D'ADAMO, Agostino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

D'ADAMO, Agostino

Andrea Fava

Nacque a Serracapriola (prov. di Foggia) il 23 ag. 1876 da Alberto e da Mariannina Tondi. Compiuti i primi studi nelle scuole pubbliche del vicino comune di San Severo, si trasferì a Roma e dal 1894 frequentò nell'ateneo romano la facoltà di giurisprudenza, laureandosi nel novembre 1898, sotto la guida di A. De Viti De Marco, con una tesi in scienza delle finanze e diritto finanziario dalla quale egli trarrà una breve pubblicazione (L'accertamento dei redditi incerti e variabili di ricchezza mobile, L'Aquila 1901).

Subito dopo la laurea il D. partecipò con esito positivo a tre concorsi per l'immissione nella pubblica amministrazione, optando quindi per la carriera nell'amministrazione provinciale dei ministero dell'Interno, che iniziò nell'aprile del '99 con alcuni incarichi in sedi periferiche, prima alla sottoprefettura di San Severo e poi alla prefettura dell'Aquila. La prima fase di tale carriera si sviluppò rapidamente nel corso di un decennio, dal settembre 1901, quando egli venne trasferito nell'amministrazione centrale e fu chiamato al ministero a Roma, al dicembre 1912, quando divenne capo di gabinetto di A. Falcioni, sottosegretario per l'Interno nel quarto ministero Giolitti.

La natura più esplicitamente politica di tale ufficio, che il D. ricopri fino alla caduta del governo nel marzo 1914, non appare per altro in contrasto con la specifica competenza burocratica maturata nel precedente periodo di servizio, svolto fino al conseguimento della qualifica di caposezione presso la direzione generale dell'amministrazione civile, alle dipendenze di C. Schanzer e poi, più a lungo, di A. Pironti. Sono a questo riguardo significativi i testi di alcuni discorsi predisposti dal D. per il Falcioni, che rifiettono i problemi caratteristici sui quali l'intervento dell'amministrazione statale aveva affiancato, nel campo della legislazione sociale, della sanità e dell'assistenza, dell'istruzione, dei lavori pubblici, il generale sviluppo della società italiana nell'età giolittiana.

Anche il successivo governo formatosi sotto la presidenza di A. Salandra affidò quindi al D. incarichi d'importanza via via crescente, nei quali l'assolvimento di particolari funzioni tecniche era sempre accompagnato da un vincolo di responsabilità politica nei confronti del potere esecutivo. Inizialmente egli fu inviato a Livorno, nel marzo 1914, per reggere in qualità di commissario l'amministrazione comunale ed immediatamente dopo venne promosso capodivisione e di nuovo nominato, il 27 agosto, regio commissario per la città di Firenze, dove rimase fino alla ricostituzione dell'amministrazione comunale nel febbraio 1915. L'esperienza acquisita con la gestione straordinaria dei due comuni toscani, i cui risultati sono condensati nelle ampie relazioni compilate dal D. a conclusione del duplice mandato e pubblicate con identico titolo (Relazione del r. commissario comm. dott. Agostino d'Adamo al Consiglio comunale, rispettivamente Livorno 1914 e Firenze 1915), giustificava ancora una volta, insieme alla sua solida preparazione giuridica, il nuovo compito assegnatogli dal Salandra che, non appena deciso l'intervento italiano nella prima guerra mondiale, inviò il D. a Udine con il mandato di costituire e dirigere gli uffici del Segretariato generale per gli affari civili presso il Comando supremo dell'esercito mobilitato.

