LANARI, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LANARI, Alessandro

Antonio Rostagno

Nacque a San Marcello presso Jesi il 25 genn. 1787. Le prime notizie riguardano il suo matrimonio con il mezzosoprano Clementina Domeniconi, avvenuto intorno al 1810, da cui nacquero i figli Antonio e Amalia.

L'attività di impresario ebbe inizio con l'appalto del teatro del Giglio di Lucca per la stagione di primavera del 1820; la primavera successiva il L. acquisì il Comunale di Bologna e il teatro degli Avvalorati di Livorno, continuando l'appalto lucchese. È noto tuttavia che già in anni precedenti il suo nome circolava nell'ambiente teatrale come rappresentante di cantanti.

Quando il L. iniziò l'attività, l'impresariato teatrale in Italia attraversava una stagione fortunata; emblematico è l'esempio di Domenico Barbaja che in poco più di un decennio accumulò ingentissime ricchezze, creando una rete artistico-commerciale da Napoli a Milano e Vienna. Anche il raggio di azione del L. arrivò ad abbracciare l'intera penisola, sia attraverso l'appalto di molti "primari teatri", sia con la rappresentanza di cantanti, sia infine con il commercio e affitto di partiture, di materiali di scena e di vestiario; tanto forti furono i guadagni che in un'occasione il L. elargì un grosso prestito ai principi Poniatowski. L'elevata posizione sociale così raggiunta gli meritò l'appellativo di "Napoleone degli impresari".

Nell'autunno del 1823 assunse per la prima volta l'appalto del teatro della Pergola di Firenze, poi divenuto il suo principale centro d'azione, che tenne fino alla primavera 1828, prendendo dimora nei locali stessi del teatro. Nel 1825, trasferitasi la moglie a Parma, il L. si legò alla cantante Carlotta Corazza, subito considerata dalla famiglia e dal mondo teatrale quasi una legittima consorte (G. Donizetti, per esempio, la chiamava appunto Carlotta Lanari; Zavadini, p. 432, lettera n. 241 del 24 giugno 1837). Con l'ampliamento del giro d'affari, il L. coinvolse tutta la numerosa famiglia nell'impresa teatrale: il figlio Antonio divenne presto suo fiduciario; il fratello Luigi sostituì spesso il L., impegnato in altri appalti in piazze distanti; la sorella Isabella, moglie del poeta Francesco Guidi, tenne la sartoria teatrale insieme con l'altro fratello Francesco; Nicola Dottori, figlio dell'altra sorella Eleonora, fu infine suo personale segretario.

Nel 1828 il L. firmò un nuovo appalto di sei anni per il Comunale di Bologna (quaresima 1828 - carnevale 1833-34) in società con A. Bandini, impresario del Ducale di Parma; l'appalto fallì dopo un anno e il L. si spostò alla Fenice di Venezia per la stagione di carnevale 1829-30. Contemporaneamente riprendeva l'appalto della Pergola ed estendeva la rete impresariale ai teatri di Ancona (Muse, primavera), Senigallia (Comunale, Fiera), Livorno (Avvalorati, estate) e Lucca (Giglio, autunno).

Il L. era facilitato in quest'operazione dall'avere posto sotto contratto intere compagnie di cantanti celebri che potevano girare in diverse piazze con un costo complessivo inferiore e competitivo: fra essi Rosmunda Pisaroni, Giuditta e Giulia Grisi, Giuditta Pasta, Carolina Ungher, N. Tacchinardi, S. Rubini, A. Nozzari, D. Donzelli, G.L. Duprez, D. Reina, G. Ronconi, N. Moriani, G. David, D. Cosselli, G. Roppa, C. Porto, G. ed Erminia Frezzolini, Giuseppina Strepponi.

In questi anni il L. riservò le maggiori attenzioni alla Fenice veneziana, dove l'11 marzo 1830 andò in scena la prima assoluta de ICapuleti e i Montecchi di V. Bellini, di cui il L. comprò la proprietà di rappresentazione e vendita. L'anno seguente puntò su un'analoga operazione con Fenella, o La muta di Portici di S. Pavesi; nel 1832 toccò a G. Pacini con Ivanhoe. Nel frattempo alla Pergola di Firenze, il L. puntava su altri autori: dalla prima italiana del Guglielmo Tell di G. Rossini (9 nov. 1831), alla stagione donizettiana del 1832.

