ALIMENTAZIONE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

ALIMENTAZIONE

Aldo Mariani-Costantini
Massimo Cresta
Gastone Vettorazzi
Massimo Cresta

(II, p. 498; App. I, p. 87; II, I, p. 136; III, I, p. 70; IV, I, p. 101).

Alimentazione umana e progresso scientifico. - Negli ultimi decenni del 20° secolo, si è conclusa una fase storica dello sviluppo scientifico in materia, iniziato nella seconda metà dell'Ottocento. Di fatto, l'interesse e gli indirizzi di ricerca nel settore si sono allargati, al di là dei domini originari delle discipline da cui erano scaturiti, come la chimica degli alimenti, la fisiologia, lo studio delle patologie per difetto o eccesso. Nuovi impulsi e ulteriori contributi sono via via emersi da problematiche, interazioni e progressi nelle conoscenze, discendenti dalla biologia della nutrizione cellulare, dalla epidemiologia, dalla medicina preventiva, dalla clinica e terapia nel campo biomedico; dalla genetica per il miglioramento selettivo delle specie e dalle tecnologie e biotecnologie alimentari in quello delle scienze agrarie e naturali; dallo studio dei consumi alimentari in quello, infine, delle scienze economiche e statistico-demografiche. Ciò implica che le abitudini alimentari di una popolazione e gli effetti ad esse associati, in una logica di costi/benefici, sono da considerare alla luce di una risposta globale alla domanda di economia e soprattutto di salute che scaturisce dall'universo civile. Di conseguenza (v. fig. 1), le scienze alimentari e nutrizionali vengono a collocarsi al centro di un sistema di relazioni a interfaccia, finalizzate, tramite l'accumulazione di dati conoscitivi di base, all'elaborazione di politiche idonee a realizzare comportamenti alimentari più desiderabili perché più sicuri, sulla base del consenso scientifico e dell'accettabilità sociale.

Politiche dell'alimentazione. − Sono costituite dall'insieme di azioni, deliberazioni e iniziative assunte, centralmente o a livello regionale o locale, da organi di governo o istituzioni all'uopo preposte e volte a provvedere che le disponibilità in alimenti soddisfino i bisogni delle popolazioni per quantità, qualità e varietà. Le principali aree, con connessi strumenti, delle politiche alimentari sono: produzione agricola, attraverso regolamenti e sussidi; import/export; controllo dei trattamenti attraverso la regolamentazione della sicurezza (v. oltre: Sicurezza alimentare), dell'igiene e della pubblicità; discipline della distribuzione e tutela anche informativa del consumatore, in primo luogo con idonea etichettatura degli alimenti e articolati interventi di educazione alimentare. In questo contesto sono evidenti connessioni e feedback fra politiche alimentari e nutrizionali. Così, di fronte a una dimostrata carenza di apporti energetici o di nutrienti indispensabili nell'intera popolazione o nelle fasce più vulnerabili di essa (come bambini, donne, anziani), le politiche alimentari dovranno necessariamente mirare a un maggiore potenziale di approvvigionamento di quegli alimenti che, compatibilmente con le capacità del sistema, potranno risultare più idonei, per densità energetica e nutrizionale, a sopperire all'identificata carenza. Quando, invece, osservazioni sperimentali, epidemiologiche o cliniche portano ad avanzare l'ipotesi di fondate relazioni, pur in un quadro eziopatogenetico multifattoriale, fra determinati consumi e particolari patologie (esempio tipico l'associazione fra troppo elevata percentuale di lipidi a elevata percentuale di acidi grassi saturi e maggiore esposizione al rischio di malattie cardiovascolari), trova fondamento l'assunzione di indicazioni volte a moderare e riequilibrare l'a. quotidiana, secondo logica di prudente protezione della salute.

Geografia dell'alimentazione. − La situazione alimentare mondiale continua a essere caratterizzata da un profondo divario fra sovrabbondanza di risorse (con fenomeni legati a eccessi e/o squilibri di consumo) nei paesi sviluppati e povertà e malnutrizione (in particolare malnutrizione proteico-energetica e anemia sideropenica) in quelli in via di sviluppo. La tab. 1 dimostra infatti che, tenendo conto delle disponibilità di energia (kcal pro capite/giorno), la situazione globale appare solo leggermente migliorata (da 2340 a 2630 kcal/giorno nel corso del periodo tra 1961-63 e 1979-81). Il tasso d'incremento medio annuale tende peraltro a decelerare negli ultimi anni considerati, sul piano sia mondiale sia regionale. Sotto quest'ultimo angolo visuale si nota comunque che consistenti miglioramenti sono stati ottenuti soltanto nel Vicino Oriente e soprattutto nei paesi a economia centralmente pianificata dell'Asia. Ancor più preoccupante è l'analisi allorché le variazioni intervenute nei paesi in via di sviluppo sono commisurate ai diversi livelli di sviluppo economico. È infatti evidente come la scala di recupero risulti praticamente insussistente nei paesi con il minimo grado di sviluppo economico.

Sottosviluppo e sottoalimentazione. − Ancora più drammatica è la situazione se si prendono in esame i singoli paesi in via di sviluppo in rapporto alla situazione demografica (tab. 2). Secondo i dati FAO, su 112 paesi in via di sviluppo per i quali è possibile vagliare i bilanci alimentari, sono sempre numerosi quelli (prevalentemente africani) in cui, in funzione di crescenti tassi di aumento della popolazione, le disponibilità alimentari energetiche in atto appaiono ridotte o quanto meno stazionarie. Anche senza entrare nel merito degli insufficienti apporti sia in generi alimentari, sia in nutrienti in essi contenuti, la situazione resta dunque particolarmente seria nei riflessi delle condizioni nutrizionali sulle popolazioni interessate, come dimostra la tab. 3 che riporta il preoccupante numero di iponutriti nei paesi suddetti. Le due stime presentate discendono dal fattore di moltiplicazione (1,2 o 1,4) del valore del metabolismo basale (MB), assunto come soglia (cut off point) della iponutrizione. La gravità del fenomeno è messa in particolare evidenza dalla fig. 2. Sul piano mondiale, sebbene la percentuale di iponutriti si sia ridotta fra il 1969-71 e il 1979-81, in cifre assolute gli individui iponutriti risultano aumentati (pur adottando la soglia più bassa).

