SJÖBERG, Alf

Enciclopedia del Cinema (2004)

SJOBERG, Alf

Riccardo Martelli

Sjöberg, Alf (propr. Alf Sven Erik)

Regista teatrale e cinematografico svedese, nato a Stoccolma il 21 giugno 1903 e morto ivi il 17 aprile 1980. Fu, insieme a Gustaf Molander, la figura più significativa della 'generazione intermedia' del cinema svedese, quella affermatasi dopo i grandi registi del muto (Victor Sjöström e Mauritz Stiller) e prima di Ingmar Bergman. Si ispirò essenzialmente a opere letterarie del suo Paese, di natura e qualità così difformi da dare alla sua produzione, per quanto riguarda i contenuti, un'impronta di forte eclettismo e un valore diseguale. Sul piano del linguaggio fu invece un ardito sperimentatore, soprattutto nella prima parte della carriera, in cui fu influenzato dall'Espressionismo tedesco e dall'avanguardia sovietica; tale ruolo lo rese un maestro riconosciuto per molti dei successivi cineasti svedesi, e gli fece ottenere diversi premi, tra cui la Palma d'oro al Festival di Cannes nel 1946 per Hets (1944; Spasimo) e nel 1951 per Fröken Julie (La notte del piacere). Di quasi tutti i propri film fu sceneggiatore, talvolta in collaborazione con altri.Figlio di un cameriere e di una sarta, compì studi liceali, ma senza diplomarsi. Dal 1923 al 1925 frequentò la scuola di recitazione del Kungliga Dramatiska Teatern (Teatro drammatico reale) di Stoccolma, nel quale si esibì poi come attore. Nel 1928 studiò direzione scenica a Parigi, dove assistette agli spettacoli del teatro ebraico Hābimā, il cui psicologismo l'avrebbe durevolmente suggestionato. Fu regista alla radio nel 1929, in vari teatri nel 1930 e al Kungliga dal 1931 e durante tutta la sua carriera, con allestimenti sempre fortemente innovativi, connotati da un dinamismo narrativo vicino a quello cinematografico. Nel cinema esordì come attore, recitando tra l'altro in Ingmarsarvet (1925, L'eredità di Ingmar) di Molander e in Ådalens poesi (1928, La poesia di Ådalen) di Teodor Berthels. Passò alla regia con Den starkaste (1929, Il più forte), una vicenda di gelosia ambientata durante una caccia nell'Artico, in gran parte girata in esterni. Come numerose delle sue opere successive, il film risente della lezione di Georg W. Pabst e Sergej M. Ejzenštejn, che S. aveva scoperto durante il soggiorno a Parigi; fu lodato da molti critici, ma ignorato dal pubblico, abituato alle commedie leggere allora prevalenti nella produzione nazionale. Deluso, S. si tenne per molto tempo lontano dagli schermi. Vi ritornò durante la Seconda guerra mondiale, con una serie di opere che, conformemente alle sue idee politiche progressiste, intendevano essere una critica, sotto varie forme, della passività della Svezia di fronte al pericolo nazista. Med livet som insats (1940; A rischio della vita), dal racconto Köttkvarnen (Tritacarne) del finlandese di lingua svedese R. Schildt, narra la lotta contro un governo autoritario in un imprecisato Paese baltico. Primo film d'impegno a essere girato in Svezia dopo molto tempo, affrontava però un tema troppo nuovo per gli spettatori, e soprattutto era caratterizzato da uno stile astratto e allusivo, che risentiva della lunga consuetudine del regista con il teatro. Anche questa volta l'accoglienza non fu quindi quella sperata. Lo stesso si verificò per altri due film connotati da soggetti e linguaggio simili, Den blomstertid (1940, Il tempo dei fiori) e Hem från Babylon (1941; L'uomo che smarrì se stesso), dal romanzo di Sigfrid Siwertz (che fu anche co-sceneggiatore del film).

