ALFONSO I d'Este, duca di Ferrara

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

ALFONSO I d'Este, duca di Ferrara

Romolo Quazza

Nacque a Ferrara il 21 luglio 1476, da Ercole I ed Eleonora d'Aragona, primo figlio maschio, dopo due figlie, Isabella e Beatrice; si aggiunsero poi Ferrante, Ippolito, Sigismondo. Il nome impostogli, nuovo nella genealogia estense, ricordava ilbisavolo materno. Pur non essendosi applicato in gioventù, nella corte ferrarese, allo studio delle lettere, A. è tuttavia rimasto indissolubilmente legato alla letteratura per i rapporti con l'Ariosto, alla pittura per quelli col Tiziano e col Dossi. Coltivò la musica e l'architettura. Non amò il fasto, tranne in occasioni in cui era opportuno dimostrare magnificenza. Apprese a lavorare egregiamente al tornio; si interessò alla fusione dei bronzi, eseguì egli stesso pezzi di artiglieria e divenne competentissimo nel manovrarli; fece lavori in terracotta, vasi e piatti, che si compiacque usare alla sua mensa, quando, in periodi critici del suo governo, dovette disfarsi del vasellame d'argento. Come duca si dimostrò ottimo amministratore e, fra tante guerre, seppe conservare il patrimonio della sua casa.

Il distacco degli Estensi dalla clientela veneta, già segnato dal matrimonio aragonese di Ercole, fu messo in maggiore evidenza dalle nozze di A. con Anna Sforza, figlia di Galeazzo Maria, duca di Milano. Stipulate il 20 maggio 1477 e salutate da un'orazione di Francesco Filelfo, confermate dieci anni più tardi, esse furono contratte effettivamente a Pavia il 23 genn. 1491, cinque giorni dopo quelle di Beatrice d'Este con Ludovico Sforza, e accompagnate da feste grandiose prima a Milano e poi a Ferrara. Nel novembre 1492 A. fu a capo dell'ambascena estense di omaggio ad Alessandro VI. Nell'ambiguo gioco politico degli stati italiani, dopo la discesa di Carlo VIII, mentre suo padre si rifiutava di aderire alla lega del 31 marzo 1495 contro il re e teneva presso quest'ultimo il figlio Ferrante, A. fu mandato presso Ludovico il Moro ed ebbe ai suoi ordini cinquecento uomini, i quali presero parte alla battaglia di Fornovo contro i Francesi. Nel 1499, entrato Luigi XII in Milano, A. accompagnò il padre ad ossequiare il re.

Morta il 30 nov. 1497 Anna Sforza, Luigi XII aveva avviato negoziati per il matrimonio di A. con una principessa francese, legandoli ad impegni militari, che Ercole preferì evitare; ma poi passò a caldeggiare un altro progetto, che, nel pericoloso clima della creazione di uno stato borgiano, pareva garantire la sicurezza dello stato estense. Ercole indusse il figlio ad accettare il matrimonio con Lucrezia Borgia, figlia di Alessandro VI, ottenendo come dote le terre di Cento e della Pieve, possessi del vescovado di Bologna, da cui si ebbero le debite conferme, in seguito contestate, 100.000 ducati in denaro e 20.000 in gioielli, la riduzione del censo a 100 formi, il riconoscimento della successione di Ferrara per tutti i discendenti, la conferma per Argenta, Lugo, San Potito. Le trattative furono rese pubbliche il 17 sett. 1501. Il 29 dicembre don Ferrante rappresentò il fratello alla cerimonia. Lucrezia, che giungeva così al terzo matrimonio, partì da Roma il 5 genn. 1502. A. le andò segretamente incontro al castello di Bentivoglio il 1o febbraio. In occasione delle nozze Luigi XII donò la terra di Cotignola, che era stata degli Sforza; ed A. andò a ringraziare il re a Grenoble, quando stava per discendere la seconda volta in Italia.

Nel 1504, facendosi a Blois segrete convenzioni contro Venezia, A. venne dal padre inviato a visitare le corti straniere. Fu a Bruxelles, conobbe Enrico VII a Londra. Avvisato della malattia del padre, sospese la partenza per la Spagna, e, passato a visitare Luigi XII a Parigi, tornò a Ferrara, dove Ercole I si spense il 25 genn. 1505. Subito proclamato duca dal Giudice dei Savi e dal popolo ferrarese, A. tenne il governo in uno dei periodi di più instabile assetto politico che la storia d'Italia ricordi. I vantaggi promessi dal matrimonio borgiano erano presto svaniti, essendo avvenuta la morte di Alessandro VI a un solo anno di distanza. La politica papale e le lotte tra Francia e Spagna imposero di continuo ad A. situazioni difficili. Anche all'interno non mancarono gli episodi luttuosi.

