VESPUCCI, Amerigo

Enciclopedia Italiana (1937)

VESPUCCI, Amerigo

Alberto Magnaghi,

Nato a Firenze nel 1454 e morto a Siviglia nel 1512, il più grande e il più degno tra i continuatori di Colombo.

Soltanto oggi, in seguito ai criterî radicalmente nuovi intervenuti nella valutazione delle fonti storiche che lo riguardano, ha riacquistato e occupato saldamente il posto che gli compete nella storia delle prime esplorazioni delle terre americane. Lunghe, appassionate furono sin qui le discussioni e le polemiche sul valore delle sue imprese e sulla sua figura morale. Per nessun altro navigatore, forse, giudizî e atteggiamenti furono così controversi: per alcuni, specialmente per i contemporanei, una personalità di prim'ordine, per altri un volgare mistificatore, un usurpatore di meriti altrui: e, tra siffatti estremi, egli aveva finito per restare, a parere dei più, una figura incerta e sospetta, in attesa di un giudizio definitivo. Nocque anzitutto al V., come ai grandi navigatori italiani di quel tempo, l'aver prestato l'opera sua al servizio di nazioni straniere, i cui storici di ben altro si preoccuparono fino d'allora che di porre in rilievo i meriti dei nostri connazionali; né meno grave doveva riuscire la difficoltà di poter controllare i documenti ufficiali riguardanti i suoi viaggi (documenti che per ragioni facilmente comprensibili i governi, specialmente quelli di due potenze rivali come Spagna e Portogallo, avevano interesse a conservare gelosamente segreti), mentre invece si diffondevano largamente relazioni dovute spesso a informazioni di fonte indiretta, o ad amplificazioni e rimaneggiamenti di lettere in origine autentiche, ma le cui copie si alteravano sempre più da una mano all'altra, finché non interveniva la speculazione di editori poco scrupolosi, che per soddisfare la curiosità di un più largo pubblico fornito di particolari esigenze, creavano addirittura racconti a modo loro, cosparsi di quegli errori, di quei dati strani e fantastici che formano oggi, un po' ingenuamente, l'oggetto di tante discussioni, in un senso o in un altro, da parte dei critici. Gravò poi in particolare sul V. l'accusa di aver egli stesso imposto, o di essersi prestato a lasciar imporre da altri, il suo nome a una parte del mondo che avrebbe invece dovuto ricevere quella del suo primo e vero scopritore, e al navigatore fiorentino si fece pure colpa di aver descritto in un'operetta a stampa a lui attribuita un suo presunto viaggio compiuto nel 1497, dal quale egli avrebbe voluto far risultare, contro il vero, d'aver posto il piede sul continente un anno prima di Colombo. Su questa accusa di gelosia e di malafede nei riguardi di Colombo s'imperniano le ragioni sentimentali di antipatia e di diffidenza verso la figura morale del V.; mentre dai numerosi e grossolani errori e dalle audaci menzogne che ricorrono in quella e in un'altra operetta a stampa che va anche sotto il suo nome deriva l'atteggiamento in prevalenza negativo o riservato della critica nel giudicare dei suoi meriti come navigatore.

Se un esagerato, irragionevole rispetto alle apparenze non avesse avuto forza d'impedire anche ai critici più sereni di staccarsi da una tradizione conservatasi per quattro secoli, due documenti di autenticità insospettabile avrebbero già dovuto essere sufficienti per scagionare nettamente il V. da così gravi accuse: una lettera scritta da Colombo al figlio Diego nel 1505 (v. colombo) che esprime la più alta stima per il navigatore fiorentino e racchiude le espressioni di un'affettuosa amicizia verso il V., dal quale Colombo dichiara di non aver ricevuto che benefizî; e tutto questo, quando già da un anno circolava una delle operette al V. attribuite, da cui risultava che questi aveva effettivamente scoperto una massa continentale alla quale poteva giustamente applicarsi il termine di "Mundus novus". E si conserva poi il decreto ufficiale del governo spagnolo che nomina nel 1508 il V. alla carica altissima di Piloto mayor: ufficio che importava la responsabilità della nomina dei piloti, la costruzione e l'aggiornamento della carta marina ufficiale, la preparazione delle spedizioni d'oltremare, e, in sostanza, la direzione tecnica della politica coloniale e marinara della Spagna: a questo compito, che il V. assolse con lode sino al giorno della sua morte, non sarebbe stato chiamato un uomo, tanto più d'origine straniera, che non si fosse segnalato senza contrasti fra i navigatori e cosmografi contemporanei per esperienza, per dottrina e per onestà.