Il successo giunse finalmente con Himlaspelet (1942; Strada di ferro), dal dramma in versi Ett spel om en väg som till himla bär (Un dramma su una via che conduce al cielo) di Rune Lindström, che del film fu co-sceneggiatore e protagonista. Attraverso il filtro di una grande saga religiosa, in cui le vicende della Bibbia sono viste sullo sfondo della candida arte contadina ottocentesca, affiorano trasparenti allusioni alla resistenza che in quegli anni molti popoli europei opponevano alla Germania. L'ambientazione, l'illuminazione e la recitazione decisamente antinaturalistiche fecero allora parlare di 'neo-espressionismo'. Ispirato a Körkarlen (1921; Il carretto fantasma) di Sjöström, a sua volta influenzò Det sjunde inseglet (1957; Il settimo sigillo) di Bergman.

Un ulteriore salto di qualità fu rappresentato da Hets, su soggetto e sceneggiatura di Bergman (di cui questo film rappresentò l'esordio nel cinema) che fece conoscere per la prima volta S. a livello internazionale. In un'atmosfera cupa e claustrofobica si narra la persecuzione di un giovane studente da parte del suo sadico e tirannico professore di latino, rappresentato, sia fisicamente sia moralmente, come un sosia del gerarca nazista H. Himmler; i chiaroscuri accentuati, il taglio spesso angolato delle riprese e la focalizzazione sui dettagli degli oggetti e dei personaggi ne fecero un'opera rivoluzionaria, e non solo per la Svezia. S. girò poi tre film di minore qualità, in cui abbando-nò le tematiche antinaziste e tornò a un linguaggio più tradizionale, nonostante alcuni virtuosismi tecnici, in particolare nella mobilità della macchina da presa e nella fotografia: Kungajakt (1944; I cospiratori di Wismar), su un complotto antimonarchico nella Svezia del 18° sec.; Resan bort (1945, Il viaggio finale), sulla vita quotidiana in una cittadina della provincia svedese; e il melodramma romantico Iris och löjtnantshjärta (1946; Iris, fiore del Nord), dal romanzo di O. Hedberg.

In Bara en mor (1949, Solo una madre), che ottenne il premio per la fotografia alla Mostra del cinema di Venezia nel 1950, tratto dal romanzo di Ivar Lo-Johansson (anche co-sceneggiatore), storia della drammatica vita di una coraggiosa e anticonformista contadina, usò invece di nuovo una chiave non realistica, in particolare nelle sequenze in cui i volti dei personaggi rimangono in primo piano mentre intorno le ambientazioni mutano, senza che vi siano stacchi di montaggio. Raggiunse quindi l'apice della ricerca formale con Fröken Julie, dal dramma di A. Strindberg: passato e presente si mescolano all'interno della stessa inquadratura, e gli avvenimenti dell'infanzia della protagonista si svolgono sullo sfondo della scena mentre lei li racconta.

I consensi raccolti da Fröken Julie lo incoraggiarono a lanciarsi due anni dopo in una costosissima realizzazione, Barabbas (Barabba), dal romanzo di P. Lägerkvist; sentenziosa e pesantemente allegorica, segnò l'inizio del suo declino artistico. In Karin Månsdotter (1954), dal dramma Erik XIV di Strindberg, ritornò ad alcuni dei suoi stilemi caratteristici, come le inquadrature oblique e le immagini deformate mediante l'uso di obiettivi quadrangolari. Ma nei film successivi non riuscì più a mantenere lo stesso livello, con la parziale eccezione di Domaren (1960; Il giudice o Angeli alla sbarra), dal dramma di V. Moberg; nel 1969 pose quindi fine volontariamente all'attività cinematografica.

Bibliografia

G. Lundin, J. Olsson, Regissörens roller: samtal med Alf Sjöberg (Ruoli del regista: conversazione con Alf Sjöberg), Lund 1976.

G. Lundin, Filmregi Alf Sjöberg (Regia cinematografica di Alf Sjöberg), Lund 1979.

E. Cozarinsky, Alf Sjöberg, in "Cinema", 1980, 2, pp. 928-33.

R.E. Sverker, Spelplatsens magi: Alf Sjöbergs regikonst 1930-1957 (Magia del palcoscenico: arte registica di Alf Sjöberg 1930-1957), Gidlund 1988.

V. Esposito, Alf Sjöberg: un maestro del cinema svedese, Roma 1998.

R. Wright, Nature imagery and national romanticism in the films of Alf Sjöberg, in "Scandinavian studies", 1998, 4, pp. 461-76.

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