D'ANDRADE, Alfredo Cesare Reis Freire

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

D'ANDRADE, Alfredo Cesare Reis Freire

Rosanna Maggio Serra

Figlio di Antonio José ed Emilia Games de Silva Reis, nacque a Lisbona il 26 ag. 1839 in una famiglia borghese dedita al commercio e all'attività finanziaria. Dopo la prima istruzione a Lisbona, dove frequentò anche lo studio di un pittore, fu mandato quindicenne nel 1854 a Genova presso i corrispondenti in affari della famiglia per desiderio del padre che lo voleva avviare al commercio. L'insopprimibile interesse del giovane per la vita intellettuale, e in particolare per l'arte figurativa, mal si conciliarono col mandato paterno; si trovò perciò contrastato dalla famiglia che tentava di dissuaderlo dalla sua scelta, limitandogli i mezzi economici e cercando di richiamarlo in Portogallo. Soltanto dal 1864 egli poté risiedere, senza più obblighi e con ottime possibilità finanziarie, in Italia, paese che per tutta la vita fu il centro prevalente dei suoi interessi culturali. Si stabilì a Genova, preferendole Firenze soltanto negli anni tra il 1899 e il 1911; dal 1886 dimorò con frequenza nel suo castello di Pavone Canavese, presso Ivrea (Torino), e soggiornò a Torino per quanto lo richiese la sua qualità di responsabile di istituzioni statali italiane finalizzate alla tutela del patrimonio artistico.

La vita del D. fu caratterizzata da incessanti spostamenti che lo portarono a non interrompere mai i contatti con la madrepatria, a conoscere i più vivaci circoli artistici sia italiani sia stranieri, a prendere parte in Italia alla elaborazione di idee e all'organizzazione di strutture in tutte le sfere della produzione figurativa e ad occuparvi posizioni di prestigio e di controllo, anche grazie a un riconosciuto fascino personale e alla brillante vita di società che i suoi mezzi economici gli permettevano. Fu la pittura ad attirarlo nei primi anni; in seguito venne l'attenzione per le arti cosidette minori e per la didattica artistica.

Poco dopo il 1870 divenne primario per il D. l'interesse per i monumenti del Medioevo e del Rinascimento piemontesi e liguri che andava studiando da anni, pur senza trascurare altre regioni italiane. Le sue conoscenze e l'assimilazione della dottrina di E. Viollet-le-Duc sull'arte costruttiva e sull'industria artistica del mondo gotico gli diedero modo di dedicarsi con successo a lavori di ripristino, di ricostruzione in stile, di restauro su edifici privati. La preparazione dimostrata in queste occasioni indusse di conseguenza i poteri pubblici non soltanto ad affidargli interventi su pregevoli testimonianze architettoniche, ma a renderlo ufficialmente responsabile della tutela del patrimonio artistico del Piemonte, della Valle d'Aosta e della Liguria. La sua lunga e vasta attività in questo campo gli merita un posto di riguardo accanto a figure come C. Boito e L. Beltrami, tra gli iniziatori della teoria e della pratica del restauro architettonico in Italia. La fortuna che riscosse il suo operare si concretò in scritti sulla sua attività pubblicati già lui vivente e in una bibliografia pressocché ininterrotta che si può ricavare dal catalogo del 1981 che ha avviato l'analisi critica dei risultati del suo lavoro e dei principi che lo ispirarono.

Poiché il D. pubblicò pochi scritti, la vastità dei suoi interessi e la molteplicità dei suoi interventi, per essere messe compiutamente in luce, abbisognano ancora di complesse indagini, come si evince anche dalla semplice enumerazione degli archivi in cui sono contenuti i documenti inerenti, comparsa nel catalogo della mostra del 1981.

Uno degli aspetti meno studiati della sua attività è per ora quello di pittore. Il nucleo più consistente di sue opere, specie disegni, ma anche tele di diverse dimentioni, cartoni dipinti, studi, acqueforti, è conservato presso la Galleria civica d'arte moderna di Torino per dono del figlio Ruy (1931).

Il cospicuo fondo è fortunatamente ricco di date apposte dall'artista stesso, che permettono di intravedere influenze e sviluppi, ma la sua catalogazione è tuttora incompleta. A queste testimonianze si possono aggiungere i disegni e i quadri giovanili e i quadri di proprietà della famiglia, purtroppo noti soltanto attraverso riproduzioni.

In complesso il D. non dipinse molto, ma dalle opere conosciute e soprattutto dai bellissimi disegni pervenutici in grande numero appare artista di bel talento e di notevole vigore, militante nelle file del verismo, precocemente al corrente di quanto l'interesse per la realtà andava producendo in Italia e fuori. Al di là della curiosità rappresentata dai disegni di soggetto sacro e mitologico dell'infanzia e dell'adolescenza riprodotti da Ruy D'Andrade (1959), sono indicativi i numerosi esercizi (ibid.) dai modelli di elementi vegetali e paesistici di A. Calame. Secondo i biografi, il D. vide a Parigi la grande esposizione del '55, ma forse in troppo giovane età per sapersi orientare tra le offerte diverse del paesismo internazionale e per sfuggire all'ascendente del Calame. Nel 1856 conobbe l'Italia centrale, con tappe a Roma e Firenze, e si spinse fino a Napoli. Fin da questi primi anni le sue attitudini si dimostrano diramate ma non perciò meno vivaci. Infatti nel 1857 a Genova si iscrisse all'Accademia ligustica ai corsi di architettura presso G. B. Resasco e contemporaneamente frequentò lo studio dei paesista Tammar Luxoro. Nel 1861 seguì ancora i corsi di Resasco, ma nel frattempo andava facendo rapidamente strada anche sul fronte della pittura. Dall'autunno del 1860 al gennaio 1861 si era infatti stabilito a Ginevra al fine di studiare presso Calame, ma vi aveva incontrato, su suggerimento di Luxoro, anche Antonio Fontanesi, dalla cui pittura ricevette una profonda impressione.