Istituito con un semplice ordine di servizio del 29 maggio 1915, il nuovo organismo fu probabilmente concepito dal governo, nel prevalere di una previsione ottimistica sulla durata del conflitto, come una struttura provvisoria, cui affidare l'amministrazione civile dei comuni di confine dichiarati "zona di guerra" e soprattutto quella dei territori austriaci occupati dall'esercito italiano, oltre il vecchio confine politico, nelle prime settimane di operazioni belliche. L'amministrazione di questa zona sottoposta ad occupazione militare investiva evidentemente questioni di diritto internazionale, rese più delicate dal fatto che tali territori erano rivendicati dal governo di Roma come parte integrante del territorio nazionale: venne quindi lasciata in vigore la preesistente legislazione austro-ungarica, riservando al capo di Stato Maggiore dell'esercito occupante la potestà legislativa e assegnando al Segretariato le competenze rispondenti alla funzione di autorità politica centrale (ministro) e di autorità provinciale (luogotenente). Entro questa cornice formale, però, l'azione del Segretariato fu orientata a una costante difesa delle rivendicazioni italiane e alla promozione di tutte le manifestazioni di patriottismo da parte delle popolazioni "irredente". Questa tendenza è testimoniata dalla stessa composizione degli uffici, nei quali vennero chiamati numerosi fuorusciti dall'Austria, e tra essi esponenti di primo piano degli interessi irredentistici come C. Ara e F. Salata, mentre la carica di vicesegretario fu assunta da C. Galli, già console generale a Trieste e profondo conoscitore dell'organizzazione delle correnti politiche filoitaliane nelle regioni orientali dell'Adriatico. Tra i collaboratori che si alternarono nel corso della guerra alle dipendenze del Segretariato figurano del resto non pochi personaggi di rilievo, dal giovane S. Jacini junior a U. Ojetti.

Proprio la lunga durata del conflitto mondiale e le stesse vicende militari finirono per dilatare e rendere sempre più complesse, sul versante sia della politica estera sia della politica interna, le funzioni attribuite al Segretariato, che era di per se stesso un organo istituzionalmente originale, in quanto strumento tecnico-esecutivo della suprema autorità militare diretto da un alto funzionario civile, la cui designazione proveniva dal potere politico centrale.

Sul terreno del "fronte interno", ad esempio, i compiti del Segretariato variarono nel corso della guerra da quelli connessi al reclutamento della mano d'opera per l'esecuzione di lavori d'interesse militare a quelli relativi all'assistenza ai profughi delle province venete invase dal nemico dopo la rotta di Caporetto, a quello, preminente, di garantire la coerenza giuridica dell'intera attività normativa (bandi, ordinanze, circolari) esercitata dal Comando supremo su una "zona di guerra" che si era andata estendendo fino a comprendere, dal settembre '17, tutte le province dell'Italia settentrionale e buona parte di quelle dell'Italia centrale e del versante adriatico. Per quanto riguarda invece la ricordata attività di sostegno delle rivendicazioni nazionali esplicata dal Segretariato nella zona di occupazione militare, il D. ebbe all'interno di essa la responsabilità di equilibrare, ai limiti del possibile, gli interventi di tipo promozionale in senso filoitaliano con le misure di carattere repressivo, articolando le proprie iniziative lungo un arco di competenze cheandava dall'assistenza alle popolazioni all'organizzazione dei corsi e dei programmi dell'istruzione primaria, all'amministrazione delle Comunità locali, alla gestione dell'economia attraverso disposizioni in materia finanziaria, commerciale e annonaria, all'ordinamento ecclesiastico, all'internamento dei cittadini sospetti, all'esercizio della censura e della vigilanza poliziesca, all'ordinamento dell'amministrazione giudiziaria.

Le potenziali ripercussioni degli atti del Segretariato nel campo delle relazioni internazionali dell'Italia divennero ancor più evidenti durante il periodo compreso tra la conclusione della guerra nel novembre 1918 e lo scioglimento del Segretariato stesso alla fine di luglio del 1919: e ciò sia per la ben maggiore estensione dell'occupazione militare italiana; sia per la più vasta gamma di rapporti instauratisi in quella zona con i rappresentanti alleati, con i governatorati militari del Trentino, della Venezia Giulila e della Dalmazia, con i comitati e le rappresentanze politiche delle popolazioni iugoslave appena costituitesi in Stato nazionale indipendente; sia per l'accentuazione nazionalistica che avevano assunto, in termini territoriali come sul piano di un maggiore oltranzismo politico e culturale, le rivendicazioni italiane.Il complesso dell'opera svolta dal D. rivelò ulteriormente la sua capacità di tradurre in efficiente prassi amministrativa le diverse direttive politiche succedutesi nel corso dei quattro anni di guerra, tanto che egli venne confermato alla guida del Segretariato dai due successivi governi presieduti da P. Boselli e da V. E. Orlando, mentre i suoi rapporti con i vertici militari non furono incrinati nel passaggio del comando supremo dal Cadorna al Diaz. Oltre ad aver raccolto numerosi attestati e onorificenze anche da parte delle nazioni alleate, egli era stato, inoltre, promosso ispettore generale nel settembre 1915 e poi al grado di prefetto il 1° sett. 1917.