Proprio agl'inizi del suo governo, A. dovette fronteggiare una grave carestia; incettando grano in Puglia, alleviò con larghe distribuzioni le condizioni della parte più misera dei suoi sudditi. Poco dopo (13 nov. 1505) avvenne al Belriguardo, presso la città, un fatto criminoso, determinato dalla gelosia del cardinale Ippolito verso il fratello illegittimo Giulio, nato da Ercole I e da Isabella Arduino.

Alcuni sicari aggredirono il giovane bellissimo e lo resero quasi cieco e sfigurato. A. impose ai fratelli la riconciliazione. Ma l'inestinguibile rancore fu il punto di partenza di una congiura, che raccolse intorno a Giulio i malcontenti della corte: il secondogenito Ferrante, che non si adattava all'idea di dover rinunciare al trono, il feudatario Alberto Boschetti e suo genero Gherardo Roberti, un prete guascone, buon musico, che il duca aveva ammesso nella sua intimità. I congiurati miravano a sopprimere sia A. sia il cardinale Ippolito, ma a quest'ultimo non sfuggi la trama. La condanna fu di decapitazione e di confisca dei beni per tutti e quattro I principali congiurati; eseguita per il Boschetti e il Roberti (23 luglio 1506), fu commutata in carcere perpetuo, nel Castelvecchio, per Ferrante e Giulio, dei quali il primo morì in prigionia dopo quarantatré anni e il secondo ebbe la libertà all'avvento di Alfonso II, dopo più di mezzo secolo. Altro sanguinoso episodio fu l'assassinio (6 giugno 1508) del letterato ferrarese Ercole Strozzi, compiacente amico della duchessa Lucrezia nella sua relazione col marchese Francesco Gonzaga, e nello stesso tempo oggetto di profonde inimicizie da parte di alcune delle più potenti famiglie stabilitesi nel ducato, come i Pio di Carpi, gli Sforza e i Bentivoglio di Bologna.

Dei Bentivoglio A. aveva acconsentito a custodire le ricchezze, quando Giulio II li aveva cacciati da Bologna (1506) ed essi si erano aggiunti alle molte famiglie, di origine non ferrarese, che gli Estensi, o per ragioni di parentela o per servigi resi, avevano accolto nella loro cerchia, quali i Sacrati di Parma, gli Ariosti di Bologna, i Bevilacqua e i Guarini di Verona, i Tassoni e i Montecuccoli di Modena, i Calcagnini di Rovigo, i Varano di Camerino, i Manfredi di Faenza. Tutte queste ricche famiglie, insieme con la nobiltà locale (Contrari, Constabili, Giglioli, Turchi), rendevano la corte e la vita ferrarese tra le più fastose ed eleganti. Il 4 apr. 1508 la duchessa Lucrezia diede alla luce il primogenito Ercole; cui seguì, il 25 apr. 1509, Ippolito, poi cardinale. Intanto A., che fino a quel momento era riuscito a barcamenarsi fra le parti in contrasto (il 25 ott. 1506 aveva ossequiato ad Imola Giulio II e nella primavera del 1507, a Genova, Luigi XII), dovette assumere una posizione più netta.