Per risalire la china i paesi in via di sviluppo si trovano quindi ad affrontare difficoltà enormi e di lungo periodo, considerata la multidimensionalità del problema alimentare che li coinvolge e nel cui ambito particolarmente pesano: a) la spirale del debito;. b) la stagna zione della produzione come dimostrano, tra l'altro, i dati 1986-88 (fig. 3); c) la regolamentazione del commercio internazionale (GATT ovvero General Agreement on Tariffs and Trade), che nell'attuale fase (The Uruguay Round), iniziatasi nel 1987, prospetta difficoltà e ostacoli con implicazioni sulla totalità della produzione agroali mentare.

Alimentazione e ambiente. − È perciò evidente la necessità di elaborare una strategia mirante a una più razionale utilizzazione delle risorse globali nell'agricoltura e nell'industria e quindi a uno sviluppo compatibile con l'ambiente: in altre parole, tale da non impoverirlo e/o addirittura distruggerlo. Lo sviluppo tecnologico della società inteso come crescente miglioramento degli standard di vita, e in particolare di più estesa sicurezza alimentare e nutrizionale, minaccia di comportare, infatti, se applicato a una popolazione mondiale in continuo aumento, un'accelerata diminuzione degli stocks di risorse naturali pro capite e una sempre più forte pressione sugli equilibri ambientali.

In effetti, la rapidità con la quale questi fenomeni stanno accadendo evidenzia, in fase di definizione delle politiche di sviluppo dei sistemi agroalimentari, la necessità di un approccio integrato in grado di analizzare la interconnessione tra funzione alimentare, consumo di risorse energetiche impiegate nelle varie fasi del ciclo produttivo (soprattutto quelle non rinnovabili quali il petrolio) e mantenimento dei più opportuni equilibri nell'ambiente. Ciò riguarda chiaramente, al di là del problema del sottosviluppo, l'impatto ambientale globale del sistema alimentazione. La produzione agricola, infatti, selezionando varietà genetiche più convenienti per l'uomo, provoca una semplificazione della complessità degli ecosistemi naturali, riducendone la capacità di riciclare inquinanti e di conservare la fertilità del suolo. Chiaramente ciò interferisce con i cicli bio-geo-chimici che sono responsabili, tra l'altro, del mantenimento dei livelli naturali di anidride carbonica e di ozono nell'atmosfera e del mantenimento dei cicli dell'acqua. Per un più approfondito studio del problema sono stati recentemente proposti modelli di analisi energetica dei processi. Essi consentono di valutare opportunità ed effetti di cambiamenti tecnologici nei sistemi agroalimentari, fornendo una visione globale della funzione alimentare in relazione alle ripercussioni sull'efficienza economica delle società e sull'equilibrio ambientale.

Alimentazione sovrabbondante nei paesi sviluppati. − Come evidenziato nella tab. 1, le disponibilità alimentari energetiche nei paesi sviluppati tendono a eccedere le effettive necessità fisiologiche (valutabili mediamente in 2800 kcal pro capite/giorno). Ciò si verifica proprio mentre queste tendono a ridursi per la minore attività fisica nel lavoro, il sempre più diffuso uso di mezzi meccanici nella vita intra ed extradomestica, il riscaldamento artificiale, ecc. Nello stesso tempo appare modificato il profilo dei consumi alimentari: è diminuita l'assunzione di alimenti energetici di base come cereali e patate, oltre che di vegetali ricchi in fibra, mentre è aumentato il consumo di zuccheri, grassi totali e soprattutto animali.

L'Italia, nel passaggio da società prevalentemente agricola (quale era ancora negli anni Cinquanta) a società industriale matura, fornisce (fig. 4) un esempio eclatante della modificata tipologia alimentare. In questo contesto, un indice dell'eccesso alimentare sul piano quantitativo, come apporto di energia non spesa e quindi depositata sotto forma di grasso nel corpo, è fornito dalla prevalenza, tra la popolazione, del sovrappeso e dell'obesità.

Quest'ultima è definibile, sulla base degli indici pondo-staturali di volta in volta utilizzati, come un eccesso superiore al 20% del peso relativo, o con una cifra superiore a 30 dell'Indice di Massa Corporea (IMC = Peso/Statura2). Comunque negli anni Ottanta, in Italia, sovrappeso e obesità sono arrivati a raggiungere, già in età precoce, livelli di prevalenza di 17% e 25% rispettivamente per le fasce di età prescolare (3-6 anni) e scolare (6-11), mentre negli adulti, tra 30 e 60 anni, si raggiungono livelli tra il 45% e il 55% negli uomini e del 40-65% nelle donne. Nell'età più avanzata, oltre i 60 anni, la prevalenza del sovrappeso e dell'obesità tocca livelli del 54% e 80%, rispettivamente tra gli uomini e le donne. Ciò porta la popolazione italiana a collocarsi, per "malnutrizione da abbondanza" (come viene definita dalla FAO), nel novero dei paesi più ''ricchi'' dell'Occidente industrializzato; e anzi superandoli, specie per alcune fasce di età, visto che in Gran Bretagna, nei primi anni Ottanta, il 39% dei maschi e il 32% delle donne risultavano in sovrappeso od obesi. Pur con altri criterii negli Stati Uniti, nello stesso periodo, la sola obesità interessava il 28% dei maschi e il 19% delle donne.