Quanto all'origine del nome America, essa è ormai così nota che non vale certo la pena di discutere certe fantasie d'oltralpe e d'oltremare, che s'erano spinte nientemeno a sostenere che il V. non si chiamava neppure Amerigo, ma che egli stesso avesse derivato questo nome da quello di alcune tribù o montagne dell'America Centrale: si è rintracciato persino l'atto di nascita originale col nome Amerigo, e decine e decine di documenti privati e ufficiali gli dànno questo nome. È risaputo invece che il cartografo tedesco Martino Waldseemüller, grande ammiratore del V., nel pubblicare come aggiunta alla sua Cosmographiae Introductio, a Saint-Dié nel 1507 la traduzione latina d'una delle due operette a stampa attribuite al navigatore fiorentino, propose di chiamare le terre da questo scoperte, che si rivelavano ormai nettamente come una nuova parte del mondo, cioè la massa meridionale, col nome del suo scopritore. Il nome figura poi nel grande planisfero disegnato dal Waldseemüller pure nel 1507, e viene ripetuto da altri cartografi tedeschi del tempo. E in realtà non si faceva nessun torto a Colombo, il quale credette sempre che la zona d'America Centrale nella quale s'era quasi sempre aggirato fosse un prolungamento dell'Asia; mentre dai viaggi del V. verso il sud risultava individuata una terra spingentesi sino a 50° di lat. meridionale, una terra compatta e continua che con l'Asia non poteva più confondersi. E nella denominazione V. non ebbe, del resto, la minima colpa, perché l'operetta, apocrifa, era stata pubblicata a sua insaputa, e meno ancora si può far colpa a lui se il nome si estese in seguito a tutto il continente.

Prima di esporre per quali strane vicende la fama del V. era giunta così discussa e incerta sino a noi, è meglio dire brevemente quale risulta l'opera sua in base ai nuovi, recenti studî.

Nato di notevole e antica famiglia fiorentina, economicamente decaduta, ebbe una buona educazione classica da un suo zio frate di S. Marco, e in ancor giovane età entrò nella casa commerciale del banchiere fiorentino Lorenzo di Pier Francesco de' Medici, che come le altre grandi case di Firenze aveva stretti rapporti con aziende pure fiorentine, stabilite a Siviglia e a Lisbona, le quali, tra altro, provvedevano all'allestimento delle spedizioni d'oltremare spagnole e portoghesi. Dopo esser rimasto, in qualità d'intendente e di persona di fiducia per un decennio col Medici, fu mandato nel 1492 a Siviglia presso la casa del fiorentino Giannotto Berardi, dove rimase sino alla morte di questo, avvenuta nel 1495, come impiegato; e in seguito ne assunse e ne tenne per quattro anni la gestione; cosicché il V. attese, fra altro, alla bisogna, già stata assunta dal Berardi, di armare la terza spedizione di Colombo, avendo in tal modo occasione di stabilire rapporti col grande Genovese. Non è noto come si vennero preparando e maturando le disposizioni del V. alla sua carriera marittima, divenuta in seguito così gloriosa, come del resto s'ignora per Caboto, per Magellano: solo per Colombo si riesce faticosamente a rintracciare qualche dato. Anche il V. avrà probabilmente fatto un adeguato tirocinio di navigazione, anche se questo non risulta da documenti; ed è poi presumibile che il contatto continuo con la gente di mare, l'ufficio stesso al quale presiedeva di fornire e attrezzare le navi, di provvedere carte e strumenti, e l'interesse con cui si sarà informato delle meraviglie dei paesi lontani avranno contribuito a sviluppare la sua preparazione e insieme il desiderio di prender parte a viaggi d'oltremare. Cosicché quando alla fine del 1498 giunsero in Spagna la relazione e la carta delle nuove scoperte del terzo viaggio di Colombo, dalle quali risultava la presenza di terre a 10° di lat. N., molto più meridionali di quelle sin qui trovate, e l'avventuriero A. de Ojeda, favorito del vescovo Fonseca, ebbe l'autorizzazione di armare una flotta di 4 navi per proseguire la scoperta, anche V. ottenne di far parte della spedizione. Dalla testimonianza dello stesso Ojeda risulta ch'egli era imbarcato con funzioni di piloto (meglio ancora, forse, di cosmografo); ma probabilmente, come suppone il Las Casas, egli aveva anche contribuito per conto suo o della casa Medici alle spese della spedizione, e, come non di rado accadeva in tal caso, oltre al partecipare agli utili dell'impresa, poté avere anche il comando di una o due navi. La flotta salpò da Cadice il 18 maggio del 1499, e dopo aver raggiunto un punto della Guiana Francese, essa - forse secondo un piano già prestabilito, e che, del resto, appariva logico - si divise: due navi con Ojeda e il piloto Juan de la Casa si avviarono a N. per esplorare la Costa del continente intravvisto da Colombo, e V. a capo delle altre due si diresse, sempre costeggiando, verso S. allo scopo, come dice espressamente, di doppiare il Capo di Cattigara, il leggendario capo posto da Tolomeo a 9° di lat. S. e di raggiungere il "Sinus magnus". In questo viaggio memorando V. scoprì, 6 mesi prima di V. Y. Pinzón, il fiume delle Amazzoni che risalì per decine di miglia, e, dopo aver tagliato per primo l'Equatore a Occidente, si spinse sino oltre il 6° di lat. S., scoprendo perciò effettivamente il Brasile qualche mese prima di Cabral (che sbarcò a caso a 16° di lat. S. e considerò la terra come isola). Ostacolato dalla corrente equatoriale di SE. dovette volgere le prore, e sempre procedendo lungo la terra ferma costeggiò la terra di Paria, il Venezuela e la Colombia sino, probabilmente, alla foce del Magdalena. Raggiunto poi l'Ojeda a S. Domingo ritornò in Spagna verso la fine del giugno del 1500. Risultato principale di questo viaggio fu la rivelazione della continuità della costa dal Capo S. Rocco alla foce del Magdalena; ma anche il V. ritenne, secondo le idee colombiane, d'avere scoperto terra d'Asia. Una cosa però aveva ben compreso: che la terra si sporgeva a E., in modo che la sua cuspide orientale veniva a trovarsi per una notevole estensione entro la zona a E. della linea di divisione che il trattato di Tordesillas (1494) assegnava al Portogallo; talché veniva a rendersi inutile, almeno per ora, il continuare l'esplorazione per conto della Spagna. E fu così che il re Emanuele di Portogallo, il quale nel frattempo aveva avuto notizia della terra scoperta più a S. da Cabral, pensò d'inviare una spedizione allo scopo di vedere se v'era sutura fra questa terra e il limite al quale era pervenuto il V. dal N. e per tentare, proseguendo, di trovare un passaggio a SO. per le Molucche. Il comando della spedizione fu assegnato al V. (fine maggio del 1501), e il navigatore fiorentino dopo aver raggiunto la costa suppergiù alla latitudine estrema toccata a S. nel primo viaggio, proseguì rapidamente lungo il continente per 800 leghe (3200 miglia) sempre a SO. sino al 50° di lat. S., in prossimità dello stretto scoperto poi da Magellano. Il 22 luglio 1502 era di ritorno a Lisbona.

