STOIA, Agazio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 94 (2019)

STOIA, Agazio

Cristiano Marchegiani

. – Nato a Monopoli nel 1592, «d’anni 25 entrò nella Compagnia» di Gesù il 31 dicembre 1617 (Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, d’ora in poi ARSI, Neap., 178, c. 261r). Dopo tre anni di noviziato come coadiutore falegname nella Domus probationis di Napoli, passò a risiedere nella locale casa professa (ibid., 81, c. 246r).

Si ignora l’identità dei genitori. Un familiare o parente stretto doveva essere quel mastro falegname e intagliatore Orazio Stoia che per la parrocchiale monopolitana dei Ss. Pietro e Paolo realizzò intorno al 1617 il coro ligneo, l’«architrave» del Crocifisso e il tabernacolo (Pirrelli, 1997). Rimasto Agazio il solo maschio in famiglia, nel 1619 si richiese dai parenti il definitivo rientro a casa del novizio, come con lettera del 24 agosto il preposito generale dei gesuiti Muzio Vitelleschi informò il padre provinciale di Napoli Antonio Marchesio (ARSI, Neap., 12/I, c. 203): «Domenico Pisano di Monopoli, che ha per moglie la sorella del nostro fratello Agatio Stoia, domanda d’esser sodisfatto della dote» dovutagli, «e tanto esso quanto fra Francesco di Monopoli minore osservante, parente di detto Agatio, dicono che ha molte sorelle appoggiate ad esso solo, per non esservi altro maschio in casa; che però dimandano ch’esca dalla Compagnia e vada ad aiutare la casa sua».

Stoia si formò in materia architettonica con il senese padre Pietro Provedi (1562/63-1623), successore dal 1613 del padre Giuseppe Valeriano come architetto della Provincia gesuitica napoletana. Definito già nel 1622 architetto «Societatis» (Neap., 81, c. 281r, n. 97), il 21 giugno 1628 il «faber lignarius» e «architectus Provinciae», nonché «coquus» della casa professa, compì ufficialmente la sua formazione (Neap., 82, c. 13v, n. 90). Sovrintese alle fabbriche gesuitiche del Meridione peninsulare nel secondo quarto del Seicento.

Padre Pietro Pirri, curatore dal 1931 dell’Archivio storico gesuitico, raccogliendo notizie su artisti e artigiani della Compagnia in Italia, riferì a Stoia la «casa professa del Gesù, il collegio Massimo di Napoli, il collegio S. Francesco Saverio della stessa città, i collegi e le chiese di Aquila, di Benevento, di Salerno, di Chieti, di Massa [Lubrense] ed altre ancora. Non risulta – precisò lo studioso in una nota biografica dedicata al pugliese – che i disegni e le piante di questi grandi edifici siano opera sua; anzi per alcuni si sa positivamente essere fatti già da più anni da Giuseppe Valeriano, o da Giovanni De Rosis o da Provedi. Ma non si può escludere che nell’esecuzione egli vi abbia almeno attuati opportuni adattamenti o ritocchi; e che in fabbriche di minore responsabilità i progetti siano stati affidati a lui stesso» (Fondo Pirri, 1013).

Nella tarda primavera del 1623 Stoia intraprese le preliminari opere per la costruzione della chiesa della residenza di Chieti, già dal 1595 oggetto, con il relativo collegio, di non risolutive proposte progettuali. Fra il febbraio e il marzo del 1624 un definitivo «disegno» inviato a Roma fu approvato con il suggerimento di porre «in testa» una «tribuna» di adeguata profondità per l’altare maggiore, «sebben la chiesa di Napoli non ha tribuna» (Bösel, 1986, p. 365, doc. 8). Nel 1631 fu attuata la parte anteriore alla crociera, compiuta alla fine del secolo.

Secondo la prassi gesuitica di far riferimento a selezionati modelli tipologici, l’impianto ricalcò quello messo a punto da Provedi fra il 1613 e il 1614 per chiese di standard medio come il S. Ignazio di Molfetta e il Gesù di Castellammare di Stabia (ibid., figg. 236, 268): riduzione sintetica del modello del Gesù di Roma, ma correttiva in ordine alla recuperata simmetria di partitura architettonica della navata. Conservata nello specifico fondo di disegni confluiti nella Bibliothèque nationale di Parigi (Vallery-Radot, 1960, n. 117), e per caratteri grafici riferita a Stoia (Bösel, 1986, p. 363 e fig. 245), l’anonima pianta della chiesa di Chieti delinea appunto un’aula a quattro cappelle, due per parte in simmetrico assetto ritmico fra confessionali alle estremità e laterali ingressi contrapposti sul mediano asse trasverso, dotata di tre corti bracci di crociera imperniati su una cupola estradossata alla romana, il tutto inquadrato in un rettangolo. Ascritta a Stoia è anche la serie di elaborati per il collegio di Chieti prodotta «tra il 1639 (o anche in precedenza) e il 1651» (Ghisetti Giavarina, 2000, p. 743), prima che nel 1666 fosse superata da un nuovo progetto.