Poiché, comunque, l'eccesso di peso, nonché il menzionato maggior consumo di lipidi ricchi di acidi grassi saturi si associano alla comparsa delle malattie oggi a più larga diffusione (come malattie cardiovascolari, diabete e gli stessi tumori), vari governi e organismi e istituzioni scientifiche hanno ritenuto necessario formulare negli ultimi anni linee guida di comportamento alimentare a tutela del benessere fisico, sociale ed economico delle popolazioni.

Il primo importante esempio di direttiva alimentare per la protezione della salute è rappresentato dai Dietary Goals for the United States, enunciati (1977) dall'U. S. Senate Select Commitee on Nutrition and Human Needs, che rappresentano il primo tentativo volto a determinare, congiuntamen te, i livelli massimali di assunzione e gli equilibri o la tipologia alimentare più convenienti per la salute. In particolare, mirano ad avviare una sorta di riabilitazione del comportamento alimentare in una società industriale matura, caratterizzata da abbondanza di disponibilità e di consumi effettivi. A questo proposito, in funzione della situazione e dei problemi riguardanti il nostro paese, è da notare che il modello alimentare suggerito dai Dietary Goals veniva a corrispondere a quello medio italiano, tipicamente mediterraneo, dell'inizio degli anni Cinquanta. A queste prime indicazioni sono via via seguite: le indicazioni alimentari per il Regno Unito; le Dietary Guidelines for Americans (U. S. Department of Agricolture e Department of Health and Human Services 1980-85); le Linee Guida per una sana alimentazione italiana (Istituto Nazionale della Nutrizione 1986); il rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per la Regione Europea (1988) a favore di una sana a. per prevenire le malattie correlate alla nutrizione; infine le raccomandazioni (1989) del National Research Council (NCR) − National Academy of Sciences (USA).

Anche la FAO, nella Settima conferenza regionale per l'Europa (Vene zia, aprile 1990), ha posto come tema centrale della riunione il problema dell'equilibrio dell'a. per assicurare un soddisfacente stato di nutrizione e proteggere la salute. In pratica, le varie raccomandazioni formulate convengono sull'opportunità di: evitare il sovraconsumo alimentare, controllando il mantenimento del peso corporeo nei limiti desiderabili; moderare il consumo di alimenti troppo ricchi in acidi grassi saturi e colesterolo, aumentando per contro il consumo di alimenti a minor contenuto lipidico e di pesce; aumentare il consumo di alimenti vegetali (cereali, legumi, ortaggi) ricchi in amido e in fibra; moderare il consumo di zucchero, di sale e quello eventuale di bevande alcooliche; variare opportunamente e frequentemente le scelte alimentari nell'ambito di gruppi specificamente classificati per caratteristiche nutrizionali (come per es. vari tipi di prodotti lattiero-caseari, vari tipi di carne, di cereali, ortofrutticoli, ecc.).

Qualità dell'alimentazione. − È un problema d'interesse fondamentale, comprendendo globalmente: qualità nutrizionali, qualità organolettiche, sicurezza (v. oltre, Sicurezza alimentare); gli aspetti cioè che sono stati individuati come parametri reali della valutazione degli alimenti e che, a seconda degli obiettivi considerati prioritari, sono stati in passato indicati come qualità biologica o merceologica. L'ottimizzazione della qualità in una visione più attuale e globale mira piuttosto a una valutazione integrata di tutti gli aspetti che la riguardano. In questo senso le più avanzate tecnologie, come le cosiddette mild technologies (ovvero tecnologie delicate), si propongono la massima possibile ritenzione dei valori naturali (sia sensoriali, sia nutrizionali) degli alimenti. Mentre le tecnologie volte all'abbattimento di contaminanti e xenobiotici (sia sul campo, sia nei successivi trattamenti) tendono a garantire una sempre maggiore sicurezza.

Si delinea, quindi, una visione articolata e complessa della qualità che, a parametri intrinseci di qualità biologica, sostanzialmente risultante dall'interazione alimento-organismo, affianca requisiti di gestione, quali costo, comodità d'uso e conservabilità, e di sviluppo quali costanza di qualità, differenziazione e innovazione. Sul piano operativo nascono, tuttavia, una serie di problemi nella ricerca di nuovi approcci. Il principale riguarda ''come'' valutare la qualità in funzione di processi e prodotti in continua evoluzione, avendo presente che l'avanzamento delle scienze affini offre la possibilità di elaborare nuove metodologie sempre più affidabili, precise e con maggiori capacità selettive da vagliare praticamente, in quanto la qualità ottimale non è chiaramente raggiungibile. Le difficoltà aumentano quando la valutazione di qualità si sposta da un alimento o suo ingrediente a una combinazione di alimenti che si configuri come piatto pronto o pasto completo. Ciò comporta problemi sul piano metodologico, sia per quanto riguarda gli alimenti per sé (come la conoscenza della composizione completa degli alimenti in nutrienti, non nutrienti, antinutrienti; possibilità di predire le eventuali interazioni tra questi costituenti, in rapporto ai trattamenti subiti e alla loro storia, e di valutare il rischio di eventuali artefatti), sia per quanto riguarda l'introduzione di nuove biotecnologie (come l'ingegneria genetica nella produzione di alimenti a composizione mirata e nella diagnostica di qualità).

In conclusione, nel vasto campo dell'a., a fronte dei pur notevoli progressi compiuti, molti importanti temi restano da studiare e risolvere in vista del 21° secolo. Essi riguardano, in una logica di auspicate compatibilità, il perseguimento dell'obiettivo ''cibo sufficiente e sicuro per tutti'', nel rispetto di valori sociali e culturali fra cui, prioritariamente, la difesa dell'ambiente naturale come base indispensabile per la migliore salute dell'uomo. Vedi tav. f. t.