Questo viaggio è, dopo il primo di Colombo, il più glorioso e il più ricco di conseguenze fra tutti quelli che si compirono prima di Magellano: da esso doveva risultare il nuovo assetto nella distribuzione delle terre e dei mari con l'inaspettata apparizione di un Mondo Nuovo. Infatti l'audacissimo navigatore aveva costeggiato una terraferma a una latitudine così meridionale (mai raggiunta fino allora) senza incontrare nessuno di quegl'indizî che avrebbero dovuto rivelare l'Asia: di qui l'idea afferrata subito dai cosmografi, e la carta del 1507 del Waldseemüller col disegno d'una massa continentale indipendente (completata naturalmente in ipotesi, verso O.) e l'intuizione, prima ancora della scoperta di Balboa a N., di un mare interposto fra essa e l'Asia.

La sorte intanto aveva voluto che in un primo viaggio fatto per conto della Spagna V. scoprisse una terra che i trattati assegnavano al Portogallo, e che in seguito al secondo, compiuto in servizio di questa nazione, si dovesse dedurre dal costante inflettersi della costa a SO. che ad un certo punto, press'a poco alle foci del Plata, la nuova terra veniva a trovarsi a O. della linea di divisione (21° circa a O. delle Isole del C. Verde), in modo che l'eventuale stretto o passaggio sarebbe appartenuto alla Spagna. Probabilmente per questa ragione il re Emanuele ritenne inutile proseguire con nuove ricerche a SO., onde il V. quasi subito dopo il suo ritorno passò di nuovo in Spagna. Nel 1505 otteneva la cittadinanza spagnola, e dopo aver reso altri servigi alla corte sempre in materia di navigazione, ottenne la carica di Piloto mayor che conservò in piena e completa attività sino alla sua morte.

Questo il V. quale risulta ormai dagli studî più recenti: un navigatore esperto e audacissimo (in due viaggi esplorò per primo quasi tutta la costa atlantica dell'America Meridionale, mentre erano occorsi ai Portoghesi parecchi decennî per l'esplorazione delle coste occidentali d'Africa, e altri ne occorsero per riconoscere le coste atlantiche dell'America Settentrionale), il precursore di Magellano; un cosmografo perito più d'ogni altro del tempo suo (fu per es., il primo ad applicare il metodo - in base alle Efemeridi del Regiomontano - delle congiunzioni dei pianeti con la Luna per trovare le longitudini), il riformatore delle carte marine, che ingiustamente furono dette di tipo lusitano-germanico; e, per quello che sappiamo, fu anche uomo equilibrato e prudente, e di specchiata onestà. Una grande, nobile figura, degna in eterno di rispetto e di stima. La posterità deve tanto maggior culto al V., in quanto il suo ravvedimento è stato tardo, e in ragione inversa dell'accanimento con cui fu discussa e diffamata l'opera di lui specialmente dagli acri e lividi detrattori dei due paesi ai quali le sue scoperte avevano reso immensi servigi: poiché né in Spagna né in Portogallo egli ebbe mai un amico, mai uno scrittore disposto a prestare ascolto, se non agli apologisti, a voci indulgenti e serene.