«Il fratello Agatio» replicò di lì a poco quel modello anche per la chiesa del collegio dell’Aquila, occupante un angolo del quadrilungo complesso in isola, fra il cortile a latere delle scuole e quello più ampio retrostante della clausura (Bösel, 1986, figg. 254, 256 s.).

La razionalità d’impianto piacque al preposito generale Vitelleschi che, con l’approvazione del 24 maggio 1625, raccomandò al padre provinciale di approntare un modello ligneo, al fine di un’esecuzione «a puntino», non suscettibile perciò di «errori» con l’avvicendarsi «de’ superiori» (p. 384, doc. 5). Ma nei mesi seguenti prese corpo una serie di varianti, per cui il 2 aprile 1626 il padre generale chiese a Stoia di tradurre quanto indicato «in tanti pezzetti di carta» in un organico nuovo piano del complesso; prontamente eseguito, in maggio esso soddisfece «più del primo» (p. 384, docc. 8-9). Difficoltosi acquisti immobiliari dovuti alla centralità urbana del sito ritardarono sino al giugno del 1636 l’avvio della costruzione della chiesa di S. Margherita, rimasta interrotta definitivamente nel 1662 sulla linea d’innesto della crociera cupolata all’aula. Analoga sorte toccò al fabbricato del collegio, eretto solo in parte.

Mentre procedeva l’edificazione del collegio di Castellammare secondo il piano approvato nel 1624 (p. 352 e fig. 236), Stoia progettò nel 1629 la «Casa» di Portici per infermi e convalescenti, il cui «disegno» fu corretto in marzo (specie nella difettosa illuminazione di vari locali) e indirizzato dai revisori di Roma a un più opportuno ridimensionamento; già in agosto poté celebrarsi la duplice fondazione del «valetudinario» e dell’annessa chiesa di S. Maria di Monserrato (poi S. Ignazio, officiata dal 1636), grazie a un lascito di donna Maria Bermúdez di Castro, figlia del reggente del Collaterale, don Consalvo (Santagata, 1757). Dal patrocinio di locali feudatari dipendono inoltre le contemporanee incombenze per i collegi calabri di Amantea e di Paola: documentate per il primo fra il 1632 e il 1635, per il secondo fra l’approvazione del progetto nell’ottobre del 1633 e la richiesta a Stoia di ulteriore assistenza tecnica avanzata da Tommaso Francesco I Spinelli marchese di Fuscaldo nel marzo del 1636, dopo aver chiesto nell’aprile del 1635 «in luogo del fr. Agatio il fr. Giovanni de Simone per aiuto della fabrica» (Bösel, 1986, pp. 322, 479). Non si tradusse in opera l’approvazione nel gennaio del 1630 di un progetto per il collegio di Bovino, preceduto verso il 1619 da uno di Provedi, per l’estinzione nel 1637 della piccola residenza gesuitica pugliese, fondata nel 1605 dal gran siniscalco di Napoli Indico de Guevara, entrato nella Compagnia nel 1606 e morto nel 1623 (p. 343; Vallery-Radot, 1960, p. 29). Il «disegno» di «fratel Agatio» per il collegio di Barletta, inviato nel dicembre del 1637 a Roma, fu invece ampiamente corretto e quindi posto in esecuzione fra il marzo e l’aprile del 1638 (Bösel, 1986, pp. 334-336).

Si deve forse al pugliese il perduto progetto elaborato verso il 1630 per la chiesa del Gesù di Catanzaro, da ricostruire dopo che nel 1624 un terremoto aveva distrutto quella preesistente realizzata da padre Provedi (p. 358); altra plausibile attribuzione riguarda il progetto del 1633 per il complesso collegiale di Bari, approvato nel febbraio del 1634 (p. 328); probabile è inoltre un più tardo interessamento a un contenzioso confinario fra il collegio di Cosenza e il monastero di S. Chiara, di cui resta un’anonima perizia grafica (fig. 251).

Durante il quarto di secolo in cui fu architetto provinciale Stoia poté seguire con particolare cura i lavori richiesti dalle sedi di Napoli, per lo più avviati in precedenza.