Nel 1861 è testimoniato un suo primo soggiorno in Savoia e nel Delfinato, in particolare a Crémieu, dove ebbe modo di conoscere F. Ravier, J. Dupré, E. Bertea. Gli stimolanti incontri di questo periodo lo avviarono rapidamente verso un modo di intendere il paesaggio senza schemi precostituiti, in presa diretta con la natura, antiretorico, lirico.

Se del 1860 è il Paesaggio romantico di proprietà degli eredi (cfr. D'Andrade, 1955),che risente ancora delle clausole del paese d'invenzione della prima metà del secolo, il Pascolo presso lo stagno a Creys (ibid.), pure della famiglia, dimostra già uno spostamento verso il naturalismo dei pittori che frequentavano l'Alta Savoia e quindi il superamento del calamismo di stretta osservanza. Lo stagno di La Levat, Creys (o Lago de l'Alva, Creys), del Museo d'arte moderna di Lisbona, tradizionalmente datato al 1861, indica un'ulteriore evoluzione, questa volta in direzione fontanesiana.

Sempre nel 1861, con la conoscenza di E. Bertea e quella di C. Pittara, venne in contatto anche con i pittori che rappresentavano l'ala realista e antiaccademica dell'arte piemontese: diverrà infatti frequentatore assiduo prima, e poi animatore, della cosidetta Scuola di Rivara. I suoi interessi continuavano a intrecciarsi. Nel 1863 lo troviamo ancora a seguire i corsi di architettura e di anatomia della Ligustica, e dello stesso anno è una sua lettera (Bernardi-Viale, 1957, p. 25) in cui dichiara di dedicarsi sempre più all'architettura e all'archeologia. Ma l'attività nel campo della pittura non rallentava.

Numerosi bellissimi studi di nudo e acquerelli di costume conservati nella Galleria di Torino dimostrano un assiduo esercizio, che non disdegna i metodi tradizionali dell'apprendimento. I due dipinti di proprietà della famiglia Strada da Albano ad Ariccia (1861-62) e Dintorni di Roma, Ariccia (1862),riprodotti da Ruy (1955),oltre a documentare un soggiorno romano, confermano che la via del verismo è percorsa dal D. con una crescente sicurezza che si esprime in fermezza di disegno e di chiaroscuro. Particolarmente intensi e di una sapienza ormai acquisita sono i disegni a carboncino su carta grigia o azzurra di questi anni (Torino, Galleria d'arte moderna).

Se si deve accogliere la datazione al 1862 di altri due quadri conservati dagli eredi, Spiaggia di Nettuno al tramonto e Spiaggia di Nettuno a mezzogiorno (D'Andrade, 1955), è inevitabile osservare che il suo linguaggio, oltre le contrapposizioni delle masse chiaroscurali di tipo fontanesiano, tenta anche la strada della macchia. I pittori realisti toscani esponevano abitualmente alla Promotrice genovese fin dai loro primi tentativi nei tardi anni Cinquanta. Tra i primi ambienti naturali scelti dai frequentatori del caffè Michelangiolo, vi era stata anche La Spezia; alcuni di loro (Abbati, De Tivoli, D'Ancona) si erano fatti conoscere in forze a Genova nel 1860e nel 1862 la rosa dei macchiaioli presenti si era ancora allargata (Borrani, Lega, De Tivoli, Cabianca). Non erano quindi mancate occasioni al D. di conoscere anche il più teoricamente fondato dei raggruppamenti realistici attivi in Italia. Prova ne sia che nel 1863 il D. passò un periodo a disegnare e dipingere sulle loro orme al Gombo, sulla marina presso Pisa, alle bocche dell'Arno.

I ripetuti soggiorni tra Savoia e Delfinato (Creys) e in Piemonte (Rivara, Volpiano) e l'amicizia dei pittori della cosidetta Scuola grigia ligure, come T. Luxoro, E. Rayper, S. de Avendaño, A. Issel, l'evidente riflessione sul linguaggio della macchia, permisero al D. di trovarsi al centro della mappa del paesismo realistico tra Toscana, Liguria, Piemonte e Francia e di formarsi una coscienza critica della propria ricerca e delle possibilità di sviluppo della figurazione contemporanea.

Tra il 1863 e il 1865 si nota nei suoi dipinti la compresenza di accentuazioni linguistiche diverse, pur nella costante fedeltà alla ricerca veristica: una pittura nitida e asciutta, di colore campito con intensità entro uno schema disegnativo; un uso del colore più spezzato, di tocco, con ricerca di effetti di luce; un impiego franco e luminoso della macchia. Nei disegni a carboncino, dove la forte linea di contorno apre orizzonti nitidamente oggettivi, i rapporti chiaroscurali creano una luce vivida e gioiosa.

