MAIURI, Amedeo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)

MAIURI, Amedeo

Pier Giovanni Guzzo

Nacque a Veroli, in Ciociaria, il 7 genn. 1886 da Giuseppe e da Elvira Parsi. Si laureò presso l'Università di Roma in filologia bizantina, con una tesi, seguita da N. Festa, sul poligrafo Teodoro Prodromo, vissuto nell'XI secolo alla corte comnena. Allievo della Scuola archeologica italiana di Atene (1910-11), partecipò alle ricerche archeologiche a Gortina, nell'isola di Creta, dirette da F. Halbherr.

Al rientro in Italia, nel 1912 fu nominato ispettore alle Antichità della Campania; dopo due anni, assunse la direzione della allora stabilizzata missione archeologica italiana nelle isole del Dodecaneso e l'incarico di organizzare il Museo storico-archeologico, che tenne fino al 1923, quando fu nominato soprintendente ai Monumenti e agli Scavi di Rodi. Nel 1924 fu nominato soprintendente alle Antichità della Campania, con competenza anche su parte del Lazio meridionale, dell'attuale Molise, della Basilicata occidentale. Dal 1956 al 1961 fu presidente della sezione archeologia del Consiglio superiore per le antichità e belle arti.

Dal 1936 al 1942 tenne per "chiara fama" la cattedra di antichità greche e romane presso l'Università di Napoli; in seguito, e fino al 1961, quella di antichità pompeiane ed ercolanesi. Nel 1961 fu collocato in quiescenza.

Il M. morì a Napoli il 7 apr. 1963.

Nel 1928 fu nominato socio corrispondente dell'Accademia dei Lincei; nel 1936, socio nazionale della stessa; nel 1939 transitò nella R. Accademia d'Italia e, nel 1946, fu riammesso in quella dei Lincei. Fu, inoltre, socio dell'Accademia di lettere e belle arti di Napoli, della Pontificia Accademia romana di archeologia, dell'Unione accademica, dell'Istituto di studi romani e presidente della sezione campana dello stesso. Nel 1951 gli fu assegnato il premio letterario Valdagno, alla sua prima edizione. Fu inoltre nominato commendatore della Corona d'Italia e cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (1925).

Ai diversi e successivi obiettivi della sua attività corrisponde la sua produzione scientifica.

L'attenzione alla filologia bizantina, argomento degli studi universitari, si manifestò nella precoce pubblicazione degli Anecdota Prodromea (1908) e negli scritti di quel periodo. L'alunnato greco dette spunto a ricerche, per lo più epigrafiche, cretesi: un interesse più propriamente archeologico si inizia a distinguere nella descrizione dell'anfiteatro e di un ninfeo di Gortina (in Ausonia, VI [1911], pp. 7 ss.).

Il biennio d'inizio del suo servizio presso le Antichità della Campania fu rivolto a indagini nelle zone più eccentriche. Così fu per il Lazio meridionale, le foci del Garigliano, il Molise, ma anche, all'altro estremo, il Vallo di Diano. Non mancano uno scandaglio cumano, ma pare limitato a indagini epigrafiche, e l'edizione di un ripostiglio monetale repubblicano da Maddaloni.

Queste prime attività non sembrano porre distinzioni fra aree tematiche, storiche o culturali: l'impegno della conoscenza coinvolge la spessa stratigrafia della sedimentazione storica, all'intera complessità della quale il giovane M. si mostrò interessato.

Ben più ampiamente una tale attenta curiosità si appalesa nel decennio egeo. Le indagini archeologiche, di ricognizione e di scavo si estesero dall'isola maggiore all'intero arcipelago e, seguendo le vicende della politica internazionale italiana, fino all'opposta sponda anatolica, con epicentro ad Alicarnasso. Se è sempre presente un filone epigrafico, che non si arresta davanti a una bilingue greco-fenicia, la materia più propriamente archeologica progressivamente si irrobustisce, in parallelo con le realtà che il lavoro pratico poneva di fronte alle responsabilità del Maiuri.

È in questa fase che si pone il primo saggio sulla produzione plastica tardoclassica (1924); ben più numerosi furono quelli sui prodotti fittili rodii, sui corredi sepolcrali e la stipe votiva dell'Athenaion di Ialisos (Ialisos. Scavi della missione archeologica italiana a Rodi, in Annuario della Scuola archeologica di Atene, VI-VII [1926], pp. 83-323), frutti dei propri scavi, dai quali allestì il Museo di Rodi, documentato da una dettagliata guida (Rodi, Roma 1921).

