CARRARESI, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARRARESI, Alessandro

Piero Treves

Nacque in Firenze, di modestissima estrazione, da Andrea ed Anna Landi il 28 sett. 1819. Forse per voto espiatorio d'averlo concepito avanti "la scritta matrimoniale" (che è dell'11 marzo) o, più probabilmente, per consentirgli un'almeno rudimentale educazione e la possibilità d'un avanzamento sociale, fu avviato allo stato ecclesiastico. Tuttavia, pur restando sempre formalmente ossequentissimo ai dettami e alle pratiche della Chiesa, il C. non era punto incline alla vocazione, e ciò soprattutto per certo suo impulso alla sensualità e alle avventure, di cui fu sempre assai più consapevole che pentito. Innamoratosi di Paola (o Paolina) Maestrini, e risoluto a sposarla, nonostante l'avversione familiare e le difficoltà del suo stato, riuscì a deporre l'abito il 6 sett. 1838, e a contrarre matrimonio il 4 febbr. 1844.

La protezione d'alcune famiglie nobili fiorentine gli permise di provvedere alquanto embrionalmente agli studi, ed è probabile che gli valesse presso il Capponi, dal quale, ormai quasi cieco (e destinato a divenirlo totalmente fra il '43 e il '44), fu assunto come segretario, amanuense e uomo di fiducia il 1ºdic. 1840. Restò al servizio di questo, nel palazzo di via S. Sebastiano, dove trascorreva tutte le sue giornate, fino alla morte (3 febbr. 1876) di colui che, nella epistola dedicatoria dell'Epistolario al barone A. von Reumont e a M. Tabarrini, chiamò, con verità e con affetto, "buono e caro signore".

Quali incombenze il C. effettivamente avesse in casa Capponi (dove dai congiunti e da molti degli amici di lui fu sempre chiamato, con deferente distacco, "il signor Carraresi") non è documentabile con obiettiva certezza. L'"amabile Segretario" (com'ebbe a chiamarlo, italianamente, Jean-Jacques Ampère: Lettere, III, p. 341; da Versailles, 14 febbraio del 1860) dovette peccar talora d'indiscrezione, se di frequente il Tommasco (quasi unico, però, fra i corrispondenti del Capponi) gli raccomanda il silenzio. Il C. dovette, d'altronde, aiutare il Capponi ben più che nella bisogna materiale del leggergli e dello scrivere, né solo lettere, sotto dettatura, se fu anche archivista, bibliotecario e ricercatore. Il Capponi con generosità provvide a dirozzare e ad educare il C., il quale non altrimenti avrebbe potuto, massime nella Firenze di allora, impadronirsi perfettamente (o quasi) del francese, come attestano le lettere "francesi" del Capponi (quelle, in ispecie, parecchio elaborate, delicate e difficili ad Eugène Rendu) e le sue traduzioni: la Storia della Repubblica fiorentina di H. Allart de Méritens (nel qual lavoro il C. subentrò all'Orlandini, benché la versione, riveduta e rimpolpata dal Capponi, restasse poi inedita, in quanto questi finì col sostituirsi all'amica scrittrice, dettando in proprio l'ultima, e in certo senso unica, opera sua), due volumi di Federigo A. Ozanam (Il paganesimo ed il cristianesimo nel quinto secolo, Firenze 1857, e I Germani, Firenze 1863; vedi la commossa lettera della vedova dello Ozanam, in Lettere, IV, p.2 n. 1, 17 giugno del 1878), e I monaci d'Occidente (10 volumi, Firenze 1864-71) del conte di Montalembert. è molto probabile che il C. non sapesse di greco, come par doversi evincere da certa spiritosa e cordiale battuta del Tommaseo (il quale, in effetti, accompagnò, scusandosene, ad un'elementare citazione omerica la scolastica traduzione: Carteggio, II, p. 618). Ed è anche possibile che l'italiano del C. fosse più assai "parlato" che "scritto", e abbisognasse pertanto della revisione cui si sarebbe costantemente sobbarcato A. Gotti.

