SERMONETA, Alessandro e Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SERMONETA, Alessandro e Giovanni

Paolo Rosso

– Giovanni Sermoneta di magister Pietro, forse un medico, nacque a Siena nei primi anni Novanta del Trecento.

Una parte della sua formazione universitaria ebbe certamente luogo nello Studio di Padova, in cui è documentato come dottore in arti e studente in medicina tra il gennaio 1411 e il giugno 1412. Tornato a Siena dopo il conseguimento del titolo dottorale, dal 1416 ebbe la lettura di medicina nel locale Studio; nel 1425, quando era retribuito con un salario di 265 fiorini, gli venne offerto un contratto di insegnamento di quattro anni. La condotta fu rinnovata per ulteriori due anni, ma lasciò l’Università di Siena per quella di Bologna, forse dopo un breve soggiorno a Milano. Nello Studio emiliano insegnava certamente nel 1430, come provano le sue Quaestiones sugli Aforismi di Ippocrate e sulla Tegni di Galeno, composte in quell’anno a Bologna.

I testi ebbero una discreta diffusione (due copie delle Quaestiones sull’opera di Ippocrate furono possedute, a esempio, da Filippo di Cenni di Aiuto, lettore nello Studio di Firenze dal 1469) e vennero stampati a Milano, nel 1487, e a Venezia, nel 1498 (Quaestiones super Aphorismos Hippocratis et super libros Tegni Galeni, I.G.I., Indice Generale degli Incunaboli, nn. 8938 s.). Negli anni di insegnamento bolognese stese probabilmente anche il breve scritto di argomento dietetico Universales canones curativi e la Quaestio de divisione signorum corporum et causarum, conservati nel codice Parigi, Bibliothèque nationale, Nouv. Acq. Lat., 481 (cc. 25v-26v, 60r-61v).

Nel rotolo degli insegnamenti dell’Università di Bologna per l’anno 1431-32 venne registrato alla lettura di medicina in nonis; nel settembre del 1432 si trasferì nello Studio di Firenze. Qui, con uno stipendio di 300 fiorini, tenne la cattedra di medicina fino al dicembre del 1437, quando, cedendo alle ripetute offerte di una lettura indirizzategli dall’Università di Siena, venne assunto in quest’ultimo Studio per il resto dell’anno accademico e per quello successivo, con il medesimo salario.

Mise le sue competenze professionali anche al servizio della politica cittadina: tra il febbraio 1431, probabilmente durante un temporaneo rientro nella città natale, e il 1442 il Comune di Siena lo autorizzò in diverse occasioni ad assentarsi per prestare assistenza medica a Donella, esponente della potente famiglia genovese dei conti Fieschi di Lavagna e moglie del signore di Piombino Iacopo II Appiani, nonché alla madre di quest’ultimo, Paola Colonna; nel 1438, a spese del Comune, venne inviato a curare il conte Federico da Montefeltro. Prestò inoltre servizio nell’ospedale cittadino di S. Maria della Scala, seguendo l’esempio di numerosi professori di medicina dello Studio.

L’ultima attestazione del suo insegnamento risale al 1444. Era ancora vivo nei primi mesi del 1450, se in lui dobbiamo riconoscere l’autore dell’epitaffio per l’umanista Giovanni Lamola, morto in quel torno di mesi e forse conosciuto da Sermoneta durante i comuni soggiorni a Bologna e a Firenze. I versi sono conservati nel codice Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 1619, copiato dal professore di medicina e umanista bolognese Giovanni Garzoni.

Grazie alla docenza e all’attività professionale Sermoneta acquisì una posizione di rilievo in Siena, di cui si giovò il figlio Alessandro, che lo seguì negli studi medici. Nato a Siena negli ultimi mesi del 1424, questi studiò presso l’Università locale, dove, nell’anno 1450-51, gli venne assegnata la lettura ordinaria di logica e quella straordinaria di filosofia, con lo stipendio di 30 fiorini; nel 1456 passò alla lettura di medicina, con una condotta di due anni e un salario di 80 fiorini. Tenne l’ordinaria di medicina de mane fino al 1470, con un progressivo incremento di stipendio, che arrivò a 140 fiorini. Non mancarono in questi anni contatti con la prestigiosa facoltà di arti e medicina dell’Università di Padova, in cui, nel giugno del 1456, presenziò come teste all’esame di dottorato in medicina di Francesco da Firenze.