Bibl.: Commission of the European Communities, Symposium on nutrition, food technology and nutritional information, Bruxelles 1981; Istituto Nazionale della Nutrizione, Linee Guida per una sana alimentazione. Dossier scientifico di base, Roma 1986; Id., Atti del Simposio del 50° Anniversario. Una migliore nutrizione per una migliore qualità della vita, ivi 1986; FAO, 1985: The fifth world survey, ivi 1987; M. A. Spadoni, C. Peri, M. I. Contino, Nuove frontiere delle tecnologie alimentari: le ''mild technologies'', ivi 1987; A. Ferro-Luzzi e altri, Nutritional vulnerability of the italian elderly: facts and figures, in Proceedings of International meeting food safety and health protection, ivi 1988, pp. 275-94; FAO, 1989: The state of food and agriculture. Sustainable development and natural resource management, ivi 1989; Committee on Diet and Health, Diet and health: Implications for reducing chronic disease risk, National Research Council, Washington D.C. 1989; W. P. T. James, Nutrizione e salute, Milano 1990; FAO, 17th Regional conference for Europe. Balanced diet: a way to good nutrition, Venezia, aprile 1990; D. Pimentel, W. Dazhong, M. Giampiero, Technological changes in U.S. agricultural energy use, in Agroecology: researching the ecological basis for sustainable agriculture, a cura di S. R. Gliessman, New York 1990.

Costi energetici dell'alimentazione. − L'espressione ''costi energetici dell'a.'' fa riferimento alla quantità di energia utilizzata nella produzione agricola alimentare. Tali costi sono anche espressi sotto forma di bilanci, procedura con la quale si misura il rendimento del sistema produttivo (R) in termini di energia presente negli alimenti ottenuti (Eo) rispetto a quella utilizzata per produrli (Eu). Ne deriva che R = Eo / Eu. L'energia utilizzata nel processo di produzione alimentare viene abitualmente distinta in energia umana e in energia commerciale. Questa, a sua volta, comprende: i costi energetici per la fabbricazione di macchine e attrezzi agricoli; quelli per la produzione di fertilizzanti, pesticidi, semi selezionati; il consumo di carburante per l'uso di macchine (trattori, trebbiatrici, automezzi); l'utilizzazione di energia elettrica per condizionare la produzione. Anche il lavoro compiuto dagli animali da traino è incluso nel concetto di energia commerciale.

Dal 1970 al 1987, a livello mondiale, la popolazione urbana è aumentata dell'87%, quella rurale è aumentata invece del 45% e gli attivi nell'agricoltura sono aumentati solamente del 22%. Questo significa che oggi, a livello mondiale, ogni addetto all'agricoltura deve provvedere all'a. di un numero maggiore di individui rispetto a quanto accadeva 18 anni fa. Il fenomeno è ancora più vistoso in alcuni continenti e paesi, e comunque esprime una tendenza manifestatasi da lungo tempo. In Italia, per es., coloro che operano nel settore dell'agricoltura sono passati, dal 1911 al 1981, da 9 milioni di addetti a poco più di 2 milioni. Nello stesso tempo, la popolazione totale è passata da 26,5 milioni a 56,3 milioni. Questo significa che, nel 1911, un addetto all'agricoltura doveva provvedere a 2,9 persone; nel 1981, il numero di persone a carico è passato a 25,4. L'aumento della popolazione urbana e il corrispettivo decremento di quella rurale ha creato, com'è noto, vari problemi di carattere socio-economico e ambientale: tra i molti, quello di proporre soluzioni volte ad aumentare la produttività agricola. La produzione alimentare è il risultato di una continua sfida dell'uomo alla natura: trasformare cioè quanto più è possibile l'energia del sole in energia alimentare.

L'uomo, per vivere, ha bisogno di energia: per il lavoro incessantemente compiuto dal cuore e dai muscoli respiratori; per mantenere il tono dei muscoli scheletrici durante la stazione eretta e nel lavoro (quando cammina, quando svolge un'attività fisica, ecc.). Ha bisogno inoltre di energia per produrre il calore necessario per la termoregolazione (v. anche metabolismo: Trasformazioni dell'energia, in App. IV, ii, p. 437). L'unica possibilità di rigenerare l'energia spesa in queste attività fisiologiche è quella di riceverla dai lipidi, glucidi e protidi contenuti negli alimenti. Gli organismi vegetali, a loro volta, per sintetizzare queste sostanze energetiche hanno bisogno dell'energia proveniente dal sole. Il sole, in definitiva, è il primo motore del ciclo energetico della vita: sia per i vegetali che, ricevendo direttamente l'energia dal sole, sono chiamati organismi autotrofi; sia per l'uomo e gli altri animali che, ricevendo indirettamente energia dal sole attraverso le piante, sono chiamati per tale motivo organismi eterotrofi. L'uomo e altre specie animali, in effetti, possono trarre energia alimentare anche da altri animali, i quali tuttavia devono a loro volta riceverla dai vegetali.

La parte di energia utilizzata dal manto vegetale che ricopre la terra è piuttosto piccola; la maggior parte dell'energia inviata dal sole sulla terra ritorna infatti nell'atmosfera. Prima dell'avvento dell'agricoltura gli uomini si nutrivano di quello che la natura metteva loro a disposizione; per raccogliere gli alimenti vegetali prodotti spontaneamente dalla natura essi dovevano quindi spostarsi molto di frequente, con l'intento di procurarsi in breve tempo una scorta di cibo sufficiente per alcuni giorni. Il costo energetico dell'a. era dunque piuttosto basso e il bilancio energetico dell'operazione era altamente positivo. Con l'avvento dell'agricoltura, invece di spostarsi continuamente per procurarsi nuovo cibo, l'uomo ha dovuto mettere a punto nuove strategie per rendere favorevole il rapporto tra l'energia spesa per produrre alimenti e l'energia ricavata dagli alimenti prodotti.

