ORIANI, Alfredo

Enciclopedia Italiana (1935)

ORIANI, Alfredo

Giovanni Cenni

Nacque a Faenza il 22 agosto 1852; morì nella sua villa "Il Cardello" presso Casola Valsenio il 18 ottobre 1909. L'O. ebbe una fanciullezza vuota d'affetti. A Bologna, nel collegio di San Luigi, condotto dai barnabiti, egli trascorse gli anni dell'adolescenza taciturno, altero, solo. Passato poi all'università di Roma e laureatosi nel 1872 in giurisprudenza, non esercitò l'avvocatura: scrisse invece a 21 anni, sotto lo pseudonimo Ottone di Banzole, il suo primo romanzo, Memorie inutili, piuttosto un'autobiografia, che ci rappresenta un Oriani in luce falsa e che fu non ultima causa della falsa opinione che molti ebbero di lui. Poi, a brevi intervalli, l'O. scrisse Al di là, Monotonie, Gramigne, No: ardore, foga, veemenza, possente vitalità, ma anche - in una prosa non sempre limpida, in versi spesso faticosi - un mondo innaturale d'idee e d'immagini, un tumulto di passioni oscure. Pure in questo verismo informe già si sente il fremere di un'anima che si sforza di liberarsi da ciò che il cuore contiene di frivolo, la mente d'inorganico, lo stile di aggrovigliato e di pesante.

Nel 1883 appare Quartetto: ancora pagine tumultuarie, fantasia romantica e talora strana; nulla però in esso di malsano o di mostruoso, bensì spontaneità e ricchezza: baleni annunciatori del grande scrittore che sta per rivelarsi. Ora l'O. si racchiude nel suo solitario Cardello. L'azione sociale dell'uomo moderno - dell'italiano in particolare - e, conseguentemente, l'opera dei popoli e delle nazioni, ecco il tema costante delle sue lunghe meditazioni. E mentre la scienza si basava sull'indagine sperimentale e sull'osservazione diretta, egli proclamava ammirazione e fede nella filosofia di Hegel; mentre la storia si smarriva nella ricerca e nell'analisi del documento spicciolo - che, necessaria per fare la storia, non è evidentemente la storia - egli contemplava dall'alto l'ininterrotta millenaria ascensione dell'umanità. Un elemento costitutivo della grandezza dell'O. è appunto non solo l'aver visto il grande problema della vita italiana contemporanea, ma anche l'averlo profondamente sentito e sofferto ed espresso con grande sincerità ed efficacia. La sua opera diventa ora disperata battaglia, che non avrà tregua sino all'ultimo respiro: impetuosamente lottando contro principî, sentimenti, idee del tempo, egli getta i germi per le generazioni venture: ed ecco Matrimonio, vigorosa difesa della famiglia, concepita come nucleo fondamentale della nazione; ecco in Fino a Dogali prospettate le cause della duplice crisi dell'Italia risorta - crisi religiosa e crisi di sviluppo - con le pagine su don Giovanni Verità, che nitidamente e su nuove basi lumeggiano il problema dei rapporti tra fede cattolica e sentimento patriottico, e con la lirica rievocazione dei primi eroi d'Africa, che addita alla patria unificata le vie di Roma imperiale; ecco finalmente (1892) additate in La lotta politica in Italia le ragioni storiche della formazione unitaria italiana. Il tono sale continuamente: uno spirito nuovo anima ora la produzione dell'O.; v'è in essa una corrente ideale che avvolge la vita degl'individui come quella delle nazioni; v'è soprattutto una fede incrollabile nei destini della patria, creatrice di verità.

Anche il romanzo, a cui l'O. torna dopo la pubblicazione di Lotta politica, conferma la piena maturità finalmente raggiunta. Nel loro implacabile naturalismo, nella forza nuda e fredda che li anima, Gelosia, Vortice, Disfatta e Olocausto esprimono l'essenza stessa della gretta vita di provincia, quell'impossibilità di viverci "grande" che fu il perenne tormento dell'O. In Vortice egli raggiunge forse la vetta della sua arte narrativa. Dello stesso periodo, ma di altro carattere, se pur non meno intenso e vigoroso, è - ultimo sfogo dell'amarezza che gl'inacerbiva l'anima nella vana attesa della gloria - Il nemico, tumulto di passioni crudeli e di ostentati cinismi, ma anche fatidico preannuncio del dissolvimento del mondo russo.