Cessato quindi il funzionamento del Segretariato, il D. fu nominato nell'agosto 1919 prefetto di Ancona; nel successivo dicembre il presidente del Consiglio F. S. Nitti, con esplicite espressioni di plauso per l'energia e l'abilità dimostrate nella città adriatica, sia di fronte all'emergenza rappresentata dall'occupazione dannunziana di Fiume nel mese di settembre sia di fronte alla scadenza delle prime elezioni politiche generali del dopoguerra, svoltesi nel novembre con l'innovazione del sistema proporzionale, lo inviò a reggere l'impegnativa prefettura di Bologna. Qui il D. appare però impreparato a padroneggiare una situazione politica segnata da profonde tensioni sociali e sindacali: quando il 5 apr. 1920, a Decima di Persiceto, la forza pubblica sparò sui braccianti in sciopero, uccidendo otto dimostranti e ferendone quarantacinque, lo stesso presidente Nitti non poté che procedere al trasferimento del prefetto.

Si può in verità escludere che il D. abbia avuto una diretta responsabilità decisionale nell'eccidio di Decima, né la prefettura di Venezia, alla quale egli venne subito dopo destinato, può considerarsi una sede punitiva. Eppure il grave episodio accaduto nel Bolognese, mentre rappresenta il primo momento di crisi nella sua carriera, segnala anche, su un piano più generale, l'usura delle capacità e delle tecniche di governo di un intero ceto dirigente nei confronti di una realtà politica non più controllabile con le mediazioni riformistiche e le moderate aperture sociali dei primo decennio del secolo né più disponibile alla forzata solidarietà patriottica dei provvedimenti eccezionali giustificati dal regime di guerra.

L'illusione, o il calcolo, di considerare il movimento fascista uno strumento utile a rinsaldare l'ordine sociale e politico sul quale si fondava il sistema liberale costituì allora la scelta di una parte consistente della classe dirigente italiana. Tale orientamento fu proprio anche del D., che nella fase del trapasso dallo Stato liberale al regime fascista, trovandosi a reggere la prefettura di Venezia fino all'ottobre 1923, poi quella di Napoli dal 25 ottobre '23 al 10 gennaio 1925, e infine la prefettura di Torino dal 25 maggio 1925 al 16 dic. 1926, mise in pratica con sostanziale coerenza la linea politica che tendeva a riassorbire il movimento dei fasci all'interno delle istituzioni e si mostrò disposto ad accettare che il progetto di "normalizzazione" del fascismo, attraverso l'alleanza con le correnti nazionaliste e l'ala conservatrice del liberalismo, significasse un uso autoritario dei poteri dello Stato e il ricorso alla repressione per motivi di ordine pubblico di tutte le manifestazioni di opposizione organizzata.

I singoli provvedimenti adottati in questo senso dal prefetto D. nelle tre importanti città sopra nominate, sono in parte noti attraverso varie ricerche di storia locale, relative agli anni del primo dopoguerra. Ma occorre anche considerare l'insieme dei rapporti tra il D. e il fascismo e ricordare che, proprio durante l'ultimo mese della sua permanenza a Torino, egli subì un violento attacco giornalistico da parte di R. Farinacci, che con due editoriali apparsi sul quotidiano Il Regime fascista del 3 e del 28 nov. 1926 ne chiese la destituzione, denunciandolo come tipico esponente del passato regime sulla cui fedeltà il Partito nazionale fascista non poteva minimamente contare. Tale denuncia derivava dal comportamento tenuto dal prefetto in occasione dell'attentato che era stato messo in opera contro Mussolini il 31 ott. 1926, nel corso di una visita del duce a Bologna: il D. aveva bloccato alla prefettura di Torino il telegramma del segretario del Partito nazionale fascista, A. Turati, che incitava le federazioni fasciste alla punizione sommaria dei responsabili, e aveva predisposto un adeguato servizio di polizia a presidio delle sedi dei partiti, dei giornali e delle abitazioni private di singoli antifascisti. Era stata così ostacolata, a Torino, la nuova ondata squadristica invocata dallo stesso Farinacci sul suo giornale e giustificata da Arnaldo Mussolini sul Popolo d'Italia. Nei giorni successivi, invece, il D. aveva disciplinatamente eseguito le direttive del capo della polizia A. Bocchini che anticipavano le disposizioni di legge sull'abolizione dei partiti e della libertà di stampa, e aveva disposto lo scioglimento della sezione torinese del Partito popolare italiano e la chiusura del giornale cattolico Il Corriere.