Il profilo intellettuale di Sermoneta è in parte ricostruibile attraverso la sua consistente biblioteca raccolta negli anni di insegnamento in Siena, per la quale impiegò come scribi alcuni suoi studenti, che realizzarono le copie nella stessa abitazione del docente. Sono stati identificati quattordici manoscritti e un incunabolo appartenuti con sicurezza a Sermoneta. I tre codici ora conservati nella biblioteca del convento dell’Osservanza di Siena furono copiati dagli studenti Corrado Alamanno – che nel 1463 trascrisse i Metaphysicorum libri XIII (cod. 1) e il De animalibus (cod. 3) di Alberto Magno – e Cornelio da Bruges, il quale copiò nel 1466 la Lectura super primo Sententiarum di Alfonso Vargas (cod. 6). Anche alcuni dei restanti undici manoscritti, tutti presso la Biblioteca comunale degli Intronati di Siena, vennero realizzati da studenti-copisti: Alamanno, tra il 1462 e il 1463, trascrisse una miscellanea di opere, tra cui l’Hexaemeron di Egidio Romano, i De mineralibus et lapidibus libri V di Alberto Magno e altri testi (cod. L.III.11); Giovanni da Guérande nel 1467 copiò il Sermo IV di Niccolò Falcucci (cod. L.VII.4); il piccardo Giovanni Monaci nel 1469 trascrisse le Quaestiones in libros De anima di Apollinare Offredi (cod. L.IX.31); nel 1469 Daniele Allecis da Lilla, della natio piccarda, copiò il Commentarius in Nonum Almansoris e il Tractatus de fluxu ventris di Giovanni Arcolano (cod. L.VII.9) e, l’anno seguente, l’Expositio in Aphorismos Hippocratis di Giacomo della Torre (cod. L.VII.1) e il Sermo V di Niccolò Falcucci (cod. L.VII.3). Nel 1446 Sermoneta si fece trascrivere in Siena l’Expositio super libros Analiticorum Posteriorum di Paolo Veneto e il Tractatus de formis di Hervé de Nédellec (cod. L.IV.34). I rimanenti codici del professore senese hanno segnatura L.IV.32 (Paolo Veneto, Commentarius de anima), L.IV.33 (Hervé de Nédellec, Quodlibeta), L.VII.5 (Guglielmo da Varignana, Practica), L.VII.18 (Manfredo di Monte Imperiale, De simplicibus medicinis; Albedatus, Geomantica; Alberto Magno, Libri de vegetabilibus et plantis). Sermoneta possedette inoltre l’edizione incunabola del Liber Pandectarum medicinae di Matteo Silvatico, stampata nel 1474 (I.G.I., n. 8980). Meno certa è l’attribuzione alla sua biblioteca della miscellanea di argomento filosofico Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Ottob. lat. 381, forse trascritta dallo stesso professore durante la prima fase della sua docenza a Siena. A questo gruppo di manoscritti, legati alla formazione filosofica e fisico-naturalistica di Sermoneta, si deve aggiungere il cod. 29 della Biblioteca del Seminario vescovile di Padova, databile con ogni probabilità al terzo quarto del Quattrocento, che rivela l’apertura dei suoi interessi anche all’ambito letterario. La vivace decorazione e la scrittura del codice – testimone del volgarizzamento delle Heroides ovidiane e dell’apocrifa De pulice, oltre che del poemetto geografico La sfera del fiorentino Goro Dati – riconducono all’ambiente toscano.

I contrasti sorti alla fine degli anni Sessanta con il Concistoro della Repubblica senese, restio a concedergli aumenti salariali, causarono una interruzione di due anni della sua attività didattica, costringendolo a esercitare esclusivamente la pratica medica. Intorno al 1470 si spostò a insegnare a Perugia, dove, nel luglio del 1473, lo studente in arti Pietro di Giovanni Battista Leopardi copiò il suo commento alle Consequentiae di Ralph Strode nel codice Firenze, Biblioteca Riccardiana, 790 (Leopardi si laureò poi in arti a Pisa nel maggio 1475, presentato all’esame proprio da Sermoneta).