Come si spiega il contegno in prevalenza ostile o sospetto tenuto sin qui verso il V.? In un modo che oggi appare semplicissimo: la persistenza cieca e ostinata con cui si volle prestar fede a documenti in apparenza autentici, e l'ignoranza o la diffidenza verso documenti apparsi in luce più tardi, ch'erano in realtà gli unici degni di fede. Il V., come altri navigatori, oltre al diario particolareggiato dei suoi viaggi, di carattere ufficiale e riservato (diario che si sa essere esistito, ma è andato perduto), scriveva anche lettere ai familiari o a personaggi ai quali era in qualche modo legato, lettere contenenti in riassunto ciò che di più notevole aveva veduto. Di queste brevi relazioni se ne possiedono oggi tre, tutte dirette al suo patrono Lorenzo di Pier Francesco de' Medici: 1. lettera del 18 luglio 1500 da Siviglia contenente il racconto del primo viaggio, conservata in due copie nella Bibl. Riccardiana di Firenze, pubblicata per la prima volta nel 1745 da A. M. Bandini; 2. lettera del 4 giugno 1501 dal Capo Verde, all'inizio del secondo viaggio, nella quale il V., profittando dell'incontro di alcune navi della flotta di Cabral reduci dall'India, manda al Medici notizie avute da uno della spedizione concernenti il commercio di quel paese: conservata pure in un codice Riccardiano, e pubblicata solo nel 1827 da G. B. Baldelli Boni nel 1° vol. del Milione di M. Polo; 3. lettera da Lisbona, fine luglio 1502, in continuazione della precedente. Riassume i risultati del secondo viaggio e fu pubblicata per la prima volta da F. Bartolozzi nel 1789: anche di questa si hanno due copie sinerone, una delle quali è come le altre due contenute nel codice di P. Vaglienti della Bibl. Riccardiana.

Queste lettere dovettero destare in Firenze il più vivo interesse (e assai più numerose di quelle conservatesi dovettero essere le copie), tantoché ben presto si pensò di trarne profitto per mezzo della stampa. Ma esse erano troppo sommarie e relativamente troppo povere di contenuto personale e di quegli episodî suggestivi che in ogni tempo corrisposero ai gusti dei lettori di viaggi in paesi lontani; onde mentre le copie manoscritte finirono con sottrarsi dalla circolazione, si diffusero invece due operette a stampa, sostanzialmente fondate su quelle, ma diversissime nei particolari e soprattutto poco conformi al vero: il Mundus novus, la cui prima edizione di data certa è di Augusta 1504, racconto di un terzo presunto viaggio, che in realtà è il secondo, e la Lettera di Amerigo Vespucci delle isole novamente ritrovate in quattro suoi viaggi pubblicata sine loco et die, ma probabilmente a Firenze nel 1505-06 e diretta, a quanto parrebbe risultare dall'esordio, al gonfaloniere Pietro Soderini. Esse ebbero - specialmente la prima - un'enorme diffusione, furono tradotte in varie lingue e furono inserite nelle più note raccolte di viaggi del secolo XVI. Ma se in un primo tempo contribuirono a dare al V. una grande popolarità, superiore a quella di Colombo, cominciarono ben presto le critiche, dapprima per opera di M. Servet nell'edizione del Tolomeo di Lione del 1535, e in seguito più per disteso del Las Casas (Historia de las Indias, capp. 140, 164), il grande apologista di Colombo. Il Las Casas che scriveva a mezzo secolo di distanza e che aveva a sua disposizione le carte di Colombo e i documenti d'archivio riferentisi alle esplorazioni americane, s'era scagliato contro il V. soprattutto perché non aveva trovato la minima traccia di quel presunto viaggio del 1497 descritto nella Lettera che avrebbe voluto togliere al grande Genovese il merito d'aver scoperto per primo la terraferma. Le sue osservazioni furono in seguito riprodotte dallo storico ufficiale A. de Herrera nella sua grande opera del 1601; e da allora in poi la tradizione ostile o ispirata a riserbo verso il V. finì con l'imporsi e col prevalere sui tentativi di esaltazione e di riabilitazione. Anche quando furono scoperte e pubblicate le copie delle lettere fiorentine, la figura e l'opera del V. apparvero equivoche e poco chiare, poiché nessuno pensò a sostituirle come fonti autentiche a quelle due operette che erano state pubblicate sotto il nome del V., e quando questi era ancora in vita. E invero conviene riconoscere che entrambe le relazioni a stampa, specialmente la seconda, si prestavano facilmente a presentare il loro autore sotto un aspetto poco serio e poco simpatico: errori grossolani, soprattutto di nautica e di cosmografia, episodî a base di cannibali e di battaglie con selvaggi, descrizioni prolisse e inconcludenti, anacronismi e dati inconciliabili con quelli di viaggi che sappiamo essere stati realmente compiuti, e dappertutto un tono di vanagloria e di iattanza inaudite. Ebbero perciò buon giuoco i critici che diedero sul V. giudizî negativi; e coloro che vollero difenderlo ed esaltarlo dovettero ricorrere alle interpretazioni più ingegnose e ai ripieghi più varî, considerando soprattutto i difetti e gli errori come opera di copisti e di editori. In genere si considerarono poi apocrifi i documenti fiorentini, tanto dai nemici del V. (perché non presentando nulla che apparisse contrario al vero furono ritenuti come preparati più tardi per difenderlo), quanto dai suoi apologisti e difensori, perché il V. sarebbe risultato autore di due soli viaggi, e questo sarebbe stato troppo poco per la sua fama. Quei pochi che ne ammisero l'autenticità, si trovarono non meno imbarazzati, dovendo conciliare il contenuto di due ordini di documenti troppo spesso in contrasto fra loro. La questione si sarebbe trascinata in eterno, se recentemente non si fosse ricorso a un tentativo un po' audace: quello di rovesciare addirittura i criterî di valutazione delle fonti, considerando come unici documenti autentici le lettere fiorentine, e apocrifi quelli a stampa. E la conclusione fu quella che si sperava: il vero, il grande V. non ha nulla a che fare con questi ultimi, ma è nelle lettere al Medici; lettere che, salvo gl'inevitabili errori di trascrizione, trattandosi di copie, bastano a ricostruire saldamente nelle linee generali, la parte gloriosissima che egli ebbe come navigatore e a giustificare la fama e il rispetto che godé fra i suoi contemporanei.

