Alessandro di Afrodisiade

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Filosofo greco (2°-3° sec. d.C.). Rielaborò la dottrina aristotelica dell'intelletto, delineando l'esistenza di un intelletto "agente" da identificare con la causa prima, e quindi con la divinità.

Vita e opere

Appartenente alla scuola peripatetica, professò la dottrina aristotelica ad Atene fra il 198 e il 211 d. C. I suoi scritti originali a noi pervenuti sono Sul fato (in cui è difeso il principio aristotelico della libertà del volere contro il determinismo stoico), Sulla mescolanza (in cui è combattuta la concezione stoica della compenetrazione reciproca dei corpi), Sull'anima (in cui è esposta sinteticamente la sua interpretazione della psicologia aristotelica), e una raccolta di brevi scritti e frammenti nota con il titolo di Questioni naturali. Ma è soprattutto famoso come il maggiore dei commentatori di Aristotele (ci rimangono i commentarî al I libro degli Analitici primi, ai Topici, alla Meteorologia, al De sensu, ai libri I-V della Metafisica). Benché non si proponga altro compito che quello di chiarire Aristotele e di confermarne le dottrine di fronte alle altre scuole (in primo luogo la stoica), Alessandro ha, in più di un punto, posto dei problemi di grande importanza storica. Così, modificando la dottrina del maestro, egli ritenne che l'individuale è "primo" non solo per noi, cioè dal punto di vista della nostra progressiva conoscenza della realtà, ma anche per natura, cioè ontologicamente. Discendeva da ciò una concezione dell'universale come tale che esiste solo nel nostro pensiero e non nella realtà e quindi un'accentuata prospettiva naturalistica. Ancora più importante è la rielaborazione della dottrina aristotelica dell'intelletto svolta nel De anima: Alessandro distingue un intelletto "fisico" o "materiale" (nel senso che, come la materia, è mera potenzialità), e un intelletto "acquisito", capace di pensare e cioè di essere attualmente quel che l'intelletto materiale è solo potenzialmente. Il passaggio dalla potenza all'atto è opera dell'intelletto "agente", che non è una facoltà dell'anima umana, ma è unico e totalmente "separato" e s'identifica con la causa prima, cioè con la divinità. Solo l'intelletto agente è immortale, mentre quello materiale, come tutta l'anima umana, è destinato a perire col corpo. Questa interpretazione ha avuto grande fortuna nel Rinascimento, dopo la traduzione del suo trattatello De anima (1495), soprattutto con Pomponazzi.

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