ALESSANDRIA d'Egitto

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

ALESSANDRIA d'Egitto (II, p. 306)

Achille ADRIANI

La città contava, secondo il censimento del 1937, oltre 680.000 ab., di certo aumentati successivamente data l'importanza assunta dalla città e soprattutto dal porto nel corso della seconda Guerra mondiale. Particolare interesse nel campo dell'industria egiziana hanno i complessi industriali recentemente impiantati ad Alessandria per la lavorazione cotoniera, per la distillazione dell'alcool dai sottoprodotti degli zuccherifici, per la fabbricazione di pasta. L'opera deglì Italiani si è particolarmente affermata negli ultimi vent'anni anche nel campo industriale e commerciale, soprattutto nel periodo immediatamente precedente la seconda Guerra mondiale. Nel corso di questa essi furono posti in campi di concentramento e i loro beni sequestrati dal governo egiziano.

Il porto di Alessandria durante la seconda Guerra mondiale. - Per l'importanza strategica e logistica del porto di Alessandria per la difesa del Mediterraneo Orientale e degli interessi britannici durante la seconda Guerra mondiale v. mediterraneo, in questa App. Sede principale della flotta inglese del Mediterraneo e di una Divisione navale francese (amm. Godefroy), al collasso della Francia posta in completo disarmo, il porto doveva divenire uno dei principali obbiettivi della marina italiana. Ma per la sua forte distanza dalle nostre basi (880 miglia da Augusta), lo Stato Maggiore concluse che le unità più adatte a sua disposizione per arrecare danni sostanziali alle corazzate e alla nave portaerei ivi dislocate erano i mezzi speciali d'assalto della Decima squadriglia MAS, che potevano partire dai più vicini porti della Libia o dell'Egeo. Tre furono i tentativi di forzare il porto di Alessandria: ma solo il terzo conseguì un esito concreto.

La prima spedizione doveva partire a fine agosto 1940 dall'ancoraggio di Menelao nel golfo di Bomba poco a ponente di Tobruch: ma il sommergibile, sorpreso ad un miglio dalla costa da tre aerei britannici mentre eseguiva prove di immersione, dovette autoaffondarsi dopo una eroica difesa con le mitragliere. Nel secondo tentativo del settembre 1940 il sommergibile Gondar che proveniva direttamente dalla Sicilia con gli apparecchi d'assalto fu sorpreso a 100 miglia da Alessandria da tre siluranti e da un aereo Sunderland e dopo 12 ore di caccia stando in immersione, privo ormai d'aria e con l'interno ridotto un ammasso di rovine, fu costretto a venire in superficie per salvare l'equipaggio e quindi autoaffondarsi.

I mezzi speciali della terza spedizione, giunti nel dicembre 1941 col sommergibile Sciré e subito messi in mare ad un miglio dalle ostruzioni retali, poterono entrare in porto approfittando dell'uscita di tre cacciatorpediniere, per cui era stata aperta la porta, ma non sollecitamente richiusa. I silurotti, guidati da due uomini a cavalcioni sull'arma, riuscirono a portarsi non visti presso le corazzate Queen Elisabeth e Valiant e - assente la portaerei - presso una grossa petroliera. Distaccate le teste dei silurotti contenenti esplosivo e congegno di orologeria ed applicatele magneticamente ai tre scafi, gli uomini si allontanarono e furono presi prigionieri. La petroliera affondò, mentre le due corazzate si adagiarono sul fondo e non poterono riprendere servizio per quasi un anno.

Peraltro il risultato dell'azione non poté essere sfruttato perché le fotografie aeree dei ricognitori italiani non rivelarono le avarie subìte dalle navi rimaste orizzontali. I valorosi piloti dei mezzi d'assalto furono il tenente Luigi Durand de la Penne, il capitano delle armi navali Vincenzo Martellotta e il capitano del Genio Navale Antonio Marceglia, coadiuvati dai palombari Bianchi, Chergat e Marino.

