GRANDI, Alfredo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002)

GRANDI, Alfredo (noto anche con lo pseudonimo di Garzia Fioresi)

Andreina Ciufo

Nacque a Vigevano, presso Pavia, il 3 giugno 1888 da Giuseppe, militare di professione, e da Elisabetta Mainardi.

Nel 1902 la famiglia si trasferì a Bologna, nell'appartamento di via S. Vitale, dove l'artista risiederà per quarant'anni.

L'esiguo numero delle opere giovanili rimaste e la rarità delle notizie non consentono una ricostruzione precisa degli anni formativi e delle esperienze iniziali nel mondo artistico poiché un gran numero dei primi lavori venne distrutto dallo stesso artista. Iscrittosi all'Accademia di belle arti, nel 1905 il G. ottenne il diploma del corso preparatorio triennale. Risale al 1906 un Nudino in piedi (ripr. in Cavallari, p. 33), dove si manifesta uno stile asciutto e semplificato, rivelatore di un'insofferenza del pittore verso i modi dell'accademia. Agli anni 1901-03 risale una serie di piccoli paesaggi a olio raggruppati sotto il titolo di Piccole pitture dell'adolescenza (ripr. ibid., p. 21).

Rimasti sempre di proprietà della famiglia, i dipinti nascevano dai vagabondaggi solitari del pittore nelle campagne bolognesi e nelle zone rurali ai margini della città; rare abitazioni costituiscono l'unica traccia dell'uomo in uno scenario naturale pressoché inalterato, ancora tagliato fuori dall'urbanizzazione.

Nel 1908 il G. concluse gli studi accademici conseguendo il diploma di perfezionamento. Nel 1909 fu ammesso al corso allievi ufficiali e nel 1910 fu licenziato come ufficiale di prima nomina.

Intorno al 1911 i primi insuccessi e la scarsità di opportunità lavorative precipitarono il G. in una crisi depressiva che superò grazie all'amico G. Pizzirani, anch'egli ex allievo dell'Accademia di belle arti, il quale gli procurò piccole commissioni come decoratore e illustratore di ex libris, menù per banchetti, manifesti pubblicitari.

Nel 1912 il G. partì per la guerra di Libia. È dello stesso anno la prima partecipazione alle mostre del Cenacolo Francesco Francia di Bologna, che avrà un ruolo notevole nel determinare la sua affermazione. Il G. vi espose tre opere: Griglia verde, Attesa verde e Sul terrazzo (Bologna, Galleria comunale d'arte moderna), che fu acquistato dall'avvocato G. Bacchelli, padre dello scrittore Riccardo e del pittore Mario, quest'ultimo presidente del cenacolo.

Dei primi due dipinti restano soltanto riproduzioni fotografiche, rintracciate e pubblicate da Solmi (pp. 11, 15). Un gran numero di opere di questo periodo fu infatti distrutto dallo stesso artista, quando, mutati i tempi e gli interessi, perennemente insoddisfatto di sé, il G. mantenne solo quanto riteneva degno di essere conservato.

Ancora nel 1912 espose alla X Biennale di Venezia Ragazza al tombolo (o Maria al tombolo: ripr. in Solmi, tav. 10). Nel 1913, allorché iniziava la carriera di insegnante di disegno nella scuola pubblica, partecipò alla I Mostra della Secessione romana, dove Bimba sul loggiato (opera perduta: ripr. ibid., p. 23) fu acquistata da un collezionista americano. Nel 1914 partecipò all'XI Biennale di Venezia con Il padre e Le sorelle; in questo stesso anno, con A. Protti, G. Pizzirani e F. Scandellari, fu nominato primo commissario per la scelta dei quadri da collocare nella sala dei Bolognesi alla seconda edizione della Secessione di Roma. Quell'anno nel gruppo era presente anche G. Morandi, legato al G. da una cordiale amicizia.

I temi e lo stile delle prime opere provano l'adesione ai caratteri del secessionismo europeo, penetrato anche a Bologna, nonostante i limiti imposti dalla marginalità culturale della città. Da questo punto di vista il percorso del G. è analogo a quello dei suoi colleghi coetanei, ansiosi di emanciparsi dalla tradizione e attratti dal respiro internazionale del liberty, assimilato attraverso le riviste in circolazione e le Biennali veneziane.

Nel 1914 sposò Paola Fiori, conosciuta in Accademia, dalla quale ebbe due figlie, Lea e Marta. All'epoca del matrimonio il G. era già noto con lo pseudonimo di Garzia Fioresi, scelto, forse, in omaggio alla sua compagna. Alla mostra della Secessione romana del 1915 presentò tre dipinti intitolati Figura nella sala del Gruppo moderno italiano, di cui facevano parte anche G. Pizzirani, C.E. Oppo, G. Secchi e G. De Vincenzi.