Se il Capponi però poté vivere, leggere, carteggiare, scrivere, indulgere a ricerche erudite, massime nelle Lettere sulla dominazione dei Longobardi e nella Storia della Repubblica di Firenze, il merito ne spetta per la più gran parte al C.: come il Capponi medesimo non esitò ad attestargli pubblicamente nell'avvertenza proemiale alla Storia: "non avrei potuto in modo nessuno venire a capo di questo Libro se allo scriverlo non avessi avuto l'opera continua e amorevole del Carraresi che potrà sempre dire pensando a me, oculus fuicaeco". Di qui, forse, una certa ingenuità del C. nel ricordare, ad esempio, le sue fatiche di ricercatore degli opportuni vocabolari italiani e francesi per tutta Firenze, a rifornirne il Capponi durante la visita del Manzoni a Varramista l'estate del 1856 e a dar un fondamento erudito e di fatto alle dispute linguistiche dei due amici; nonché nell'uso della prima persona plurale quando ricorda la dispersa e molteplice attività letteraria del marchese. Era, tuttavia, il C. meno sprovveduto e ignorante che per solito non si creda, se il Capponi si compiacque di elogiare, soprattutto in lettere al Lambruschini, la sua perizia nel rievocare o nel reperire canti popolari toscani, filastrocche contadine, soprattutto proverbi. Il C. ebbe, infatti, gran parte nella rielaborazione, nell'arricchimento e nell'ampliamento del materiale lasciato postumo e incondito dal Giusti. In una lettera al C., dettata il 20 luglio 1853 a L. Galeotti, il Capponi gli rammenta che la Raccolta di proverbi toscani "dovette con molta fatica essere messa insieme da Lei, cercando le molte carte, tra le quali era dispersa, e facendone le copie ecc. Intorno a che Ella ebbe da lavorare circa un anno. E sa poi come pel corso di un altro anno siasi lavorato insieme, e molto anche da Lei solo, all'oggetto di ridurre la detta Raccolta al punto dove è, e di renderla capace di essere presentata alla stampa": onde il Capponi trasferiva in perpetuo al C. i propri diritti d'autore stipulati col Le Monnier (e altrettanto ribadiva in una sua del 3 ott. 1853 a Domenico Giusti, padre del poeta, "perch'egli, il C., fosse ricompensato in qualche modo della fatica che… ha prestata per quasi due anni": Lettere, III, pp. 94-95, 99-100). Né il C. doveva, d'altronde, essere così povero o così incolto da non possedere i mezzi e l'animo per formarsi una rispettabile raccolta di libri, se il giugno del 1845 offriva al Tommaseo (che declinò amichevolmente il dono "prezioso") "un Terenzio d'antica edizione" per la costituenda biblioteca di Sebenico (Carteggio, II, pp. 279, 281-282).

È tuttavia notabile, ed è la massima riprova delle limitate capacità intellettuali del C., che questi poco o punto profittasse dell'atmosfera spirituale di casa Capponi, dei vantaggi culturali e morali che dovevano provenirgli dal quotidiano commercio con questo, i suoi corrispondenti e i suoi amici. Tra i quali i più vicini al C., almeno a giudicarne dalle Lettere da lui edite, sembrano essere stati gli ecclesiastici meridionali (A. Capecelatro, Ludovico da Casoria, ecc.), oltre al Reumont che del C. soleva servirsi per commissioni a Firenze e in Italia. Dinanzi al Tommaseo mostrò sempre una sorta di rispettoso distacco, pur grato al dalmata di vedersi trattato da pari a pari (ad esempio, il dono del Tommasco al C. e a sua moglie del libretto delle sue private preghiere); mentre nella stessa Firenze i suoi contatti più diretti, e qui pure non senza un giustificatissimo timor reverentialis, furono con due tardi e sostanzialmente minori neoguelfi, C. Guasti ed A. Conti.