Già nel 1860espose alla Società promotrice di belle arti di Genova, dove nel 1865, insieme con un quadro minore dal titolo Una sera d'autunno, presentò il dipinto Motivo sulla Bormida (inviato anche all'esposizione universale di Parigi nel 1867), ora alla Galleria d'arte moderna di Genova Nervi, che fin dal titolo evidenzia l'archetipo realistico del "motivo" e si pone come programma la tranche de vie contemporanea, casuale, e il riferimento linguistico ai pittori visti a Parigi, Daubigny, Corot, Appian, e frequentati in Savoia, in Piemonte, in Liguria, Ravier, Fontanesi, Rayper.

Tra il 1866 e il 1867molti disegni documentano un soggiorno nella Campagna romana, che, con il lento snodarsi del Tevere tra basse ondulazioni, gl'ispira aperture quiete e solenni, distese in larghezza. Il termine di confronto più vicino è in questo periodo Vittorio Avondo, da lui conosciuto in Piemonte sicuramente nel 1866,ma forse anche prima, al quale lo univa non soltanto lo studio del paesaggio, ma anche l'interesse per le testimonianze oggettuali del passato. La produzione pittorica si intensificava, benché contemporaneamente l'artista andasse approfondendo gli studi sulle arti del Medioevo e del Rinascimento e specie sugli aspetti decorativi e cosidetti "minori" di esse.

Nel 1865 aveva ottenuto il diploma di medaglia di seconda classe per i quadri esposti a Lisbona e Oporto, e, come si è visto, era presente anche a Genova. Nel 1866 lo siritrova all'esposizione annuale genovese con cinque paesaggi e studi dal vero, poi ancora nel '69con Le paludi di Castel Fusano, A sera, A Carcare, inviati nello stesso anno anche a Milano all'esposiz. di Brera. Nel 1870all'esposizione del Primo Congresso artistico italiano di Parma, oltre la già citata Bormida a Carcare presentò Un mattino a Rivara, ora di proprietà della famiglia (D'Andrade, 1955), e ancora Le paludi di Castel Fusano. Qui lo aspettavano il riconoscimento della medaglia d'argento e l'attenzione di uno dei più pugnaci difensori del verismo italiano T. Signorini (Notizie artistiche, in Rivista europea [Firenze], II [1870], pp. 384 ss.).Nello stesso anno si presentava anche alla Promotrice di Torino con Sotto i noci, Mattino (Rivara), A Rivara Canavese.

Se non è possibile per ora ricostruire questo corpus di opere, degli stessi anni possediamo altre prove come Carcare del 1869,conservato dalla Galleria civica d'arte moderna di Torino (Mallè, 1968, fig. 250), assai vicino a Un mattino a Rivara e, come quello, polemico nel taglio casuale delle immagini e nell'uso del colore in cui predomina un verde intenso, il famoso "verde di Rivara". Declivio presso Rivara del 1869 (Mallè, 1968, fig. 245), ora a Torino presso la Galleria d'arte moderna, mostra una tavolozza più libera e chiara, che dà della natura la luminosa immagine che ritroviamo nei disegni. Nel Ritorno dai boschi al tramonto dello stesso anno, conservato all'Accademia ligustica di Genova, predominano i contrasti di luce che compaiono anche come centro dell'attenzione del D. nell'inconsueto Castel Fusano della Galleria di Torino (Mallè, 1968, fig. 246).

Nel 1871 l'artista risulta presente a Genova con Partita a bocce e A Rivara, a Torino con Le paludi di Castel Fusano. All'Esposizione internazionale di Vienna nel 1873 inviò ancora Partita a bocce insieme a La leggitrice. Ai primi anni Settanta sono tradizionalmente e con buona probabilità fatti risalire dipinti come Marina (Torino, Galleria civica d'arte moderna, inv. 1021), cui la franchezza di pennellata dona una eccezionale evidenza, e Bosco con vecchia signora o Villa Mongiardino, sempre della Galleria torinese (inv. 1023), intessuto invece di squillanti, frantumati controluce. Ma il talento pittorico del D. e il suo felice rapporto con la natura vanno ricercati anche, se non più, nei disegni e nei piccoli studi di cui è ricca la Galleria di Torino, non di rado smaglianti per accostamenti di colore prettamente macchiaioli, che l'artista continuò a produrre, benché a più larghi intervalli, fino agli anni 1874-75. Una mappa completa delle sue partecipazioni a mostre italiane e straniere non è per ora stata ricostruita. L'ultima comparsa in pubblico del D. fu comunque la grande retrospettiva in seno alla Mostra nazionale di belle arti tenutasi a Milano nel 1906 (sala VIII).

Il suo interesse per la realtà aveva frattanto subito una mutazione. La volontà di rappresentazione andava lasciando il posto alla volontà di intervento sul reale identificato nelle testimonianze del passato. Agli anni Settanta risalgono i suoi primi lavori su antichi edifici.

La presenza del D. sulla scena artistica non si limitò tuttavia alla pratica della pittura, ma fu resa incisiva anche da prese di posizione pubbliche. I grandi dibattiti sull'insegnamento artistico, sulla promozione dell'attività figurativa attraverso società d'incoraggiamento ed esposizioni e sulla necessità e i metodi di tutelare il patrimonio d'arte italiano che percorsero tutto l'Ottocento, ebbero in lui un interlocutore competente, lucido, capace di trovare le giuste alleanze nei vari congressi italiani a cominciare dal 1870.