Le opere di questi anni "toccate da un solare postimpressionismo che fa risplendere i colori, sono fra le prove più belle di quella che è stata definita la Secessione bolognese" (Pasquali, p. 889). La vena intimista del G. trova sfogo in immagini delicate di interni con donne che fanno toletta o assorte nei lavori femminili, come in Due cucitrici (ripr. in Solmi, tav. 7), dove è evidente il ricordo di certa pittura dell'Ottocento risorgimentale. Con felice immediatezza il pittore trascrive colori e motivi di tappezzerie, vestiti e cappelli e il ritmo lento dei gesti silenziosi e consueti.

Con lo scoppio della prima guerra mondiale il G. fu richiamato alle armi. In qualità di ufficiale di artiglieria fu dapprima sul fronte carnico, poi, nel 1916, sull'altopiano di Asiago. Reso ancora più urgente dall'esperienza di quei giorni, il confronto con la realtà prese corpo in opere di acceso, lucido verismo, come nel Soldato (ripr. in Ruggeri, p. 17). La guerra non interruppe la presenza del G. alle manifestazioni espositive e nel 1916 l'artista vinse il primo premio alla mostra del Cenacolo Francesco Francia con Attesa rosa (opera perduta: ripr. in Solmi, p. 19). Ammalatosi di malaria, nel 1917 rientrò dal fronte e prestò servizio come ufficiale tra Novellara e Reggio Emilia, dove lo raggiunse la famiglia. Nel 1918 ebbe il premio dell'Associazione universale con il dipinto Ritratto di famiglia, presentato alla Mostra di arte benefica e, successivamente, alla XII Biennale di Venezia del 1920. Rientrato a Bologna l'anno successivo, vinse il concorso per la cattedra all'istituto Regina Margherita. Con la fine della guerra, conformandosi ai cambiamenti del clima artistico, il G. raccolse il generale richiamo all'ordine, ripudiando le pur moderate aperture giovanili alla modernità.

Il nuovo decennio si aprì per lui con la serie delle Marine ispirate dal soggiorno a Portici durante l'estate del 1920. In opere come Torre del Greco (ripr. in Solmi, tav. 41) la tavolozza si schiarisce per assecondare la resa della luminosità vivida del paesaggio meridionale. Già nella seconda metà degli anni Dieci si erano precisati i caratteri della pittura di paesaggio, preannunciando le opere del decennio seguente. Come nell'adolescenza, la ricerca della solitudine spingeva l'artista fuori della città, a misurarsi direttamente con una natura integra, proiettata fuori dalla storia nella trasfigurazione pittorica.

Dalle peregrinazioni lungo il fiume Savena, presso Bologna, dalle vacanze nell'Appennino tosco-emiliano, dalle escursioni lungo il delta padano, nacquero dipinti come Campagna di Reggio e Il torrente Crostolo sotto la neve (ripr. ibid., tavv. 16, 20), in cui la selvatichezza del paesaggio viene resa con pennellate di spessore denso e colori terrosi.

Nel corso degli anni Venti il G. proseguì con successo crescente la carriera di espositore. Costante fu la sua presenza alle mostre del Cenacolo Francesco Francia, che nel 1921 gli assegnò il primo premio per Bambina con cane. Ancora nel 1921 La madre e il Soldato del treno furono scelti per la I Biennale romana; mentre alla mostra della Primaverile di Firenze presentò otto oli, tra cui Savena e Mamma e bambina. I soggetti trattati nelle opere del dopoguerra sono indicativi del disagio esistenziale del G., esacerbato dagli eventi bellici. L'intimismo del periodo giovanile si ripresentava ora, mutando accento e segno stilistico, nella scelta di temi legati all'illustrazione di un'umanità emarginata e sconfitta, quale appare, per esempio, nei Finiti (ripr. in Solmi, tav. 110), e negli Emigranti (1924: Bologna, Galleria comunale d'arte moderna).

In quest'ultimo un gruppo di donne e bambine, vinti dalla stanchezza, siede sul pavimento della sala d'aspetto di una stazione ferroviaria. Non si tratta, tuttavia, di una scena in "presa diretta", ma di una ricostruzione in studio, dove le modelle sono le donne di casa: la moglie, le figlie, la collaboratrice domestica, le stesse persone che compaiono nei numerosi quadri dedicati a piccoli, raccolti brani di vita familiare. In Bimbe al mattino del 1923 (Bologna, collezione privata: ripr. ibid., tav. 61), proposto alla III Biennale di Roma, i colori si accendono colpiti da improvvisi bagliori luminosi, denotando un'effettiva attenzione verso alcuni maestri del Seicento, come G.B. Piazzetta e Rembrandt, molto vicina a quella che, nello stesso periodo, impegnava A. Spadini, alle prese con i medesimi soggetti.

