ALBERTI, Alberto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ALBERTI, Alberto

Arnaldo D'Addario

Nacque a Firenze nel 1386 da Giovanni di Cipriano e da Francesca di Bernardo de' Nobili. A soli venti anni di età sostituì nella sua carica il padre, morto mentre era podestà di Perugia; ma decise ben presto di darsi al sacerdozio ed iniziò così una brillante carriera ecclesiastica. Giovanni XXIII lo chiamò a far parte della corte pontificia ed in tale posizione lo mantenne anche Martino V, che lo nominò (1420) tesoriere pontificio in Bologna da poco tolta ai Bentivoglio. La presenza dell'A. in quella città vicina a Firenze, quantunque vi si trovasse in veste di rappresentante del papa, provocò il risentimento di Rinaldo degli Albizzi, che lo accusò di aver violato i bandi comminati alla famiglia Alberti e ne confiscò i beni. Martino V protestò a lungo presso la Signoria fiorentina, chiedendo la revoca del provvedimento; ma questa fu concessa solo nel 1425. In quell'anno (e non nel 1445, come dice il Salvini), attenuatasi l'asprezza della rivalità tra Alberti ed Albizzi, all'A. fu conferito un canonicato nella metropolitana fiorentina; poco dopo, egli fu nominato abate commendatanio di S. Savino in Pisa e di Grottaferrata. La sua fortuna nella carriera ecclesiastica è da attribuirsi soprattutto alla stima e all'affetto di Eugenio IV. Questo papa lo richiamò in Curia e, nel 1434, lo nominò ambasciatore a Perugia, per trattarvi l'affare dei beni che il vescovo di quella città aveva devoluto alla S. Sede; nel 1435 gli affidava il governo della stessa Perugia (marzo) e quindi (aprile) di Orvieto, inviandolo anche come ambasciatore presso Francesco Sforza, per discutere la pace fra lui e gli Orvietani. L'espletamento di questi compiti non fu facile, ostacolata com'era la sua azione di governo dai Bracceschi, pur non mancandogli solenni manifestazioni di obbedienza e di stima personale da parte dei rappresentanti delle due comunità. Nel frattempo, gli fu affidata la diocesi di Camerino (4 marzo 1437); egli non ne assunse mai il governo direttamente, quantunque ne conservasse il titolo anche dopo l'elevazione alla porpora; nella diocesi si fece rappresentare dal vicario Antonio de Meha. Nella sua qualità di vescovo di Camerino prese parte al concilio di Firenze, assecondando gli sforzi di Eugenio IV per la riunione della Chiesa greca alla latina, e intervenne in tal senso nelle trattative, giovandosi della conoscenza profonda delle lingue greca e latina. Per dare a lui un premio e per dimostrare ai Fiorentini la propria gratitudine per l'ospitalità offerta al concilio, il papa creò l'A. cardinale diacono del titolo di S. Eustachio, lasciandogli anche il vescovado di Camerino e le abbazie di S. Savino e Grottaferrata (18 dic. 1439). Né cessò di servirsi di lui per missioni diplomatiche, inviandolo come legato nel Regno di Napoli (10 giugno 1440) a trattare la conclusione della pace fra Alfonso d'Aragona e Renato d'Angiò.

Tornato in Curia il 24 Ott. 1442, egli rimase costantemente al fianco del papa impegnato nel concilio; nel 1444 fu nominato camerario del S. Collegio e prese possesso di questa carica il 15 ottobre. A torto la lapide apposta sulla sua tomba in S. Croce gli attribuisce il conferimento della legazione apostolica e del comando della flotta pontificia inviata contro i Turchi in aiuto di Ladislao di Polonia; cariche attribuite, invece, al cardinale Francesco Condulmer, prossimo congiunto di Eugenio IV.

I suoi biografi ripetono spesso questa notizia, pur essendo essa stata confutata dal Ciacconio e dall'Oldoini fin dal 1677, così come tra di loro c'è molta incertezza a proposito della natura giuridica del suo governo episcopale in Camerino. Alcuni (Turchi, Cardella) negano perfino che sia stato consacrato vescovo. L'Eubel, con severità di critica e ampiezza di documentazione, conclude per la pienezza canonica dei suoi poteri episcopali, esercitati fino alla morte in Camerino. Anche a proposito della data di morte si notano divergenze fra i biografi, dovute alle differenze nel testo delle due iscrizioni funerarie (pubbì. da Ciaconius, Ughelli, Negri, Passerini, ecc.), apposte l'una in S. Giovanni in Laterano (cappella di S. Ilario) sull'urna che ne conserva il cuore, l'altra in S. Croce a Firenze (cappella Alberti) sulla tomba che ne custodisce il corpo. Se ambedue concordano nell'anno (1445), la prima, però, ne assegna la morte al 3 agosto, l'altra all'11 di quel mese. L'Eubel, sulla base di documenti cronistici, conclude per la seconda data.

Morendo, l'A. lasciò il cuore a Roma e dispose che il corpo fosse sepolto in S. Croce di Firenze, accanto agli altri Alberti; il 23 ag. 1445 gli furono tributate onoranze funebri particolarmente solenni, presenti il gonfaloniere, la Signoria e i Collegi, la parte guelfa, gli Otto e le Capitudini delle Arti.

Fonti e Bibl.: L. Fumi, Codice diplomatico della città di Orvieto, Firenze 1884, pp. 701-702; A. Aubery, Histoire des cardinaux, II, Paris 1643, pp. 232-234; A. Ciaconius-A. Oldoini, Vitae et res gestae Pontificum Romanorum et S.R.E. cardinalium, II, Romae 1677, coll. 918-919; G. De Gubernatis, Istoria genealogica della famiglia Alberti, Torino 1713, pp. 117-118; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, coll. 563-564; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp. 9-10; O. Turchi, De ecclesiae Camerinensis pontificibus, Romae 1762, p. 286; S. Salvini, Catalogo cronologico de' canonici della chiesa metropolitana fiorentina, Firenze 1782, n. 357; G. Cappelletiti, Le Chiese d'italia, IV, Venezia 1846, pp. 288-289; L. Passerini, Gli Alberti di Firenze, I, Firenze 1870, tav. V, pp. 166-170 (superficiale nella critica, quantunque accurato nei dati araldico-genealogici); P. B. Gams, Series episcoporum, I, Ratisbonae 1873, p. 679; C. Eubel, Hierarchia catholica, II, Monasterii 1914, pp. 8, 26-28, 116; L. Pastor, Storia dei Papi, I, Roma 1910, pp. 291-292; F. Babinger, Maometto il conquistatore, Torino 1957, p. 68 (queste ultime due opere per il problema della persona del legato pontificio nella crociata del 1443-44); Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., I, col. 1575.

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