A Genova comparvero (1869-70) suoiappassionati scritti polemici, assai ben documentati, in favore del realismo, contro l'accademia e l'immobilismo del suo linguaggio e delle sue tematiche. Richiamandosi alle posizioni del Cicognara e del Selvatico, il D. si batteva per l'introduzione di nuovi metodi nell'insegnamento del disegno nelle Accademie e per un rinnovamento dei loro programmi più funzionale alla formazione di operatori artistici destinati alla produzione industriale. La preparazione di quadri per l'industria artistica, uno dei temi centrali del dibattito culturale ed esigenza primaria dell'economia del XIX secolo, fu infatti una delle direzioni preferenziali della sua attività.

Il suo impegno in questo campo fu anche organizzativo e didattico. Fin dal 1864 a Lisbona aveva fatto parte della Commissione per la riforma dell'insegnamento d'arte industriale presso la locale Accademia. Dal 1869, all'Accademia ligustica, incaricato di un corso di disegno ornamentale nell'ambito della sperimentale Scuola libera di ornato, mise in atto una didattica che, intercalando la copia dell'antico con quella della natura, applicava le proposte di H. Cole e di O. Jones e reclamava autorevolmente l'abbandono della tradizione tardoneoclassica. I suoi studi sulle arti minori gli avevano frattanto valso la fama di conoscitore, tanto che in occasione dell'Esposizione artistico archeologico industriale, tenutasi a Genova nel 1868, fu cooptato per la ricerca del settore mobili, armature e oggetti diversi. Le sue attività si svolgevano incessantemente sia sul fronte italiano sia su quello portoghese. Se Lisbona lo invitò a predisporre una mostra di oreficeria e oggetti d'arte portoghesi da allestire nel 1881 al South Kensington Museum (oggi Victoria and Albert Museum) di Londra, l'anno seguente l'artista venne chiamato a Torino per collaborare alla realizzazione della mostra d'arte antica dell'Esposizione generale italiana del 1884. I responsabili erano stati indotti a chiamarlo per la sua profonda conoscenza dell'architettura e delle arti applicate del Medioevo e del Rinascimento in Piemonte, cresciuta grazie a costanti, meticolose ricognizioni sui reperti della regione, condotte spesso con i colleghi piemontesi a cominciare dagli anni Sessanta. Migliaia di bellissimi disegni e fotografie (Torino, Gall. civ. d'arte moderna) testimoniano infatti uno studio analitico delle tipologie costruttive e decorative del Piemonte dal Trecento al Cinquecento, che formano una specie di repertorio onnicomprensivo. Unendo le proprie conoscenze a quelle di un manipolo di intellettuali e artisti piemontesi, tra cui è d'obbligo citare almeno V. Avondo, F. Pastoris, G. Giacosa, P. Vayra, R. Brayda, il D. realizzò un complesso di edifici tuttora esistenti e visitatissimi, sito in posizione pittoresca lungo la riva sinistra del Po, che costituisce il cosiddetto Castello medioevale del Valentino. In esso, con sapienza scenografica e rigore filologico, egli e i suoi compagni ricostruirono fabbriche medievali più o meno conservate sul territorio piemontese, strutturandole urbanisticamente. Finalità dell'impresa, di cui è trasparente l'origine dalle teorie di Viollet-le-Duc, erano: riproporre, in piena età dell'eclettismo, l'unità di stile del mondo formale gotico; fornire orientamenti per l'industria artistica nei quali il richiamo al Medioevo è in assonanza con le indicazioni inglesi rappresentate soprattutto dall'attività di W. Morris; riportare all'attenzione un patrimonio artistico fino allora poco conosciuto e sottovalutato.

L'insieme di costruzioni, che muoveva dagli esempi di architettura in stile storico o esotico presenti in tutte le grandi esposizioni ottocentesche, li superava in organicità ricostruendo l'immagine di una sola regione in una epoca precisa. Esso ebbe uno straordinario successo di pubblico e di critica, tanto da venire rilevato in blocco, alla chiusura dell'Esposizione, dalla municipalità torinese e diede al D. fama nazionale. Il 20 giugno 1884 il Consiglio comunale di Torino conferì al D. la cittadinanza torinese.

Fu soprattutto in qualità di conoscitore del patrimonio artistico che il D. ebbe da parte degli enti pubblici e dello Stato italiano le maggiori responsabilità. Nel 1885, all'interno del generale programma di ristrutturazione della pubblica amministrazione in materia di tutela del patrimonio culturale, il D. venne nominato dal ministro della Pubblica Istruzione regio delegato per la conservazione dei monumenti del Piemonte e della Liguria: la nomina è conseguente ai successi di critica e di pubblico non solo per la realizzazione del borgo e della rocca ma anche per la conclusione del primo intervento di restauro (eseguito su incarico dello stesso ministero) di palazzo Madama, attuato nel quadro delle manifestazioni predisposte per l'Esposizione torinese del 1884.

La perizia dimostrata nel risolvere i complessi problemi tecnico-organizzativi, le minuziose ricerche documentarie preliminari e la qualità delle scelte scientifiche compiute sul più emblematico monumento della città, non sono frutto di improvvisazione, bensì di una lenta evoluzione. Ma è solamente nel 1872, con la partecipazione ai lavori di restauro del castello di Issogne in collaborazione con l'amico V. Avondo, proprietario del castello stesso, che matura la sua scelta di campo, determinando un anno più tardi la committenza del restauro dei castelli di Rivara da parte della famiglia Ogliani.