Nel 1922 il G. vinse la medaglia d'argento assegnatagli dal Cenacolo Francesco Francia per Ragazza con gallina (ripr. in Solmi, tav. 105) e partecipò alla Quadriennale di Torino con I finiti, esposto anche alla XIV Biennale veneziana del 1924. Nel 1923 inviò tre dipinti all'Esposizione d'arte italiana di Buenos Aires. A suggello del rapporto fecondo instauratosi con l'artista, il Cenacolo Francesco Francia gli organizzò una personale nel dicembre del 1926 a palazzo Ghislandi Fava, con un'ampia selezione di paesaggi, disegni e quadri di figura. I commenti lusinghieri comparsi sulla stampa rintracciavano le radici autenticamente italiane del naturalismo del G., collocato nel solco della pittura bolognese del Seicento e del Settecento (Solmi, p. 8). Alcuni tra i migliori risultati ottenuti dall'artista nella pittura di paesaggio nacquero nello stesso periodo. Nel 1926 la Società bonifica renana lo chiamò a documentare la natura inospitale delle paludi delle valli ferraresi, tra Comacchio e la Mesola, prima che ne venisse avviato il progetto di risanamento. Per due volte il G. soggiornò nel tenimento della Mesola, alloggiando in una capanna.

Isolato dal mondo, il G. poté stabilire un contatto esclusivo e privilegiato con il paesaggio desolato e deserto, che riuscì a trasferire in un linguaggio pittorico intenso, carico di densità materiche. Da questa esperienza scaturirono ventiquattro paesaggi, tra cui si ricordano Il bosco e Mattino alla Mesola (ripr. in Ruggeri, p. 24), che furono pubblicati a cura della Società committente e corredati da un commento dell'artista (Cavallari, pp. 13 s.).

Nel 1927 R. Buscaroli diede alle stampe la prima monografia dedicata al pittore, in cui, conformemente al comune sentire della critica dell'epoca, il G. venne elogiato come erede degno della grande tradizione dell'arte italiana.

Invitato ormai con regolarità alle Biennali di Venezia, il G. vi espose ancora nel 1928, presentando, tra le altre opere, un Autoritratto, e nel 1930 con il bozzetto per gli Zingari, una composizione mai portata a termine. In questo stesso anno, colpito da una delle sue ricorrenti depressioni, il G. avviò un fitto e sofferto dialogo con se stesso, sfociato nella serie degli autoritratti, tra cui si segnalano Il pittore (1932), Uomo che si rade (1934) e L'imbianchino del 1938-39 (riprodotti in Solmi, tavv. 147, 148, 150).

Sebbene la partecipazione alle mostre fosse dettata "più da un senso di necessità professionale che da un autentico bisogno di comunicare e di intrecciar relazioni" (Cavallari, p. 5), il G. non rinunciò a comparire in pubblico. Nel 1935 un gruppo di opere su carta gli procurò un buon successo alla Quadriennale di Roma, che lo vide ancora tra gli espositori nelle edizioni degli anni seguenti. Inoltre, lo stesso anno, seguendo l'esempio di altri artisti impegnati nelle file del Novecento italiano, realizzò un mosaico per la stazione ferroviaria di Reggio Emilia, andato distrutto durante la guerra. Richiamato alle armi nel 1940, fu congedato nell'ottobre per consentirgli di proseguire la sua attività di insegnante nella scuola pubblica. Nello stesso anno la XXIII Biennale di Venezia gli dedicò una personale con quindici opere, tra cui si ricordano Ragazza al mattino e Burattinaio. Nel 1942 il G. vinse il concorso per il mosaico per l'Esposizione universale di Roma, che non verrà mai realizzato.

Negli anni del secondo dopoguerra nacquero altri dolorosi autoritratti, come Il pensieroso (ripr. in Solmi, tav. 159). L'ultima partecipazione del G. alla Biennale risale al 1950. Subito dopo decise di non esporre più, diradando con gli anni la produzione, per limitarsi nell'ultima fase della vita a rivisitare le opere già fatte. Inoltre nel 1957 morì la moglie Paola.

Pittore colto, appassionato di letteratura e filosofia, avvertì con dolore la perdita di senso del proprio ruolo di artista "esposto alla prevaricazione di una società ostile" (Ruggeri, p. 24). La crisi personale, accentuata dal presentimento della "fine dell'arte" (ibid.), trovò modo di esprimersi in brevi annotazioni, sotto forma di massime e aforismi, e in componimenti poetici. Egli stesso volle raccoglierli in un volume, intitolato significativamente Permestessiana, che fu pubblicato postumo, nel 1969, da Lea e Marta Grandi Fioresi.

Nel 1967 si svolse a Firenze, in palazzo Strozzi, la mostra "Arte moderna in Italia, 1915-1935"; il curatore C.L. Ragghianti, scelse Ragazze al tombolo, Due cucitrici e Donna alla toletta, a testimoniare il ruolo del G. nell'ambito del secessionismo italiano del primo Novecento.

Il G. morì a Bologna il 29 marzo 1968.

Fonti e Bibl.: Oltre ai cataloghi delle mostre citate, si veda: R. Buscaroli, Garzia Fioresi, Bologna 1927; F. Solmi, Garzia Fioresi. 1888-1968, Bologna 1971 (con bibl.); L. Cavallari, Fioresi. Una vita per la pittura (catal.), Bologna 1977; G. Ruggeri, L'artista indifeso. La vita e l'opera di Garzia Fioresi (1888-1968), Bologna 1988 (con bibl.); M. Pasquali, in La pittura in Italia. Il Novecento/1, Milano 1992, II, pp. 889 s.; H. Vollmer, Künstlerlexikon, II, p. 291.

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