Con la guerra decisa dalla lega di Cambrai cominciò per A. un lungo periodo di attività militare. Gonfaloniere della Chiesa per nomina fatta da Giulio II (19 apr. 1509), egli, dopo la battaglia di Agnadello (14 maggio 1509), condusse l'azione contro Venezia. Vecchie erano le ragioni di malcontento degli Estensi contro la Repubblica: e, tra le più sentite, la presenza del visdomino veneziano in Ferrara (l'ultimo fu Francesco Doro, licenziato il 25 maggio 1509); il non poter fare sale in territorio proprio, a Comacchio, per non pregiudicare le saline venete; la perdita di Rovigo e del Polesine in seguito alla pace di Bagnolo (1484). Le prime mosse di A. furono infatti dirette alla conquista di Rovigo, Este, Montagnana, e di questi due ultimi paesi ebbe dall'imperatore Massimiliano l'investitura. Partecipò pure all'assedio di Padova, che però non cedette. Arretrate di fronte all'offensiva veneziana, che raggiunse Rovigo e il Polesine, le forze estensi, il 22 dic. 1509, grazie ad una abilissima disposizione delle artiglierie, mascherate fra gli argini del Po, riuscivano a distruggere quasi interamente la flotta nemica in un'accanita battaglia alla Polesella. A. era così stato accanto a Giulio II nella lotta contro Venezia; ma nell'inverno 1510 si strinsero segreti negoziati fra la Repubblica e il papa. Riapertasi nella primavera del 1510 la campagna di guerra, A. scese in campo il 12 maggio, riebbe le terre tante volte contese, unì le sue truppe a quelle franco-imperiali all'assedio di Legnago, che cedette di fronte al violento tiro delle artiglierie estensi, ed infine, con gli alleati, occupò Monselice.

Già durante l'assedio di Legnago, Giulio II gli aveva ordinato di desistere dalle operazioni contro Venezia, imponendogli l'obbedienza come a feudatario della Chiesa. A. mandò a Roma un suo rappresentante a sostenere le proprie ragioni. Esse non furono accolte, forse anche per suggerimento di Alberto Pio, nemico di A. a causa della signoria di Carpi. Il papa decretò quindi (9 ag. 1510) le misure più gravi: scomunica e decadenza dal trono, elencando tra le imputazioni l'imprigionamento dei fratelli, l'assistenza ai Bentivoglio e la fabbrica del sale.

Indubbiamente la presenza sul Po di forze fedeli alla Francia rappresentava una grave difficoltà alle mosse della lega. In questo quadro rientra pertanto l'accanita lotta di Giulio II contro A., con l'occupazione di Modena (19 ag. 1510), favorita dalla famiglia Rangoni, di Carpi, San Felice, Finale, Bondeno (25 agosto), e soprattutto con la presa della Mirandola (21 genn. 1511), famosa per la personale partecipazione del papa. Le fortificazioni rapidamente apprestate in Ferrara, le molte diversioni compiute dallo stesso A. e la ripresa delle operazioni da parte francese impedirono tuttavia che si giungesse all'assedio della capitale. Il 22 maggio 1511, avendo i Bentivoglio ricuperata Bologna insorta, fu a furia di popolo abbattuta la statua michelangiolesca di Giulio II esistente in S. Petronio. Con i rottami A., pur salvando la testa della statua, che pose nella sua Galleria, fabbricò un cannone, chiamato poi "la Giulia". A. continuò, durante l'estate del 1511, le azioni di riconquista delle terre tante volte passate da una mano all'altra; e, prevedendo una violenta ripresa della guerra con l'ampliamento della lega avversaria, rinforzò il proprio esercito, fuse nuovi cannoni, ammassò riserve di viveri, impegnando, per far denari, i gioielli della duchessa, le argenterie, gli arredi.

Avanzatosi nel Ferrarese Ramén de Cardona, che la duchessa di Mantova, Isabella, sorella di A., era riuscita a trattenere a lungo, valendosi d'ogni genere di lusinghe, A. rimase ferito durante l'assalto a fortificazioni nemiche. Tornò presto a combattere, cooperando con Gastone di Foix, mentre il Cardona doveva persuadersi dell'impossibilità di condurre decisive operazioni in una campagna invernale su di un terreno quale era quello ferrarese.