Mentre nel cosiddetto castello nuovo il D. realizza una ristrutturazione funzionale interna e un rivestimento pellicolare esterno ed interno, trasfigurando l'originaria semplicità dell'edificio in un aulico decorativismo neobarocco con frequenti citazioni desunte da un repertorio che va dalla Liguria sino alla Toscana e a Roma, nel castello vecchio il suo intervento si configura come una restituzione e completamento delle caratteristiche medioevali dell'edificio.

Il D. fu attivo a Rivara, dove risiedette lungamente nella sua veste di direttore dei lavori, sino al 1877: un anno più tardi la giunta municipale di Genova lo nominò a far parte della commissione edilizia, incarico che manterrà sino al 1886 e che è un ulteriore importante indice della riconosciuta evoluzione della sua professionalità.

Nel 1879, per invito degli amici marchesi Pinelli Gentile, iniziò a occuparsi del restauro del castello di Tagliolo presso Alessandria.

Lo studio delle fonti, la ricerca iconografica, i riferimenti analogici con altri edifici coevi rappresentavano per lui altrettante tappe di avvicinamento alla conoscenza dell'edificio, dove operava con criteri di completamento in stile propri del suo tempo. Le citazioni di Viollet-le-Duc sui sistemi difensivi medioevali, annotate a margine degli schizzi progettuali, consentono di riconoscere come per il D. la scuola francese costituisse un sicuro riferimento, quanto meno teorico, nei suoi primi anni di attività come restauratore. Nella prassi, tuttavia, a differenza di Viollet, egli manifestava un interesse profondo per i reperti e le preesistenze, che conservava sempre e comunque, anche quando essi non rientravano in una ipotesi logica stilistica dell'opera.

Proprio tale interesse condurrà del resto nel 1884 alla precoce attenzione, rispetto al suo tempo, per il materiale ceramico databile tra i secoli XV e XVIII, da lui stesso rinvenuto nel sottosuolo della torre quadrangolare settentrionale di palazzo Madama, studiato e restaurato.

Nel 1880 l'Accademia ligustica di Genova fece proprio il parere del D. per la sistemazione delle fronti dipinte del palazzo della Provincia, su richiesta dello stesso ente: rispetto per le parti ancora leggibili e completamento di quelle fatiscenti. Da questa data si susseguirono per lui importanti commissioni pubbliche in materia di restauro: nel 1881 il presidente dell'Accademia ligustica lo incaricò di esaminare gli affreschi scoperti nella cappella di S. Agostino in Sampierdarena indicandone i metodi di restauro. Nel 1882 il regio delegato straordinario del municipio di Genova lo nominò nella commissione incaricata di accertare lo stato di degrado di porta Soprana e delle mura e di predisporne il progetto di intervento.

Per meglio svolgere questo compito, che lo impegnerà fino al 1914,si recò a visitare con scrupolo filologico le analoghe porte urbiche di Carcassonne e di Aigues-Mortes.

Nel 1883, mentre era già in atto la realizzazione del borgo medioevale di Torino, il ministero della Pubblica Istruzione gli affidò l'incarico di studiare (unitamente all'ing. F. M. Parodi) un progetto di adattamento della chiesa genovese di S. Agostino e dell'annesso chiostro triangolare ad uso del costituendo Museo regionale della Liguria: basato sul criterio di restituzione del monumento alla sua connotazione gotica ligure, il progetto venne realizzato solo nel 1926, undici anni dopo la morte del D'Andrade. Mentre in tutti gli interventi eseguiti prima dell'ingresso nel ministero la figura del D. aveva le definite caratteristiche del progettista e direttore dei lavori, dal momento della nomina a regio delegato (r. d. 29 nov. 1884) il suo ruolo diventò quello del pubblico amministratore, variamente impegnato in complessi compiti di tutela e restauro: la sua attività non era prescindibile (se non in rari casi e senza dimenticare la struttura operativa retrostante) da quella dell'Ufficio da lui diretto e nel quale dal 1884 accentrava la sua professionalità in misura pressoché totale.

Nel 1886 partecipò alla riunione in Roma di tutti i delegati regionali per concordare le modalità di compilazione degli elenchi dei monumenti delle singole circoscrizioni, primo e complesso compito delle delegazioni, e per avanzare proposte relative alla costituzione di uffici regionali per la tutela dei monumenti: tali proposte trovano riscontro operativo solo nel 1889, con la creazione da parte del ministro Boselli di dodici Commissariati per le antichità e belle arti, riordinati e trasformati nel 1891 in undici Uffici regionali per la conservazione dei monumenti.

La nomina del D. a direttore dell'Ufficio torinese è del 29 nov. 1891, anno che conclude la fase pionieristica della sua attività in seno all'Amministrazione e che vede il costituirsi intorno a lui di un gruppo di architetti, disegnatori e assistenti che a vari livelli operavano nel campo del restauro e della tutela.

Essi sono O. Germano architetto e C. Bertea ingegnere; gli assistenti G. Seglie e A. Demarchi. Ad essi si affiancheranno pochi anni dopo gli storici dell'arte A. Taramelli e P. Toesca, che diventerà una delle figure più rappresentative della sua disciplina in Italia.