Intanto proseguiva l'ampliamento del raggio d'influenza anche su teatri non direttamente appaltati: fu il L. a fornire all'impresa degli Imperiali teatri di Milano le compagnie per le prime assolute della Norma di Bellini (Scala, 26 dic. 1831), protagonista Giuditta Pasta, e de L'elisir d'amore di Donizetti (Canobbiana, 12 maggio 1832). In cambio l'impresa della Scala-Canobbiana (G. Crivelli e soci) cedette al L. la proprietà di entrambi gli spartiti (la proprietà di Norma era divisa con l'autore): nell'economia teatrale del tempo, mancando leggi uniformi sulla proprietà delle opere d'ingegno, il possessore di uno spartito di successo poteva trarre sostanziosi utili dal noleggio del materiale d'esecuzione e dalla vendita di riduzioni pianistiche.

Il 16 marzo 1833 il L. portò in scena alla Fenice un'altra importante novità, Beatrice di Tenda di Bellini, protagonista ancora la Pasta, mentre alla Pergola di Firenze allestiva la prima assoluta di Parisina d'Este di Donizetti (17 marzo 1833) con altre stelle della sua agenzia (Ungher, Duprez, Cosselli). Quest'opera, contemporanea alla cosiddetta "riforma" di S. Mercadante, impose quel diverso stile vocale che venne indicato come "l'urlo di Donizetti". In questi anni il L. seguiva una lucida strategia artistico-commerciale: in diverse piazze sosteneva repertori e stili musicali diversificati, stimolando curiosità e anche rivalità con moderne tecniche pubblicitarie e di mercato.

Quando nel 1834 Bellini lasciò l'Italia, il L. puntò più decisamente su Donizetti e Mercadante. Il primo appalto del teatro Tordinona (poi Apollo) di Roma per il carnevale 1834 ben sintetizza questo momento di passaggio: Anna Bolena di Donizetti, I Normanni a Parigi di Mercadante, Norma. Nella primavera 1834 il L. raggiunse l'ultimo grande teatro che mancava alla sua carriera, il S. Carlo di Napoli. In questa città risiedette per lunghi periodi fino al 1840 e vi consolidò la collaborazione con Donizetti (Maria Stuarda, e la prima assoluta di Lucia di Lammermoor, il 26 sett. 1835).

In questi anni l'epistolario donizettiano offre ricche testimonianze del carattere del L., economo fino all'avarizia, ma fidatissimo consigliere in casi spinosi, oculato amministratore dei difficili equilibri dell'industria teatrale, ma altrettanto interessato alla levatura artistica delle sue produzioni. Donizetti, superata una polemica con l'impresario che li portò sulla soglia del tribunale, gli scriveva: "Io voglio star con te, ed è verissimo che monti arcibene gli spettacoli, e che ciò è un attraente. […] Sarai sempre tu il preferito" (Zavadini, p. 331, lettera n. 114, del 15 ag. 1833).

Portata al massimo sviluppo la sua area di influenza, il L. dovette fronteggiare una serie di difficoltà che ne misero alla prova la perizia professionale: dalla causa contro l'ex socio G. Paterni a Roma (1835), all'incendio che distrusse La Fenice veneziana il 13 dic. 1836, a pochi giorni dalla prima assoluta della donizettiana Pia de' Tolomei, all'analogo evento che demolì il teatro Comunale di Senigallia nell'estate del 1838. Nell'emergenza dell'incendio veneziano il L. mise a frutto la fiducia che l'aristocrazia gli riservava e ottenne a nolo dai Vendramin il teatro Apollo, mentre convinceva i suoi cantanti a sacrificare un quarto della paga contrattuale.

