Alpicoltura

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Settore dell’agricoltura che studia le caratteristiche di funzionamento delle aziende pastorali della montagna, negli aspetti agronomici, zootecnici ed economici, al fine di individuare le tecniche da adottare per migliorarne l’efficienza. In particolare, costituiscono oggetto di studio dell’a. le modalità di sviluppo e le esigenze delle essenze foraggere, gli effetti della permanenza in montagna sullo sviluppo e sulla produttività del bestiame, le connessioni tecniche ed economiche tra le aziende zootecniche montane (alpi o malghe), dove il bestiame è allevato durante il periodo estivo (in Italia, 40-50 giorni nelle zone alpine, fino a 120 giorni nell’area appenninica), e le aziende di fondo valle o di pianura, dove il bestiame trascorre il resto dell’anno. In base alle condizioni esistenti, si individuano le norme e gli interventi da adottare per una efficiente organizzazione della malga.

Le principali norme riguardano:

a) un’adeguata dotazione di investimenti fissi dell’azienda (viabilità, abitazioni per il personale addetto al bestiame, ricoveri per il bestiame, impianti di prima lavorazione e trasformazione dei prodotti, provviste d’acqua);

b) il miglioramento delle erbe del pascolo mediante decespugliamento, semina di buone essenze foraggere, concimazioni, sistemazioni idraulico-agrarie;

c) la razionale utilizzazione del pascolo, ottenibile con l’avvicendamento nel tempo, cioè con l’immissione in tempi successivi, sul pascolo, di bestiame con esigenze alimentari diverse (si inizia con le vacche da latte in produzione o gravide, a cui seguono le vacche in asciutta e gli ovini), e con l’avvicendamento nello spazio, cioè con la suddivisione del fondo in comparti nei quali il pascolo avviene a intervalli di tempo tali da consentire il ricaccio delle erbe;

d) la determinazione della quantità di bestiame mantenibile sul pascolo, onde evitare che un eccessivo sfruttamento delle erbe porti, nel giro di pochi anni, a una forte diminuzione della produzione foraggera; e) la scelta del sistema di conduzione del pascolo: in genere la conduzione diretta da parte di un unico proprietario o affittuario o di una cooperativa stabilmente costituita si rivela, soprattutto a lungo termine, economicamente più conveniente rispetto alla conduzione dei pascoli in proprietà collettiva (università agrarie, comunanze), basata sul diritto di una comunità di allevatori di far pascolare il bestiame. In quest’ultimo caso, infatti, si corre il rischio di un eccessivo carico di bestiame e di un uso non razionale delle erbe.

L’a. intesa come disciplina agraria è di sviluppo abbastanza recente. I metodi usati nel governo dei pascoli alpini, nella conservazione della cotica erbosa, nell’esecuzione di opere sparse di miglioramento rimasero molto arretrati sino al 19° secolo. Si deve comunque ricordare l’importanza degli studi relativi alla composizione botanica e al miglioramento dei pascoli d’altitudine. Solo nei provvedimenti di alcuni grandi conventi o altri istituti religiosi (Einsiedeln, San Bernardo e St.-Rhémy, possedimenti dei principi-vescovi di Bressanone e di Trento) si scorgono fin dai sec. 14° e 15° i primi segni di evoluzione tecnica. Ma l’a. vera e propria ha inizio dopo la metà del 19° sec., specialmente in Svizzera, Baviera e Austria, a opera di eminenti agronomi, botanici ed economisti. Particolare impulso agli studi sulla flora e l’ecologia delle piante foraggere alpine fu dato dall’istituzione dei Giardini botanici alpini (Chanousia al Piccolo San Bernardo, Sandlingalpe in Austria, Fürstenalpe presso Coira).

In Italia sono state fondate stazioni razionali di alpeggio (Stelvio in prov. di Sondrio, Cadino in prov. di Brescia, Juribello in prov. di Trento) e una stazione sperimentale (1932) a Sauze d’Oulx, in Val di Susa. Dopo la Seconda guerra mondiale, e soprattutto a partire dagli anni intorno al 1960, l’eccessivo spopolamento della montagna e la mancata ricomposizione fondiaria hanno ridotto le possibilità di sviluppo dell’a., con riflessi negativi sugli allevamenti bovini, in particolare per quanto riguarda la produzione di vitellame da ingrasso. La formazione delle Comunità montane (l. 1102/3 dicembre 1971 e disposizioni integrative contenute nelle l. 93/23 marzo 1981 e 97/31 gennaio 1994) e la direttiva 268/CEE del 28 aprile 1975 per gli interventi nelle aree agricole svantaggiate (recepita a livello nazionale con la l. 352/10 maggio 1976) costituiscono due strumenti di fondamentale importanza per la ripresa dell’economia delle zone di montagna, che in Italia occupano il 40% circa della superficie agricolo-forestale.

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