Alla tematica antichistica si intrecciò quella del restauro architettonico: non solo relativa a singoli monumenti del periodo in cui l'isola fu sede dei cavalieri dell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, ma anche all'indagine della consistenza urbanistica "ippodamea" di Rodi antica. Le indagini furono rese possibili dagli esiti di un risanamento complessivo delle più recenti edificazioni. Infine, interessarono il M. le produzioni artigianali contemporanee del ricamo e del legno intagliato, così come la cosiddetta architettura spontanea.

Nei quasi quarant'anni trascorsi alla guida della soprintendenza alle Antichità della Campania, l'attività del M. e la conseguente produzione scientifica coprirono, sia pure con diversa intensità, tutto l'immenso territorio e tutti i vari aspetti che componevano quella responsabilità d'ufficio. Alla complessità del merito si aggiunsero difficoltà relazionali, a causa della discussa gestione dei predecessori. Il M. identificò i propri principali campi d'azione nei Campi Flegrei, nelle città vesuviane, nell'isola di Capri, pur assoggettando tutto il restante territorio a un'attenta vigilanza, grazie a una schiera, progressivamente sempre più nutrita, di collaboratori.

Per quanto riguarda i Campi Flegrei furono messi in luce i monumenti di Baia e molti di quelli puteolani, ivi comprese porzioni delle necropoli. Altrettanto impegno fu profuso per Cuma, in particolare per la fase della città di epoca romana: anche se qui inizia a identificarsi un tratto caratteristico della personalità del M., consistente nel condurre le ricerche archeologiche quasi sulla scorta delle testimonianze letterarie antiche, alle cui lacune supplire con l'"intuito". Così che le suggestioni virgiliane e massime quelle sulla vaticinante Sibilla condussero a qualche fraintendimento interpretativo. Analogo stimolo ebbe il M. nell'indagine su Liternum, tramandata come ultimo ritiro di Scipione Africano.

Le ricerche nelle città sepolte dall'eruzione vesuviana del 79 d.C. possono essere esemplificate dalla ripresa a Ercolano (dal 1927), che fu portata alla luce interrompendo definitivamente il sistema di scavo per cunicoli sotterranei.

Il M. si pose sulla scia sia dei primi scavatori settecenteschi, per quanto riguarda l'ampiezza dei lavori, sia su quella della sistematicità di G. Fiorelli, per il controllo e la rendicontazione delle attività, facendo anche tesoro del tenace impegno di V. Spinazzola, che lo aveva preceduto alla soprintendenza.

Se per Ercolano le ricerche del M. segnarono, per la prima volta, l'ampia emersione di quella antica città con il solo limite opposto dalle edificazioni moderne che non si poterono abbattere, per Pompei quel quarantennio di lavori valse a darle l'aspetto che tuttora conserva.

Per Ercolano il M. pubblicò poco prima della sua morte due ampi volumi, contenenti le relazioni sulle attività di ricerca completate; inoltre diversi saggi di carattere epigrafico (I nuovi scavi di Ercolano, I-II, Roma 1958), di storia dell'architettura, di produzione decorativa, fino a quello, inedito, sul sacello degli Augustali. Egli si interessò anche dell'interazione tra la dinamica eruttiva del 79 d.C. e la conservazione dei monumenti antichi, con i problemi derivanti alla conduzione degli scavi.

I risultati raggiunti a Pompei appaiono quantitativamente più ampi, ma seguirono un'analoga impostazione, lasciando il M., al termine della sua fatica, solo un terzo dell'estensione originaria della città antica ancora sepolto, riconnettendo, quindi, fra loro i diversi settori fino allora riportati alla luce, ampliando e completando i precedenti tentativi rivolti a simile fine. Non ultima conquista fu lo sgombero, completo però solo sul margine meridionale della città antica, delle terre di risulta dagli scavi precedenti accumulate a formare un diaframma tra l'area archeologica e il territorio circostante.

In particolare, il M. riportò alla luce la fascia di edifici che si trova a sud di via dell'Abbondanza, scoprendo notevoli edifici di natura privata, come, per esempio, la casa del Menandro e quella di Paquio Proculo. Spinse fino al termine orientale, alla porta cosiddetta di Sarno, lo scoprimento di via dell'Abbondanza e, a sud di questa, identificò la cosiddetta "grande palestra", la cui esistenza era supposta dall'affresco - dalla casa I, 3, 23 - con la rappresentazione della "rissa" tra Pompeiani e Nocerini del 57 d.C. Ancora, il M. compì estese ricerche lungo la cerchia delle mura di difesa, proponendone una seriazione cronologica e costruttiva; esplorò i depositi votivi del tempio di Apollo; condusse saggi esplorativi nella basilica. Alla periferia nord-occidentale di Pompei, il M. completò lo scavo, dandone una completa edizione (La villa dei Misteri, 2a ed., Roma 1947) della villa suburbana fino allora nota come Item, dal nome del proprietario del fondo, ora intitolata ai Misteri. Accanto ai restauri delle principali strutture, il M. condusse ridotti, ma significativi e diffusi, saggi esplorativi: rivolti a indagare sia i livelli di vita della città precedenti il dominio da parte di Roma (dall'89 a.C.) sia il periodo tra il terremoto del 62 d.C. e la distruzione finale.