Con questo esiguo nucleo di impiegati e collaboratori, il D. agì su di un territorio assai vasto, accorpato in modo da ricostruire gli antichi Stati sardi di terraferma: Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria e circondario di Pavia ad eccezione di Bobbio. Il compito istituzionale primario dell'Ufficio - la redazione di elenchi di edifici monumentali - fu assolto dal D. a tappe successive a partire dal 1886 mediante una ricognizione sistematica del territorio attuata anche a mezzo degli ispettori onorari: tale attività conobbe un primo importante sbocco nel 1896con la pubblicazione di elenchi provvisori di ciascuna delle province liguri-piemontesi sul foglio periodico delle rispettive prefetture, mentre nel 1902 venne pubblicato a cura del ministero il primo Elenco degli edifici monumentali in Italia, che per quanto riguarda il Piemonte riprendeva con considerevoli ampliamenti l'elenco provvisorio precedente.

Il riconoscimento dell'attività instancabile svolta dal D. in questo particolare campo e il suo impegno nel segnalare le possibili aperture legislative della questione (in primis l'esigenza da lui più volte espressa al ministero di notificare ai proprietari l'interesse rivestito dai singoli immobili) condussero alla istituzione di una Commissione per la notificazione presieduta dallo stesso D.: tali operazioni, oltre agli immediati riscontri operativi (in Piemonte gli edifici attualmente sottoposti a tutela sono stati notificati in prima istanza e con netta maggioranza dal D.), hanno rinnovata divulgazione negli anni 1911-1914 con la nuova edizione, ampliata ed aggiornata, degli Elenchi pubblicati nel 1902.

L'attenzione costante al problema e la consapevolezza delle difficoltà di una redazione completa e definitiva degli elenchi condussero il D. a superare la dimensione meramente burocratica della questione e a sostenere che l'obbligo della tutela "nasce dallo stesso carattere dell'oggetto ... e non dal riconoscimento ufficiale che di tale carattere venga fatto in seguito alla iscrizione in catalogo" (Archivio della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Piemonte).

Pur se fortemente accentrata sui fatti architettonici, l'azione di restauro del D. si estese anche agli affreschi, tele e arredi per i quali non vennero generalmente concesse autorizzazioni allo spostamento, nella convinzione che ogni opera vada "studiata al suo posto, dove la volontà del donatore e il genio dell'artista l'ha collocata" (ibid.). Anche se non verificabili sistematicamente, affermazioni di questo tipo rivelano un interesse allargato alla storia delle istituzioni religiose e della committenza locale.

L'opera di tutela del patrimonio architettonico, archeologico e storico-artistico è registrata pressoché quotidianamente dal 1884 sino al 1894, nella minuta della Relazione dell'Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Piemonte e della Liguria, parzialmente pubblicata sotto lo stesso titolo nel 1899 e conservata presso la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Piemonte.

Fra i cantieri, oltre quello di palazzo Madama che segna il debutto del D. ed appare meglio riferibile alla sua persona, assumono dimensioni di notevole complessità quelli della Sagra di S. Michele presso Sant'Ambrogio Torinese, della parrocchiale di Salbertrand, dei castelli di Fénis, Verrès, della torre del Pailleron e del priorato di S. Orso d'Aosta, delle chiese di S. Agostino, di S. Donato e del palazzo di S. Giorgio di Genova e di S. Paragorio in Noli. Rientrano nella Relazione anche i numerosi interventi d'ambito archeologico, fra cui acquistano particolare spessore scientifico il ritrovamento e la sistemazione del teatro romano di Torino adiacente la manica nuova di palazzo reale, il restauro della porta Praetoria pure a Torino, il consolidamento dell'arco sito sulla strada consolare romana presso Donnaz e la porta del Paradiso di Susa.

Una copiosa documentazione grafica accompagna sempre i cantieri, illustrando non soltanto l'aspetto antecedente e successivo degli edifici, ma anche le fasi intermedie, testimoniando le pause di riflessione del restauratore su temi particolarmente complessi e su inaspettate scoperte.

Un singolare strumento di documentazione è rappresentato dai calchi, realizzati con carta pressata (mosaici pavimentali del duomo paleocristiano di S. Salvatore a Torino, epigrafi del castello di Novara) o più frequentemente in gesso (archi romani di Augusto a Susa ed Aosta, Sagra di S. Michele, S. Antonio di Ranverso, ancora S. Salvatore a Torino). La pratica dei calchi in gesso non era riservata ai soli cantieri diretti o seguiti dall'Ufficio, ma assumeva una dimensione a sé stante, come sembra dimostrare la quantità e la composita provenienza della raccolta conservata, malgrado dispersioni e sottrazioni da degrado, presso la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Piemonte e attualmente in corso di catalogazione.

Il D. attese ai restauri di maggiore impegno con i fondi appositamente assegnatigli dal ministero.

Non sono tuttavia rari i casi in cui - forte del cospicuo patrimonio familiare - egli anticipò il finanziamento per cantieri di particolare rilevanza (palazzo del capitano del Popolo o di S. Giorgio di Genova, torre dei Pailleron ad Aosta) o per l'acquisizione di edifici monumentali (i castelli di Verrès e di Fénis e il terreno ove sarebbe stata scavata la porta Principalis Dextera di Aosta). La Casa del Senato di Pinerolo venne invece acquistata e donata nel 1900 dal D. al comune di Pinerolo e quindi restaurata col contributo del ministero; nel 1901, preoccupato dello stato di degrado dell'edificio, offrì al comune di Novara la somma di L. 5.000 per il restauro della cosiddetta Casa della Porta.