Archeologia e arte (II, p. 306).

Progressi di notevolissima importanza per la migliore conoscenza dell'antica Alessandria e della sua civiltà artistica sono stati determinati, nel ventennio 1928-48, da numerose scoperte e scavi. La più importante scoperta, dal punto di vista del patrimonio monumentale, è stata quella di una necropoli tolemaica nella località Mustafa Pascià, ad est di Alessandria (1933-34). Trattasi di un gruppo di quattro tombe a camere plurime scavate nella roccia che erano comprese in una più vasta necropoli in parte scomparsa, in parte da esplorare. Queste tombe, pur gravemente danneggiate, rappresentano il nucleo più compatto, ricco e significativo di quell'architettura funeraria alessandrina di età tolemaica di cui si conoscevano, quasi sempre imperfettamente, gli esempî isolati di Sīdī Gaber, Sciatbi, Mafrusa, Anfushy, ecc., in buona parte oggi scomparsi. Nettamente distinte dalle più modeste necropoli a fossa o a pozzetti a più riprese incontrate ed esplorate pure ad est della città (Hadra, Sciatbi, Ibrahimieh), tali tombe monumentali (III-II sec. a. C.), tutte di carattere greco, costituiscono la fonte principale di informazione per lo studio dell'architettura dell'antica Alessandria. Il carattere generale della planimetria è la presenza di un grande cortile aperto ai cui lati sono aggruppati varî ambienti: il più importante di questi, per la sua funzione, è un piccolo locale a vasta apertura, una vera e propria alcova, che contiene sempre un sarcofago-letto scavato nella roccia imitante sontuosi letti funerarî reali, coperti di materassi e guanciali policromi e decorati nella parte anteriore con tappeti colorati. Questi letti funerarî, erano già noti da altri esempî, ma le nuove scoperte, mentre ne hanno ampiamente confermato l'uso nell'architettura funeraria alessandrina, di cui essi appaiono come una delle caratteristiche fondamentali, ne hanno fatto conoscere il più bell'esemplare nel letto della tomba n. 2. Quanto alla distribuzione degli ambienti, le nuove tombe hanno confermato la classificazione già fatta (R. Pagenstecher) delle tombe alessandrine nel tipo detto "a oikos" (tomba n. 2) e in quello detto "a peristilio" (n. 4) o in quello a pseudo-peristilio (n. 1). Un tipo nuovo e singolarissimo è stato invece rivelato dalla tomba n. 3, nella quale, mentre ad un'estremità della corte si apriva un ambiente ad esedra con banchi e loculi, all'estremità opposta si elevava una vera frons scaenae con podio, fronte architettonica d'ordine dorico con tre porte reali al centro e due false porte laterali, e due scalette d'accesso; dietro questa fronte architettonica era disposta, in posizione assiale col resto, l'alcova con letto funebre preceduta da un vestibolo al cui centro era collocata l'ara per i sacrifizî. L'ordine architettonico prevalente era il dorico che per la prima volta si è potuto studiare ad Alessandria in tutti i suoi elementi delle colonne e del fregio. Caratteri che si riallacciano ad altre espressioni dell'architettura ellenistica erano le colonne doriche scanalate solo nella parte superiore, la presenza delle colonne d'angolo cosiddette a foglia d'edera e quella di semicolonne addossate a un pilastro e volte con la fronte in un vano di passaggio. In linea generale sono da segnalare alcune particolari tendenze all'illusionismo architettonico che le tombe di Mustafa Pascià hanno svelato come caratteristiche dell'architettura alessandrina: la ricordata frons scaenae, le false porte, il falso peristilio, passaggi di porte a linee sensibilmente divergenti, deformazioni lineari per ottenere effetti di profondità nella inquadratura architettonica di una porta di loculo, ecc.