Contemporaneamente iniziò la forte rivalità con B. Merelli, che aveva assunto l'appalto del maggior teatro nazionale, la Scala: in più occasioni il L. mise in guardia i cantanti contro "codesto birbante assassino […] l'infame Merelli" (De Angelis, 1982, p. 57). Negli stessi mesi accolse nelle sue compagnie Giuseppina Strepponi, soprano debuttante con la Lucia di Lammermoor a Bologna (1837) e futura moglie di Giuseppe Verdi. Anche in questo caso l'impresario perseguiva il duplice scopo artistico e commerciale: è vero infatti che la Strepponi nella cerchia del L. era considerata "fra le giovani cantanti […] numero uno" (De Angelis, 1982, p. 158), ma all'uomo d'affari non sfuggiva l'utilità di una voce nuova che desse varietà alle sue compagnie, basate allora sulla Ungher, non più giovane, e su Eugenia Tadolini, dopo il ritiro della Pasta e la morte di Maria Malibran.

Il L. dunque puntava sul binomio Donizetti-Strepponi, ma due maternità ravvicinate (gennaio 1838 e febbraio 1839) del soprano sconvolsero i suoi piani: nella stagione di carnevale 1839 la Strepponi era scritturata al teatro Alfieri di Firenze e nella successiva quaresima alla Fenice di Venezia, ma il parto a inizio febbraio le impedì di onorare i contratti. Anche in questo caso il L. ricorse sia alla diplomazia con le presidenze teatrali e con il pubblico, sia alle sue reti artistico-commerciali per far fronte all'imprevisto: cambiò i cartelloni, sfruttò le altre due prime donne, utilizzò il fidatissimo maestro Pietro Romani per aggiustare le parti vocali e istruire giovani voci per sostituzioni d'emergenza. La vicenda della Strepponi mette ancora in luce il carattere del L., oculato, deciso ed economo, ma all'occorrenza vicino agli artisti e comprensivo verso chi di loro si trovasse in reali difficoltà, in un sistema di lavoro privo di tutele.

Nel 1839, quindi, il L. piazzò la Strepponi, non del tutto rimessa in salute, alla Scala di Merelli per la primavera, e a Senigallia in estate. Lo stesso atteggiamento protettivo venne dimostrato nei confronti di Moriani e Ronconi, quando nella primavera 1840 passarono difficili momenti a Vienna, ancora sotto l'impresa concorrente di Merelli. La questione Strepponi si trascinò fino al 1840, quando, forse mal consigliata, la cantante mise in difficoltà il L. a Firenze e Verona, rifiutando di cantare per motivi di salute; ciononostante, il L. la sostenne sempre fino alla fine della breve carriera e la introdusse ancora in molti teatri, professando sempre per lei "un'amicizia profondissima" e definendola "uno dei più begli ornamenti della mia schiera artistica" (lettera a B. Merelli del 27 luglio 1841, cit. in De Angelis, 1982, p. 188).

Con gli anni Quaranta molto cambiò nell'intero sistema operistico italiano: il nuovo melodramma verdiano imponeva netti mutamenti nello stile di canto, nell'allestimento scenico, nel gusto del pubblico. Il L. non dominava più la grande rete che aveva faticosamente eretto e decise di concentrarsi sulla Pergola di Firenze, fino ad allora lasciata spesso ai soci. È il decennio che vede Firenze all'avanguardia nel panorama operistico e culturale dell'intera penisola: il L. portò alla Pergola in prima esecuzione italiana il Grand opéra straniero, da Roberto il diavolo (1840) e GliUgonotti (1841) di G. Meyerbeer a La regina di Cipro di J. Halévy (1842), o ancora Il franco cacciatore di C.M. von Weber (1843). Se già in precedenza Donizetti lo aveva lodato per la cura degli allestimenti, in questo decennio si rese evidente la sua particolare attenzione per l'aspetto scenico-visivo.

Nel 1843 il L. inserì per la prima volta nei suoi cartelloni un'opera di Verdi, I Lombardi alla prima crociata (Senigallia, Fiera), invitando l'autore a porla in scena; l'opera fu presto ripresa alla Pergola insieme con Nabucco (1844). Scoperta la novità, il L. non esitò ad accordare preferenza al giovane Verdi rispetto al collaudato Donizetti, ormai residente all'estero: nello stesso 1844 al teatro Argentina di Roma, affidato al figlio Antonio, il L. produsse la prima assoluta dei I due Foscari; nella primavera 1845 riprese alla Pergola Giovanna d'Arco, portandola al successo, quasi in sfida al fiasco scaligero mal gestito da Merelli; nel marzo 1846 infine lanciò alla Fenice di Venezia, affidatagli per l'ultima volta, la nuova opera verdiana Attila. All'occasione il L. aveva formato una compagnia di cantanti completamente nuova per adattarsi allo stile verdiano: I. Marini, C. Guasco, Sofia Loewe, N. Costantini.

