ALEOTTI, Giovan Battista, detto l'Argenta

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

ALEOTTI, Giovan Battista, detto l'Argenta

Armando O. Quintavalle
Elena Povoledo

Nato ad Argenta (Ferrara) nel 1546. Architetto e ingegnere, fu dal 1571 fin oltre il 1593 al servizio del duca Alfonso II d'Este. Lavorò soprattutto a Ferrara, ove costruì le chiese di S. Barbara e di S. Carlo (1612), l'oratorio di S. Margherita, le torri di San Francesco e del Palazzo della Ragione, la chiesa di S. Maria della Rotonda (1597), la facciata e la torre del palazzo del Paradiso (1610), nonché la porta di San Paolo (1612). Progettò anche la fortezza di Ferrara, ed è noto, infatti, anche come ingegnere militare. Nelle costruzioni civili e religiose si dimostra, senza grande originalità, seguace del Palladio. Ebbe un ruolo importante nella bonifica ferrarese intrapresa dagli Estensi: ne fu, infatti, uno dei principali esecutori e fu tra i compilatori del Libro dell'estimo, il primo catasto ferrarese di cui sia rimasta traccia. Per la sua rara competenza ebbe anche da Clemente VIII l'incarico, insieme con V. Morello, di perito delle questioni delle acque di Romagna per la difesa dei diritti ferraresi.

Noto anche come autore di strutture e macchine teatrali, fu già nel 1592, richiesto al duca da Vincenzo II Gonzaga, quale architetto e ingegnere esperto di cose teatrali, per una rappresentazione (in seguito non realizzata) del Pastor Fido di G. B. Guarini. Una notevole attività in questo campo egli svolse al servizio del marchese Enzo Bentivoglio, soprattutto negli apparati per le imprese cavalleresche nelle quali il marchese eccelleva. Frequenti sono gli accenni a tali incontri e spettacoli nelle lettere private tra l'A., il marchese e il cardinale Guido suo fratello, e di alcuni ci restano le relazioni (1608-24), che attestano una fervidissima attività. Tutte queste manifestazioni ebbero splendide scene prospettiche (con asse centrale e fuoco unico) e ricco suffragio di macchine ingegnose che calavano dalla "soffitta", salivano dal sottopalco, scivolavano fuori dalle quinte, dilatandosi e trasformandosi a vista mentre trasportavano in scena i musici per l'introduzione e i torneanti per l'abbattimento.

Gli spettacoli si svolsero il più delle volte nel teatro della Sala grande (chiamato in seguito anche teatro della Commedia, teatro di Sala, teatro vecchio del Cortile). Prima di questo, l'A. aveva eretto in Ferrara un altro teatro stabile, quello dell'Accademia degli Intrepidi a San Lorenzo. Ricavato da un vecchio granaio di proprietà del duca Cesare d'Este, fu dovuto all'iniziativa del marchese Enzo Bentivoglio. Nel 1605 il teatro era già parzialmente costruito, come documenta una pianta topografica di Ferrara rilevata dallo stesso A.; la cavea era semicircolare, a gradoni, la scena era sopraelevata. Nel 1606 era ultimato anche il palcoscenico, con prospetto scenico antistante al proscenio, dipinto su una tramezza lignea con colonne doriche e un architrave a finto rilievo. Era prevista una dotazione di scene mutevoli, ma l'A. realizzò soltanto quella tragica; le altre furono ideate nel 1626 da Francesco Guitti.

Anche il teatro della Sala grande fu costruito per iniziativa di Enzo Bentivoglio e dell'Accademia degli Intrepidi; ebbe una prima sistemazione provvisoria nel 1610, in occasione del Campo aperto combattuto per carnevale (invenzione e introduzione di Alessandro Guarini). Ricavato nella sala principale di Corte vecchia, aveva un'ampia scena rialzata, senza arco scenico ma con frons scaenae ispirata a quella dell'Olimpico di Vicenza; ma, anziché costruita, questa era tutta dipinta su una tramezza lignea. Attraverso le tre porte si scorgevano tre prospettive di cui una, la centrale, mutava 6 volte. La sala aveva una cavea a gradoni, quadrangolare, che correva attorno alle tre pareti, lasciando libero al centro un largo spazio per il "campo" dove avveniva il combattimento.

