NATOLI, Aldo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

NATOLI, Aldo

Agosti Aldo Mario

– Nacque a Messina il 20 settembre 1913, terzogenito di Adolfo e di Amelia Oriolo.

Il padre, professore di latino e greco, aveva studiato alla Normale di Pisa, dove aveva stretto amicizia con Giuseppe Lombardo Radice. Il fratello maggiore, Glauco, critico letterario, negli anni Trenta fu lettore di letteratura italiana presso l’Università di Strasburgo. La sorella Elsa sposò Francesco Collotti, docente di storia delle dottrine politiche.  Il quarto fratello, Ugo, fu insigne giurista, docente di diritto del lavoro.

Natoli frequentò tutte le classi della scuola media e del liceo a Messina, guidato intanto dal fratello alla lettura sia dei classici soprattutto francesi del Novecento, a cominciare da Gide, sia di testi più impegnati politicamente, come La condition humaine e L’espoir di André Malraux. Iscrittosi alla facoltà di medicina e chirurgia a Messina, al termine del primo anno si trasferì a Roma, dove compì un tirocinio presso l’Istituto nazionale tumori Regina Elena e lavorò come allievo interno con Cesare Frugoni. Si laureò nel 1937 e nel 1938 vinse il concorso di assistente ospedaliero. Nel 1939, grazie a una borsa di studio, trascorse alcuni mesi a Parigi presso l’Institut du cancer.

Nel frattempo l’incontro con alcuni studenti ebrei fuggiti dalla Germania aveva stimolato in lui la maturazione di una coscienza antifascista, che si rafforzò, tra la guerra di Etiopia e la guerra di Spagna, attraverso la frequentazione sia degli amici di famiglia Lucio e Laura Lombardo Radice, sia di altri giovani universitari romani, tra i quali Mirella De Carolis (che divenne poi sua moglie), Antonio e Pietro Amendola, Paolo Bufalini, Bruno Zevi e un po’ più tardi Mario Alicata e Pietro Ingrao. Decisivo fu l'incontro con Bruno Sanguinetti, ebreo triestino che dopo aver studiato in Belgio e in Francia era tornato in Italia e, iscrittosi alla Facoltà di fisica, si adoperava per costituire un nucleo organizzato di giovani intellettuali a Roma. Natoli fu convinto da Sanguinetti a un impegno politico più diretto e già nel febbraio 1938 si recò in Francia, riportando a Roma stampa clandestina comunista.

Durante il soggiorno a Parigi del 1939 intensificò i rapporti con il Centro estero del PCI e particolarmente con Celeste Negarville e Antonio Roasio. Tornato a Roma in luglio, partecipò alle vivaci discussioni del gruppo dei giovani intellettuali simpatizzanti per il partito sul patto tedesco-sovietico, del quale difese le ragioni in nome del realismo politico. Intanto era entrato in rapporto con un gruppo di militanti di Avezzano (tra cui Bruno Corbi e Giulio Spallone), il cui arresto precedette di poco il suo nel dicembre  1939. Il 16 maggio 1940 fu condannato a cinque anni di carcere dal Tribunale speciale, con l’imputazione di ricostituzione del Partito comunista e propaganda sovversiva. Nei tre anni di reclusione a Civitavecchia, mentre faceva per la prima volta conoscenza diretta della base proletaria del partito, approfondì le sue letture storiche e filosofiche  e aggiornò la sua preparazione di medico. Nel dicembre 1942 fu scarcerato grazie a un provvedimento di amnistia e indulto. Chiamato alle armi ma dichiarato idoneo solo ai servizi sedentari, prestò servizio come soldato semplice vicino a Pistoia. L’8 settembre lo colse a Roma, dove poco dopo entrò a far parte della redazione clandestina dell’Unità con Alicata e Negarville. Subito dopo lo sbarco di Anzio, nel gennaio 1944, compì una missione al Nord per permettere il contatto tra due ufficiali americani e la direzione del partito nell’Italia occupata, poi fino a giugno 1944, avendo aderito con convinzione alla svolta di Salerno, si occupò dei collegamenti via radio del PCI romano con le regioni liberate.