Grazie al nuovo slancio dell'impresa, nel 1846 il L. pensò di partecipare all'appalto dei teatri imperiali di Vienna, in competizione con il solito Merelli; ma l'acutizzarsi della malattia che in sei anni lo avrebbe portato a morte lo indussero ad abbandonare il progetto. Concentrandosi nuovamente sulla Pergola, diede ancora un contributo essenziale alla storia dell'opera italiana: la prima messinscena del Macbeth di Verdi (14 marzo 1847), per cui non risparmiò sforzi né per la scelta delle voci, né per l'efficienza delle masse, né soprattutto, com'era sua abitudine, per l'aspetto scenografico.

Il 1848 lasciò un segno profondo nella società e nel teatro italiani: nel 1849 il L. cedeva la Pergola a una cooperativa di lavoratori per una stagione "rivoluzionaria" che prevedeva I Lombardi, Nabucco e Norma, opere contenenti alcuni dei cori più accesi di patriottismo. All'impresa familiare Lanari restava l'agenzia di rappresentanza, il grande archivio di partiture a noleggio (l'Agenzia teatrale europea, in società con A. Lorini) e naturalmente la grande sartoria (gestita allora dal figlio del fratello Luigi, Francesco, con la moglie Aspasia Mazzoleni, fino al 1870). A Senigallia e nuovamente alla Pergola nel 1850 a nel 1851, il L. volle essere affiancato dal fratello Luigi, fino alla cessazione definitiva dell'attività. L'ultimo documento in cui compare la sua firma è un contratto di nolo con Ricordi del 4 maggio 1852 relativo all'esecuzione di Viscardello (Rigoletto) a Livorno. Infine, per l'esecuzione fiorentina de Il profeta di Meyerbeer, programmata alla Pergola per il dicembre 1852, la sua esperienza fu ancora una volta tenuta in considerazione dalla nuova impresa dei fratelli Ronzi.

Il L. morì a Firenze il 7 ott. 1852.

Fonti e Bibl.: V. Bellini, Epistolario, a cura di L. Cambi, Milano 1943, ad ind.; F. Regli, Diz. biografico dei più illustri poeti e artisti melodrammatici… in Italia dal 1800 al 1860, Torino 1860, s.v.; Jarro [G. Piccini], Memorie d'un impresario fiorentino, Firenze 1892; G. Monaldi, Impresari celebri del secolo XIX, Rocca di San Casciano 1918, s.v.; G. Zavadini, Donizetti. Vita, musiche, epistolario, Bergamo 1948, ad ind.; F. Walker, L'uomo Verdi, Milano 1964, pp. 78-116 e passim; G. Barblan, Alla ribalta un'ottocentesca tragedia lirica: "Parisina d'Este" di Donizetti, in Chigiana, XXI (1964), pp. 207-238; M. De Angelis, La musica del granduca, Firenze 1978, ad ind.; Id., Le carte dell'impresario. Melodramma e costume teatrale nell'Ottocento, Firenze 1982; Le cifre del melodramma. L'archivio inedito dell'impresario A. L. nella Biblioteca nazionale centrale di Firenze (1815-1870), a cura di M. De Angelis, Firenze 1982; J. Rosselli, L'impresario d'opera, Torino 1985, pp. 33-36, 100-107, 118-121, 131-135, 142-150, 210, 241, 244 s., 247-251 e passim; M.J. Phillips Matz, Verdi. A biography, Oxford 1993, pp. 120-126, 193-197 e passim; G. Staffieri - F. Piperno, Le orchestre dei teatri d'opera italiani dell'Ottocento, in Studi verdiani, XI (1996), pp. 181-204.

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