Nel 1612, in occasione del Torneo a piedi e a cavallo, combattuto per carnevale dagli Accademici Intrepidi (invenzione di Enzo Bentivoglio), il teatro fu ricostruito con alcune varianti e divenne stabile. La cavea, sempre quadrangolare e a gradoni, era capace di 4.000 posti e aveva sulla destra un palco d'onore per gli Accademici e le dame di qualità. La scena era sopraelevata sul "campo" al quale era collegata mediante una scaletta praticabile; la parte anteriore era incorniciata da un prospetto scenico con colonne e architrave d'ordine corinzio dipinti su una tramezza; il sipario cadeva all'inizio per non rialzarsi più; la scena era mutevole, l'orchestra sistemata tra le quinte.

Nel 1617, fu prescelto da Ranuccio I Farnese per la costruzione (1618-19) a Parma, nella vastissima sala d'armi del palazzo della Pilotta, di un grande teatro in legno (semidistrutto da un bombardamento nel 1944), che, per la concezione, per la razionalità degli impianti - forma ovata, anfiteatro a gradini, due ordini di logge, scene mobili, attrezzature del palcoscenico - poteva ben considerarsi moderno e, se pure dovuti al Bentivoglio ed al Magnani alcune modificazioni e completamenti, il suo capolavoro. Ciò va detto anche per l'equilibrio e la coerenza delle membrature e della decorazione che, informate del pari al Palladio ed al Serlio, non sembravano essere infatti, qui una posticcia tautologia, ma una vera e propria rielaborazione di concetti.

Scrisse varie opere tecniche e teoriche. Tra esse sono da ricordarsi: L'uso della squadra (Venezia 1598), una Pianta topografica del ducato di Ferrara del 1599, una Difesa per riparare alla sommersione del Polesine di S. Giorgio e alla rovina dello Stato di Ferrara (Ferrara 1601, e poi ibid. 1687), una Geografia dello Stato di Ferrara del 1617. Molte sono anche le opere che lasciò manoscritte, tra cui un discorso Dell'interramento del Po di Ferrara a divergenza delle sue acque nel ramo di Ficarolo (edito postumo a Ferrara nel 1847 da Luigi Napoleone Cittadella), una Raccolta di tavole disegnate o possedute dall'Argenta (conservato nella Bibl. Comunale Ariostea di Ferrara), un grosso trattato, forse la sua opera maggiore, sull'Idrologia o scienza di ben regolare le acque (conservato nella Bibl. Ducale di Modena), un Dell'architettura libri V, datato 1581 (British Museum, Add. 22.759), nonché un Diario (conservato nell'Arch. Comunale di Ferrara) e delle lettere (depositate nell'Arch. Bentivoglio). Sua è pure la traduzione (Ferrara 1589 e poi Bologna 1647) di Gli artificiosi et curiosi moti spirituali di Herone Alessandrino, ai quali fece seguire quattro teoremi di notevole importanza scientifica ripubblicati nella raccolta Veterum mathematicorum..., Parisiis 1695.

Si sposò due volte, la prima con una tale Giulia e la seconda con Angiola Moschini, dalla quale ebbe un maschio (premorto) e cinque femmine. Morì a Ferrara il 12 dicembre 1636.

Fonti e Bibl.: G. A. e L. Barotti, Memorie istoriche di letterati ferraresi, II, Ferrara 1793, pp.221-228; P. Donati, Gran teatro farnesiano di Parma, Parma 1817; P. De Lama, Descriz. del Teatro Farnese, Bologna 1818; G. Petrucci, Vite e ritratti di XXX illustri ferraresi, Bologna 1833, p. 111; L. N. Cittadella, Memorie intorno alla vita e alle opere dell'architetto A. Argentano, Ferrara 1847; G. Campori, Gli artisti ital. e stranieri negli stati estensi, Modena 1855, pp. 8-10; G. Strocchi, Cenni sul codice autografo cinquecentesco inedito di G. B. Aleotti, Faenza 1926; A. Venturi, Storia dell'arte ital., XI, 3, Milano 1940, pp. 930, 933 ss., 963 ss.; H. Leclerc, Les origines italiennes de l'architecture théatrale moderne, Paris 1946, pp. 96-99; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Milano 1952, I, coll. 20-22; II, I, col. 2; A. O. Quintavalle, Il Teatro Farnese di Parma, in Rivista di studi teatrali, gennaio-marzo 1953, pp. 3-32; J. Schlosser-Magnino, La Letteratura artistica, Firenze 1956, p. 424; U. Thieme-F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler, I, p. 252; Encicl. dello Spettacolo, I, pp. 274-275 (con ulteriore bibl. sul Teatro Farnese).

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