Le tombe di Mustafa Pascià hanno segnato un deciso passo avanti nelle nostre conoscenze anche per la pittura figurata e la decorazione parietale. Un fregio ancora abbastanza ben conservato, dipinto con cavalieri e donne sacrificanti sopra una delle porte del peristilio della tomba n. 1 ha, per le proporzioni e le singolarità stilistiche e tecniche, un' importanza documentaria notevolmente superiore a quella delle già note stele dipinte delle necropoli alessandrine. Quanto alla decorazione parietale, le nuove tombe hanno presentato l'insieme alessandrino più ricco e omogeneo di quel sistema di decorazione "a zone" che sembra ormai accertato abbia preceduto nel mondo antico il cosiddetto primo stile pompeiano.

Gli studî compiuti su questo tipo di tombe hanno permesso di concludere che si tratti di un'espressione originale dell'architettura alessandrina che unisce il tipo di tomba sotterranea a quello dello heroon: installazioni per il culto (pozzi, bacini, altari, trapeze, banchi per le preghiere), grandi cortili scoperti, forse adattati a giardino, mostrano infatti che queste tombe non erano solo destinate al seppellimento, ma erano lasciate accessibili alla pietà dei superstiti. Esse, dunque, appaiono fondamentalmente diverse dalle tombe a tumulo del tipo macedone, del quale ereditano solo l'uso costante del letto funebre, ma questo collocano in un'alcova, trasferendo nella casa del morto, insieme con la pianta generale dei due tipi di abitazione ellenistica "a oikos" e "a peristilio", che dobbiamo presumere diffusi anche in Alessandria, il thalamos stesso della casa dei vivi.

Il tipo della tomba macedone a tumulo è stato invece ipoteticamente riconosciuto in un altro importante monumento (già scoperto nel 1907, ma di cui si son curate la ricostruzione e la pubblicazione nel 1938-39), anch'esso di età ellenistica (II sec. a. C.), e che ci ha avvicinato forse maggiormente a quello che doveva essere lo splendore dell'architettura della necropoli reale. Si tratta di una camera rettangolare in enormi blocchi di alabastro situata in località Sciatbi, immediatamente ad est di Alessandria; altri ambienti scomparsi dovevano congiungersi in posizione assiale a quello pervenutoci. Probabilmente un tumulo doveva sovrastare a quest'insieme di camere sotterranee.

Altri scavi e scoperte minori sono stati fatti nell'ambito della necropoli e nell'area della città antica. Una delle più importanti imprese di questi anni è stata l'esplorazione affrontata e condotta da A. Rowe a partire dal 1942, della collina del Serapeum; dalle notizie apparse finora si può stabilire che non solo è stato riconosciuto e messo allo scoperto tutto il perimetro del tempio di Serapide, ma si sono ritrovati i pozzetti di fondazione che ci hanno restituito iscrizioni testimonianti che il tempio era stato dedicato da Tolomeo III (247-221 a. C.). Sempre nell'ambito del Serapeo, sembra siano stati identificati anche un tempio dedicato ad Arpocrate da Tolomeo IV (placchette rituali di fondazione) e un nuovo tempio romano.

Una singolare testimonianza del sincretismo religioso ed artistico dell'Alessandria di età romana (fine del sec. II) è stata data dalla scoperta di un piccolo tempietto tetrastilo ionico su podio, apparso nel 1936 a Ras el Soda fra Alessandria e Abū Qīr (ant. Canopo). Si tratta di un tempietto quasi certamente privato, elevato (a Iside?) da un certo Isidoro in segno di ringraziamento per ricevuta guarigione da ferite che aveva riportato cadendo dal suo carro. Su un banco della parete di fondo del tempietto erano allineate in perfetto stato di conservazione le statue marmoree di Iside, Arpocrate e Ermanubi e due immagini di Osiride-Canopo pure in marmo.

Studî e ricerche. - Alla deficienza dei trovamenti di opere d'arte figurata ha supplito il contributo notevolissimo che pubblicazioni di monumenti inediti, talvolta di primissimo ordine, e studî e ricerche particolari hanno arrecato alla migliore conoscenza dell'arte alessandrina.