In questa sua innegabile sordità e solitudine, pur frammezzo agli eventi del Risorgimento italiano, veduto però dall'unico osservatorio del palazzo Capponi, avranno probabilmente avuto la negativa parte loro le cure domestiche del C., cui Paolina diede sei figli (soccombendo con la creatura all'ultimo parto, l'8 luglio 1857), fra i quali Ortensia e Roberto, così battezzati per omaggio alla premorta figliuola e al padre del Capponi, che di Roberto fu padrino, pur dispiacendosi poi di vederlo educato in una scuola di gesuiti romani. Risposatosi a novembre del 1862 con altra modestissima ragazza di campagna, il C. ne ebbe altri figli; e soltanto la generosità, anche testamentaria, del Capponi lo sottrasse alle strette della povertà.

Il Capponi aveva, infatti, disposto che al C. fosse affidato l'ordinamento (e l'eventuale stampa) delle sue carte, in ispecie le lettere (sue, e a lui): le quali, non senza il consiglio del Tabarrini e l'incoraggiamento del Guasti, il C. pubblicò in sei volumi per i tipi del Le Monnier (Firenze, 1882-1890).

Sono tuttavia inediti, invece, nella Biblioteca nazionale di Firenze (benché non isfuggissero a I. Del Longo e a P. Prunas per l'edizione del carteggio Tommaseo-Capponi) certi Appunti a guisa di commentarii sulla vita di Gino Capponi, messi insieme da A. C., redatti straccamente negli ultimi anni della sua vita sul materiale già usato per l'ugualmente inedita Autobiografia di A. C., "che arriva fino alla vigilia della morte del marchese Gino Capponi", distesa in vari momenti della sua vita (essenzialmente nel 1859 la parte sino al febbraio 1844; nel 1874 la parte relativa agli anni 1844-1857; nel 1897 la parte relativa agli anni 1857-1876). Dagli estratti dell'Autobiografia pubblicati da G. Macchia si deriva l'impressione d'un apolitico, ancor più che d'un codino e d'un granduchista, sebbene il C. non taccia la propria animosità per i democratici anticapponiani del Triumvirato (Guerrazzi, Montanelli, Mazzoni) né per "il Garibaldi", che non si curò di vedere al suo passaggio da Firenze nel 1849, "non mi destando punta simpatia né il suo nome né la sua fama" (p. 314). Ma è significativo che soccombesse anch'egli, quasi suo malgrado, al fascino del Mazzini, la cui "fisonomia mi era piuttosto simpatica, avendo uno sguardo così acuto e penetrante, che ora capisco come potesse egli esercitare sulle masse un ascendente tale da affascinare le menti dei giovani più impetuosi" (p. 314). Ed è parimenti significativo che, nostalgico della "Toscanina" e in lagrime per l'"invasione" piemontese degli Stati pontifici a settembre del 1860, esponesse, tuttavia, "per rispetto umano" (salvo a pentirsene) il tricolore "e pochi lumi il giorno che fece l'ingresso solenne in Firenze Vittorio Emanuele; … spettacolo, che non può negarsi, non fosse splendido e grandioso".

Socio corrispondente della Deputazione toscana di storia patria dal 1892, il C. si spense in Firenze dopo lunga infermità il 20 genn. 1902.

Fonti e Bibl.: Oltre agli accenni nelle biografie e nelle lettere del Capponi (per cui si rimanda alla voce Capponi, Gino in questo Dizionario), si vedano: i proemi del C. al primo e al quinto volume delle Lettere di G. Capponi e di altri a lui, a cura di A. Carraresi (Firenze 1882-1890); il Carteggio inedito Tommaseo-Capponi (Bologna 1911-1932, quattro volumi in cinque tomi), ad nomen;G. Macchia, nel saggio bibliografico premesso alla sua edizione degli Scritti ined. di G. Capponi (Firenze 1957); e specialmente l'articolo (però troppo severo) del medesimo G. Macchia, Il segretario di G. Capponi: A. C. (1819-1902), in Nuova Riv. stor., XL(1956), pp. 298 ss. (cui seguono, pp. 308-315, Alcuni brani tratti dall'"Autobiografia"), nonché il cenno necrologico di A. D.[el] V.[ecchio], in Arch. stor. ital., s. 5, XXVIII (1901), p. 446.

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