Un simile atteggiamento era solo apparentemente contraddittorio e portava all'evidenza il termine estremo dell'incompatibilità tra una concezione tradizionale delle funzioni del prefetto e il nuovo sistema di potere della dittatura fascista, che proprio nell'attentato di Bologna trovava il pretesto per recidere i residui legami con l'ordinamento liberale e rendere istituzionale la contaminazione ideologica tra gli interessi dello Stato e quelli del Partito nazionale fascista, tra i valori della nazione e le sorti del regime.

Anche negli anni precedenti il D. aveva in realtà operato cercando di rispettare il limite ancora instabile di questa linea di demarcazione e ne aveva scontato alcuni contraccolpi negativi sui possibili sviluppi della propria carriera. Era così fallita la proposta di una sua nomina a vicegovernatore della Tripolitania, avanzata nella primavera del '23 dallo stesso governatore G. Volpi, col quale il D. aveva instaurato cordiali rapporti di amicizia negli anni della sua permanenza a Venezia; e soprattutto era sfumata l'ipotesi di una sua nomina a capo della polizia, data per sicura nel giugno 1924, quando a reggere il dicastero dell'Interno era andato, subito dopo il delitto Matteotti, il nazionalista L. Federzoni. Proprio nelle vicende connesse alla "crisi Matteotti", tra giugno e dicembre del '24, si consumava invece il fallimento del tentativo di progressiva legalizzazione del fascismo, e nel gennaio '25 il D. veniva rimosso dalla prefettura di Napoli e restava per qualche mese senza alcun incarico, fino a quando il ministro Federzoni non ne favoriva la destinazione alla prefettura di Torino. Il suo allontanamento da quest'ultima sede, infine, deciso subito dopo l'assunzione del ministero dell'Interno da parte di Mussolini nel novembre '26, faceva parte del gruppo di provvedimenti (legge sul confino di polizia, riordinamento territoriale delle province, immissione di numerosi esponenti fascisti nel ruolo dei prefetti) che avviavano la svolta definitiva verso l'affermazione del regime totalitario.

Da quel momento non vennero più affidati al D. che saltuari incarichi di carattere amministrativo: dal maggio 1927 al giugno '28, a Roma, fu regio commissario all'istituto di S. Michele per l'istruzione professionale e all'orfanotrofio di S. Maria degli Angeli e ne promosse il risanamento e la fusione nel nuovo ente assistenziale denominato Istituto romano di S. Michele; tra il 1929 e il '32 collaborò per brevi periodi, come ispettore del ministero dell'Interno, all'attività del Comitato nazionale di mobilitazione civile, istituito inpase alla legge del giugno 1925 sulla "organizzazione della nazione per la guerra"; nell'aprile 1932 fu infine nominato presidente dell'Istituto nazionale per le case degli impiegati dello Stato (INCIS). Rimase in tale carica fino al settembre del '33, ma già dai primi mesi di quell'anno egli aveva dovuto intraprendere la privata professione di avvocato, poiché la sua carriera era stata anche formalmente interrotta dal decreto che il 1° agosto 1932 ne disponeva la collocazione a riposo, all'età di 56 anni. Per quanto riguarda la sua privata attività professionale merita di essere ricordata la funzione di segretario del consiglio d'amministrazione dell'Ente nazionale industrie cinematografiche (ENIC), svolta dal novembre 1935 all'agosto 1940.