La stima di cui il D. godeva presso la Direzione generale approdò nel 1904 alla sua nomina all'interno della Commissione centrale per le antichità e belle arti, massimo organo consultivo in materia, trasformato nel 1912 in Consiglio superiore: da quella data egli assunse un ruolo di primaria importanza nella soluzione delle più complesse questioni nazionali di restauro e nel costituirsi della disciplina in Italia.

Quale membro della commissione seguì le vicende relative al restauro di Castel Sant'Angelo e della chiesa S. Vitale in Roma (1904-1909), nel 1906 si occupò dell'intervento in atto nel Broletto di Como, degli affreschi scoperti in S. Giustina di Padova, del restauro degli stalli di S. Maria in Organo e degli affreschi della cappella S. Biagio nella chiesa di SS. Nazario e Celso a Verona.

Nel 1906 fu nominato anche presidente della commissione d'appello (composta da E. Basile e A. Jorini) incaricata di vagliare le soluzioni tecniche e formali proposte per la ricostruzione del campanile di S. Marco di Venezia, crollato su se stesso la notte del 14 luglio 1902 (cfr.: Comune di Venezia, Relazione 2 maggio 1907 dei sigg. D'Andrade, Jorini e Basile..., Venezia 1907, pp. 7-22, dove il D., pur dichiarandosi d'accordo sul rifacimento, ritiene indispensabile e onesto che l'opera appaia per quello che veramente è, "nuova").

Un anno dopo il D. ricopriva ancora la carica di presidente della Commissione per i restauri della basilica marciana gravemente compromessa a livello statico nell'angolo settentrionale, detto di S. Alipio. Raccomandava di intervenire soltanto con operazioni di consolidamento, limitando al minimo indispensabile le demolizioni "dovendosi tenere per guida costante la massima che, per quanto e possibile, si deve restaurare e non rinnovare... conservare al monumento la sua fisionomia, il suo carattere, magari i suoi difetti e le sue scorrettezze, senza tentare di procedere a perfezionamenti che ... riuscirebbero vere profanazioni". Nel 1907 si occupò del progetto di ampliamento del palazzo comunale di Rieti, del castello di Torrechiara di Parma, della querelle sorta intorno al restauro del palazzo di re Enzo e al diradamento di via Rizzoli a Bologna. Nel 1908 fu chiamato nuovamente a Verona per esprimersi in ordine al trasporto dell'Arca di Giovanni della Scala, posta all'esterno della chiesa di S. Maria Antica; contemporaneamente esaminava i progetti relativi al castello di Gioia del Colle in Puglia. Tra il 1906 e il 1909 fu attivo all'interno della commissione per lo studio e il restauro del Cenacolo vinciano, mentre nel 1911 collaborò con Adolfo Venturi per la soluzione dei problemi connessi con il restauro dell'abbazia di S. Galgano presso Siena.

La nomina in seno alla Commissione centrale fu preceduta e seguita dall'infittirsi di una serie continua e ricchissima di incarichi pubblici di crescente responsabilità nell'ambito dell'organizzazione dell'insegnamento artistico industriale, delle esposizioni di industrie artistiche (tenutesi a Roma dal 1886) e di numerose mostre d'arte. Si tratta di nomine a commissioni istituite dai ministeri di Agricoltura Industria e Commercio e della Pubblica Istruzione (tra l'altro per i concorsi per l'amministrazione delle Belle Arti) che lo portarono ai vertici delle strutture statali e di partecipazioni a giurì e comitati ordinatori di mostre di interesse regionale, nazionale e internazionale, come l'Esposizione universale di Parigi (1900), l'Esposizione di Saint Louis (1904), dove fu anche invitato a esporre personalmente), la Biennale di Venezia (1907).

Ancora nel 1911 era nominato nella Commissione artistica per i lavori del palazzo di Montecitorio, incarico che fu però costretto a rifiutare per motivi di età e di salute. Nel 1912 ottenne la nazionalità italiana. Morì a Genova il 30 nov. 1915, due anni dopo la moglie, Costanza Brocchi (si erano sposati nel 1875).

All'amministrazione dello Stato aveva dedicato dal 1884 tutto il proprio impegno con due soli interventi d'interesse personale: il restauro e ampliamento del suo castello di Pavone Canavese (1885-1912), dove nel 1887 fu eletto anche consigliere comunale e dove fu sepolto accanto alla moglie, nella chiesetta di S. Pietro; la costruzione a partire dal 1895 dell'azienda agricola d'avanguardia di Font'Alva, presso Lisbona, per la quale progettò in termini eclettici la casa padronale e il rustico, occupandosi personalmente del suo incremento commerciale. Nel 1910, a seguito della rivoluzione portoghese, la tenuta fu saccheggiata e confiscata, determinando la decisione del D. di non ritornare mai più in patria.

Un elenco (che necessita di verifica documentaria) degli importanti incarichi ufficiali ricevuti dal governo portoghese e delle onorificenze italiane e straniere si può ricavare dalla biografia (curata da R. Nivolo) nel catal. 1981 da p. 164 in poi: da quando, cioè, nel 1863, fu eletto accademico di merito della Regia Accademia di belle arti di Lisbona al 1901, quando ricevette la Legion d'onore dal presidente francese.