Agli inizi della sua storia agricola, l'uomo ha potuto fare ricorso solo al suo lavoro. Questa situazione è quella che si verifica ancora oggi presso la maggior parte delle popolazioni agricole che vivono nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, in cui il lavoro umano rappresenta l'80÷90% dell'energia totale spesa per la produzione agricola. La quantità di prodotto che si ricava non è generalmente alta, ma neppure è alto il costo energetico per ottenerla cosicché il bilancio è sempre altamente positivo. Si ottiene cioè molta più energia alimentare di quella che si spende per produrla. Un esempio significativo è quello di una tipica famiglia contadina messicana che ottiene due raccolti di cereali all'anno. La spesa di energia risulta di 360.000 chilocalorie (kcal), di cui 310.000 (equivalenti a 103 giornate lavorative) fornite sotto forma di lavoro umano, per pulire il terreno, recingerlo, seminare, diserbare, raccogliere e trasportare il prodotto. Se i due raccolti di mais ammontano a 2 t, la famiglia di quel contadino ricava circa 7 milioni di kcal, ossia circa 19 volte la quantità di energia spesa (7.000.000 : 360.000).

Non dissimili i risultati ottenuti dal contadino della Nuova Guinea, che produce taro o manioca. Egli spende circa 750.000 kcal di cui 700.000 (pari a 250 giornate lavorative) sotto forma di lavoro umano, per ricavare circa 11.500.000 kcal sotto forma di tuberi. Il ren dimento energetico dell'operazione agricola è quindi di 15 volte (11.500.000 : 750.000).

Quindi, nei paesi con agricoltura arretrata, l'uomo produce mol ta più energia di quanta ne spenda, ma il contadino resta tuttavia povero. Quello che produce è il risultato di operazioni agricole altamente 'redditizie' sul piano del bilancio energetico ma la quantità ricavata è sufficiente solo a fornire a lui e alla sua famiglia l'energia di cui hanno bisogno per vivere. Non c'è surplus; non c'è quindi nulla (o poco) da trasformare in beni che potrebbero migliorare la condizione di vita.

Con l'acquisizione di più avanzate tecnologie sono sorte nuove strategie produttive: al rendimento energetico si aggiunge l'importanza del rendimento economico. Utilizzando le tecnologie adeguate si spende anche più energia: il rendimento dell'operazione agricola diminuisce, ma si produce di più per unità di superficie e per lavoratore agricolo. L'agricoltore statunitense, per es., per coltivare un ha di frumento spende complessivamente circa 3 milioni di kcal e ne ricava solo 6.800.000: il rendimento è quindi di 2,4, ossia 7 volte inferiore a quello ricavato dal lavoro del contadino messicano o di quello della Nuova Guinea. Ma il lavoro umano dedicato a questa operazione è solamente di 7 ore, pari circa a una giornata lavorativa; il resto è energia che proviene tutta dalle macchine e dal carburante necessario per il loro funzionamento, o che riguarda la produzione di diversi inputs agricoli. Il contadino statunitense ha quindi altre 200 giornate lavorative in un anno da utilizzare per lavorare altri 100÷200 ha di terreno e portare la sua produzione totale annua di grano a 200 t, ossia quanto serve per alimentare circa 100 persone.

Su scala mondiale, la questione dei costi energetici complessivi nella produzione agricola alimentare si pone quindi nei seguenti termini: la maggior parte dell'umanità, quella che vive nei paesi in via di sviluppo, fa ricorso sostanzialmente all'energia umana, la produzione è scarsa, costa poco dal punto di vista energetico ma costa molto come lavoro umano. L'altra parte dell'umanità, quella che vive nei paesi industrializzati, fa largo ricorso all'energia commerciale; la produzione è abbondante ma con alti costi energetici. Nel primo caso, il contadino riesce a produrre solo per la sua famiglia, ma non ricava profitti e non può migliorare la qualità della vita. Nel secondo caso, egli produce soprattutto per molte altre persone, traendone un reddito e un miglioramento della condizione di vita.

L'importanza dei costi energetici che regolava il rapporto tra uomo e ambiente alimentare all'inizio dell'agricoltura (e, ancora prima, durante l'epoca della caccia e della raccolta), viene in quest'ultimo caso integrata e a volte sostituita dall'importanza dei costi e dei benefici economici della produzione. Si giunge perciò a paradossi come questo: l'uomo tecnologico produce il mais con un rendimento energetico di 2,7 volte, ma fa consumare questo mais a bovini che producono carne con un rendimento energetico molto più basso (0,08). L'uomo, in definitiva, spende una quantità di energia per ottenere un prodotto che è vantaggioso solo sul piano economico.

Bibl.: C. Leach, Energy and food production, Guikdford 1976; M. A. Pimentel, M. Pimentel, Food, energy and society, Londra 1979; The ecosystem concepts in anthropology, a cura di E. F. Moran, Washington D.C. 1984; M. Cresta, Una politica di prevenzione per la lotta contro la malnutrizione, in La medicina tropicale nella cooperazione allo sviluppo, Roma 1985.

Sicurezza alimentare. − Nella sua accezione attuale 'sicurezza alimentare' rappresenta un concetto nuovo, che utilizza fruttuosamente i simultanei progressi della scienza dell'a., della nutrizione e della tossicologia alimentare, delle tre discipline, cioè, che hanno contribuito a precisare i concetti di 'cibo', di 'alimento' e di 'sicurezza'. Modernamente, cibo è tutto quello che 's'ingerisce' (miscela di migliaia di sostanze); alimento è la parte del cibo che 'nutre' (viene, cioè, impiegato nell'organismo umano per soddisfare il fabbisogno energetico e plastico); cibo sicuro è quello dichiarato tossicologicamente accettabile.