La ripresa di un'attività pubblica si realizzò invece per il D. nel giugno 1944, quando entrò in contatto, subito dopo la liberazione di Roma, con il governo militare alleato, che lo nominò nel luglio commissario al teatro dell'Opera di Roma. Egli fu quindi riammesso in servizio il 3 maggio 1945, in forza del decreto legge 6 genn. 1944 n. 9, che premiava i pubblici funzionari sospesi dalla carriera per motivi politici durante il fascismo, e fece quindi parte, prima del definitivo pensionamento del febbraio '46, della commissione per l'epurazione dei personale del ministero dell'Interno. Fino al giugno 1948, inoltre, venne confermato dall'amministrazione comunale di Roma alla sovrintendenza dell'ente lirico teatro dell'Opera e dall'agosto 1948 al giugno '52 la presidenza del Consiglio gli affidò la gestione straordinaria dell'Opera nazionale per gli orfani di guerra.

Durante gli ultimi anni di vita, mentre era ancora attivo come componente del consiglio e della giunta dell'Ordine al merito della Repubblica, curò il riordinamento delle proprie carte, versate, per disposizione testamentaria, all'Archivio centrale dello Stato. Morì a Roma il 10 luglio 1958.

Fonti e Bibl.: Presso l'Arch. centr. dello Stato, oltre alle carte personali del D. raccolte in 9 buste della serie Carteggi di personalità, èconservato il cospicuo fondo dei Segretariato generale per gli affari civili del Comando supremo, composto da 978 buste e da un centinaio di registri e schedari. Una buona parte dell'attività di questo ufficio è, inoltre, documentata da una serie di volumi, dei quali lo stesso D. curò l'edizione negli anni della guerra: R. Esercito Italiano, Comando Supremo. Segretariato Generale per gli Affari Civili, La gestione dei servizi civili. Relazione, 4 voll., Treviso-Bologna 1916-1919, e La gestione dei servizi civili. Documenti, 22 voll., Treviso-Bologna-Padova 1915-1919. Una presentazione della document. archivistica relativa al Segretariato è contenuta nei due articoli di M. E. Palumbo, I rapporti tra governo e comando dell'esercito in Italia nel 1918. Questioni storiografiche e ricerche d'archivio, e L'arch. del Segretariato per gli affari civili del Comando supremo dell'esercito ital., in L'Officina dello storico, I (1979), pp. 87-108, 137-162. Per questo stesso periodo singoli riferimenti al D. possono essere inoltre reperiti in: C. Galli, Diari e lettere (Tripoli1911-Trieste 1918), Firenze 1951, ad Indicem; U. Ojetti, Lettere alla moglie(1915-1919), Firenze 1964, ad Indicem; R. Monteleone, La Politica dei fuorusciti irredenti nella guerra mondiale, Udine 1972, pp. 75 s.; 78; L. Bruti Liberati, Il clero italiano nella grande guerra, Roma 1982, pp. 12, 171-174, 184, 187 s. Le date della carriera prefettizia del D. sono fornite da M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1978, p. 557. Per l'attività nelle singole prefetture sono invece utilizzabili sia la raccolta della corrispondenza telegrafica scambiata con il governo, conservata all'Arch. centr. dello Stato, nel fondo archivistico del Ministero dell'Interno, Gabinetto, Ufficio Cifra, Telegrammi in partenza e in arrivo, sia le notizie contenute nelle seguenti opere: N. S. Onofri, La strage di Palazzo d'Accursio. Origine e nascita del fascismo bolognese, Milano 1980, pp. 154 ss.; 177, 207; F. Piva, Lotte contadine e origini del fascismo. Padova-Venezia: 1919-1922, Padova 1977. p. 145; R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, Milano 1962, pp. 255 s.; 269, 302, e Alcuni docum. sui primi anni del fascismo a Napoli(1923-1924), in Storia e polit., VIII (1969), pp. 257, 260 s.; G. Padulo, F. S. Nitti. Agenda del 1924, in Archivio storico italiano, CXXXVI (1978), pp. 268, 291 ss.; 287 ss.; 297, 304 s.; 311 s.; 320, 330, 333. 337; B. Gariglio, Cattolici democr. e clerico-fascisti. Il mondo cattol. torinese alla prova del fascismo(1922-1927), Bologna 1976, pp. 49, 73, 88 s.; 94, 98, 195, 250; M. Reineri, Cattol. e fascismo a Torino 1925-1943, Milano 1978, pp. 44, 112, 131, 237, 240.

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