Dopo un breve rientro in Siena, negli ultimi mesi del 1473 si trasferì, con lo stipendio di 600 fiorini, alla cattedra di medicina teorica del rifondato Studio mediceo di Pisa, chiamatovi insieme con i più famosi docenti in attività nella penisola. L’ormai vasta notorietà raggiunta traspare dalla documentazione senese, nella quale, insieme con il giurista Bartolomeo Sozzini, venne considerato tra «li fondatori dello Studio di Pisa» (Denley, 2006, p. 181); la sua condotta pisana fu inoltre giudicata come un danno per la facoltà di arti e medicina dell’Università di Siena, che avrebbe così perso molti studenti. Tenne la lettura di medicina teorica ordinaria in concorrenza con Giovanni dell’Aquila, sebbene gli scholares, attraverso il loro rettore, avessero chiesto agli Ufficiali dello Studio nel 1474 di disporre le letture dei due famosi docenti in orari differenti, per consentire la frequenza alle lezioni di entrambi. Il gradimento del suo insegnamento presso gli scholares in Pisa è testimoniato anche dalla stessa rimeria studentesca, come quella di Giubileo Nerucci da San Gimignano, che si cimentò in una versificazione apologetica della dottrina del suo maestro Sermoneta, espressa nel corso di una disputa serale. Insieme con alcuni suoi studenti venne chiamato a Pistoia, nel 1477, per un consulto lautamente retribuito.

Con Giovanni dell’Aquila curò, per i tipi di Bono Gallo, l’edizione della Practica di Michele Savonarola, stampata a Colle di Val d’Elsa nell’agosto del 1479 (Practica medicinae, sive De aegritudinibus, I.G.I., n. 8811).

Quello fu l’ultimo anno in cui professò medicina teorica nello Studio pisano: nel marzo venne contattato dall’ambasciatore veneziano a Firenze per un incarico di due anni alla lettura ordinaria di medicina teorica a Padova con lo stipendio di 550 fiorini, che salirono a 600 l’anno successivo. Le autorità senesi lo autorizzarono a non rientrare a Siena per il biennio, a condizione che depositasse, a titolo di prestito forzoso, la somma di 800 fiorini in una banca cittadina. A Padova venne iscritto al collegio dei filosofi e medici e svolse l’incarico di informatore della Repubblica senese, comunicando al Concistoro notizie relative a eventi politici e militari. La considerazione in cui era tenuto il suo insegnamento nello Studio di Padova si evidenziò, nel 1480, con il privilegio di non essere soggetto alla ballottazione di conferma da parte degli scholares, rilasciato dal Dominio ai soli docenti di riconosciuta fama e che incontravano il favore degli studenti. Sempre nel 1480 fu tra i promotori del dottorato in medicina del matematico e astrologo fiammingo Paolo da Middelburg e, negli anni seguenti, venne scelto come promotore da altri importanti studenti, tra cui, nel febbraio 1483, il futuro professore padovano Pietro Trapolin.

Nell’agosto del 1480 la Balia di Siena gli ingiunse di tornare a leggere nella città toscana a partire dall’anno successivo, con la minaccia di una multa di mille fiorini; Sermoneta riuscì tuttavia a ottenere l’autorizzazione, nel luglio del 1481, a insegnare per due anni in qualsiasi Studio, a eccezione di quello di Firenze. Restò a Padova, soggiornandovi un anno in più, con il permesso della Balia, che tuttavia gli impose, sotto la pena della confisca dei beni in caso di rifiuto, di leggere nello Studio di Siena per cinque anni, con lo stipendio di 400 fiorini. Nel luglio del 1484 Sermoneta chiese un innalzamento del salario proposto ad almeno 500 fiorini e, contestualmente, diede mandato ai cittadini fiorentini Guido Guiducci e Bartolomeo di Antonio di procurargli un incarico alla cattedra di medicina ordinaria nell’Università di Pisa per la durata di non meno di due anni e con lo stipendio annuo di 770 fiorini. Fu tuttavia costretto ad accettare l’offerta della sua città natale, che intanto aveva elevato lo stipendio offertogli a 500 fiorini; lo Studio di Padova lo sostituì con il senese Francesco Benzi, in quel tempo docente a Ferrara. Dal novembre del 1484 al marzo del 1486 Sermoneta partecipò come promotore e dottore collegiato a diversi esami di laurea in arti e medicina nell’Università di Siena.