La medicina tradizionale, con una visione, in realtà, abbastanza semplicistica, aveva attribuito all'organismo la capacità di distinguere nel cibo la quota proficua, di assimilarla, e di eliminare il resto. Oggi si sa che la parte non assimilabile del cibo può contenere una serie di sostanze a effetto tossico acuto (per es., virus, batteri, protozoi, tossine) e altre a effetto protratto (per es., agenti carcinogeni, mutageni, teratogenici); per quanto concerne la quota assimilabile, la capacità di discernimento dell'organismo può variare secondo circostanze genetiche e ambientali; nel tratto gastro-intestinale esistono agenti trasformatori (flora intestinale) che possono rendere assimilabile quello che non dovrebbe esserlo, e viceversa. Lo scenario scientifico odierno è molto più complesso di quello che la medicina tradizionale è riuscita a prefigurare. Dallo sviluppo delle scienze tossicologiche ci si aspetta che si faccia luce su molti di questi problemi. Per suo conto, la sicurezza alimentare che comprende tutti questi aspetti e che sfrutta le nuove conoscenze di tossicologia alimentare, mira principalmente ai seguenti obiettivi: 1) eliminare dal cibo tutti gli elementi nocivi, assimilabili e non assimilabili; 2) promuovere ricerche per una migliore conoscenza del meccanismo di azione delle capacità discriminative del tratto gastro-intestinale nei confronti della porzione assimilabile del cibo, e ciò al fine di: a) modulare e/o condizionare tali capacità; b) identificare fattori che possano neutralizzare gli effetti indesiderati causati da agenti trasformatori a livello gastro-intestinale (flora intestinale) e metabolico (enzimi).

Tossicologia alimentare e di regolamentazione. - La tossicologia alimentare fornisce i dati scientifici per valutare la sicurezza alimentare; quella di regolamentazione stabilisce il tipo e il numero dei saggi necessari per la valutazione della sicurezza delle sostanze contenute nel cibo. La valutazione di sicurezza ha una funzione di tossicologia predittiva e interpretativa; ne consegue che i dati tossicologici necessari dovranno essere idonei, specifici e adeguati allo scopo. Questo tipo di valutazione mira a proteggere il consumatore non solo dagli effetti nocivi immediati indotti da una sostanza nel momento in cui entra in contatto con l'organismo in dosi molto elevate, ma anche da quelli che si verificano quando essa entra in contatto, soprattutto per via orale, in dosi relativamente piccole, come nel caso di additivi, residui di fitofarmaci, ormoni e contaminanti vari (per es., micotossine, piombo, mercurio, cadmio, ecc.) che s'incontrano nel cibo come risultato di contaminazione ambientale, naturale o industriale, o di uso volontario.

Qualora la tossicologia, con riferimento ai fini operativi e alle variabili (dose, durata di esposizione, dimensione statistica della popolazione interessata) che li condizionano, sia suddivisa in tre livelli, i problemi ora accennati sono collocati nel terzo livello, essendo integrati al 1° livello dalla tossicologia clinica (aspetti clinici e terapeutici dell'esposizione a dosi elevate) e al 2° livello dalla tossicologia occupazionale (osservazioni epidemiologiche). Il 3° livello, la tossicologia ambientale, si occupa della definizione dei criteri di prevenzione sulla base di modelli sperimentali idonei alla valutazione degli effetti a lungo termine sulla salute umana di un'assunzione, a dosi basse ma a carattere continuativo, di sostanze di origine industriale e/o di contaminanti ambientali di origine sia naturale sia volontaria. Il cibo forma parte dell'ambiente considerato come un continuum che include, in aggiunta, acqua, aria, suolo. Sia la tossicologia ambientale, sia quella di regolamentazione, si servono della metodologia e dei dati sviluppati dalla tossicologia sperimentale. Tali dati costituiscono la base per la formulazione di norme atte a stabilire la sicurezza alimentare sul piano tossicologico.

La competenza in tal senso sul piano internazionale è propria di alcuni comitati di esperti sponsorizzati congiuntamente dall'Organizzazione per l'Agricoltura e l'Alimentazione delle Nazioni Unite (FAO) e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): quello sugli additivi alimentari (JECFA) e quello sui residui dei pesticidi (JMPR).

Questi comitati si muovono secondo dettami scientifici ormai classici: a) raccolta di dati tossicologici significativi derivanti da esperimenti compiuti su animali di laboratorio, integrati, quando possibile, da osservazioni sull'uomo; b) interpretazione dei dati, volta a stabilire il limite di tollerabilità della sostanza in esame. La fig. 5 mostra l'articolazione dei metodi tossicologici (1) che guidano alla stesura di appropriati disegni sperimentali (2) intesi alla raccolta di adeguate informazioni (3) che, previa un'accurata interpretazione (4), costituiscono la base delle conclusioni tossicologiche (5) dalle quali deriva la regolamentazione (6) per l'uso senza rischio della sostanza controllata.

Dose Giornaliera Accettabile o Ammissibile. - La dizione Dose Giornaliera Accettabile o Ammissibile (DGA) indica la quantità di una sostanza chimica che può essere assunta giornalmente durante tutto l'arco della vita senza esporre l'organismo umano ad alcun rischio apprezzabile. Tali dosi sono calcolate sulla base di tutti i dati tossicologici disponibili al momento; la precisazione "senza rischio apprezzabile" sta a indicare la probabilità della non-occorrenza di un effetto nocivo: l'elemento probabilità è fondamentale nell'ambito della sicurezza alimentare, così come lo è in qualsiasi altro tipo di sicurezza. Tale espressione, spesso abbreviata in DGA, viene usata per specificare allo stesso tempo un concetto tossicologico e un valore numerico, quest'ultimo espresso in termini di milligrammi per chilogrammo di peso corporeo (mg/kg di peso corporeo). Il concetto, a sua volta, è basato sul fatto, ormai generalmente accettato in tossicologia, che tutte le sostanze chimiche, siano esse naturali o di sintesi, hanno un coefficiente di tossicità, e quindi di pericolosità, che varia con la loro natura e con la loro quantità.

