AMICUS CURIAE
1. - Nozione
2. - L’amicizia «neutra» e la sua origine inglese
3. - Tipicità anglosassone della figura
4. - L’amicizia «interessata» come sviluppo americano
5. – Bibliografia
Con l’espressione amicus curiae si intende indicare, in termini identificatori generali, il soggetto che, per diretto incarico della corte o per propria iniziativa, accolta dalla corte stessa, le si affianca come «amico» per collaborare con essa, informandola ed assistendola nella risoluzione di qualsiasi problema che abbia rilevanza per la corretta decisione della lite sottoposta al suo giudizio.
Si tratta di una tipica figura giuridica del mondo giudiziario anglosassone, anche se bisogna subito dire essa ha ben diversa vitalità nell’ambito di ciascuna delle aree nazionali che compongono quel mondo. Cosi, ad esempio, mentre in America è un istituto vitalissimo, in Inghilterra, dove, come vedremo, la figura ebbe origine e si affermò, ha un funzionamento molto limitato: sia per Io scarsissimo numero dei soggetti - ad es. l’Attorney General, la Law Commission, la Commission far Racial Equality, la Equal Opportunity Commission, la Law Society - ai quali è stato riconosciuto il diritto di intervenire come «amici», sia, in senso oggettivo, per l’effetto giugulatorio legato al carattere essenzialmente orale della procedura giudiziale inglese, che ovviamente esclude la presentazione «amicale» in giudizio di ogni tipo di «carta» o brief.
A questa diversa vitalità dell’istituto in seno ai singoli paesi di common law corrisponde una sua diversa elaborazione sia sistematica che disciplinare. La più estesa e dettagliata è quella statunitense alla quale, se non precisato altrimenti, ci rifaremo.
- L’amicizia «neutra» e la sua origine inglese
Vi sono due prime specie di «amici» da considerare in rapporto allo scopo ed all’interesse che sorreggono la loro partecipazione al giudizio. A questa duplicità di specie fa poi riscontro una duplicità di modi di intervento dell’'amicus, potendo questi operare in seno al processo o per chiamata diretta della corte o per offerta spontanea, ed accettata dalla corte stessa, della propria opera.
La prima e più semplice specie di amicus è costituita dal soggetto che, intervenendo, non ha altro interesse nella lite se non quello generale ed obbiettivo di collaborare con la corte per un fine superiore di giustizia, evitandole errori nella decisione. Le ipotesi più frequenti sono quelle in cui la corte conferisce all’amicus un incarico peritale, che può essere anche quello di dare un parere squisitamente giuridico. Ma le più interessanti, anche se rare, sono quelle in cui taluno, del tutto estraneo alle vicende della causa, interviene per far presente qualche dato o circostanza essenziale per una puntuale visione della questione e non fatta presente dalle parti o, comunque, non nota o sfuggita alla corte: come, ad esempio, la morte dell’imputato o di uno degli imputati contumace, il carattere collusivo dell’azione, il difetto di giurisdizione della corte.
Dal punto di vista storico va precisato che è stato proprio con quest’ultima caratteristica funzione collaborativa, non ancorata ad alcun diretto interesse personale nella lite, che la nostra figura nacque e si affermò in Inghilterra. Numerose referenze al riguardo, contenute nei Rolls di Edoardo III, Enrico IV, Enrico VI ed Edoardo V, ci dicono che essa era già comune nel medio evo innanzi al King’s Bench. In un caso del 1468 (Y.B., Edw. IV, 16, cit. da Krislov, S., [7]) venne ufficialmente stabilito il principio che «any man can inform the court in the case so that the court will not render judgment on an insufficient record». Conferme poi si hanno da Robert Brooke nel suo Abridgment del 1573 ed in casi del 1606 (Prince’s case), del 1649 (Tilburne’s case), del 1656 (Protector v. Geering), del 1686 (Horton v. Ruesby), del 1689 (Dove v. Martin), del 1707 (Falmouth v. Strode), del 1736 (Coxe v. Phillips) e del 1749 (Beard v. Travers).
- Tipicità anglosassone della figura
Per rispondere al quesito se l’amicus. nelle specie considerate, sia una figura di esclusivo sangue anglosassone o non piuttosto derivata da altre figure similari esistenti nel continente bisogna considerare separatamente l'amicus di nomina giudiziaria con funzione peritale e l'amicus che si intromette spontaneamente, anche se col beneplacito della corte, nella lite.