Nella famosa giornata campale di Ravenna (11 apr. 1512), le artiglierie estensi, personalmente dirette da A., ebbero parte decisiva falciando lo schieramento degli Spagnoli e delle truppe pontificie. Morto Gastone di Foix e arresasi Ravenna, A. si adoperò per frenare, almeno in parte, gli eccessi soldateschi dell'occupazione. A lui si era consegnato Fabrizio Colonna, ferito nella battaglia; A. lo fece curare a Ferrara, evitò di consegnarlo ai Francesi e lo mandò libero senza riscatto. Durante la prigionia, Fabrizio Colonna si era adoperato per la sua riconciliazione col papa. Ritiratisi rapidamente i Francesi, A., avuto il salvacondotto papale per intromissione della sorella Isabella (23 giugno 1512), partì per Roma. Ricevuto dal papa il 9 luglio, fu assolto dalle censure, mentre sei cardinali ebbero incarico di esaminare la vertenza. Ma intanto il duca di Urbino, che stava rioccupando le città perdute, si impadronì di sorpresa anche di Reggio, fino a quel momento rimasta in mano estense. Presso il papa, poi, Alberto Pio rinnovava ancora la sua influenza ostile ad Alfonso. Perciò questi, sospettando insidie alla sua libertà personale, con l'aiuto dei Colonna si rifugiò nel feudo colonnese di Marino, da dove, confuso tra gli uomini di Prospero Colonna, poté giungere a Firenze e, in compagnia dell'Ariosto, ritornare a Ferrara (14 ott. 1512). Riprese infaticabilmente le opere di difesa della città, la sola che ormai gli rimaneva, con Argenta e Comacchio, di tutto il suo stato, dopo che era stata occupata dai Lucchesi anche la Garfagnana. Appena pervenne ad A., nel febbraio 1513, la notizia della malattia mortale di Giulio II, egli si mosse a rioccupare Lugo, Bagnacavallo e altre terre della Romagna, poi Cento e la Pieve. Non gli riuscì invece di riprendere Reggio.

L'elezione di Leone X, col quale aveva avuto buoni rapporti, fece sperare ad A. un mutamento della politica pontificia nei suoi riguardi. Si affrettò ad inviargli una ambasceria, della quale fece parte Ludovico Ariosto, per professargli ubbidienza e chiedere che fosse tolto l'interdetto su Ferrara. Leone X consentì che A. stesso potesse, l'11 apr. 1513, anniversario della battaglia di Ravenna, partecipare come gonfaloniere della Chiesa al corteo per l'incoronazione papale, e lo trattò con tale cortesia da fargli credere prossima la restituzione di Reggio. Ma Leone X coltivava l'idea di formare per il nipote Giuliano un principato con Parma e Piacenza, Modena, Reggio e, possibilmente, anche Ferrara. Quindi, alla restituzione della dignità di gonfaloniere della Chiesa non tenne dietro alcuna misura favorevole riguardo ai domini, sebbene A. si inducesse (15 giugno 1514), su richiesta fattane dal papa al cardinale Ippolito, a cedere alla Camera apostolica, in cambio della restituzione di Reggio, il diritto di fare il sale a Comacchio, città imperiale. In data 17 giugno Leone X convenne con l'imperatore l'acquisto di Modena per 40.000 ducati d'oro, frustrando ancora una volta le speranze di Alfonso. Continuarono le insidie contro A. anche quando, con Francesco I, le fortune della Francia si risollevarono a Marignano (14 sett. 1515), poiché il re, pur avendo dichiarato di prendere sotto la sua protezione A., nelle trattative di Bologna del dicembre 1515 si accontentò di promesse, poi non mantenute. Leone X si impegnò infatti a restituire Reggio e Modena entro due mesi, purché A. gli rifondesse i 40.000 ducati versati all'imperatore e altri 14.000 variamente spesi. A. si affrettò a procurarsi la somma, fu fatto strumento notarile in Firenze (12 febbr. 1516); ma, nonostante le rinnovate insistenze di Francesco I ed anche di Enrico VIII d'Inghilterra, gl'impegni restarono lettera morta.

Mentre la questione si trascinava tra il 1514 e il 1516, A. approfittò di quella breve sosta dei combattimenti per trasformare in un luogo di delizie l'isoletta di Bel- vedere, posta nel mezzo del Po, sotto le mura di Ferrara. In un magnifico parco furono raccolti in grande quantità animali esotici e rari, fino allora sconosciuti in Italia. Nello stesso periodo la dimora ducale fu arricchita di quadri e affreschi. Nacque nel 1516 un terzo maschio, Francesco, salutato dalle consuete feste.