Il valore numerico di una DGA deriva principalmente da dati sperimentali ottenuti su animali di laboratorio e/o da appropriate osservazioni sull'uomo e rappresenta l'applicazione a ogni sostanza particolare del concetto che è stato indicato. Questi valori sono d'importanza capitale nella tossicologia di regolamentazione: sono presi in seria considerazione sia nella fase di registrazione di un prodotto, sia nella fase di controllo dell'estensione del suo uso, come specificato nell'atto di registrazione.

Additivi alimentari intenzionali. - L'importanza oggi attribuita alla sicurezza degli additivi alimentari non deve far dimenticare che fino a poche diecine di anni fa l'attenzione della sicurezza alimentare era rivolta quasi esclusivamente alla prevenzione delle affezioni causate dalla contaminazione biologica dei cibi: tale situazione è ancora prevalente nella maggior parte delle nazioni non industrializzate. Si deve pure ricordare che la prima generazione di additivi alimentari è stata introdotta proprio per evitare gli effetti indesiderati − tossici e tecnici − dovuti alla carica batterica e protozoaria dei cibi. L'utilizzazione dei conservanti e degli antiossidanti ha dato un contributo decisivo al controllo delle forme d'intossicazione acuta di origine biologica. Per additivi intenzionali s'intendono quelle sostanze naturali o di sintesi che vengono aggiunte al cibo per ragioni tecnologiche o di convenienza. Le più importanti sono: a) mantenere il potere nutritivo del cibo; b) innalzarne qualità e stabilità per ridurre la deperibilità delle derrate alimentari; c) produrre cibi che dal lato organolettico risultino più attraenti per il consumatore; d) facilitare la lavorazione dei cibi. Esistono, però, situazioni nelle quali gli additivi alimentari non devono essere usati: a parte, ovviamente, i casi di tossicità, il loro uso dev'essere proibito, in linea generale, quando non corrisponda a un interesse precipuo del consumatore e serva a mascherare lavorazioni e tecniche negligenti, oppure a ingannare il consumatore, ridurre sostanzialmente il potere nutritizio di un cibo, ovvero serva semplicemente a indurre un effetto ottenibile diversamente, con buone pratiche di lavorazione economicamente possibili. In conclusione, l'uso degli additivi alimentari dev'essere giustificato tecnologicamente da un vantaggio della comunità e del consumatore, la quantità usata non deve eccedere il valore minimo efficace per una buona pratica di lavorazione e, soprattutto, condizione imprescindibile, sia stata accertata col massimo rigore la sicurezza di tali additivi sul piano tossicologico.

Additivi alimentari accidentali e contaminanti. - Il termine 'additivo' è esteso anche a sostanze che pervengono negli alimenti accidentalmente in una qualsiasi fase della loro produzione o lavorazione, come i pesticidi in agricoltura o gli ormoni nella pratica veterinaria (additivi alimentari accidentali). Possono essere rappresentati da sostanze che per la loro abituale estraneità all'organismo sono dette xenobiotiche. Tale denominazione non deve essere intesa come sinonimo di tossicità, perché nell'ambito di tali sostanze accanto a quelle dotate di un potenziale tossico ne esistono altre biologicamente inerti e altre le cui caratteristiche, in tal senso, non sono state ancora accertate. Deve altresì essere tenuta presente l'importanza dell'apporto arrecato dal concetto di xenobiosi in tossicologia: esso ha permesso di stabilire priorità nelle valutazioni di sicurezza e ha contribuito a sfatare il preconcetto secondo cui ciò che è naturale è automaticamente buono e ciò che è artificiale è automaticamente cattivo. Altre sostanze, infine, come il piombo, il mercurio, il cadmio e le aflatossine hanno solo funzione contaminante; è interessante a tal riguardo notare che mentre per gli additivi alimentari accidentali possono essere istituite misure di controllo dirette, per i contaminanti possono essere attuate solo misure di controllo indirette. Il problema è ulteriormente complicato dalla polivalenza di certe sostanze (per es. le vitamine A e D, il rame e lo zinco) che a una certa dose esercitano una funzione essenziale per l'organismo mentre a dosi più alte producono effetti tossici: in questi casi la valutazione di sicurezza consiste nello stabilire la dose ottimale di assunzione. Il panorama delle complicazioni aumenta se si considera la contaminazione alimentare da radiazioni ionizzanti sia intenzionali, come nei trattamenti di conservazione, sia non intenzionali, come nell'aumento di radiazioni ionizzanti dovuto ad accidenti o a esperimenti nucleari. Nel complesso, di fronte a uno scenario così ampio qual è quello derivante dagli attuali sviluppi della sicurezza alimentare, dovranno essere riviste alla luce dei principi della scienza e della tecnologia dell'a. quelle proprietà sociali, magiche, superstiziose o religiose sovente attribuite ai cibi da antiche tradizioni culturali (v. anche alimentari, industrie, in questa Appendice).

Antropologia dell'alimentazione. − Studia il comportamento dell'uomo con riferimento al modo in cui gli individui o gruppi di individui scelgono, consumano e usano alcune parti degli alimenti disponibili, in risposta alle pressioni sociali e culturali dell'ambiente di vita (abitudini alimentari). L'antropologia alimentare studia quindi i significati che l'a. è venuta acquistando in conseguenza della sua importanza nella vita umana come risposta alla necessità di soddisfare bisogni fondamentali per la sopravvivenza degli individui. L'antropologia dell'a. studia anche i rapporti e i mezzi di produzione degli alimenti e il sistema di scambi e di circolazione dei beni alimentari, per il ruolo fondamentale che tale sistema complessivamente svolge nelle relazioni sociali e per l'importanza che esso acquista nella cultura e nel simbolismo alimentare delle popolazioni.