Per il primo ricorre, in effetti, una sua somiglianza o analogia con il consiliarius romano, le cui note caratteristiche, rimaste costanti dall’età arcaica a quella repubblicana ed in tutto il periodo dell’impero, erano quelle di intervenire nel processo per apposita richiesta del magistrato al fine di consigliarlo secondo il proprio libero convincimento ma sempre nell’obbiettivo rispetto dei principi di diritto. Ma non abbiamo prove sicure se questa somiglianza o analogia sia accidentale o corrisponda ad un deliberato atto di ricezione.
Per la seconda specie di amicus - senz’altro la più originale, almeno ai nostri occhi - non vi è nessun rapporto con il consiliarius romano, non essendo mai stato a questi riconosciuto il diritto di introdursi nel processo di propria iniziativa. Si tratta, in effetti, di una tipica figura anglosassone, la quale oltretutto non ha avuto alcuna refluenza in Europa ed in genere nei paesi di civil law. D’altronde vi sono precise ragioni storiche, tecniche e politiche di preciso carattere interno al sistema di common law le quali spiegano il nascere e l’affermarsi della figura nell’esclusivo ambito di quel sistema. Precisamente essa non è legata all’affermazione del principio meramente astratto ed ideale della giustizia, rispondendo piuttosto ad esigenze di giustizia concrete chiaramente individuabili. Va, in proposito, ricordato che nel periodo di formazione del common law e nei secoli immediatamente successivi l’imputato di un reato contro la corona non aveva il diritto di essere assistito, pur avvertendosi sempre l’esigenza, almeno virtuale, di un giudizio corretto e rispettoso dei fatti della causa. E per soddisfare questa esigenza ogni notizia o dato relativo ad essa era ben accetto da chiunque provenisse. La pratica, quindi, si affermò con una impostazione favorevole all’imputato, nel senso che l’amicus poteva intervenire solo a suo vantaggio e non a suo danno. Con questa impostazione la pratica non aveva motivo per approdare nel continente, perché ivi il diritto alla difesa ed all’assistenza giudiziaria era una tradizione risalente ai tempi più remoti del diritto romano. Ciò detto, vero è che l’intervento «amicale» è comune tanto ai casi criminali che a quelli civili, ma, come osserva la critica, è da ritenere che la ricorrenza dell’amicus in questi ultimi casi sia il frutto dell’estensione di una esperienza già proficua in campo processuale penale.
Successivamente, con l’istituzionalizzarsi del case-law, un nuovo motivo viene a concretare la ratio della figura tutta impostata sulla opportunità che la corte decidesse senza errare. Esso, a differenza dell’altro motivo che ha senso solo limitatamente alle origini della pratica, acquista, in stretto rapporto all’affermarsi del canone «stare decisis», sempre maggiore importanza, fino a divenire oggi l’effettivo fondamento dell’istituto in esame. E, difatti, per quanto ogni lite - nel sistema di common law - sia una questione inter partes, essa mette, tuttavia, capo - si fa riferimento all’attività giudiziaria delle corti superiori - ad una sentenza che, costituendo «precedente», assume una ben definita e caratteristica funzione normativa erga omnes. Orbene, sotto questo profilo va da sé che è di estremo interesse garantire che ogni giudicato sia rispettoso al massimo della realtà dei fatti per la posizione, nel mondo del diritto, di un puntuale atto di giustizia.
- L’amicizia «interessata» come sviluppo americano
La recezione americana delle due specie di amicus sopra individuate ed essenzialmente caratterizzate dallo svolgimento di una collaborazione «neutra» all’amministrazione della giustizia, si arricchisce con l’ammissione di una terza specie di amicus. questa caratterizzata dall’esplicazione di una «interessata» funzione difensiva. Precisamente si tratta di quella novella veste processuale assunta da chi, per conto proprio o in rappresentanza di altra persona o di un gruppo, organizzato o meno, di persone, agisce come portatore di un proprio interesse, il quale sia tuttavia collimante con quello superiore di giustizia della corte, nel preciso senso che la collaborazione a questa fornita per l’emissione di una sentenza obbiettivamente corretta è finalizzata dalla circostanza, del tutto strumentale, che solo attraverso il conseguimento di tale corretta pronuncia si ottiene non solo, ed in via diretta, giustizia nel caso in questione, ma anche, seppure in modo indiretto, la soddisfazione del particolare interesse portato avanti dell’amicus. È paradigmatico, tra i molti esempi forniti dalla giurisprudenza, il caso United States v. Barnett (376 U.S. 681), particolarmente significativo nella storia della «rivoluzione negra» statunitense degli ultimi vent’anni: il giovane negro Meredith aveva insistentemente tentato, come primo studente di colore, di iscriversi all’Università statale del Mississippi, ricevendo un netto rifiuto; egli allora iniziò un procedimento contro l’Università, facendo valere la violazione del suo diritto costituzionale ad essere trattato al pari di ogni altro cittadino, ed ottenne una sentenza favorevole; l’Università, però, col compiacente appoggio del Governatore dello Stato, eluse il giudicato ricorrendo ad ogni mezzo; Meredith per ottenere l’esecuzione della sentenza fu, quindi, costretto a rivolgersi di nuovo alla corte ed in questa fase il Governo Federale richiese ed ottenne «di comparire e di partecipare come amicus curiae nel procedimento innanzi alla corte»: il suo scopo, poi raggiunto, era quello di ottenere, attraverso la soddisfazione della pretesa particolare di Meredith, che il principio costituzionale della parità di trattamento dei cittadini senza alcuna discriminazione razziale venisse affermato da un punto di vista obbiettivo ed in senso generale; e questo corrispondeva, secondo le parole del giudice Goldberg che accolse l’intervento, ad «un interesse suo proprio e distinto da quello dell’attore».
