DELLA SCALA, Alberto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA SCALA, Alberto

Gian Maria Varanini

Secondo figlio di Iacopino, nacque in data a noi non nota, ma al più tardi attorno al 1245,dato che nel 1263 risulta già coniugato con Verde da Salizzole.

Ben prima di assumere il supremo potere in Verona, succedendo al fratello Leonardino detto Mastino, il D. aveva iniziato la propria carriera politica, sulla scia, appunto, del fratello. Già nel 1261era fra i rappresentanti veronesi che presero in consegna il castello di Gazzo. Secondo il cronista de Romana (in Antiche cronache veronesi) nel 1268 - assenteMastino - si condusse come capo della sua parte in occasione dei tumulti provocati dalla fazione avversa. Dal 1270ricoprì, succedendo in essa al fratello, la carica di podestà dei mercanti di Verona: nel 1296si era infatti nel suo "XXVII regimen", il che conferma, tra l'altro, come egli avesse occupato tale carica sin'allora ininterrottamente. Alla data del 1270 vuolsignificativamente riferirsi, con sostanziale esattezza cronologica, il pur encomiastico Ferreti, quando ricorda che il D. morì avendo "regnato" 31 anni; ed è degna di nota, in proposito, la circostanza che ancora nel 1286 il D. presenziasse di persona alle riunioni del "generale conscilium" della Domus mercatorum.

Esisteva dunque a Verona una qualche forma di cogestione del potere: fu anzi proprio Mastino, negli anni '70, a non ricoprire cariche ufficiali nella sua città. Nel 1276il D. fu il materiale esecutore dell'impresa contro il centro ereticale di Sirmione; atti pubblici di questo periodo - ad esempio il trattato con Mainardo conte del Tirolo, dello, stesso anno 1276 - vedono i due fratelli agire assieme. Tutto ciò facilitò, al momento dell'uccisione di Mastino (nell'ottobre 1277),l'immediata attribuzione dell'arbitrium al D., prontamente rientrato in Verona da Mantova, ov'era in quell'anno podestà (come già nel 1275), da parte della concio veronese, alla quale parteciparono (si noti l'articolazione delle categorie presenti, con l'uso di quel "nobiles et magnates" così arcaico, e raro nella documentazione veronese) "viri nobiles et magnates, anciani, gastaldiones misteriorum Veronae ac universus populus civitatis eiusdem". La carica alla quale il D. venne allora eletto a vita fu quella di "capitaneus et rector gastaldionum misteriorum et totius populi Veronensis". Iniziava così la signoria scaligera.

Per quanto riguarda la situazione interna, l'amministrazione del D. - che sempre rispettò le forme del governo comunale - fu nei primi anni sostanzialmente tranquilla: si segnala soltanto un episodio di opposizione, quello che portò nel 1286 alla condanna e all'esilio in Treviso (che diventerà la residenza preferita, con Padova, dei fuorusciti veronesi superstiti) del notaio Iacopo di Cesarina, già collaboratore scaligero della prima ora. Il gruppo dei collaboratori politico diplomatici del nuovo signore restò cospicuo: a quanto è dato osservare, il D. si servì inizialmente soprattutto di giudici (Ubertino de Romana, Nicola Dalla Legge, Bonmesio Paganotti), di notai, di esponenti del mondo delle arti, mentre nell'ultimo decennio del suo dominio sembra intravvedersi una certa qual rivalutazione anche a questo livello dell'elemento nobiliare e militare.

Risale a questi anni quella significativa serie di aggiunte allo statuto cittadino, che concretizzando la fondamentale ma generica concessione del 1277 suggellarono il crescente controllo del D. sulla vita politico amministrativa della città: fra le altre quelle che attribuiscono al nuovo signore il diretto possesso di alcuni castelli (già dal 1277), la disponibilità di una guardia personale (dal 1290), il controllo sulle spese e sul patrimonio comunale. Particolarmente numerose appaiono le additiones (riguardanti o non direttamente il D.) negli anni 1279 e 1284-85. Anche all'interno della famiglia scaligera, numericamente non ampia in questo periodo, la posizione preminente del D. è riconosciuta senza opposizione alcuna: non a caso Piccardo del fu Bocca Della Scala, testando nel 1288, cedette al D., che era suo zio, i propri diritti sul castello di Peschiera. Sono da menzionare ancora le significative opere pubbliche promosse a partire dall'ultimo ventennio del secolo dal D. nel contesto urbano: da un sostanziale rinnovamento della cerchia muraria alla costruzione in pietra della Domus mercatorum (nel 1301) e alla erezione di nuove chiese. Sin da questi anni, poi, le istituzioni ecclesiastiche locali appaiono sostanzialmente subordinate al controllo del signore. Anche se è ormai dimostrato che il Pietro Della Scala vescovo di Verona fra il 1290 e il 1295 non apparteneva alla omonima famiglia veronese, resta il fatto che né costui né il suo predecessore Bartolomeo né il suo successore Bonincontro lesinarono al D. favori e investiture; e che nel capitolo della cattedrale sedettero sin dagli ultimi vent'anni del secolo, oltre ad Alboino figlio del D. documentato dal 1289, ramPolli di importanti famiglie, sia locali sia forestiere (Carbonesi di Bologna, Castelbarco), amiche dei Della Scala di Verona. Particolare rilievo, last but not least,ha poi il controllo che il D. dimostra di avere nelle principali abbazie cittadine: S. Giorgio in Braida e soprattutto S. Zeno. Le investiture di cospicue porzioni del patrimonio di questo ultimo ente ai Bonacolsi rivestono una notevole importanza politica. L'intrusione in S. Zeno dell'illegittimo Giuseppe (1292) valse come è noto al D. un giudizio di condanna da parte dell'Alighieri (Purg., XVIII,121).

