ALBA, Fernando Álvarez di Toledo, terzo duca di

Enciclopedia Italiana (1929)

ALBA, Fernando Álvarez di Toledo, terzo duca di

Carlo Capasso

Nato nel 1508, morto nel 1582, famoso specialmente pel suo governo nei Paesi Bassi, da lui tenuto ferreamente in nome di Filippo II re di Spagna, dal 1567 al 1573. Si ha, di lui, un ritratto terribile: uomo crudele e sanguinario per fanatismo soprattutto religioso, protagonista della spietata opera di repressione fiamminga. Già prima, per altro, il duca d'Alba si era fatto conoscere per la sua durezza e il nessun riguardo verso i nemici. Notissima è la guerra che egli combatté nel 1556, fin sotto Roma, contro papa Paolo IV. Effettivamente, pur sfrondando quello che il rancore e lo spavent0 possono aver tramandato d'esagerato e di falso, si deve convenire che nell'opera politica di quest'uomo si riscontra un'estrema rigidezza nei fini e una spietata implacabilità nei mezzi. Dotato di grande energia, egli non ebbe, tuttavia, l'arte di ben esercitare il potere e disciplinare i proprî impulsi con la ragione, con l'esperienza e con la necessaria penetrazione psicologica. Autoritario all'eccesso egli neppur concepiva la resistenza, sconosceva ogni diritto negli avversarî: onde, al bisogno, anche l'inganno e il tradimento verso di essi. Convinto del diritto regio ad un'assoluta obbedienza da parte dei sudditi, non volle mai transigere. E poiché era spagnolo, cattolico, fermo nei sentimenti e nelle idee che spingevano il re e la corte a mettersi anche contro i papi, in nome della religione, era fatale che, investito del potere contro eretici, egli giungesse al fanatismo e alla crudeltà. Pertanto, le buone qualità innate di vigore, di fedeltà, di attività, sono state sciupate da presupposti e da convincimenti che, in parte erano suoi proprî, in parte dell'ambiente; e in modo particolare di Filippo II, del quale egli fu il braccio e col quale la sua figura è intimamente congiunta.

Fernando Álvarez era nato da famiglia oramai da lungo tempo nota per gesta guerresche. Il padre, García, fu ucciso, mentre egli era ancora lattante, nel 1510 in uno scontro coi Mori. Il fanciullo fu allevato dal nonno Fadrique col solo pensiero di farne un soldato. Iniziò pertanto a 16 anni la sua carriera guerresca che lo portò qua e là per il mondo, in Francia, in Ungheria, ad Algeri ecc., e che in ultimo lo mise bene in vista di Filippo II. La sua fortuna si deve far datare da quando, all'età di 35 anni, egli fu posto accanto alla persona del giovane principe, lasciato proprio allora reggente in Spagna, per aiutarlo col suo consiglio, mentre l'imperatore ne rimaneva a lungo lontano ai fini della sua politica europea. Non che il duca d'A. si trovasse a suo pieno agio e non sentisse ronzarsi attorno l'invidia di corte. Ottenne infatti di poter essere richiamato al servizio attivo e raggiungere l'esercito imperiale, proprio a tempo per potersi distinguere in quella celebre battaglia di Mühlberg, che dette all'imperatore Carlo V la vittoria sui confederati di Smalcalda (1547).

In questa occasione, appunto, il duca d'Alba rivelò a pieno la durezza del suo carattere, proponendo che fosse condannato a morte l'elettore di Sassonia, Gian Federico, caduto prigioniero. E solamente l'Imperatore poté impedirlo; come impedì anche che il duca d'A. violasse, come avrebbe voluto, la tomba di Lutero. Altro era l'animo di Carlo V ed altre anche le esigenze di una politica che non si restringeva nei confini della lontana e cattolica penisola iberica, ma si svolgeva sopra una scena mondiale. Del resto, l'imperatore non era mai stato troppo tenero del duca d'Alba e, se lo utilizzava, era solo pel suo valore militare e per la parte avuta nella vittoria di Mühlberg. Naturalmente l'A. non mutò linea di condotta. E sempre che poté, anche sotto Carlo V, seguitò ad infierire rigidamente contro gli eretici, senza pietà e senza riguardi di sorta. Celebre rimane, sotto questo rispetto, il tradimento contro Filippo il Magnanimo, ch'egli, dopo avere invitato, fece arrestare in piena festa.