La differenza tra questa specie di amicus ed il rimedio dell’intervento di terzo sta in ciò che quest’ultimo è ammesso laddove il giudizio tra le parti coinvolge direttamente un diritto del terzo di cui si ammette l’intervento, mentre per il tramite dell’amicus vengono tutelati interessi che sono meritevoli di considerazione, ma non tali - o perché non direttamente violati in ordine al presupposto che ha dato luogo alla lite o perché suscettibili di essere violati o anche solo di essere messi in pericolo dalla sentenza che è in via di emissione - da giustificare l’intervento del loro portatore quale parte in causa.
La speciale figura in esame è un rimedio che vuole assecondare la migliore connessione tra la società o, meglio, tra l’opinione pubblica della società e l’organo giudicante, che è considerato in America «a political-legislative body, amenable and responsive to mass pressure from any source» (Harper, F.V.-Etherington, E.D., [6], 1173; cfr. altresì Blaisdell, D.C., American Democracy under Pressure, New York, 1957, passim, e Schriftgiesser, K., The Lobbysts, Los Angeles, 1951, passim). Ma per ciò stesso si presta agli eccessi ed agli abusi, come si è verificato, soprattutto a partire dagli anni trenta, e come continua a verificarsi. Si è cercato di infrenare questa tendenza abusivistica con alcuni espedienti procedurali (ad es.: che l’amicus sia un attorney iscritto all’albo professionale dello Stato; che l’intervento sia preventivamente autorizzato; che esso sia fatto con una comparsa scritta e, in certi Stati, redatta nel rispetto di una certa forma e di una certa misura; che il brief sia notificato alla controparte; che sia dimostrata una effettiva «basis of merita dell’intervento). Ma nel rispetto delle condizioni richieste la fiducia delle corti verso l’istituzione rimane salda e si auspica che di essa si faccia una «liberal application».
- Essendo la figura esaminata di origine tipicamente giudiziaria le norme legislative e regolamentari ne danno per presupposta l’esistenza e ne disciplinano solo aspetti procedurali: cfr. [1] Wiener, F.B., The Supreme Court’s New Rules, in 68 HarvLR, 1954, 20 ss.
- Per la dottrina sul tema v.: [2] Abraham, H.J., The Judicial Process, New York, 1962, 209 ss.; [3] Angell, E., The Amicus Curiae: American Developments of English Institutions, in 16 ICLQ, 1967, 1017 ss.; [4] Beckwith, E.R.-Sobernheim, R., Amicus Curiae - Minister of Justice, in 17 Fordham Law Review, 1948, 38 ss.; [5] Covery, F.M. Jr., Amicus Curiae: Friend of the Court, in 9 De Paul Law Review, 1959-1960, 30 ss.; [6] Harper, F.V.-Etherington, E.D., Lobbyists before the Court, in 101 UPLR, 1953, 1172 ss.; [7] Krislov, S., The Amicus Curiae Brief, in 72 YLJ. 1962, 694 ss.; [8] Piper, G.C., Amicus Curiae Participation, in 60 Kentucky Law Journal, 1966-67, 864 ss.
Per il diritto inglese cfr. [9] Zander, M., The Law- Making Process, London, 1980, 239 ss. In Italia la figura è stata presentata da [10] Criscuoli, G., Amicus Curiae, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1973, 187 ss.; [11] Criscuoli, G., Amicus Curiae, in Circ. Sampolo, 1972, 215 ss.
GIOVANNI CRISCUOLI