Per quanto concerne la politica estera sin dai primi mesi di governo il D. si trovò coinvolto in guerre contro le vicine città guelfe. Nel maggio 1278 iniziò, con l'alleato mantovano, una campagna contro Brescia, conclusasi nel settembre del 1279 con la pace di Montichiari, che assicurò la tranquillità delle vie di commercio fra le due città, e nella quale è fra l'altro menzione di un intervento del D. in Valcamonica, certo in funzione antibresciana. Ma più grave fu quel contrasto con Padova che doveva restare per lunghissimo tempo una delle costanti della politica estera veronese. La guerra, iniziata nel 1278, fu in parte motivata dall'assoggettamento a Padova di Trento e, dunque, dal controllo della via dell'Adige, indispensabile al commercio veronese; in parte dalla incipiente concorrenza per il controllo su Vicenza, contro la quale venne fatto un tentativo già nel 1277. Coi Padovani si allearono i da Camino, Belluno e dal novembre 1278, durante l'assedio di Cologna Veneta, Cremona, Brescia, Parma, Modena e Ferrara. La pace con Trento (luglio del 1279) alleggerì la posizione di Verona, che perse tuttavia Cologna Veneta e subì gravi saccheggi nel distretto, fino alla definitiva cessazione delle ostilità (settembre del 1280).

Anche nel decennio successivo gli episodi di guerra guerreggiata nei quali Verona fu coinvolta ebbero a teatro il Trentino e il Vicentino. Nel 1283 il D. intervenne a difesa dell'alleato Bonifacio di Castelbarco contio Trento: in questa zona, la costante amicizia con i Castelbarco e con Mainardo conte del Tirolo (con il quale sarà rinnovato nel 1290 il patto di alleanza stipulato nel 1276) consentì al D. di tenere la situazione sotto controllo, nonostante i non facili rapporti con il vescovo di Trento. Quanto a Vicenza, nel.1290 fu tentato un colpo di mano contro la città, ripetuto nel 1292, quando i Veronesi presero il castello di Valdagno.

Sicuro dai lati di Mantova e di Trento, il D. poté dedicare la sua attenzione alla situazione politica delle città emiliane, sostenendo i ghibellini. Nel 1287 truppe veronesi parteciparono ad una spedizione contro Modena. Nel 1289, insieme con Mantova e con i da Sesso, reggiani estrinseci da lui appoggiati, il D. stipulò un trattato con il Comune di Reggio, nel quale è tra l'altro evidente la volontà di tutelare la libertà dei commerci veronesi. Due anni più tardi (1291), l'arbitrato esercitato dal D. fra Mantova ed Estensi manifestò il prestigio e l'autorevolezza ormai da lui raggiunti nel quadro politico padano.

Proprio in quegli anni egli aveva stretto cospicui legami famigliari, dando in sposa la figlia Costanza al marchese Obizzo d'Este (1289), ed ottenendo per il proprio primogenito Bartolomeo Costanza di Corrado d'Antiochia, discendente di Federico Il (1291). In neppure trent'anni, dunque, una importante ma non eccelsa famiglia della classe dirigente veronese, quale alle sue origini era appunto quella dei Della Scala, era giunta ad imparentarsi con la più alta nobiltà feudale.

La consapevolezza di questo annobilimento si fece evidente, negli anni successivi, in quella "pompa nuova delle curie" (Simeoni), in quegli addobbamenti cavallereschi di collaboratori e famigliari per mezzo dei quali il D. celebrò (1294 e 1298) vittorie militari e matrimoni.