Con l'avvento di Filippo II, incomincia la vera ascesa del duca. Filippo, che lo conosceva e lo trovava rispondente al proprio spirito più che non il padre, prese a valersene e a metterlo rapidamente innanzi. Il duca fu dapprima inviato nello stato di Milano, come governatore (1555); poi, nella celebre lotta tra il papa Paolo IV e il re di Spagna, che si arrogava il diritto di difendere la religione anche contro pretesi errori del papa e minacciava l'Italia e lo Stato Pontificio, fu dato a lui l'incarico di occupare le terre della Chiesa (1556). Egli lo fece in gran parte, ma essendo questa impresa collegata con la guerra generale tra Filippo II ed Enrico II, dovette ritirarsi di fronte al Guisa e temporeggiare, sino a che la vittoria di S. Quintino (1557) mutò radicalmente la situazione. L'aver egli contribuito alla vittoria, trattenendo lontano e logorando considerevoli forze francesi, lo portò ad essere ascoltato consigliere, prima a Parigi, per la pace - e quivi instituì, o, meglio, coordinò il famoso servizio di spionaggio che per molti anni diede a Filippo numerose e giornaliere informazioni, quasi sempre d'importanza, sulla politica francese - poi nella Spagna stessa, dove infine, dal 1565, riuscì a prendere la direzione degli affari. Da tre anni, i Paesi Bassi erano in rivolta, a difesa delle libertà religiose e, insieme, dei vecchi privilegi politici e sociali del paese, messi in pericolo dalla politica accentratrice e livellatrice del re. Naturalmente, il duca d'Alba aveva sempre sostenuto i propositi di resistenza del sovrano, di contro ai consigli di accordo o almeno di moderazione che provenivano da Margherita di Parma, sorella del re e governatrice da alcun tempo in Bruxelles. La crescente baldanza dei protestanti parve dar ragione al duca, il quale, alla fine del 1567, riuscì a persuadere il re a inviarlo, con pieni poteri, in Fiandra. S'iniziava così uno dei più terribili esperimenti che la storia conosca. Sostituitosi alla duchessa Margherita e occupato militarmente il paese, il duca pensò dapprima di disfarsi dei maggiori rappresentanti del partito avversario. Avuti nelle mani per inganno due di essi, il conte di Egmont e il conte di Horn, li fece sommariamente processare e condannare, per mezzo del famoso tribunale straordinario, detto "dei Torbidi" o "del Sangue", e poi giustiziare il 5 agosto 1568. Fu l'inizio del terrore. Si fanno ascendere a 18.000 i giustiziati: cifra enorme per un paese non grande. E poiché il 26 luglio 1567 anche l'esercito ammassato dall'Orange fu distrutto, si ebbe per il momento su tutto il paese la quiete: ma tragica e preparatrice di nuovi disordini. L'imposizione di tasse arbitrarie, esagerate e vessatorie - il duca mancava completamente di denaro, guaio oramai cronico in Ispagna e nelle sue dipendenze, per cattiva amministrazione e per altre circostanze - fece insorgere i Fiamminghi. L'Orange, loro capo, fu ancora una volta battuto, ma le provincie orientali di Olanda, Zelanda ed Utrecht si crearono un governo proprio, nucleo della futura repubblica olandese. Indarno il duca d'Alba incendia e terrorizza città come Malines, Zutphen e Naarden, al punto che lo stesso Filippo, di fronte alle generali lagnanze, rimane scosso e pensa per un momento di sostituire al d'Alba il duca di Medina-Coeli, che però non si muove. Ma Haarlem resiste 7 mesi nel 1572; lo stesso esercito spagnolo si ribella e la flotta è battuta. Alla fine Filippo, nel 1573, richiama il duca d'Alba e lo sostituisce col Requesens. Ma solo ad Alessandro Farnese riuscirà di salvare almeno le provincie vallone.

Dopo il richiamo, il duca d'Alba visse alquanto ritirato e poi cadde in disgrazia dello stesso re che, riesumando un vecchio scandalo di famiglia, pretese che un figlio del duca, don Fadrique, sposasse una damigella della regina. E poiché il duca lo prevenne, ammogliando il figlio ad una cugina, Filippo relegò il giovane a vita e il padre per quattro anni (1578). Ma tutto era, in fondo, un pretesto: ché, in realtà, il re dava sfogo al suo risentimento per l'insuccesso di Fiandra. E tuttavia, al duca fece ancora ricorso il re nel 1580, per la conquista del Portogallo. Anche questa volta, il d'A. - che aveva ottenuto per sé e per il figlio la revoca totale delle condanne - contraddistinse la sua azione con il terrore usato contro i Portoghesi ed esagerato poi dagli ufficiali dipendenti. Egli entrò in Lisbona alla fine del giugno 1581, e seguirono orrendi massacri. Forse anche di questo egli avrebbe finito per dover rendere ragione, se una febbre lenta ma micidiale non lo avesse ucciso non molto dopo (1582).

Bibl.: v. in B. Sánchez Alonso, Fuentes de la historia española e hispanoamericana, 2ª ed., Madrid 1927, specialmente nn. 6107-6116, 6428-6453, 6738 segg. Ricordiamo in particolare: L. Gachard, Correspondance du duc d'Albe ecc., Bruxelles 1850; F. Martín Arrúe, Campañas del duque de Alba, Toledo 1880, voll. 2; F. Rachfahl, Margaretha von Parma, Monaco 1898; A. Dumeril, Le duc d'Albe, in Revue des Pyrenées, VII (1895), pp. 531-545; A. Segre, La campagna del duca di Alba in Piemonte (1555), Roma 1905; H. Pirenne, Histoire de Belgique, 2ª ed., IV, Bruxelles 1919; P. Saint-Victor, Le duc d'Albe, in Hispania, Parigi, V (1922), pp. 157-163; Rubio, Felipe II y Portugal, Barcellona 1927; R. Häpke, in Historische Zeitschrift, CXXXVI, p. 149 segg.

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