Non meno impegnativo fu il lavoro per facilitare e rendere più gradevole la visita dell'area archeologica: dall'allestimento dell'Antiquarium alla costruzione della biglietteria a piazza Anfiteatro e a quella dell'Auditorium, dall'adeguamento generale degli ingressi a Porta Marina alla predisposizione a giardino delle zone meridionali di margine, dalla ripiantumazione di alcuni giardini antichi fino all'illuminazione notturna.

La conduzione di tale ciclopica attività d'indagine fu demandata dal M. al personale di supporto della soprintendenza, non avvalendosi egli di collaborazioni scientifiche. Ne derivò che, al di là di circoscritti episodi, gli argomenti di ricerca del M. si incentrarono sulla storia delle edificazioni piuttosto che sulla cultura materiale, o anche decorativa, dell'antica città. In ciò prosegui la tradizione di studi ottocenteschi, mancandogli, per di più, una preparazione archeologica tecnica. In questa luce, e in quella dei suoi tempi, si interpretano le sperimentazioni, timide, di scavi stratigrafici esperite dal M.: successive nel tempo a quelle condotte da G. Boni, e mai dal M. adottate come insostituibile strumento d'indagine.

Il territorio intorno a Pompei fu investigato, a quanto pare, più per contrastare azioni di danneggiamento alle antichità, o a seguito di ritrovamenti casuali, che seguendo un organico programma. Infatti, il M. era ben conscio dell'effettiva consistenza delle risorse a disposizione della soprintendenza, tale da non permettergli programmi di ampio respiro. Controllò, più che dirigere, le esplorazioni sul pianoro di Varano a Castellammare di Stabia impostate da L. D'Orsi; e commentò, più che ampliare, le conoscenze possedute per Torre Annunziata. Ma non si trattenne dall'inviare in missione di scavo Olga Elia, ispettore della soprintendenza, nell'alta Valle del Sarno, ormai afferente alla soprintendenza alle Antichità di Salerno, per rivendicare la precedente pertinenza di quella zona alla soprintendenza di Napoli.

Un terzo campo preferenziale di attività il M. identificò nell'isola di Capri, nella quale ebbe anche una prediletta residenza privata.

Rimise in luce le strutture superstiti delle ville cosiddette di Giove e di Damecuta e il cosiddetto Palazzo a mare; condusse esplorazioni in numerose grotte naturali, utilizzate come ninfei dalle ville soprastanti. Tale innovativa attività non condusse, eccezionalmente, a pubblicazioni scientifiche, ma solamente alla compilazione di una guida, forse anche condizionata dall'incarico ricoperto dal M. di presidente dell'Ente provinciale per il turismo di Napoli.

Ma, come si è detto, a Napoli confluiva la responsabilità sulle antichità non solo dell'intera Campania. Così il M. si rivolse ai territori degli Aurunci, di Venafro, del Vallo di Diano, all'isola di Ponza, alla Campania interna e al Molise.

In particolare sia Paestum sia Velia furono oggetto di prolungati scavi (nella seconda con P. Mingazzini), condotti anche con il supporto dei musei provinciali di Salerno. Il M. accordò poi parere favorevole alla domanda di concessione di scavo avanzata da Paola Zancani Montuoro e U. Zanotti Bianco, per conto della Società Magna Grecia, per l'esplorazione dell'Heraion alla foce del Sele, dal 1934.

Nel Museo archeologico di Napoli, trasferitasi la Biblioteca nazionale, furono allestite le esposizioni di nuove scoperte, come il servizio di argenterie dalla pompeiana casa del Menandro, all'interno dell'organizzazione generale impostata da E. Pais (1901-04). Il M. collaborò, inoltre, all'allestimento della Mostra augustea della romanità (1937), in specie per la sezione tecnologica, dalla quale si sviluppò analogo settore nel Museo di Napoli, e curò interventi museali anche per i musei provinciali di Benevento e di Capua.

