MAGNASCO, Alessandro. - Nacque a Genova il 4 febbr. 1667 da Livia Caterina Musso e dal pittore Stefano, allievo di Valerio Castello, e fu battezzato nella chiesa parrocchiale di S. Agnese.
Dopo la morte precoce del padre, avvenuta molto probabilmente nel 1672, il M. si trasferì a Milano.
In questo primo periodo dell'attività del M. le forti suggestioni della pittura lombarda e dell'opera del maestro sono attestate dall'Estasi di s. Francesco (Genova, Galleria di Palazzo Bianco), dalla Maddalena penitente e dal Cristo Portacroce (collezioni private: Franchini Guelfi, 1977, figg. 6, 8), quest'ultimo, rielaborazione del Portacroce di Abbiati (Pavia, Musei civici). Tutte le tele sono caratterizzate da un discorso severamente penitenziale nel colore livido e nei drammatici contrasti di ombre e luci. In questo momento si colloca anche la produzione ritrattistica del M. improntata a una presentazione antiretorica e anticelebrativa dei personaggi, in accordo con la tradizione del ritratto lombardo e in contrasto con la sontuosa ritrattistica francesizzante dei pittori genovesi: il Bartolomeo Miconi (Milano, Pinacoteca di Brera), il Gentiluomo (Genova, Galleria di Palazzo Bianco) le due Dame a pendant (Como, Civico museo e collezione privata), lo Scrittore (collezione privata: ibid., tav. 1), la Dama della collezione Koelliker esprimono l'interesse dell'artista per una rigorosa analisi della realtà insieme con il suo rifiuto di ogni discorso celebrativo.
La scelta del M. per la pittura di "genere" si verificò nell'ultimo decennio del Seicento. La sua prima opera datata, una Riunione di quaccheri (collezione privata: Franchini Guelfi, 1977, fig. 32), è del 1695; mentre è datata 1697 la Processione di cappuccini (collezione privata) nella quale il pittore inserì le sue "picciole figure" in un grande, scenografico paesaggio eseguito dal paesista anconetano Antonio Francesco Peruzzini, che collaborò con lui, in una straordinaria simbiosi compositiva e cromatica, fino alla sua morte nel 1724. Nel 1698 e nel 1699 eseguì quattro grandi Rovine architettoniche con figure, non ancora rintracciate, per il generale milanese Giovan Francesco Arese, in collaborazione con il ruinista prospettico Clemente Spera, anch'egli suo partner abituale nell'esecuzione di numerosissime tele. Restano finora oscuri i tempi e i modi della svolta decisiva dell'artista e del suo inserimento nell'ambiente culturale della "minor pittura" con quel ruolo di "figurista" che ricoprì per tutto il corso della sua lunga attività, in collaborazione anche con vari paesaggisti, tra cui Crescenzio Onofri, Marco Ricci, Nicola van Houbraken, Jean-Baptiste Feret. Nel 1703 è documentato a Firenze dove, insieme con Peruzzini, lavorò tra l'altro per la corte medicea; nel 1704 collaborò con Feret in due dipinti per un committente di Livorno.
In questi anni fiorentini, che si conclusero con il suo ritorno a Milano nel 1709, il M. mantenne costanti rapporti con Genova, dove vivevano ancora sua madre e i suoi fratelli, come attesta una lettera scritta nel 1703 al collezionista bergamasco Francesco Brontino dal pittore genovese Carlo Antonio Tavella, che parla di un imminente passaggio da Genova del M., dal quale Brontino voleva una Processione di cappuccini. Questi rapporti sono confermati dalle forti suggestioni della pittura genovese, in particolare da Valerio Castello e dal Grechetto (G.B. Castiglione), in dipinti del M. come La strage degli innocenti (Amsterdam, Museo nazionale), S. Ambrogio scaccia Teodosio dalla chiesa (Chicago, The Art Institute) e la piccola copia (collezione privata: Franchini Guelfi, 1977, fig. 151) dell'Adorazione dei pastori del Grechetto nella chiesa genovese di S. Luca. Le acquisizioni dal severo linguaggio della pittura lombarda e dalle stilizzate cifre grafiche delle incisioni di Jacques Callot, studiate e tradotte in pittura nelle tre tele con Les misères et les malheurs de la guerre del Kunsthistorisches Museum di Vienna (L'interrogatorio in carcere), del Museo artistico nazionale di Bucarest (L'ospedale) e del Museo Brukenthal di Sibiu (Il saccheggio), probabilmente negli anni del soggiorno toscano, maturarono, a contatto con la cultura figurativa genovese, in un linguaggio personalissimo. Nel manoscritto preparatorio della biografia dell'artista composta da Carlo Giuseppe Ratti (1762) è citato anche un soggiorno a Venezia, a stretto contatto con l'amico Sebastiano Ricci. Molto probabilmente nel 1708 il M. sposò a Genova la giovane vedova Maria Rosa Caterina Borea, dalla quale nacque nel 1709 la primogenita Livia Caterina, l'unica figlia sopravvissuta dopo la morte dei piccoli Francesca (1710-12) e Stefano (1712-13). Ristabilitosi a Milano, il M. lavorò per prestigiosi committenti, come gli Archinto, i Casnedi, i Visconti, i Durini, spesso in collaborazione con Peruzzini e con Spera, come documentano gli inventari delle quadrerie.
Per il conte Gerolamo di Colloredo, governatore austriaco di Milano, eseguì le quattro grandi tele oggi presso l'abbazia di Seitenstetten, alla quale il conte le lasciò in eredità: la Biblioteca e il Refettorio dei cappuccini, La sinagoga e Il catechismo nel duomo di Milano.
L'ultima opera databile con certezza è Il furto sacrilego (Milano, Museo diocesano) eseguito come ex voto poco dopo il tentativo di furto compiuto nella chiesa di S. Maria di Siziano (Pavia) nel gennaio 1731.
Probabilmente nel 1733, poco dopo la morte della moglie (1732), la figlia Livia Caterina si sposò a Genova con Giacomo Miconi e il M. si trasferì nella città natale. Nel 1743, ammalato, nominò la figlia sua procuratrice ed erede trasmettendole piena potestà sul suo denaro investito nel Banco di S. Giorgio. I suoi problemi di salute vennero però superati; il M. morì infatti a Genova a ottantadue anni il 12 marzo 1749 e venne sepolto nella chiesa di S. Donato, presso la quale abitava.
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F. Franchini Guelfi