Passato inutilmente anche il 1517 senza che si giungesse alla restituzione richiesta, per quanto essa venisse sollecitata anche nei nuovi patti tra Leone X e Francesco I, A. pensò di recarsi personalmente in Francia ad invocare dal re una più energica azione in suo favore. Partì il 14 nov. 1518, per ritornare il 20 febbr. 1519 senza concreti risultati. Il 23 giugno dello stesso anno la duchessa Lucrezia morì di parto. A sua volta A. subì una grave malattia, che parve ad un certo punto mortale. Venne scoperto che in questa occasione Leone X aveva ordito un piano per far occupare di sorpresa, in caso di morte del duca, Ferrara da Alessandro Fregoso, vescovo di Ventimiglia, mandato con numerose truppe a Concordia nel Mirandolese. L'anno seguente fu organizzata, per sopprimere A., un'altra trama, ugualmente fallita. Nonostante la poca efficacia dell'intervento francese a suo favore, A. rimase nello stesso schieramento politico, poiché Carlo V nella lega del 1521 promise a Leone X di riconoscergli il possesso di Ferrara. La campagna militare di quell'anno fu tra le più terribili per A., il quale, scomunicato e dichiarato decaduto, si vide occupare tutte le terre di Romagna, Cento, la Pieve, la Garfagnana, il Frignano, mentre i Francesi erano sconfitti e le soldatesche spagnole e pontificie giungevano a Milano e si impadronivano di Parma e Piacenza. Arrestatasi, per la morte di Leone X (1 dic. 1521), la serie delle sciagure, A. volle eternare la memoria dell'avvenimento, facendo coniare una moneta, raffigurante su un verso un agnello tratto dalla bocca di un leone e recante il motto biblico "de manu leonis".

L'avvento di Adriano VI (8 genn. 1522) parve render possibile ad A. la ricostituzione del suo stato. Ottenne subito la revoca dell'interdetto; e, dopo l'invio a Roma del giovane Ercole, la revoca della scomunica (6 nov. 1522) e la conferma dell'investitura di Ferrara e del possesso di San Felice e Finale, che durante la vacanza della cattedra pontificia egli aveva rioccupate. Quanto a Modena e Reggio, prima che si giungesse ad una concreta deliberazione favorevole da parte del papa, Girolamo Adorno, consigliere di Carlo V, inviato in Italia, stipulò segretamente (29 nov. 1522) con A. una convenzione di reciproca non partecipazione a leghe ostili, aggiuntevi da una parte la concessione di libero passaggio alle truppe imperiali e, dall'altra, la garanzia di investitura e restituzione delle due città. Morto Adriano VI (14 sett. 1523), A. tentò, presentandosi personalmente dinanzi a Modena (27 settembre), di indurre i Conservatori della città alla resa; ma la vigilanza di Francesco Guicciardini, commissario papale, impedì ogni tentativo. Riusciva invece la sorpresa su Reggio.

Clemente VII rinnovò ancora le pretese pontificie su Modena e Reggio, disposto ad ottenerle anche a costo di permute, eventualmente con Ravenna e Cervia. I domini estensi continuarono ad essere oggetto di trattative e di ricatti nell'incessante modificarsi delle alleanze. Al principio del 1525, mentre Clemente VII, spaventato dalla nuova campagna francese, prometteva per sé e per i Medici libero passo a Francesco I verso Napoli, il re si impegnava ad aiutare il papa contro A., imputato di fellonia. Dopo la sconfitta di Pavia, nei frettolosi negoziati tra Clemente VII e il Lannoy, veniva richiesta, ai danni di A., la restituzione di Reggio e di Rubiera alla Chiesa. Ma segrete assicurazioni furono date dal Lannoy stesso al duca, pronto a lauti compensi in denaro. Per la ricostituzione del suo stato A. vedeva quindi in quel momento maggior pericolo nel trionfo della Chiesa che in quell9 degli Spagnoli. Perciò, dopo lunghe trattative, non aderì alla lega di Cognac (giugno 1526),si alleò invece con Carlo V, facendo firmare dal suo ambasciatore Ludovico Cato, a Granata (settembre-ottobre 1526), una serie di convenzioni, che contemplavano, tra l'altro, gli sponsali di Ercole, primogenito del duca, con Margherita, figlia di Carlo V. Inutilmente il papa, con l'invio del Guicciardini, che A. fece avvisare dell'inutilità della sua venuta prima che entrasse in Ferrara, e Francesco I tentarono di smuovere A. dall'impegno preso. Vennero moltiplicate offerte e proposte di nozze per Ercole, rispettivamente con Caterina de' Medici, la futura regina di Francia, e con Renata di Francia, con la quale più tardi furono veramente conchiuse. Come l'atteggiamento di Federico Gonzaga, così quello di A. fu decisivo per le fortune dei lanzi. A Governolo (24 nov. 1526) si trovarono infatti artiglierie, viveri e denari estensi; il Frundsberg, malato, ebbe a Ferrara ri covero e assistenza. Inoltre, per tenere il più possibile lontani dalle sue terre i feroci lanzi, A. non cessò di fornirli di viveri, munizioni e denari nei luoghi in cui successivamente si accamparono. Mentre Roma veniva occupata e in Umbria, Romagna e Toscana si ricostituivano i vecchi governi, A. riprese Modena (6 giugno 1527).