Nel periodo della seconda guerra mondiale, il M. provvide al ricovero del patrimonio del Museo di Napoli nell'abbazia di Montecassino.

Presso il Museo, il M. prese domicilio nelle ultime fasi della guerra, insieme con altri funzionari, a causa dell'inagibilità delle proprie case bombardate. Dispiegò, inoltre, ogni possibile intervento per difendere l'area archeologica di Pompei da impianti militari: ma non riuscì a evitare che bombardamenti aerei alleati (agosto e settembre 1943) producessero gravi e diffusi danni.

Grazie all'appoggio di B. Croce e di A. Omodeo, con i quali aveva stretto una lunga consuetudine, il M. superò indenne la procedura di epurazione e fu nominato direttore generale delle Antichità e Belle Arti reggente nel 1944 per il "governo di Salerno".

Gli anni Cinquanta videro il M. impegnato, oltre che nel recupero dei danni bellici nel Museo di Napoli e a Pompei, nella riapertura dell'Antiquarium pompeiano (1948, in occasione del secondo centenario dell'inizio degli scavi) e nella continuazione delle attività nei Campi Flegrei, a Ercolano e a Pompei.

In quest'ultima, d'intesa con la appena istituita Cassa per il Mezzogiorno, furono sterrati i settori sudorientali e quelli perimetrali meridionali dell'antica città, reimpiegando i materiali di risulta sia nella bonifica degli acquitrini alla foce del Sarno sia in opere civili sia, infine, per la predisposizione di materiali edili. Tali attività si prestarono a indagini di legittimità contabile, conclusesi con addebiti al Maiuri. Egli fu il primo a tentare di stringere i collegamenti tra l'area archeologica e la città moderna di Pompei, aprendo per esempio una nuova biglietteria d'ingresso in contiguità con quest'ultima.

Fin dalla giovinezza, il M. aveva coltivato una propria vena di scrittore, nella quale il realismo iniziale si modulò progressivamente nella rappresentazione di un mondo antico, in specie di quello su cui il M. svolgeva attività archeologiche, che si pone a cavallo della suggestione, della ricostruzione fantastica, della divulgazione colta. Ne derivò un'intensa attività pubblicistica; parallelo è il filone autobiografico. Con B. Sanminiatelli fondò, nel 1956, la rivista Il Veltro.

La lunga e multiforme operatività del M. è stata variamente giudicata: in specie dall'attivo ambiente culturale napoletano, e più ampiamente campano, universalmente laudatorio e, talvolta, pregiudizialmente commemorante e nostalgico.

Il lascito del M. nel campo archeologico è tipico della sua epoca di formazione professionale: l'attenzione prestata allo scavo stratigrafico, da alcuni valorizzata, non supera il momento sperimentale e di ridottissima applicazione. La critica e l'interpretazione dei monumenti e delle scoperte risentono molto della sua predisposizione alla letteratura, mentre tecnicamente precise, comparate all'analoga produzione contemporanea, sono le relazioni sulle attività svolte. L'attività di funzionario, commisurata alle complessive risorse disponibili, depone a favore dell'efficiente qualità organizzativa del personaggio.

La sua immagine pubblica fino alla seconda guerra mondiale appare plasmata sull'ideologia nazionalistica piccolo-borghese, diffusa ampiamente nel periodo della sua formazione giovanile. E, come tale, acquiescente al fascismo, anche come presunto restauratore della "romanità". A esso, e alla sua politica razziale, non mancò, almeno una volta, d'ossequio: come lo stesso M. riconobbe anni dopo, pur con lievità di tratto e accenno di giustificazione. Nel periodo postbellico si impegnò a contribuire, con la sua opera letteraria forse più che con quella archeologica, alla ricostruzione morale del Paese.

Per gli scritti del M. si veda: Bibliografia di A. M., 1908-1955, Napoli 1956. In particolare ricordiamo: Storia, archeologia, arte, usi, costumi, opere del regime nell'Egeo, in L'Impero coloniale fascista, Novara 1937, pp. 541-568; Roma e l'Oriente europeo, discorso pronunciato in Campidoglio il 23. 11. 1941-XX, in Annuario della R. Acc. d'Italia, XIV (1942), pp. 5-26; Gli scavi di Pompei nel programma delle opere della Cassa per il Mezzogiorno, Napoli 1951; Saggi di varia antichità, Venezia 1954; Vecchie e nuove cronache dell'archeologia campana, Napoli 1955; Vita d'archeologo. Cronache dell'archeologia napoletana, ibid. s.d. [ma 1959; nuova ed. Milano 1992]; Dall'Egeo al Tirreno, Napoli 1962; Mestiere d'archeologo (antologia di scritti), a cura di C. Belli, Milano 1978 (nuova ed., ibid. 1990); Dallo scavo di Ercolano allo svolgimento dei papiri. Scritti e documenti inediti, a cura di M. Capasso, Napoli 1991.