Fra le pubblicazioni d'insieme sono da segnalare: il quadro che di tutta l'arte dell'Egitto tolemaico ha tracciato I. Noshy; la pubblicazione del primo fascicolo del grande dizionario geografico e topografico dell'Egitto antico di A. Calderini in gran parte dedicato alla voce Alessandria; lo studio stilistico che, nel campo della produzione delle statuine di terracotta dette di Tanagra, G. Kleiner ha riserbato alle fabbriche alessandrine; i nuovi cataloghi di terrecotte di E. Breccia e di P. Graindor; lo studio di quest'ultimo sul ritratto nell'Egitto romano, e infine la importante e larga inchiesta condotta da F. Poulsen sul problema centrale se sia o non esistita un'arte alessandrina, una produzione d'arte, cioè, dell'antica Alessandria con caratteri suoi proprî: a tale quesito, contro precedenti negazioni, il Poulsen ha creduto di poter rispondere affermativamente.

Fra i numerosî studi particolari sono da ricordare quelli di Ch. Picard, nei quali la dibattuta questione dell'origine del rilievo pittorico ha trovato, dopo G. Méautis, un nuovo assertore in favore dell'origine alessandrina già sostenuta da T. Schreiber e da altri, mentre il problema di influssi alessandrini su talune espressioni della pittura di età romana ha trovato nei giudizî di G. Bendinelli, di G.E. Rizzo, di A. Maiuri e di O. Elia nuove affermazioni in favore di Alessandria in studî particolari o in occasione della edizione di monumenti che risollevavano quel problema (monocromo giallo della casa di Livia sul Palatino, fregio nilotico della casa di P. Cornelio Tegete a Pompei, dipinti del tempio d'Iside a Pompei e del colombario di Villa Pamphili a Roma). Sempre nel campo della pittura, lo studio di alcuni monumenti alessandrini (stele di Helixo, porte di loculo di Hadra e di Sciatbi, camera della tomba di Sīdī Gaber) ha permesso di dimostrare l'esistenza nella pittura decorativa alessandrina di esempî in cui è già chiaramente adottato il principio della parete dipinta immaginata come aperta su spazî retrostanti, che è alla base dei motivi del cosiddetto secondo stile pompeiano.

In quanto alla scultura, oltre agli apporti del Poulsen nello studio citato, vanno ricordati quelli di A. Adriane con la pubblicazione e l'identificazione di ritratti di Arsinoe II, di Tolonieo IV, di Arsinoe III, di Tolomeo V, uno studio su Briasside che tende a togliere al noto artista di questo nome la paternità del Serapide alessandrino, uno studio sul Gallo di el-Gīzah che è nuovamente attribuito, in base a dati di provenienza e stilistici, all'arte alessandrina, nonché l'edizione di un complesso di sculture trovate ad Alessandria intorno al 1905, che comprende, fra l'altro, un superbo frammento di statua seduta panneggiata e un grandioso torso femminile, e costituisce il più insigne documento di scultura monumentale finora trovato in Alessandria; nonché uno studio su un folto gruppo di sculture alessandrine occasionato dalla pubblicazione di una grande testa femminile (III-II sec. a. C.) del Museo di Alessandria.

Anche per lo studio della toreutica alessandrina vanno ricordati parecchi nuovi monumenti, e cioè: un bicchiere d'argento dorato su cui si stende una finissima decorazione a rilievo con scene di amorini vendemmiatori fra un ricco viluppo di tralci (I sec. d. C., Museo di Alessandria); un modello in gesso di un grandioso emblema d'argento o d'oro coi ritratti di profilo di Tolomeo I e di Berenice (III sec. a. C., Museo di Alessandria); altri modelli in gesso dall'Egitto, fatti conoscere da A. Ippel con rappresentazione delle imprese di Ercole derivanti forse da originali in rilievo del III sec. a. C. in cui si sarebbero trovati già elementi paesistici. La documentazione monumentale che è andata accumulandosi, mostra sempre più chiaramente, nel suo insieme, come sia fallace il parere di quegli studiosi che avevano attribuito alla civiltà artistica alessandrina un carattere non greco.

