome era noto dalle fonti arabe e persiane, si è riconosciuta una fondazione del grande sultano Maḥmūd (998-1030), il fondatore della grandezza dell'impero ghaznavide. Lo studio di questo edificio è di grande interesse perché ci permette in parte di colmare la lacuna nelle nostre conoscenze dell'architettura civile islamica, a noi pressoché sconosciuta, per il periodo che va fra il 9° e il 16° sec. L'edificio, di forma rettangolare, ha al centro una grande corte, sulla quale si aprono, disposti a croce, quattro grandi iwan, secondo una formula di antica tradizione iranica, che si trovava già pienamente realizzata nel palazzo partico di Aššur e che ora riprende vigore divenendo poi una delle caratteristiche dell'architettura selgiuchide.

Dal grande iwan principale proviene inoltre una ricca serie di pitture raffiguranti i turchi della guardia del corpo del sultano vestiti dei loro abiti lussuosi e armati di una mazza. Questi dipinti sono praticamente l'unica testimonianza della pittura islamica per il periodo che intercorre fra la creazione delle pitture abbasidi e le prime miniature iraniche. La classificazione di esse non è molto agevole, seppure si può dire che stilisticamente sono nella tradizione iranica, con influenze, che per altro sembrano solo iconografiche e tipologiche, della pittura centroasiatica.

Come si è precedentemente accennato, la missione italiana cominciava nel 1957 i suoi lavori a Ghaznī, impegnandosi inizialmente nello scavo delle rovine islamiche. La città è posta sulla grande via del Sud che conduce all'India e conobbe il suo massimo fiorire tra la fine del 10° sec. e la metà del 12° sec., quando divenne, con la dinastia di origine turca, che da Ghaznī fu detta appunto dei Ghaznavidi, la capitale di uno dei più grandi imperi dell'Islam orientale. Le fonti ci illustrano con ricchezza di particolari la magnificenza della città e lo splendore di quella corte, nella quale Maḥmūd attirò gli ingegni più illuminati del tempo e fra questi il grande Firdusi che vi portò a termine lo Shāhnāme. Della grande edilizia ghaznavide nulla è rimasto in superficie (con l'eccezione dei due grandi basamenti di minareti eretti da Mas‛ūd III, 1099-1114, e Baharamshah, metà del 12° sec.) dopo la distruzione di Genghiz khān che la colpì nel 1221 e dalla quale non doveva più riaversi. Si è cominciato a lavorare alle rovine di un grande palazzo sultaniale, una fase del quale è sicuramente attribuibile al regno di Mas‛ūd III come attestano alcune iscrizioni recuperate. L'impianto architettonico è simile a quello già visto a Lashkari Bazar. La corte però era interamente pavimentata in marmo ed accanto alla consueta decorazione in terracotta tagliata e stucco aveva parte notevolissima nella decorazione architettonica il marmo. L'impiego del marmo su larga scala è uno dei tratti distintivi dell'arte ghaznavide, e non solo in funzione puramente ornamentale, ma anche nella scultura figurata. Di quest'ultima è stata raccolta larga messe di materiale, aprendo un capitolo nuovo nell'arte islamica. Molti di questi rilievi hanno figurazioni simili alle pitture di Laskhari Bazar, altri animali o scene di caccia. Motivo caratteristico dell'ornamentazione ghaznavide sulle croste marmoree che formavano alte zoccolature è una serie di archeggiature continue stilizzate ed intrecciate su un fondo di arabeschi di palmette bordate in alto da una fascia con iscrizioni cufiche.

Un altro scavo a Ghaznī ha cominciato a mettere in luce una casa privata, che ha una pianta a corte centrale. La scoperta è di un certo interesse perché l'architettura civile minore era ancora completamente ignorata. Nella casa, la cui vita fu arrestata dall'invasione mongola, si rinvenne molto vasellame, gran parte contenuto in due ripostigli, il più ricco dei quali comprendeva una ricca serie di vasi dipinti in lustro metallico d'importazione persiana.

Nell'interno dell'A., ad est di Herāt, veniva scoperto dal belga A. Maricq nel 1957 un superbo minareto, il Munari Ǧam, alto 60 metri, in ottimo stato di conservazione, interamente decorato con motivi di iscrizioni e di intrecci geometrici di stile selgiuchide, che, come dice l'iscrizione, è del sultano Ghiyatal-din Muhammad ibn Sam (1153-1203) della potente dinastia ghoride che nella metà del 12° sec. si sostituì agli ormai agonizzanti Ghaznavidi. La scoperta ci ha permesso, oltre che di guadagnare alle nostre conoscenze uno dei monumenti più suggestivi dell'architettura islamica in A., anche di localizzare la capitale dell'impero ghoride, Firūzkōh, che ancora non era conosciuta. Vedi tav. f. t.

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