Dal 1892 al 1902 trascorre per l'O. un decennio di formidabile attività che non valgono a rallentare né dissensi familiari, né il dissesto finanziario in parte dovuto ai sacrifici fatti per pubblicare Lotta politica, né lo straziante dolore per l'ostinato silenzio che avvolgeva l'opera sua. E pubblica ancora: Ombre di occaso, Bicicletta. Ma ancora nessuna eco all'intorno.

Ora l'O. - che non riesce a scuotere col romanzo, né col libro di storia o di politica l'atonia della folla e il pressoché generale disinteresse della critica - porta la sua polemica nella finzione del teatro, e in breve tempo compone dieci fra tragedie e drammi. Il teatro però non è per lui uno scopo, bensì un mezzo, e le creature della sua fantasia vi dibattono le sue idee, vi parlano la sua parola. Il filosofo vi soverchia l'artista, e ciò è male; tuttavia, anche se non completamente riuscito, quello dell'O. resta pur sempre un nobile tentativo di dar vita a un teatro italiano di pensiero.

Nel 1905 appare l'ultimo volume di prose narrative dell'O., Oro, incenso, mirra. Dopo questo egli non ci darà più che un libro di tempestoso argomento, Rivolta ideale, e numerosi articoli di vario soggetto, i quali, in edizione postuma, verranno raccolti nei volumi: Fuochi di bivacco, Punte secche, Sotto il fuoco, Ultima carica.

Nell'aprile del 1908 appare Rivolta ideale. Lo scrittore è ormai stanco di lotta: la sua salute declina, pagando l'inevitabile tributo alla lunga fatica e al dolore. Ma lo spirito, liberandosi da ogni ingombro, si purifica e ascende. L'urto fra la sua coscienza e le forme sociali del tempo appare evidente: di fronte alla democrazia che dilaga, egli afferma la necessità dello stato forte, supremo regolatore dell'attività sociale; alle concezioni tumultuose oppone il ritmo fatale della storia; alla libertà senza freni il principio di autorità; all'egoismo e all'edonismo la morale di Cristo. È antisocialista, antidivorzista, nazionalista, espansionista e imperialista nel senso più nobile; e sa che dall'anima della stirpe sta per sorgere una nuova visione ideale. Questa è l'ultima e la più alta parola dello scrittore.

Dal tormento di una solitudine materiale e morale, dal disgusto per la mediocrità dell'ambiente provinciale come per la piccineria di uomini e di partiti dominanti, dalle lunghe meditazioni alimentate da innumerevoli letture, esce l'opera dell'O. C'è in essa - frantumato in singulti e in tristi sorrisi - il dramma intimo della sua vita di uomo e di scrittore; il pianto delle ore tristi, la malinconia dei disinganni, il prepotente insoddisfatto bisogno d'affetto, la forza e la volontà del condottiero che nessuno segue, l'anelito senza speranza a una gloria negata. C'è soprattutto l'ansia incessante dell'ascesa, lo sforzo ininterrotto a scrutare più a fondo, a vedere sempre più lontano e più alto.

Tutta l'opera dell'O., da Memorie inutili a Rivolta ideale, è così, e in essa esiste continuità ideale; d'altra parte nei romanzi e nei drammi come nei maggiori lavori di storia e di politica, l'artista e il pensatore, il filosofo e il sociologo si fondono e si esprimono in indivisibile unità; sicché appare inadeguato ogni giudizio che si basi sulla critica minuta di singoli elementi.

Dell'O. romanziere fu detto che egli ha soggiaciuto all'incubo di un'arte romantico-macabra. Ma se è vero che i suoi primi libri rispecchiano un animo convulso e disorientato, che in essi vi è capovolgimento di valori e atteggiamento di ribelle a vuoto, non mancano pagine, come quelle di Disfatta, ricche di spiritualità; e anche nei tre romanzi di triste argomento, Gelosia, Vortice, Olocausto, libri di un verismo torturante, l'O. non può dirsi pessimista solo perché freddo e neutrale di fronte ai sistemi, rappresenta senza lenocinî le brutture della vita, né può asserirsi immorale se l'emozione volutamente repressa pur trabocca a tratti con la pietà per le vittime dell'umana perfidia o di un oscuro destino.