La produzione scientifica di Sermoneta sinora identificata non è rilevante. La sua carriera, secondo una pratica comune nei curricula dei professori di medicina del tempo, prese avvio con letture di filosofia e di logica: in questo ambito mostrò interesse per la tradizione di ricerca di impronta logico-matematica, che andò sotto il nome di calculationes, elaborata da filosofi di area inglese, i quali affrontarono le tesi aristoteliche sul mutamento con il ricorso a strumenti di analisi algebrica e semantica. Tra le opere di questi pensatori commentò quelle di William Heytesbury (Expositio in Tractatum de sensu composito et diviso Hentisberi, pubblicata a Venezia nel 1501, Hain, n. 8438) e di Ralph Strode (Conclusiones super Consequentias Strodi, testo stampato per la prima volta a Padova nel 1477, I.G.I., n. 8934). Scrisse inoltre, tra il 1456 e il 1473, diverse Quaestiones di argomento logico-filosofico e medico, e, nel 1480, un Consilium ne mulier abortiat. Nel maggio dello stesso anno nell’abitazione padovana di Sermoneta venne copiato, probabilmente da uno studente, il De modo observando in consultis, un trattato sulle modalità da seguire nell’elaborazione di un consulto forse da attribuire a Sermoneta; nel 1494 il testo venne trascritto dallo studente Domenico di Cristoforo Orsucci da Camaiore, già studente a Pisa, nel suo codice Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Ottob. lat. 1508.

Sermoneta partecipò anche alla vita politica della sua città natale, sebbene diversi incarichi assegnatigli non poterono essere assunti a causa delle sue frequenti assenze. Nel 1465 fece parte del Concistoro, per il Terzo di San Martino, Monte del Popolo; nel 1477 venne chiamato tra i consiglieri del Capitano del Popolo. Fu nuovamente scelto per il Concistoro nel 1479, ma non poté farne parte perché lontano da Siena, così come accadde nel giugno del 1483, quando venne nominato podestà di Sinalunga; nei mesi precedenti al luglio del 1485 infine, ormai stabilmente rientrato nella città toscana, tenne la podesteria di Torrita.

Dalle sue ultime volontà, fatte stilare a Padova nel dicembre 1482 e rettificate nel marzo 1486 a Siena, veniamo a conoscere il nome della prima moglie, Elisabetta di Bandino Saracini, dalla quale ebbe i figli Giovanni e Antonia; ebbe anche due figli illegittimi, uno di questi di nome Pietro. Nel 1467 sposò in seconde nozze Elisabetta, figlia di Filippo di Meo Buoninsegni, appartenente a una famiglia tra le più influenti del Monte dei riformatori e con radicate tradizioni accademiche. Da lei ebbe tre figli maschi (Raffaello, Filippo Maria, Piergiovanni), e una figlia, Magdalena Antonia: a questa andarono mille fiorini di dote, mentre i tre figli maschi di Elisabetta Buoninsegni furono nominati eredi universali; nel 1489 la madre volle tuttavia aggiungere anche Giovanni nel possesso dei beni paterni, che vennero spartiti in quattro parti uguali, a esclusione dei libri. La stima complessiva dei beni di Sermoneta alla sua morte configura un patrimonio di notevole rilievo, ammontante a quasi 8000 fiorini: vi erano compresi il palazzo di famiglia, del valore di 1600 fiorini, diverse case e botteghe in città, oltre a poderi nel contado (a Sarteanello e a Melanino, nei pressi di Asciano), e capitali di entità non precisata depositati «in sul Monte del Magnifico comune di Siena» (Mecacci, 1985, p. 129). Nel testamento Sermoneta destinò al figlio Raffaello l’intera sua biblioteca, composta da manoscritti – membranacei e cartacei – e incunaboli; tutti i volumi attribuibili con sicurezza al fondo librario del professore passarono successivamente, per ragioni non chiare, al convento dell’Osservanza di Siena, giungendo poi, dopo la soppressione del convento avvenuta nel 1810, alla Biblioteca comunale degli Intronati di Siena.

Nei suoi ultimi anni di vita Sermoneta tenne una docenza piuttosto saltuaria, venendo multato nel 1485 per le sue assenze, imputabili certamente al servizio che prestò alla Repubblica come oratore presso il papa ma anche al suo stato di salute, che iniziò a declinare nel corso del 1486, come emerge dalla sua lettera inviata nel dicembre da Roma, in cui comunicò alla Balia di Siena di essere infermo.

Era già morto il 22 gennaio 1487, quando lo Studio deliberò di acquistare due doppieri per la sua sepoltura.

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