Fonti e Bibl.: Il Fondo Amedeo Maiuri, conservato presso il Centro internazionale per gli Studi pompeiani dell'Istituto universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli, villa Nunziante, Scafati (Salerno), contiene il carteggio privato, documenti relativi all'inchiesta per lo sterro di Pompei, appunti e manoscritti vari. Necr., in Arch. stor. calabrese, XXXII (1963), pp. 147-152; Atene e Roma, VIII (1963), pp. 1-7; Bollettino d'arte, XLVIII (1963), pp. 287 s.; Klearchos, V (1963), pp. 49 s.; Musei e gallerie d'Italia, VIII (1963), 20, pp. 26 s.; Studi romani, XI (1963), pp. 317-319; Rass. stor. salernitana, XXIV-XXV (1963-64), pp. 171 s.; Rendiconti della Pontificia Acc. di archeologia, XXXVI (1963-64), pp. 13-21; Apollo, III-IV (1963-64), pp. 59-62.

Vedi ancora: G. Becatti, L'archeologia, in Cinquant'anni di vita intellettuale italiana 1896-1946. Scritti in onore di B. Croce, a cura di C. Antoni - R. Mattioli, II, Napoli 1950, pp. 197 s., 209 s., 217; E.C. Corti, Ercolano e Pompei. Morte e rinascita di due città, con presentazione di A. Maiuri, Torino 1957, pp. 226-237; C. Belli, A. M. poeta dell'archeologia, in Nuova Antologia, giugno 1963, p. 148; G. Macera, M. e la saggistica, in Realtà del Mezzogiorno, III (1963), pp. 345-352; F. Sbordone, A. M. filologo, in Atene e Roma, VIII (1963), pp. 8-10; M. Napoli, A. M., 1886-1963, in Studi etruschi, XXXII (1964), pp. 233 s.; Gli archeologi italiani in onore di A. M., a cura del Centro studi Ciociaria, Cava dei Tirreni 1965; D. Mustilli, Commemorazione del socio A. M., in Atti dell'Accademia nazionale dei Lincei. Rendiconti, s. 8, XX (1965), pp. 216-222; C. Picard, A. M., 1886-1963, in Revue archéologique, 1965, n. 1, pp. 104-106; G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia 1966, pp. 76 s.; Per la salvezza dei beni culturali in Italia. Atti e documenti della Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, Roma 1967, I, pp. 229, 232, 237, 239, 254, 321; II, pp. 157, 160 s., 164, 168, 583; III, pp. 18, 272, 293, 421, 428, 439-442, 446, 448, 464; V. Bracco, Per una presenza di M. fra le pagine della scuola, in Rass. di cultura e vita scolastica, XXII (1968), pp. 3 s.; B. Lucrezi, 14 uomini per un uomo. Saggi critici, Napoli-Firenze 1968, pp. 235-240; P. Romanelli, A. M., 1886-1963. Commemorazione tenuta in occasione dello scoprimento del busto nel Larario dei Pompeianisti, 7 aprile 1968, Cava dei Tirreni 1968; R. Bianchi Bandinelli, AA., BB. AA. e B.C. L'Italia storica e artistica allo sbaraglio, Bari 1974, p. 64; G. Maggi, Archeologia magica di A. M., Napoli 1974; M. Gigante, Lettere di Omodeo a Croce, in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Napoli, XVIII (1975-76), p. 126; M. Ferrarotto, L'Accademia d'Italia. Intellettuali e potere durante il fascismo, Napoli 1977, pp. 69, 81, 145; Da Palazzo degli Studi a Museo archeologico (catal.), Napoli 1977, pp. 19-22; V. Bracco, L'archeologia classica nella cultura occidentale, Roma 1979, pp. 178, 203, 271 s., 276; F. Zevi, La storia degli scavi e della documentazione, in Pompei 1748-1980. I tempi della documentazione (catal.), Roma 1981, pp. 19 s.; V. Bracco, Tra Ercolano e Pompei, Roma 1982, pp. 21, 23; D. Manacorda, Per un'indagine sull'archeologia italiana durante il ventennio fascista, in Archeologia medievale, IX (1982), pp. 449 s., 454 s.; Id., Cento anni di ricerche archeologiche italiane: il dibattito sul metodo, in Quaderni di storia. Rassegna di antichità, VIII (1982), 16, pp. 97-100, 103; V. 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