E quanto all'O. storico, se è vero che talora egli piega la materia a servire le sue idee, senza sottoporla all'indagine paziente, al vaglio scrupoloso delle fonti, donde giudizî superficiali ed errori di fatto, è vero altresì che egli seppe concepire la storia d'Italia con chiara visione del suo millenario svolgimento. Egli guarda avvenimenti e personaggi dall'alto, domina epoche e vicende, discute, investe; rivive lo spirito eroico dei tempi, il tumulto delle passioni e le vicende delle battaglie, i conflitti dei popoli e l'urlo delle rivolte, i vizî e gli eroismi degli uomini e delle nazioni. E sul tumulto dei secoli afferma la funzione mondiale dell'Italia, mentre, con visione profetica di stupefacente esattezza, proclama l'ineluttabilità della guerra mondiale.

Che se l'O. filosofo e politico non crea alcun sistema definitivo e non segue alcun indirizzo preciso, è proprio nel suo pensiero politico che confluisce e sbocca il tormentoso anelito di tutta la vita dell'O. Tutte le scorie sono scomparse nella forma e nel pensiero, e in Rivolta ideale, che egli chiamò suo testamento spirituale, vibra lo spasimo del secolo che muore, appare la coscienza del presente e l'intelligenza del futuro. Fu specialmente ripensando a Rivolta ideale che Benito Mussolini vide nell'O. "un anticipatore del fascismo" e affermò con sintesi scultoria: "Più gli anni passano, più le generazioni si susseguono e più splende questo astro, luminoso anche quando i tempi sembravano oscuri. Nei tempi in cui la politica del "piede di casa" sembrava il capolavoro della saggezza umana, A. O. sognò l'impero; in tempi in cui si credeva alla pace universale perpetua, A. O. avvertì che grandi bufere erano imminenti, le quali avrebbero sconvolto i popoli di tutto il mondo; in tempi in cui i nostri dirigenti esibivano la loro deholezza più o meno congenita, A. O. fu un esaltatore di tutte le energie della razza; in tempi in cui trionfava un sordido anticlericalismo, che non aveva alcuna luce ideale, A. O. volle morire col Crocifisso sul petto a dimostrare che dopo le grandi parole dettate dal Cristianesimo, altre così solenni, così universali non furono più pronunciate sulla faccia della terra".

Al Cardello, che il governo fascista dichiarò monumento nazionale (r. decr. 6 novembre 1924) e volle degnamente restaurato, esiste un'importante raccolta bibliografica, che contiene la collezione dei manoscritti autografi dell'O., le sue opere nelle successive edizioni, i libri e gli opuscoli che lo riguardano, un'ampia raccolta di riviste e giornali che parlano di lui, e inoltre l'epistolario, oggi ancora inedito, dello scrittore.

Prime edizioni: Memorie inutili (Milano 1876); Al di là (ivi 1877); Monotonie (Bologna 1878); Gramigne (Milano 1879); No (ivi 1881); Quartetto (ivi 1883); Matrimonio e divorzio (Firenze 1886); Fino a Dogali (Milano 1889); La lotta politica in Italia (Torino 1892); Il nemico (Milano 1894); Gelosia (ivi 1894); La disfatta (ivi 1896); Vortice (ivi 1899); Ombre d'occaso (Bologna 1901); Bicicletta (ivi 1902); Olocausto (Palermo 1902); Oro, incenso, mirra (Roma 1905); La rivolta ideale (Napoli 1908); Fuochi di bivacco (Bari 1915); Teatro, I (ivi 1920); Punte secche (ivi 1921); (Imola 1923); Gli eroi, gli eventi, le idee, pagine scelte (Bologna 1928).

L'edizione completa delle opere dell'O., a cura di Benito Mussolini, fu iniziata in Bologna (ediz. Cappelli) nel 1923 e terminata nel 1933; comprende 30 volumi.

Bibl.: L. G. Benso, Il sentim. relig. nell'opera di A. O., Roma 1918; L. Donati, La tragedia di O., Ferrara 1919; G. Pentimalli, A. O., Firenze 1921; R. Serra, Scritti inediti, ivi 1923; U. Biscottini, A. O. pensatore e artista, Pisa 1924; F. Cardelli, Da O. al Fascismo, Bologna s. a.; G. Papini, Testimonianze, Milano 1924; A. Micoli, L'anima di A. O., ivi 1924; L. Federzoni, Paradossi di ieri, ivi 1926; P. Zama, O., ivi 1928; V. Piccoli, O., Roma 1929; B. Croce, Lett. di nuova Italia, 3ª ed., III, Bari 1929; E. M. Gray, O. maestro di vita e di potenza, Bologna 1930; G. Policastro, A. O., Catania 1934.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata