CODACCI PISANELLI, Alfredo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

CODACCI PISANELLI, Alfredo

Francesca Socrate

Nacque a Firenze il 7 ag. 1861 da Luigi Codacci e Bianca Naldini, commercianti. Il padre morì pochi giorni dopo la nascita del C., e la madre, conosciuto nel 1865 l'illustre giurista Giuseppe Pisanelli, allora deputato liberale, lo sposava nel 1869. Questi non avendo potuto adottare legalmente il C. perché morì nel 1879, quando il figliastro non aveva ancora compiuto i diciotto anni richiesti, volle però che assumesse il doppio cognome. Nel frattempo, in seguito al matrimonio, la nuova famiglia del C. si era trasferita da Firenze a Tricase (Lecce), città natale del Pisanelli, dedicandosi alla cura delle terre (77 ettari) di sua proprietà. Il C., che aveva intrapreso sotto la guida del patrigno gli studi giuridici presso l'università di Napoli, appena laureato (1883) decise di perfezionarsi all'estero. Scelse l'università di Berlino, all'epoca particolarmente prestigiosa soprattutto per chi si occupava, come appunto il C., di diritto romano, e lì strinse duratura amicizia con altri giovani studiosi italiani, quali M. Pantaleoni, U. Mazzola, A. De Viti De Marco. Tornato in Italia, appena ventiquattrenne ebbe l'incarico di economia politica e scienza delle finanze presso l'università di Camerino (1885), che lasciò l'anno successivo avendo vinto la cattedra di diritto amministrativo e scienza dell'amministrazione nell'università di Pavia. Nel 1888 si trasferì all'università di Pisa, per passare nel 1899 definitivamente a Roma.

Il suo contributo allo studio del diritto pubblico assunse rilievo particolarmente nel settore della giustizia amministrativa, la cui problematica era in quegli anni al centro dell'attenzione dei giuristi italiani.

La legislazione in materia promulgata per l'intero territorio nazionale con il decreto 20marzo 1865, n. 2248, aveva dimostrato fin dall'inizio alcune deficienze che erano state subito denunciate sulle riviste giuridiche, in scritti che d'altra parte rispecchiavano l'influenza esercitata in quegli anni dalle nuove teorie politiche e costituzionali in corso di sviluppo. Il punto su cui verteva il dibattito riguardava in primo luogo le controversie relative agli interessi, che nella legge del 1865 venivano lasciate alla semplice autorità amministrativa, e in secondo luogo le funzioni del Consiglio di Stato. Anche se con la legge del 31 marzo 1889, n. 5992 veniva istituita una quarta sezione del Consiglio di Stato con funzioni di giustizia amministrativa per tutti gli interessi, la discussione fra gli studiosi di diritto continuò. Questi evidenziavano nei loro scritti l'ambiguità della legge che, a loro parere, non chiariva ancora sufficientemente se le funzioni della quarta sezione e delle giunte provinciali amministrative avessero carattere giurisdizionale o puramente amministrativo contenzioso. In tale contesto si inseriscono gli interventi del C., il quale sosteneva che i nuovi organi istituiti non avevano una funzione giurisdizionale ma di semplice controllo amministrativo, che si svolgeva con la garanzia del contraddittorio e davanti a collegi almeno in parte indipendenti. L'attenzione dimostrata dal C. per i problemi connessi alla giustizia amministrativa gli valse, nel 1910, la presidenza di una commissione di nomina governativa, con l'incarico di preparare un progetto di riforma che dissipasse gli equivoci e rimediasse alle deficienze della legislatura in materia ancora esistenti, nonostante le due precedenti leggi dell'agosto 1907 sul Consiglio di Stato e le giunte provinciali amministrative. Radicalizzando ulteriormente la propria propensione per il sistema del contenzioso amministrativo, il C. lavorò al progetto per sei anni, al termine dei quali la commissione presentò uno schema di legge accompagnato da una lunga relazione illustrativa da lui redatta. Le proposte, con ulteriori aggiunte, furono attuate solo più tardi, soprattutto per quel che concerneva il principio su cui il C. si era tanto battuto: quello della giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi per alcune materie. Mentre infatti furono istituiti quello stesso anno (con decreto legge del 20 nov. 1916, n. 1654) i tribunali delle acque pubbliche competenti nelle controversie relative alle acque, solo con i due decreti del 26 giugno 1924, nn. 1054 e 1058 (poi ancora modificati con il regio decreto del 15 ag. 1924, preparato dal C.), venne istituita la competenza esclusiva del Consiglio di Stato per tutte le materie in cui era più complesso distinguere fra diritti e interessi, vale a dire le controversie relative al rapporto di impiego pubblico o ai provvedimenti riguardanti il riconoscimento e la trasformazione di alcuni enti pubblici, e altre ancora. Questa modifica legislativa, promossa appunto dal C., rappresentava in realtà una drastica revisione della tradizione liberale in materia di giustizia amministrativa, secondo cui la tutela giurisdizionale affidata ai tribunali ordinari costituiva la più ampia e reale garanzia dei diritti del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. Veniva infatti a cadere la distinzione, presente invece nella legge del 1865, delle competenze giudiziarie e amministrative sulla base del diritto e dell'interesse. Era insomma per certi versi una ammissione dei limiti intrinseci alla ortodossia liberale, ammissione compiuta proprio da uno degli esponenti più rigidi di quell'area politica e culturale.

Seguace del di Rudinì, il C. aveva intanto iniziato la carriera politica nel 1897, quando fu eletto deputato nel collegio di Tricase. Pressoché assente nelle discussioni più propriamente politiche, egli curava in quei primi anni (1897-1903) il compito di deputato salentino con puntigliosa determinazione: interpellanze sul ritardo con cui avanzava il progetto per l'acquedotto pugliese, sulla necessità di una prosecuzione della ferrovia nella zona del Capo di Leuca, sui lavori per il porto di Castro, sui progetti di bonifica in Terra d'Otranto, sul servizio postale da Lecce a Otranto e a Gallipoli. "Portatore degli interessi della sua regione" e dei suoi elettori, dunque: vale a dire della borghesia terriera salentina.

Non poche furono così le interrogazioni del C. per difenderla dalla "settentrionalistica" politica fiscale del governo: poggiando le sue argomentazioni sulla diffusa povertà della zona, chiedeva alleggerimenti delle spese che i proprietari avrebbero dovuto sostenere per le opere di bonifica, nonché - in occasione della discussione sulla proposta di legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli (marzo 1902) - l'abolizione del divieto di partecipazione ai lavori agricoli prima del quattordicesimo anno di età. Quando, nel giugno 1901, il C. trattò nel suo primo lungo discorso alla Camera delle condizioni economiche della zona del Capo di Leuca, l'accento fu posto in primo luogo sulla "straziante condizione dei proprietari", Le malattie della vite e dell'ulivo - la fillossera e la brusca - avevano in quegli anni inferto un grave colpo alla produzione agricola della regione, ragion per cui il C. chiedeva al governo, come prima e immediata risposta a quella "discrasia economica che giunge talvolta sino al disgusto della proprietà", il condono del pagamento di una parte dell'imposta fondiaria. E, per combattere la "pericolosa" disoccupazione primaverile, sosteneva la necessità di una più ampia politica di opere pubbliche (ferrovie, porti, strade), oltre a un sostegno alla coltivazione del gelso e del tabacco. Sulla questione poi della cultura del tabacco il C. portava la sua diretta esperienza di proprietario terriero: sulla scia dell'esperimento tentato dal principe di Tricase, egli aveva infatti provato sui propri terreni, così come altri proprietari dellazona, a sostituire al tabacco a larga foglia - coltivato in precedenza - il tabacco giallo, di tipo orientale e americano. La produzione era stata più che soddisfacente, cosicché il C. intervenne alla Camera più volte perché il Monopolio aumentasse le concessioni per i comuni salentini che ancora non le avevano e le estendesse a quelli che già le avevano ottenute. Ultimo elemento che emerge da questo discorso parlamentare del C., e che avrà un ruolo importante nella sua duplice attività di proprietario terriero e di politico, è quello relativo alla cooperazione. Concordando in pieno con la battaglia cooperativisfica condotta da L. Luzzatti, il C. aveva costituito insieme con altri proprietari del basso Salento (fra cui il prefetto A. Winspeare) il Consorzio agrario cooperativo di Capo di Leuca (gennaio 1903), conducendo parallelamente in Parlamento una accanita campagna per l'estensione di esperimenti analoghi.

Il quadro politico era nel frattempo profondamente mutato: dai governi autoritari di fine secolo si era passati alla nuova età giolittiana, che per gli uomini della Destra poteva significare - e in buona parte anche significò - una sostanziale emarginazione politica. Il C. sfuggì a questo destino, confermando elezione dopo elezione il suo mandato parlamentare. "Durante le prime elezioni del regime giolittiano nella regione pugliese quasi tutti gli esponenti della destra furono eliminati, alcuni scomparvero dalla vita politica; altri, vecchi di età, morirono; sopravvisse soltanto Codacci Pisanelli, che finì per trovare nelle elezioni del 13 un modus vivendi con Giolitti" (Grassi, p. 163). Quando nel novembre 1904 Giolitti con una spregiudicata operazione trasformistica formò un nuovo gabinetto aperto agli uomini della Destra, il C. divenne sottosegretario di Luzzatti al ministero del Tesoro (novembre 1904-marzo 1905). Dopo aver partecipato, in veste di presidente, ai lavori della Commissione parlamentare per il riordinamento del credito fondiario e la trasformazione del debito ipotecario (1906), il C. tornò come sottosegretario di Luzzatti al ministero del Tesoro nel primo governo Sonnino (febbraio-maggio 1906), intervenendo, fra l'altro, sull'annosa questione del riscatto delle Meridionali (la società che gestiva l'esercizio della rete ferroviaria Adriatica) nel quadro del processo di nazionalizzazione delle ferrovie.

Aderendo al governo riformista conservatore di Sonnino, il C. confermava la sua appartenenza a quello schieramento liberale di destra che, pur opposto alla maggioranza giolittiana, restava comunque all'interno della sua logica di potere. In virtù di tale appartenenza il deputato pugliese fu perciò ancora una volta nominato sottosegretario di Luzzatti quando questi fu chiamato da Sonnino, nel suo secondo gabinetto, al ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio (dicembre 1909-marzo 1910). Il modus vivendi che un liberale conservatore come il C. aveva saputo costruire dentro il sistema di potere giolittiano ebbe una clamorosa verifica nel 1913, in occasione delle elezioni politiche. Nel clima teso di quella campagna elettorale, acutizzato dall'incognita dei tanti nuovi elettori (essendo stato appena concesso il suffragio universale), il C. si presentò ancora una volta candidato nel collegio di Tricase: suo rivale, il radicale D. Caputo. "A chi andassero le preferenze della prefettura non si dovette attendere molto per capirlo" (Grassi, p. 147). Il C., nonostante la sua scarsa "ortodossia" giolittiana, poté contare sull'autorità di polizia per sconfiggere l'avversario, la cui propaganda fu osteggiata in ogni modo (con l'arresto di elettori radicali o la copertura alle provocazioni attuate dai seguaci del C. contro i comizi del Caputo).

Ma in quella fase di declino del sistema giolittiano che proprio la vittoriosa guerra di Libia aveva aperto, il C. si identificava sempre più con le posizioni di Salandra e con il suo progetto di un unico partito liberale e conservatore in grado di proporre al paese una vera e forte "politica nazionale". Una vicinanza, questa (favorita anche dai comuni interessi giuridici), che lo stesso Salandra coltivava per parte sua, anche perché nel Salento. contrariamente al resto delle Puglie, egli poteva contare su scarsi appoggi politici: giusto, appunto, quelli del C. e dell'ex giolittiano P. Chimienti. Fu così, grazie all'appoggio e alla stima di Salandra, oltre che alla competenza in materia, che il C. fu chiamato nel settembre 1914 a far parte di un Comitato nazionale parlamentare della cooperazione presieduto da V. E. Orlando.

