Pope, Alexander

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Poeta inglese (Londra 1688 - Twickenham, Middlesex, 1744). Poeta tra i maggiori del suo tempo, nelle opere di P. lo spirito classico della poesia inglese giunse all'apice. Della poesia, che ha per argomento la vita sociale dell'uomo e ne considera le debolezze con un senso comune che sbocca inevitabilmente nella satira, egli è il maestro riconosciuto. Nessuno ha saputo meglio di lui «colpir l'umana sciocchezza a volo e cogliere i costumi al vivo mentre nascono». Fu straordinario come artista: nell'uso che fece del distico eroico, che è il metro da lui adoperato in tutte le sue opere migliori, non ebbe rivali; la dolcezza lirica dei suoi Pastorals, la grazia arguta e delicata di The Rape of the Lock, l'ampiezza maestosa della sua Iliade, l'eloquenza dell'Eloise to Abelard, il tono disinvolto e conversativo delle sue Imitations of Horace, attestano la meravigliosa varietà che egli poteva permettersi in un campo ristretto e imposto. Se non ebbe l'elevato idealismo che è il segno dei grandi poeti mondiali, ebbe almeno quel «fuoco» che, secondo quanto egli stesso nota nella prefazione a Omero, è la qualità distintiva di ogni vera poesia. Soprattutto ebbe la passione inappagabile della perfezione, il desiderio di portare la propria opera a quel massimo di eccellenza che potesse raggiungere.

Vita

Era figlio di un drappiere ritiratosi nel 1700 in agiatezza a Binfield, nella Windsor Forest. Entrambi i genitori erano cattolici, ma l'avversione popolare contro la loro religione li costrinse a nascondere le proprie tendenze; perciò il fanciullo crebbe in un'atmosfera di segretezze e di sotterfugi che lasciò traccia indelebile sul suo carattere. Una pericolosa malattia sofferta a 12 anni lo lasciò debole e con una deformità permanente, ciò che contribuì ad accrescere in lui la sensitività e l'irritabilità innate. Fin dalla prima infanzia si rivelò precoce: a otto anni imparò il latino e il greco e in seguito affermò di non ricordare un'epoca della propria vita in cui non avesse scritto versi. Ma dopo pochi anni di frequenza delle scuole, visse in casa, libero di abbandonarsi alle proprie tendenze; sebbene leggesse molto, in francese, in italiano, e i poeti inglesi non meno dei classici, gli mancò la vera disciplina di uno studioso. Apprese da sé l'arte della versificazione, traducendo Ovidio e Stazio, adattando il Chaucer a imitazione delle Fables del Dryden, studiando il Dryden stesso e il Sandys e cimentandosi con la commedia, la tragedia e l'epica. Il suo desiderio di fama poetica lo spinse presto a cercar la conoscenza di letterati, tra i quali furono sir William Trumbull, il Walsh, che gl'insegnò ad apprezzare la «correttezza», il Granville, il Wycherley e il Congreve. Al caffè Will, dove un tempo aveva regnato il Dryden, P. frequentò la società letteraria del giorno. L'agiatezza procuratagli dalle versioni di Omero permise a P. di stabilirsi (1719) in una villa a Twichenham, dove passò il resto della vita alternando il ritiro di studioso alla dimestichezza con l'alta società. Il padre gli era morto due anni innanzi e nella nuova casa si stabilì con la vecchia madre, cui era profondamente affezionato, dedicando molto tempo e molta abilità ad abbellire la sua proprietà; quivi anche ricevette la visita del principe di Galles e di molti nobili, che egli era orgoglioso di ricevere «non come seguace ma come amico», e che celebrò nei suoi versi con complimenti squisitamente torniti.

Opere

Entrò presto in contatto con gli ambienti letterari, e nel 1709 dimostrò con le Pastorals la sua abilità nell'uso del distico eroico (heroic couplet, coppia di pentametri giambici rimati, metro canonico della poesia narrativa inglese); ma già stava lavorando al più ambizioso poema An essay on criticism (1711), nel quale, ispirandosi alla precettistica classica e moderna, e in particolare a Boileau, diede magistrale espressione all'ideale letterario del suo tempo: quello di una poesia misurata, ragionevole, formalmente preziosa e levigata. Di questa poesia è supremo esempio The rape of the lock (in 2 canti, 1712; poi ampliato a 5 canti, 1714), che, ispirandosi alla vicenda del furto di una ciocca di capelli subito da Arabella Fermor (Belinda) per opera del suo ammiratore lord Petre, mette in scena una raffinata parodia del poema eroico ambientata nella società elegante del tempo. Ormai riconosciuto come primo dei poeti viventi, al centro di una brillante cerchia letteraria, P. fu tra i fondatori nel 1713 dello Scriblerus Club; nello stesso anno pubblicò il poemetto Windsor forest. Nel 1717 uscì una prima edizione di Works in cui erano comprese due poesie che rivelavano un aspetto più intimo e patetico della sua ispirazione, i Verses to an unfortunate lady e l'epistola Eloisa to Abelard. Nel frattempo P. aveva intrapreso le traduzioni in distici eroici dell'Iliade (6 voll., 1715-20) e dell'Odissea (in parte condotta da collaboratori, 5 voll., 1725-26), segnate entrambe da uno stile adorno e spesso vistoso e da un eccessivo ricorso a quell'armamentario di figure ed espressioni convenzionali noto come poetic diction. Nel 1725 curò un'edizione di Shakespeare che gli attirò le censure del critico L. Theobald, del quale P. si vendicò facendone l'eroe del poema satirico The dunciad (1728). L'opera venne rivista e accresciuta a più riprese: nel 1729 vide la luce The dunciad variorum, con un burlesco apparato critico e filologico, e nel 1742 The new dunciad, poi inserito come IV libro nell'edizione definitiva del poema (1743), nella quale C. Cibber aveva ormai preso il posto di Theobald come bersaglio principale. Diverso il tono del successivo An essay on man (1733-34): il poema, composto di 4 epistole indirizzate a H. Bolingbroke e concepito come prima parte di un progetto più vasto, è un'ambiziosa esposizione filosofica che trae in larga parte i proprî argomenti da Montaigne, Locke, Pascal e Shaftesbury. Di analoga ispirazione sono i quattro Moral essays in versi (1731-35). Ma il migliore equilibrio fra satira e riflessione morale è da trovarsi nelle 11 Imitations of Horace (1733-38), che in un linguaggio semplice e in versi scorrevoli e naturali parafrasano temi oraziani adattandoli alla società contemporanea; tra di esse spiccano l'Epistle to Dr. Arbuthnot (1735) e l'Epilogue to the satires (1738). Alla morte P. lasciò incompiuto il poema epico Brutus in blank verses.

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