Bibl.: G. Méautis, Bronzes antiques du canton de Neuchâtel, Neuchâtel 1928; E. Breccia, Terrecotte figurate greche e greco-egizie del Museo di Alessandria, 2 voll., Bergamo 1930 e 1934; G. Bendinelli, Eléments alexandrins dans la peinture romaine de l'époque de l'empire, in Bull. soc. arch. Alex., 1931, p. 227 segg.; E. Breccia, Le Musée gréco-romain, 1925-31, Bergamo 1932; id., Le Musée gréco-romain 1931-32, Bergamo 1933; Ch. Picard, Observations sur la date et l'origine des reliefs dits de la "Visite chez Icarios", in Am. Journ. of arch., 1934, p. 137 segg., id., Observations sur l'origine et l'influence des reliefs pittoresques dits alexandrins; in Mélanges Maspero, II, p. 313 segg., Il Cairo 1934; A. Adriani, Annuario del Museo greco-romano di Alessandria, 1932-33, Alessandria 1934; A. Calderini, Dizionario dei nomi geografici e topografici dell'Egitto ellenistico, Il Cairo 1935; G.E. Rizzo, Le pitture dell'aula isiaca di Caligola, in Monum. pitt. antica, Roma II, Roma 1936; id., Le pitture della casa di Livia, in Monum. pitt. antica, Roma III, Roma 1936; A. Adriani, La Nécropole de Mustapha Pacha, in Ann. d. Musée gréco-romain, 1933-35, Alessandria 1936; Ibr. Noshy, The arts in ptol. Egypt, Oxford 1937; P. Graindor, Bustes et statues-portraits de l'Égypte romaine, Il Cairo, s.d. (1937); A. Ippel, Guss-und Treibarbeit in Silbert, Berlino 1937; A. Adriani, Contributi all'iconografia dei Tolomei, in Bull. soc. arch. Alex., 1938, p. 77 segg.; id., Osservazioni sulla stele di Helixo e sui precedenti alessandrini del II stile pompeiano, in Bull. soc. arch. Alex., 1938, p. 113 segg.; A. Maiuri, Le pitture delle Case di Fabius Amandius, ecc. in Monum. pitt. Antica, Pompei II, Roma 1938; P. Graindor, Terrescuites de l'Égypte gréco-romaine, Anversa 1939; A. Adriani, Le Gobelet en argent des amours vendangeurs, etc., Alessandria 1939; id., in Ann. du Musée gréco-romain 1935-39, Alessandria 1940 (tomba in alabastro, tempietto di Ras el Soda, scavi nelle zone dei quartieri reali e del "sema"); G. Bendinelli, Le Pitture del colombario di Villa Pamphili, in Monum. pitt. antica, Roma V Roma 1941; O. Elia, Le pitture del tempio d'Iside in Monum. pitt. antica, Pompei III-IV, Roma 1941; G. Kleiner, Tanagrafiguren, in Jahrb. d. deutsch. arch. Inst., 15 Ergänz. Hefte, Berlino 1942; A. Adriani, Sculture monumentali del Museo greco-romano di Alessandria, Roma 1946; id., Alla ricerca di Briasside, in Mem. acc. d. Lincei, Roma 1947; id., Il Gallo di Ghizeh, in Le tre Venezie, 1947, p. 334 segg.; id., Nuovi ritratti di Arsinoe III, in Arti figurative, 1947; id., Testimonianze e momenti di scultura alessandrina, Roma 1948; per gli scavi di A. Rowe, vedi American Journal of Archaeology, 1944, p. 86, e nella Revue Archéologique, 1947, p. 17 segg.

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