Il Mundus novus appare come traduzione latina d'una lettera italiana diretta dal V. al Medici oggi andata perduta; e poiché essa termina con le parole: ex italica in latinam linguam iocundus interpres hanc epistolam vertit, tutti ammisero fin qui (stando a un'affermazione di uno pseudo-erudito contemporaneo, Gualtiero Lud) che autore della traduzione fosse il celebre architetto veronese Giovanni del Giocondo. Ma nessuno ha posto mente che la forma latina del Mundus novus è così rozza e grossolana da indurre ad escludere a priori ch'essa possa attribuirsi a fra Giocondo che fu, oltre al resto, un umanista principe, fu maestro dello Scaligero e preparò varie edizioni impeccabili di classici latini per il Manuzio. Iocundus interpres - e c'è infatti una traduzione francese in cui figura come le joieulx interpreteur - vuol dire semplicemente: un giocondo, un piacevole traduttore; il quale però dovette sentirsi così poco sicuro del fatto suo da conservare l'anonimo. L'autorità del nome del presunto traduttore non serve più come garanzia d'una lettera identica, ma scritta in italiano, del V. al Medici. L'anonimo estensore del Mundus novus, invece non fece altro che amplificare con episodî inventati e con futili riempitivi la lettera che realmente il V. aveva scritto al Medici nel 1502, al suo ritorno a Lisbona dal viaggio al Brasile; ma, quel ch'è peggio, oltre all'aver diluito questa lettera con divagazioni inconcludenti, l'autore aggiunse una quantità di volgarissimi errori (tra altro, confonde Policleto con Polignoto; possiamo pensare se di ciò sarebbe stato capace fra Giocondo) specialmente di nautica e soprattutto per quel che riguarda direzioni e distanze; errori che poi furono addebitati al navigatore fiorentino. L'operetta, che - salvo le arbitrarie aggiunte - è una pedestre traduzione della lettera pubblicata poi dal Bartolozzi, non presenta per nulla il carattere di una seconda missiva destinata a fornire maggiori ragguagli: essa non ha il benché minimo nuovo particolare sul viaggio in confronto di quella, e tra altro ammette anch'essa le date della partenza dal Capo Verde e del ritorno a Lisbona. Si aggiunga che mentre contenuto e forma del Mundus novus sono identici in tutte le edizioni, gli stampatori, per dimostrare che non riproducevano da edizioni già note, hanno l'audacia di dichiarale d'aver tradotto, oltrecché ex italico, ex hispano e ex lusitano, mentre nessuna copia manoscritta o stampata è mai esistita in queste lingue. L'operetta fu una volgare speculazione libraria di un primo editore senza scrupoli, che dopo aver manipolato il testo, o copia del testo originale della lettera, diede al racconto una veste latina (e quale latino!) per procurargli una maggior diffusione; e, naturalmente, a insaputa del V., il quale non avrebbe certo avuto motivo di compiacersi per un'opera siffatta.