Dopo il 25 aprile 1945, assunse l’incarico di responsabile della propaganda nella federazione di Roma, di cui divenne  segretario nel dicembre 1946. Si conquistò una vasta popolarità nella base del partito, impegnandosi in una serie di lotte per la difesa del lavoro (tra cui 'scioperi alla rovescia', cioè manifestazioni di protesta fatte lavorando, a Roma e nel Frusinate), per il miglioramento delle condizioni di vita delle borgate e per l’acculturazione politica dei loro abitanti. Come segretario di federazione e poi segretario regionale del Lazio e anche come consigliere comunale (fu eletto in Campidoglio nel 1952 e divenne in seguito capogruppo consiliare) condusse una campagna contro il 'sacco di Roma', ossia contro la politica urbanistica delle amministrazioni comunali a guida democristiana, che giudicava inquinata dagli interessi della rendita fondiaria legata alle proprietà del Vaticano, battendosi per un piano regolatore che vincolasse alcune aree a uso industriale per sottrarle alla speculazione privata. Nel frattempo, fin dal 1948, era stato eletto deputato del Lazio (riconfermato nelle quattro successive legislature). Nel 1954 lasciò la segreteria della federazione di Roma e divenne vice di Luigi Longo alla sezione del lavoro di massa, occupandosi soprattutto del lavoro di fabbrica e delle trasformazioni in corso nell’industria italiana.

Rimasto scosso nel 1956 dalle rivelazioni del rapporto segreto di Chruscev e ancor più dalla repressione sovietica in Ungheria, nel dibattito precedente l’VIII Congresso fu l’unico a esprimersi in favore di liste aperte per gli organismi dirigenti, svolgendo «uno degli interventi più incisivi sulla compatibilità tra la via italiana al socialismo e non solo il pluralismo partitico, ma anche il rispetto delle maggioranze liberamente elette» (Gozzini - Martinelli 1998, p. 576). Benché rieletto nel Comitato centrale comunista, questa posizione gli costò lo spostamento dalla sezione del lavoro di massa a quella degli enti locali, che visse come un declassamento. La fiducia che aveva nutrito nella linea politica di Togliatti cominciò a incrinarsi e quando nell’ottobre 1961 il Comitato centrale affrontò di nuovo il tema della destalinizzazione, sull’onda della denuncia lanciata da Chruscev al XXII Congresso del PCUS, Natoli rimase insoddisfatto delle reticenze del segretario del PCI e chiese, in un’infuocata discussione, la convocazione di un congresso straordinario. Dopo la morte di Togliatti, quando si precisarono in modo più netto nel PCI orientamenti differenziati, Natoli, che fin dal 1954 aveva cominciato a porsi degli interrogativi sull’analisi catastrofista che il PCI dava del capitalismo italiano, si schierò nettamente con la 'sinistra' di Ingrao, che assai meno della 'destra' di Giorgio Amendola dava per scontato il fallimento dell’operazione di centro-sinistra, e si preoccupava di combattere la sua politica 'neocapitalistica' rendendosi interprete delle nuove forme di conflittualità di massa esplose dopo il 1960.

Natoli era stato il deputato comunista che più da vicino aveva seguito i problemi della nazionalizzazione dell’energia elettrica. Quando il PCI l’approvò alla Camera, votò a favore, ma non nascose le sue riserve per l’entità degli indennizzi concessi agli azionisti e il mancato controllo sul loro reinvestimento, nonché per l’inadeguato spazio lasciato ai lavoratori negli organi gestionali e d’indirizzo. Questa esperienza, insieme al fallimento di ogni tentativo di riforma urbanistica, lo persuase che le 'riforme di struttura', al centro del discorso politico del PCI, erano più uno slogan che una strategia per modificare gli equilibri di classe in collegamento con le lotte sociali.