Dopo la lunga parentesi della guerra, che lo aveva visto ovviamente interventista e poi aderente al Fascio parlamentare, il C. si presentò alle elezioni del 1919 nella lista indipendente antinittiana e fu rieletto nel collegio di Tricase. Ma l'avanzare del movimento fascista, che in Puglia aveva dato dimostrazione di sé con le violenze squadristiche del febbraio-aprile 1921, aveva scalzato nella vecchia classe politica liberale la fiduciosa convinzione di trovarsi - a maggior ragione nelle lontane province meridionali - in una situazione immutata e immutabile, mentre il "pericolo rosso" l'aveva inesorabilmente spinta verso un accordo con il fascismo. Fu così che nelle elezioni politiche del maggio 1921 il C. aderì alla lista del Fascio nazionale per essere eletto nuovamente deputato nel nuovo collegio provinciale di Lecce. L'adesione alla scelta politica di Salandra - a lungo vicino a Mussolini, seppure con qualche perplessità, e da questo corteggiato - fece sì che alle successive elezioni del 1924 lo statista pugliese lo imponesse come candidato nel "listone" accanto all'altro suo seguace di Foggia E. Maury. Il C. fu così rieletto nel collegio unico della regione pugliese. Ma nonostante il compromesso raggiunto con il nuovo governo fascista, il ruolo politico del C. andò progressivamente tramontando insieme con quello del suo protettore Salandra: utilizzati per l'influenza che ancora esercitavano sull'elettorato della loro regione, gli ultimi esponenti della Destra liberale dovevano però farsi da parte davanti al sempre maggiore potere dei leaders fascisti locali. E così, mentre l'Aventino tentava un'ultima ma perdente battaglia contro Mussolini, il C., rimasto con le forze liberali in Parlamento, consumava interamente la propria contraddittoria posizione politica. Se da un lato, infatti, accettava di presiedere la commissione incaricata di convertire direttamente in legge ben 2.376 decreti (che venivano in questo modo sottratti alla discussione della Camera), dall'altra votava con una piccola minoranza contro la proposta di legge di Farinacci per la riforma elettorale (16 genn. 1925), contro la legge che limitava la libertà delle associazioni (19 maggio 1925), e contro la dispensa dal servizio dei funzionari dello Stato "sospetti" di antifascismo (19 giugno 1925).

Il C. morì a Roma il 21 febbr. 1929, appena un mese prima di quella consultazione elettorale che il fascismo chiamò "plebiscito" e che avrebbe eletto la prima Camera interamente fascista.

Opere: Di Carlo Rodbertus-Jagetzow a proposito del suo ultimo libro Das Kapital, Napoli 1884; Il lotto potrebbe gradualmente diventare un pubblico istituto di previdenza?, Camerino 1886; Le azioni popolari, Napoli 1887; Come il diritto amministrativo si distingua dal costituzionale, Milano 1887; Se,in quali limiti e con quali cautele possa ammettersi l'azione penale civica, Firenze 1892; Scritti di diritto pubblico, Città di Castello 1900; Agli elettori politici del collegio di Tricase in ricordo del comizio del 30 ott. 1904, Napoli 1905 (con A. Winspeare e A. Dell'Abate); Politica agraria, Roma 1906; La natura dei contratti di appalto per la riscossione delle corrisposte degli usi civili, Milano 1911; Sulle riforme desiderabili nell'ordinamento della giustizia amministrativa centrale, Milano 1911; La riforma delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano 1916; Lezioni di storia dell'amministrazione, a cura di V. E. Becchetti, Roma 1925; Scritti della Facoltà giuridica di Roma in on. di A. Salandra, Milano 1928, pp. 1-36; Indole,limiti e sindacabilità del potere straordinario conferito ad alcuni enti locali di esonerare i loro impiegati, Torino 1928; Appunti di diritto amministrativo, a cura di G. Alessandrini-G. Avernia-S. Paci, Roma 1929. Inoltre vari articoli, in particolare sulla Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione in Italia.

Fonti e Bibl.: Atti parlamentari,Camera,Discussioni, legislature XX-XXVII, ad Indices; V.E. Orlando, A. C. P., in Ann. della R. Univ. di Roma, Roma 1929, pp. 393-396. Per il ruolo del C. nella storia del diritto italiano: A. Salandra, La giustizia amministr. nei governi liberi, Torino 1904, ad Ind.; G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, II, Milano 1958, pp. 43-53; C. Ghisalberti, Storia costituz. d'Italia 1848-1948, Bari 1974, ad Indicem. Sulla società pugliese del periodo e la funzione del C.: S. Colarizi, Dopoguerra e fascismo in Puglia(1919-1926), Bari 1971, ad Indicem; F. Grassi, Il tramonto dell'età giolitt. nel Salento, Bari 1973, ad Indicem; A. L. Denitto, La società salentina e la crisi agraria, in Cahiers intern. d'histoire écon. et sociale, VII (1978), 9, pp. 22-71. Sul problema della cooperazione: Il movimento cooperativo nella storia d'Italia 1854-1975, a cura di F. Fabbri, Milano 1979, pp. 529-42.

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