Per la cosiddetta Lettera al Soderini ci troviamo di fronte al medesimo trucco: salvo che qui l'autore, assai più audace, non solo ha inserito episodî fantastici e dati erronei, ma ha inventato addirittura due nuovi viaggi: uno compiuto nel 1497-98 dal 16° circa di lat. N. in un'assurda direzione di NE. sino, parrebbe, al Chesapeake; l'altro, il quarto, nel 1503-04 per conto del Portogallo sino a un punto della costa brasiliana, il più inconcludente di tutti, andato a vuoto per un naufragio. Gli studî dei critici si sono rivolti soprattutto al primo, che è un vero indovinello, non corrispondendo a nessuna spedizione storicamente accertata e contenendo in fatto di direzioni e distanze errori di una gravità inverosimile. Errori che alcuni cercano di spiegare con sviste e arbitrî da imputarsi agli stampatori; e, d'altra parte, poiché risulta che il V. nel 1497 era a Siviglia, così quelli che vogliono difenderlo dall'accusa di mendacio devono ricorrere a un errore di data, 1497 in luogo di 1499. Ma il primo sistema è troppo comodo e addirittura ingenuo; e quanto alla correzione della data (che, del resto, è resa impossibile da esplicite conferme contenute nella Lettera medesima), se si sposta la prima, si devono spostare tutte. Anche il quarto viaggio non ha riscontro in documenti del tempo. In realtà tutto concorre a far ritenere l'operetta apocrifa. È già significativo il fatto ch'essa sia comparsa sine loco et die, e che sia datata da Lisbona il 4 settembre 1504, quando il V. già da due anni era a Siviglia; e la lettera non è neppure diretta al nome del Soderini (ciò che avrebbe dovuto conferirle carattere di attendibilità), ma questo vien lasciato solo vagamente dedurre dall'esordio; tantoché gli editori delle Quattuor Americi navigationes di Saint-Dié del 1507 presentarono l'opera come traduzione d'una lettera scritta in francese dal V. stesso al duca di Lorena lasciando tali e quali i particolari dell'esordio, ammettendo perciò tra altro che questo fosse stato compagno di studî del V. a Firenze, mentre poteva, se mai, esserlo stato il Soderini. Essa è invece una pedissequa traduzione letterale della Lettera fiorentina, nel solito latino rozzo e grossolano, cosparsa anche di curiosi qui pro quo. Non si è badato che tutti questi viaggi si susseguono regolarmente ogni due anni e che, salvo uno che s'inizia il 16 maggio, tutti cominciano il 10 maggio e durano all'incirca lo stesso tempo. V'è poi un'enorme sproporzione nell'estensione dei quattro racconti: al primo sono dedicate 18 pagine, al secondo 7, al terzo 6 e al quarto 4, sebbene appaiano tutti, specialmente il terzo al Brasile, di uguale importanza. Ma la ragione è che nel primo l'autore ha già diluito quasi tutta la materia contenuta nelle lettere scritte realmente al Medici, e che per gli altri deve ricorrere a ripieghi d'ogni sorta. Questi viaggi inoltre, e non certo a caso, formano sutura fra di loro, in modo che il V. deve avere esplorato tutte le coste atlantiche delle due Americhe: il primo dal 16° di lat. N. verso un punto indefinito, ma molto settentrionale, a NO.; il secondo dal 5° S. al 15° di lat. N.; il terzo da 5° S. sino a 32° S., con una deviazione a SE. sino ad una terra fantastica a 53° S.; il quarto infine, quasi che l'autore non sappia più che dire, viene mandato a vuoto da un naufragio (non è da escludere che un falsario, fiorentino, abbia attribuito al V. quattro viaggi per mostrare che il suo connazionale aveva compiuto tanti viaggi quanti erano stati quelli di Colombo). Ora, come avrebbe osato il V. mandare a Firenze, al supremo magistrato della repubblica, racconti di viaggi inventati, quando un'infinità di suoi connazionali residenti a Siviglia e a Lisbona e in corrispondenza continua con i familiari e con le case fiorentine, avrebbero così facilmente smentito le sue affermazioni? E come avrebbe potuto nella Lettera al Soderini descrivere gli abitanti incontrati dopo il 16° di lat. N., le popolazioni pacifiche e semicivilizzate dei Maya, con le parole tolte di sana pianta dalla descrizione degli abitanti del Brasile, selvaggi e cannibali, come ricorrono nella lettera al Medici e nel Mundus novus? Egli avrebbe