Fra il 1964 e il 1966, i momenti di dissenso dalla linea ufficiale del PCI s’intensificarono, come in occasione dell’elezione di Giuseppe Saragat alla presidenza della Repubblica, cui fu contrario, o nella discussione sulla proposta di Amendola del partito unico dei lavoratori. Nel 1965 fu membro di una delegazione del PCI in Vietnam, Cina e Indonesia, e si persuase che la linea del PCI restava troppo subalterna a quella sovietica, avallando una concezione statica della coesistenza pacifica che sacrificava le aspirazioni delle lotte di liberazione nel Terzo mondo. La rivoluzione culturale cinese del 1966, che  interpretò allora soprattutto come spinta antiburocratica e antigerarchica, esercitò allora su di lui un notevole fascino e lo rese, con altri membri della sinistra del partito uscita sconfitta dall’XI Congresso, assai sensibile alle tematiche dell’agitazione studentesca del 1967-68 e della conflittualità operaia esplosa l’anno successivo, rispetto alle quali riteneva la politica del PCI in ritardo e inadeguata. Con alcuni compagni della sinistra, tra cui Luigi Pintor, Lucio Magri, Rossana Rossanda e Luciana Castellina, si persuase che occorreva  dare voce in modo continuativo e organico al dissenso e fondò la rivista il Manifesto, il cui primo numero uscì nel giugno 1969. La Direzione del PCI mantenne inizialmente verso l’iniziativa un atteggiamento critico misurato, ma quando il nuovo gruppo rimproverò al partito di aver avallato la 'normalizzazione' seguita all’intervento sovietico in Cecoslovacchia, il Comitato centrale decise il 21 novembre 1969, con tre voti contrari e due astenuti, la radiazione di Natoli, Pintor, Magri e Rossanda. La posizione di Natoli si differenziò però abbastanza presto da quella degli altri compagni, essendo egli persuaso che la prospettiva di una scissione del PCI e della formazione di un nuovo soggetto politico rivoluzionario fosse del tutto irrealistica (perciò fu contrario alla presentazione di una lista autonoma alle elezioni del 1972), e che il compito della rivista dovesse essere quello di un lavoro di studio e di semina culturale di più lungo periodo. Continuò però a collaborare regolarmente al Manifesto, poi diventato quotidiano, fino al 1976, rivendicando orgogliosamente fino all’ultimo  la qualifica di «comunista senza tessera».

Nella seconda metà degli anni Settanta si volse soprattutto, con passione e rigore filologico, agli studi storici. Entrato a far parte della direzione della Rivista di storia contemporanea, fondata e diretta da Guido Quazza, scrisse Sulle origini dello stalinismo. Saggio popolare (Firenze 1979), e poi si dedicò allo studio delle lettere e dei quaderni del carcere di Gramsci, pubblicando Antigone e il prigioniero. Tania Schucht lotta per la vita di Gramsci (Roma 1990), cui fece seguito la cura, con Chiara Daniele, dell’edizione delle Lettere 1926-35 (Torino 1997). Da ricordare anche Il registro. Carcere politico di Civitavecchia (1941-1943) (con Vittorio Foa e Carlo Ginzburg; Roma 1994).

Morì a Roma l’ 8 novembre 2010.

Fonti e Bibl.: Dialogo tra A. N. e Vittorio Foa (ottobre-dicembre 1993),  dattiloscritto inedito, pp. 208, in Carte A. N., presso la famiglia; A. N. È morto un comunista, in il Manifesto, 10 novembre 2010, con articoli di R. Rossanda, P. Ingrao, L. Castelllina, A. Portelli; La passione fa 90, inserto del Manifesto, 20 settembre 2003, con articoli di R. Rossanda, P. Ingrao, L. Castellina, G. Francioni, S. Portelli, V. Parlato, T. Di Francesco, P. Kammerer, S. Prosperi; La svolta incompiuta del 1956. Intervista ad A. N. di M. Galeazzi, Il Ponte, XLII (1986), 2, pp. 115-129; A. Portelli, Un comunista a Roma. Intervista con A. N., in I giorni cantati, I (1987), 2, pp. 7-11; Antifascismo, Resistenza, zona grigia: sei interviste mezzo secolo dopo, in Roma ribelle, La Resistenza nella capitale 1943-1944, a cura di M. Musu - E. Polito, Roma 1999, pp. 247-254; V. Vidotto, Roma contemporanea, Roma-Bari 2001, ad ind.; G. Gozzini - R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano. Dall’attentato a Togliatti all’VIII Congresso, Torino, 1998, ad ind.; S. Dalmasso, Il caso “Manifesto” e il PCI degli anni ’60, Torino 1989.

Aldo Agosti

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