È noto che la scelta e i costumi alimentari sono rivestiti di significati simbolici di vario tipo che si innestano sulla personalità di base dell'individuo già nei primi mesi di vita e nei successivi periodi dell'età evolutiva.

Questo fatto è anche causa, a volte, di risposte di carattere patologico, che si esprimono con alterazioni dell'appetito e con disturbi psicosomatici a livello dell'apparato digerente (per es. l'avidità per il cibo di bambini obesi, il rifiuto del cibo, il vomito psicogeno, ecc.). Nelle età successive, si delineano altre valenze culturali e simboliche dell'a. per effetto dell'integrazione sociale dell'individuo: esse riguardano sia i caratteri dei pasti sia le scelte alimentari.

È noto che nel corso del pasto possono affiorare molteplici comportamenti, diversamente motivati: per es., atti rituali (preghiere di ringraziamento), astensione abituale o ricorrente da particolari alimenti (dettata ora da motivi religiosi, ora da tabù culturali, da pregiudizi correnti o personali); i pasti possono rappresentare momenti di aggregazione familiare o sociale, di comunicazione, di rinsaldamento di rapporti, di interazione lavorativa, di rafforzamento dell'immagine di status, o altro; e l'assegnazione del posto ai commensali riflette di solito il ruolo familiare e sociale di questi ultimi.

Sul ''repertorio alimentare'' di una popolazione si innestano poi altre valenze culturali e simboliche in quanto, come dice T. Seppilli, esso rappresenta "il serbatoio di potenziali cibi culturalmente caratterizzati e l'insieme di regole per la loro selezione e organizzazione nella concreta preparazione dei pasti". Nella definizione del repertorio alimentare concorrono vari elementi che vanno dalla produzione e circolazione dei beni, al ruolo che nel sistema simbolico ricopre ciascun alimento nella selezione e organizzazione dei pasti, e nelle forme di consumo del cibo.

Affinché gli alimenti siano presenti nel repertorio è infatti necessario, innanzitutto, che essi siano disponibili, e che quindi sussistano i necessari requisiti produttivi: condizioni ambientali (temperatura, disponibilità di acqua, ecc.), conoscenze tecniche, efficienza dei mezzi di trasporto, conservazione, distribuzione e altro. È opportuno, infine, che il sistema di circolazione consenta di far giungere alcuni alimenti anche lontano dai luoghi di produzione.

Tutti questi elementi rientrano nella risposta sociale alla nutrizione, espressione di un bisogno essenziale dell'uomo. Per quanto riguarda il sistema simbolico sono state già indicate alcune tra le tante valenze psichiche e culturali presenti nella scelta, nella composizione e nella distribuzione dei pasti. Per questi motivi, l'antropologia dell'a. è una disciplina che ha oggi notevole rilevanza, a causa anche della forte dinamica che si verifica nelle abitudini alimentari di alcune popolazioni a seguito dei fenomeni di inurbamento e di circolazione delle idee. Nelle città infatti, malgrado l'origine spesso eterogenea degli abitanti, si osserva una tendenza alla omogeneizzazione del comportamento alimentare.

In relazione alla cucina tradizionale, espressione spesso di abitudini nate e consolidatesi nelle campagne, l'ambiente urbano propone modelli alternativi, talora di segno opposto: da un lato stimola la produzione e il consumo di vivande di facile e rapido allestimento, oltreché di prezzo contenuto; dall'altro apre vasti spazi ai prodotti esotici e alle preparazioni gastronomiche costose, spesso assunte a simbolo di prestigio sociale, anche se, non di rado, risultanti irrazionali dal punto di vista della nutrizione. Sempre nei grandi centri abitati, il moltiplicarsi dei ''punti di ristoro'' di vario genere facilita, e al tempo stesso stimola, l'esigenza o l'opportunità di consumare pasti al di fuori dell'ambiente domestico. In definitiva, confrontate con le popolazioni rurali, quelle urbane sono più esposte a incentivi e stimoli promozionali di ogni genere.

Un altro capitolo dell'antropologia dell'a. concerne le abitudini e i comportamenti alimentari delle popolazioni che vivono nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, in condizioni di autosussistenza: le loro pratiche alimentari, i tabù, le attitudini negative, le restrizioni e le proibizioni alimentari e gli adattamenti di tali consumi alle carenze alimentari che tendono a ripetersi con una certa frequenza.

Quali sono le ripercussioni sul sistema simbolico alimentare e non alimentare delle ripetute carenze alimentari? Quali sono i legami mediati dalla cultura tra sistema simbolico, esigenze biologiche degli individui e bisogni nutrizionali in particolare? Sono tutte questioni che indicano, come dice I. de Garine, che "l'alimentazione costituisce uno dei rari campi in cui fenomeni che fanno contemporaneamente parte delle scienze biologiche e di quelle umane, sono capaci di quantificare in modo preciso la mediazione reciproca della natura e della cultura". Il consumo alimentare, espressione dell'ambiente fisico e climatico di produzione, agisce sul livello nutrizionale degli individui, che a sua volta agisce sul dispendio energetico e sul livello di attività dei componenti della società. Questi elementi influiscono sia sulla cultura materiale, sia sul sistema simbolico che caratterizza le società determinando in tal modo un feedback sul sistema di produzione e di disponibilità degli alimenti, che si ripercuote sulla qualità e sulla quantità degli alimenti consumati e, in ultima analisi, sullo stato di salute dei consumatori.

Bibl.: M. Meads, C. E. Guthe, Manual for the study of food habits, in Bulletin of National Research Council, n. 3 (1945); I. de Garine, The sociocultural aspects of nutrition, in Ecology of food and nutrition, 1 (1969); T. Seppilli, Alimentazione, cultura, società, in F. Fidanza, G. Liguori, Nutrizione umana, Napoli 1988.

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