descritto, a due fra i primi cittadini di Firenze, nello stesso modo gli abitanti di paesi così diversi e così lontani l'uno dall'altro; e inoltre a uno presenta il tutto come visto in un sol viaggio, all'altro in due viaggi distinti. Si hanno invece le prove che il compilatore sfruttò le due lettere del Medici (primo e secondo viaggio) inventando e spostando a piacer suo, e valendosi anche di episodî e di altri elementi tratti da viaggi sincroni e anteriori, distribuendo con audace disinvoltura gli errori più banali. È ammissibile, per es., che proprio il V., nominato poi Piloto mayor, potesse dire che Malacca è a occidente di Calicut, e che la Sierra Leona è nell'Emisfero meridionale? Fu anche qui una speculazione editoriale, alla quale il navigatore fiorentino non solo non partecipò ma ebbe, se mai, tutto l'interesse a rimanere estraneo. Si abbia presente che queste due operette a stampa, documenti di menzogna, d'ignoranza e d'ingenuità, erano state pubblicate rispettivamente nel 1504 e nel 1505-06, assai prima della nomina del V. a Piloto mayor (1508). E possiamo allora noi ammettere che in un tempo in cui era in giuoco l'avvenire marittimo e coloniale della Spagna di fronte alla grandiosa espansione del Portogallo, il governo spagnolo avrebbe così ciecamente affidato la direzione d'un ufficio di tale importanza e responsabilità all'autore di due volgari compilazioni, che oltre a rivelare meriti e attitudini nkgative, contenevano due viaggi inventati e descrizioni di paesi mai veduti? Di ben altri elementi avranno dovuto disporre i dirigenti della politica spagnola per assicurarsi della perizia e della scienza del navigatore fiorentino: noi oggi per giudicare di queste abbiamo poco più delle lettere al Medici, ma allora esistevano i diarî, le relazioni ufficiali e le testimonianze dei compagni di viaggio. Quanto all'autenticità dei documenti fiorentini, per tanto tempo negata o messa in dubbio, non si ha oggi la minima ragione per esitare ad ammetterla. L'esame paleografico dimostra in modo assolutamente sicuro che si tratta di documenti sincroni ed è soprattutto da tener presente che delle tre lettere scritte dal V. si ha copia nel codice Riccardiano di Pietro Vaglienti, un fiorentino morto nel 1514, che aveva composto una miscellanea di scritti di vario genere, tutti di sua scrittura, specialmente di copie di lettere e relazioni di spedizioni spagnole e portoghesi che i rappresentanti delle case fiorentine di Siviglia e di Lisbona spedivano in patria. E il Vaglienti (ch'era già stato impiegato dei Sernigi) le disponeva per ordine cronologico, di mano in mano che giungevano a Firenze; e anche quelle del V. sono interposte fra le altre in ordine di data. È curioso che, mentre non si è mai posta in dubbio l'autenticità delle relazioni di altri Fiorentini, G. da Empoli, Simone dal Verde, Andrea Corsali, ecc., si debba escludere che proprio il più noto, il più illustre di codesti cittadini di Firenze che viaggiavano in terre lontane abbia reso conto dei suoi viaggi a un uomo come Lorenzo di Pier Francesco de' Medici, del quale era stato per tanti anni, ed era forse ancora, agente. E a quale scopo infine, ai primi del sec. XVI un falsario si sarebbe presa la briga di trarre documenti più brevi e più semplici di contenuto dalle due operette a stampa, sfrondando queste dell'inverosimile e del superfluo? In ogni modo egli avrebbe sempre dovuto procedere tenendo sott'occhio, come guida, lettere autentiche. Il falsario avrebbe dovuto mostrarsi di un'avvedutezza senza pari, perché nelle lettere non si avverte il minimo indizio rivelatore d'una falsificazione. Uno stile alla buona, familiare e rispettoso insieme quale si addiceva ai rapporti del V. col Medici; e quanto al contenuto, nulla di prolisso né di esagerato o di superfluo; nessuna ripetizione; il racconto di una persona seria ed equilibrata che intrattiene il suo corrispondente su ciò che lo può interessare. E soprattutto nessuna difficoltà d'ordine cronologico, nessuna alterazione nei dati che si riferiscono a spedizioni, che da documenti ufficiali sincroni e da altre testimonianze di vario genere sappiamo con certezza essere stati compiuti.