Prudenza e realismo, ma anche attenta difesa degli interessi veronesi, caratterizzarono le scelte politiche del D. anche negli anni seguenti. L'avvicendamento, a Mantova, fra Pinamonte Bonacolsi e il figlio Bardellone (1291) non mutò i buoni rapporti fra le due signorie, che il D. aveva migliorato negli anni precedenti sfruttando senza riguardi, a favore degli alleati, il patrimonio di S. Zeno. Furono pertanto superati i contrasti insorti per il possesso di Casteldario, che restò a Maritova, e fu stretto un nuovo patto nel maggiO 1293. Nel maggio del 1294, tuttavia, la decisione da parte veronese di imprendere la ricostruzione del castello di Ostiglia pose le premesse di futuri contrasti. Nello stesso 1294 il D. si alleò con la guelfa Padova contro Ferrara, donde - morto Obizzo - Azzo (VIII) aveva cacciato la matrigna Costanza Della Scala. La guerra, breve e vittoriosa, segnò concreti vantaggi soprattutto per Padova.

Dopo alcuni anni di pace, il D. fu nel 1297 e nel 1299 costretto ad intervenire nuovamente con la forza, per mantenere l'assetto vigente, e non a caso proprio nelle due località chiave per lo sviluppo economico e politico veronese: il Trentino e Mantova. Le discordie interne alla famiglia Castelbarco consigliarono infatti un intervento militare, operato dal figlio e collega del D. Bartolomeo nel febbraio 1297, intervento che si concluse con la conquista di diversi castelli nella Val Lagarina. Di ben maggiore rilievo fu l'episodio mantovano. Nella famiglia Bonacolsi non si era sin'allora affermata la sicura leadership di un membro, come già era apparso evidente agli inizi dell'ultimo decennio del secolo. Tagino Bonacolsi aveva infatti tentato di esautorare il dominus di Mantova, il fratello Bardellone, e aveva cercato di staccare la città dalla ormai consolidata alleanza con Verona. La stipulazione da parte di Tagino di un trattato di amicizia con Ferrara a nome proprio e del fratello indusse il D. ad un colpo di mano (2 luglio 1299), che mise fine alla signoria di Bardellone e portò al potere il nipote di quest'ultimo Guido detto Botticella: costui di lì a poco concluse una lega con lo Scaligero e sposò Costanza Della Scala, la figlia del D. vedova di Obizzo d'Este. La rinnovata alleanza fra le due città troverà riscontro nella breve guerra trentina del 1301, occorsa subito dopo la morte del Della Scala.

Contemporaneamente all'aggravarsi della crisi mantovana, nella prima metà del 1299 un'altra vicenda diplomatica aveva dato la misura dell'allargarsi degli interessi del D. all'intera area padana. Insieme con Matteo Visconti, la cui figlia Caterina aveva sposato nel settembre del 1298 Alboino, figlio del D., il signore di Verona esercitò infatti fra l'ottobre del 1298 e il maggio del 1299 l'arbitrato fra il Comune di Bologna e i Lambertazzi per il rientro di questi ultimi nella città emiliana. Nei confronti delle famiglie ghibelline bolognesi (fra le altre, quelle dei Principi e dei Carbonesi), come del resto di quelle di altre città (fra i presenti a Verona in questi decenni si possono citare i Dovara, i Sesso, i Pio), il D. aveva da tempo praticato una coerente politica di sostegno e di ospitalità.

Mentre andava ulteriormente accentuando il proprio controllo sul governo cittadino (il Simeoni ha giustamente notato come soltanto nel 1298 il D. e il figlio di questo, Bartolomeo, dal 1290 associato a lui nel potere, avessero osato togliere al principale organismo politico veronese, il Consiglio dei gastaldioni delle arti, la facoltà di riunirsi di propria iniziativa senza previa licenza dei capitani), il D. ebbe sul fronte interno a che fare più volte nel decennio 1290-1300 con opposizioni e congiure. Male necessario di tutti i regimi signorili, esse sembrano essere nate anche da ambienti vicini o compartecipi del potere del D., piuttosto che dall'inquietudine (pure, forse, non assente) della nobiltà tradizionale, tanto nel caso del 1294 quanto in quello del 1299 (più grave, perché avvenuto in coincidenza - e forse in connessione - della crisi mantovana).

Il D. testò il 6 genn. 1301, alla presenza di gran parte dei suoi principali collaboratori di governo. Lasciò eredi universali i tre figli, dosando sapientemente la gerarchia interna fra di loro in ragione dell'età: Bartolomeo, il maggiore, già da tempo capitano "penes se", veniva nominato tutore di Cangrande (il minore dei tre), e doveva "gubernare" l'altro fratello Alboino.

Il D. morì a Verona il 3 sett. 1301.

Il D. aveva sposato, prima del 1263, Verde da Salizzole, che morì dopo di lui, il 25 dic. 1306. Della famiglia di costei, certo di non particolare rilevanza, si sa poco o nulla. Oltre ai tre, che furono poi signori di Verona, il D. ebbe altri figli: Costanza e Caterina, e l'illegittimo Giuseppe.

Il D. lasciò fra i contemporanei un eccellente ricordo di sé: oltre alla sua abilità politica, se ne esaltarono infatti costantemente la pietà e la religiosità. Significativo, fra gli altri, l'elogio non cortigiano di Salimbene de Adam.

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