D. Biancolini Fea

Fonti e Bibl.: Attraverso lo spoglio sistematico dei cataloghi delle esposizioni d'arte annuali di svariate città d'Italia, oltre che di Parigi, Lisbona, Oporto e Madrid, la rilettura degli atti dei congressi artistici tenuti in Italia dal 1870 in avanti, la ricostruzione delle iniziative dei governi italiani nel campo dell'istruzione riguardante l'arte applicata all'industria e la tutela del patrimonio artistico, sarà possibile rintracciare lo svolgersi del lavoro e delle idee del D'Andrade. Strumento primario di conoscenza della parte da lui avuta nella cultura italiana, dei suoi rapporti con persone e organismi è tuttavia il suo archivio conservato ancora dalla famiglia, in parte in Portogallo, in parte nel castello di Pavone, che contiene il vastissimo carteggio e il diario dell'artista. Da questa fonte deriva la ricca messe di informazioni tramandate da V. Viale e M. Bernardi nella loro fondamentale monografia del 1957: A. D., La vita, l'opera l'arte (Torino); ulteriori ricerche poterono condurre nel castello di Pavone gli estensori del catalogo della mostra tenutasi a Torino nel 1981: A. D. Tutela e restauro, catal. della mostra a cura di M. G. Cerri-D. Biancolini Fea-L. Pittarello, Torino, che indaga la figura del D. essenzialmente in queste due attività. Per la pittura si veda a p. 43 nn. 45-51 un elenco di dipinti. Per il Borgo medioevale si veda: R. Maggio Serra, Uomini e fatti della cultura piemontese del secondo Ottocento intorno al Borgo Medioevale del Valentino, pp. 19-43, e La Rocca e il Borgo Medioevale di Torino (1882-84), Dibattito di idee e metodo di lavoro, a cura di C. Bartolozzi, C. Daprà, R. Maggio Serra, pp. 189-213. Lo stato attuale delle conoscenze è quindi rispecchiato principalmente dal lavoro compiuto per la mostra di quell'anno, che tiene ovviamente conto della precedente bibliografia e dei documenti conservati nei principali archivi pubblici, e che per la prima volta, nell'ambito del nuovo filone di ricerca italiano sui fondamenti teorici e sugli inizi storici della tutela del patrimonio artistico, avvia l'analisi critica dei risultati del lavoro del D. e dei principi che lo ispirarono.

Per tracciare con certezza documentaria il cursus del D. nei vari campi e specie in quelli delle arti industriali e delle manifestazioni espositive, bisognerà quindi condurre il riscontro sistematico delle fonti a stampa e manoscritte che riguardano le molteplici iniziative alle quali fu chiamato a partecipare.

Ma vedi anche e in particolare: Catal. dell'Esp. artistico... industriale... nelle sale dell'Accad. Ligustica…, Genova 1868, sala VIII, n. 18; necrol. in L'Illustrazione italiana, 12 dic. 1915, P. 489; L. Angelini, in Emporium, XLIII [1916], pp. 79 s.; Nemi, Tra libri e riviste - A.D.,in La Nuova Antol., 1º genn. 1916, p. 143; Id., Per A.D., ibid.,16 maggio 1916, p. 249; A. Luxoro, A. D.,in La Liguria illustrata, IV[1916], pp. 1-5; Società per lebelle arti..., LXXV Esposizione, Mostra di pittura ligure dell'Ottocento, a cura di M. Labò, Genova 1926, pp. 18, 23, 33, 35; M. Bernardi, La scuola di Rivara (catal.), Torino 1942, pp. 32 s.; Mostra del centenario della Società Promotrice 1842-1942, Torino 1952, p. 51; R. D'Andrade, Quadros de A. D.,Lisboa 1955; Id., A. D., sua actividade artistica. Desenhos de paisagem Lisboa 1959; L. Mallè, Idipinti della Galleria civica d'Arte moderna, Torino 1968, pp. 120-122, figg. 245-253; G. Bruno, La pittura tra Ottocento e Novecento, in La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al Novecento (catal.), Genova 1971, pp. 433, 448, 449, 450, 481; G. Giubbini, L'acquaforte originale in Piemonte e in Liguria 1860-1875, Genova 1976, pp. 168-181 e passim; L. Magnani, I rilievi del D. in Liguria, in Indice per i beni culturali del territorio ligure, marzo-aprile 1978, n. 2; R. Maggio Serra, in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del re di Sardegna (catalogo), Torino 1980, II, nn. 825-827; III, p. 1428, che studia essenzialmente il D. come pittore; F. Robecchi, Il Liberty a Brescia, Brescia 1981, p. 91; G. Bruno, La pitt. in Liguria dal 1850 al divisionismo, Genova 1982, pp. 439-441 e passim; Il Museo dell'Accademia Ligustica di Belle Arti. La Pinacoteca, E. Baccheschi, Catal. dei dipinti, Genova 1983, pp. 75, 297; ad ulteriore precisazione della posizione del D. sul restauro, occorre aggiungere: Archivio storico dell'arte, 1888-1897, rubrica Corrieri artistici; C. Dufour Bozzo, Medioevo restaurato. Genova 1860-1940, Genova, 1984.

R. Maggio Serra - D. Biancolini Fea

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