La situazione si capovolse però ancora con la venuta in Italia del Laut.rec. Vive e minacciose pressioni esercitarono il cardinale Cibo e gli inviati della lega, recandosi a Ferrara, e dopo lunghi negoziati venne stabilita l'adesioeie di A. (15 nov. 1527) alle seguenti condizioni: conferma dell'investitura di Ferrara, riconoscimento di Modena e Reggio, matrimonio di Renata di Francia con Ercole. Mancando a questo accordo la ratifica papale, A. fu esposto al risentimento imperiale senza alcun vantaggio, tranne lo stretto parentado contratto con Francesco I. Il matrimonio di Ercole con Renata di Francia venne celebrato il 28 giugno 1528: Ercole ebbe dal re anche l'assegnazione del ricco ducato di Chartres e Montargis; alcune viscontee furono cedute ad A. come rimborso di denari altra volta prestati al sovrano e furono godute dalla casa d'Este fino al 1598. La posizione di A. di fronte a Clemente VII parve insanabile, dopo l'accordo tra papa e imperatore (9 giugno 1529), poiché questi, tra gli altri patti, promise alla Chiesa Modena e Reggio e acconsentì alla dichiarazione di fellonia di Alfonso. La cosa si fece ancora più grave, quando nella pace di Cambrai (5 ag. 1529) Francesco I abbandonò gli alleati italiani. A. dimostrò allora grande energia: mandò ad ossequiare Carlo V a Genova; ottenne che, contrariamente alle prime intenzioni, l'imperatore passasse, per recarsi a Bologna, attraverso i suoi stati, e a Reggio lo ospitò, cattivandosi il favore del sovrano e quello dei suoi ministri. Clemente escluse A. dalle feste dell'incoronazione, ma Carlo V gli ottenne salvacondotto per recarsi a Bologna in forma privata (2 maggio 1530); si fece dare Modena in pegno e conferire il giudizio della questione. Il lodo emesso a Colonia il 21 dic. 1530 riconobbe ad A. Modena e Reggio, come terre dell'Impero, ed anche Rubiera e Cotignola, dispose che A. versasse al pontefice 100.000 scudi d'oro e che il censo annuo per Ferrara fosse portato a 7000 ducati. Clemente VII protestò, ma Modena il 12 Ott. 1531 fu riconsegnata al duca.

Seguendo a breve distanza nella tomba l'ostile pontefice, A. si spense; dopo poco più di un mese di malattia, il 31 ott. 1534.

Oltre i figli avuti da Lucrezia, egli lasciò altri due maschi, Alfonso, fatto marchese di Montecchio, e Alfonsino, nati da Laura Dianti, da lui chiamata Eustochia, che, dopo la morte della moglie, ebbe stabilmente come compagna e alla quale, secondo notizie date anche dal Muratori, ma da Roma sempre contestate, si sarebbe unito in regolare matrimonio poco prima di morire.

Fonti e Bibl.: La vita di A..., scritta in latino da P. Giovio, trad. in italiano da G. B. Gelli, Firenze 1553, Venezia 1597; F. Guicciardini, Istoria d'Italia, Pisa 1819, libri III-X; L. A. Muratori, Delle Antichità Estensi ed Italiane, II, Modena 1740, pp. 233-363; A. Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, Ferrara 1847-48, passim; A. F. Trotti, Le delizie del Belvedere illustrate, in Atti d. Deput. ferrarese di storia patria, II (1889), pp. 1-32, passim; G.Bertoni, L'Orlando Furioso e la Rinascenza a Ferrara, Modena 1919; M. Catalano, Lucrezia Borgia, duchessa di Ferrara, Ferrara 1920; Id., Vita di Ludovico Ariosto, Genève 1930, 2 voll.; R. Bacchelli, La congiura di don Giulio d'Este, Milano 1931; A. Lazzari, La battaglia della Polesella, Rovigo 1939; M. Bellonci, Lucrezia Borgia, sua vita e suoi tempi, Milano 1941; P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi milit. ital., Torino 1952, pp.478-492; Encicl. Ital., XI, pp.409-410.

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