L'equivoco che opprimeva da quattro secoli il V. dovrebbe così considerarsi come dissipato, e il problema così irto di difficoltà apparire risolto. Rimangono aperte, naturalmente, questioni e discussioni d'indole particolare; ma la figura del grande navigatore ci sta ormai dinnanzi dritta e imponente in tutta la sua gloria.

Bibl.: Sul V. esiste una bibliografia copiosissima, quasi altrettanto estesa quanto quella colombiana, date soprattutto le questioni e le polemiche che collegano inevitabilmente i nomi dei due grandi navigatori. Essa è esposta ordinatamente da Giuseppe Fumagalli, Bandini e Uzielli, Vita di A. V. scritta da A. M. Bandini e commentata da Gustavo Uzielli, Firenze 1898, e da H. Vignaud, Améric Vespuce, Parigi 1917. A non ricordare le opere generali di storia della geografia di O. Peschel e di S. Ruge e quelle sulla storia della scoperta dell'America di W. Robertson, di L. Irving, di J. Fiske, di H. Harrisse, di J. B. Thacher e di altri (v. la bibl. di colombo), sono da notare fino dal secolo XVI: B. de Las Casas, Historia de las Indias, op. postuma pubbl. nel 1875 (specialmente nei capitoli 140, 164, 165-67); A. de Herrera, Historia general de los hechos de los Castellaños, ecc., Madrid 1601 (che è un riassunto dal Las Casas). Questi due storici, ostilissimi al V., diedero, si può dire, il tono alla critica denigratrice degli scrittori successivi. Ma le questioni vespucciane si accesero e si allargarono solo a cominciare dalla metà del sec. XVIII, assumendo talvolta un carattere appassionato e violento. Cfr. soprattutto: A. M. Bandini, Vita e lettere di A. V., Firenze 1745; S. Canovai, il più bollente fra gli esaltatori del V., Elogio di A. V., ivi 1788, e Viaggi di A. V. con la vita, l'elogio e la dissertazione giustificativa di questo celebre navigatore, ivi 1817; Fr. Bartolozzi, Ricerche storico-critiche circa alle scoperte di A. V. con l'aggiunta di una relazione inedita del medesimo, ivi 1789; Fr. Galeani Napione di Cocconato, Del primo scopritore del continente del Mondo nuovo, ivi 1809, e Esame critico del primo viaggio di A. V., in Mem. dell'Accademia imp. delle scienze di Torino, 1809-10: in entrambe le opere il Napione, pur non mostrandosi ostile al V., rivendica a Colombo la priorità della scoperta del continente contro le idee del Canovai; M. Fernández de Navarrete, Viages de Américo Vespucio, in Colección de los viages y descubrimientos ecc., III, Madrid 1829; il Navarrete, freddamente ostile al V., inizia quell'atteggiamento così parziale che pervade i critici della Penisola Iberica nel sec. XIX e nel presente; Visconte di Santarem, Recherches historiques, critiques et bibliographiques sur Améric Vespuce et ses voyages, Parigi 1842, sistematicamente avversa al V.; A. von Humboldt, Examen critique de l'histoire de la Géographie du Nouveau Continent au XVe et XVIe siècle, Parigi 1836-39; al V. sono dedicati i volumi IV e V; e, come già per Colombo, il Humboldt è l'iniziatore d'una critica serena ed elevata, sebbene non sempre conclusiva; C. Lester e A. Foster, The Life and voyages of Americus Vespucius, New Haven 1853, 2ª ed., New York 1903; A. von Varnhagen, Vespuce et son premier voyage, Parigi 1858; id., A. V., son caractère, ses écrits (même les moins atlantiques), sa vie et ses navigations, Lima 1865; id., Le premier voyage de A. V. définitivement expliqué dans ses détails, Vienna 1869; id., Nouvelles recherches sur les derniers voyages du navigateur florentin, ecc., ivi 1869; il Varnhagen è il più costante e il più entusiasta dei difensori e degli esaltatori del V.; ma purtroppo è anche quegli che negando fede ai doc. fiorentini ha maggiormente contribuito a render difficile la soluzione del problema; M.-P. D'Avezac, Les voyages d'Améric Vespuce au compte de l'Espagne, ecc., Parigi 1858; acuta e prudente disamina, ma sempre in base ai doc. tradizionali; L. Hugues, Il terzo viaggio di A. V., Firenze 1878, id., Sopra un quinto viaggio di A. V., Torino 1881; id., Alcune considerazioni sul primo viaggio di A. V., in Boll. d. Soc. geogr. italiana, aprile-maggio 1885; id., A. V., notizie sommarie, in Raccolta colombiana, II, parte 5ª, Roma 1894: tutte queste memorie dell'Hugues sono diligenti e accurate, ma non contengono, in genere, giudizî netti e definitivi in un senso o nell'altro; C. Mackham, The letters of A. V. and other documents illustrative of his carreer, Londra, Hakluyt Society, 1894; fra i moderni, il critico più radicalmente e spietatamente avverso al V. è P. L. Rambaldi, A. V., Firenze 1898; K. Trubenbach, A. V.'s Reise nach Brasilien, Plauen 1898; G. Uzielli, A. V. davanti la critica storica, Firenze 1899; l'Uzielli con questo e altri articoli fu uno dei più benemeriti studiosi del V., e il suo merito principale consiste nell'avere additato e sostenuto l'autenticità dei documenti fiorentini del cod. Vaglienti, ma senza escludere quella delle operette a stampa. F. A. Ober, A. V., Heroes of American History, New York 1907; G. T. Northup, V.'s Reprints, Texts and Studies, Princeton Univ. Press. 1916; H. Vignaud, Améric Vespuce, 1451-1512, sa bibliographie, sa vie, ses voyages, ses decouvertes, l'attribution de son nom à l'Amérique, ses relations authentiques et contestées, Parigi 1917; la più completa, la più ricca di notizie informative fra le opere recenti; il Vignaud è un grande ammiratore del V., ma egli esclude ogni carattere d'autenticità delle lettere fiorentine, onde i problemi vespucciani rimangono allo stato di prima; A. Magnaghi, A. V., studio critico, con speciale riguardo ad una nuova valutazione delle fonti, accompagnato dai documenti non ancora pubblicati del Codice Vaglienti, 2ª ed., corredata della riproduzione di 6 carte sincrone delle prime scoperte americane, Roma 1926; in quest'opera sono appunto discussi con nuovi criterî i problemi vespucciani, e vengono addotti gli argomenti che servono a sostegno delle conclusioni brevemente esposte qui sopra.