Portò a compimento la chiesa del collegio Massimo, iniziata nel 1614 da Provedi e consacrata nel 1632 con il titolo dei nomi di Gesù e Maria (pp. 422-434). Per quella del Gesù Nuovo, progettata da padre Valeriano, dovette occuparsi intorno al 1629-30 dell’erezione della cupola (crollata poi con il terremoto del 1688), mentre nel 1633 concorse con Cosimo Fanzago al progetto per l’altare maggiore ligneo, ma solo nel 1638, dopo un ulteriore confronto con un’alternativa proposta dei revisori romani, fu preferito il progetto di Stoia, forse senza esito effettivo; nel 1647 progettò l’ampliamento dell’adiacente casa professa (p. 417 e fig. 276). Anche per la «fabrica del collegio di S. Francesco Xaverio», della nazione spagnola, pare che Stoia abbia concorso nel 1635 con Fanzago e altro anonimo progettista, ma non è chiaro a chi dei tre si debba il progetto approvato il 15 dicembre, e ignoto è l’autore di quello della chiesa (assegnata per tradizione allo scultore e architetto bergamasco, napoletano d’adozione Fanzago), imposto al generale Vitelleschi nel 1634 dalle pressioni del rettore e del padre provinciale (pp. 438 s., 445, e figg. 294-297).

Resta dunque sfuggente la figura professionale di Stoia, integrata in senso alquanto impersonale in un efficientistico sistema di operatività regolato dall’organo centrale di controllo, alla base del quale dominava tuttavia l’elastico arrangiamento alle più varie situazioni concrete, affidato a sua volta alla sagacia di più o meno puri pratici, come il pugliese. Dell’accentuato pragmatismo professionale è segno evidente il fatto che già dai tempi di Provedi fu per lo più disattesa dalla provincia napoletana la reiterata richiesta romana di elaborati in doppia copia per una completa documentazione grafica presso l’archivio tecnico della Compagnia. Del resto, sembra prevalere su una propositiva progettualità il ricorso a collaudati standard tipologici, come quelli ecclesiali preordinati da Provedi nel ricordato modello longitudinale di Molfetta e Castellammare o nella croce greca inscritta del napoletano S. Ignazio al Mercato (1612-19), applicata dal successore alla chiesa del complesso di Portici. Abilità ed esperienza sono difatti doti, per Stoia, che esulano dallo specifico architettonico, come si evince da un’informativa del 1649 del superiore napoletano al generale: «boni judici, prudentiae, experientiae, complexionis temperatae, aptus bene ad multa» (ARSI, Neap., 90, c. 161v, n. 62; Fondo Pirri, 1013).

Da una simile nota sembra che nel 1655 Stoia non fosse più attivo («fuit faber lignarius, architectus domus et Provinciae et est»; Neap., 84, c. 10r, n. 50; Fondo Pirri, 1013). Morì nella casa professa di Napoli il 26 febbraio 1656 (Neap., 105, c. 103v).

Fonti e Bibl.: Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Neap., 12/I, 14/II, 15/I, 16, 17/II, 18/I-II, 19/I-II, 23/I, 81-84, 90, 103-105, 178, 189; Fondo Pirri, 1036, Artisti e artigiani S. I. in Italia. Repertorio generale alfabetico, c. 92; 1013, fascicolo di note documentarie su Agazio Stoia; J. Fejér, Defuncti secundi saeculi Societatis Jesu, 1641-1740, V, Romae 1990 (dattiloscritto), p. 140.

S. Santagata, Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli, IV, In Napoli 1757, pp. 363, 499-505; J. Vallery-Radot, Le recueil de plans d’édifices de la Compagnie de Jésus conservé a la Bibliothèque nationale de Paris, Rome 1960, pp. 30*, 27; R. Bösel, Jesuitenarchitektur in Italien, 1540-1773, I, Die Baudenkmäler der Römischen und der Neapolitanischen Ordensprovinz, Wien 1986, pp. 322, 328, 334-336, 343, 352, 358, 362 s., 365, 367, 373, 377, 384, 417, 422-434, 438 s., 445, 466, 479, 482; A. Ghisetti Giavarina, Tre insediamenti della Compagnia in Abruzzo, in L’architettura della Compagnia di Gesù in Italia XVI-XVIII secolo, Atti del Convegno, Milano... 1990, a cura di L. Patetta - S. Della Torre, Genova 1992, pp. 101-107; M. Pirrelli, La chiesa dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo in Monopoli, Fasano di Brindisi 1997, pp. 83-85; A. Ghisetti Giavarina, L’architettura della Compagnia di Gesù in Abruzzo: chiese e collegi di Chieti, Atri, Sulmona, in Alle origini dell’Università dell’Aquila. Cultura, università, collegi gesuitici all’inizio dell’età moderna in Italia meridionale, Atti del Convegno internazionale di studi, L’Aquila... 1995, a cura di F. Iappelli - U. Parente, Roma 2000, pp. 725-753 (in partic. pp. 739, 741, 743); O. Milella, I gesuiti e la Calabria: tipologie religiose nell’architettura calabrese tra XVI e XVII secolo, in La Calabria del viceregno spagnolo, a cura di A. Anselmi, Roma 2009, pp. 611-629 (in partic. p. 622).

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