PONCHIELLI, Amilcare Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PONCHIELLI, Amilcare Giuseppe

Pietro Zappalà

PONCHIELLI, Amilcare Giuseppe. – Nacque il 31 agosto 1834 a Paderno (dal 1950 Paderno Ponchielli), nel Cremonese, da Giovanni Maria (1792-1870) e da Caterina Mora (morta probabilmente tra il 1859 e il 1861).

I genitori gestivano un negozio di generi di monopolio; una prima figlia, Angela Caterina, era morta in fasce (31 marzo - 4 aprile 1833). Il piccolo Amilcare iniziò lo studio della musica con il padre, organista dilettante nella chiesa di Paderno, e con un certo maestro Gorno del vicino paese di Casalbuttano; a questo periodo risalgono le prime, brevi composizioni per pianoforte. Per interessamento del conte Giovanni Battista Jacini, nel 1843 Ponchielli entrò nel Conservatorio di Milano, dove ebbe per insegnanti Antonio Angeleri (pianoforte), Pietro Ray (teoria), Felice Frasi (composizione fino al 1851) e Alberto Mazzucato (storia ed estetica musicale; composizione dal 1851). Fra i lavori di questo periodo spicca l’opera Il sindaco Babbeo (libretto di Giorgio Giachetti; Milano, teatro di S. Radegonda, 3 marzo 1851), composta insieme ai compagni di studio Carlo Marcora, Domenico Cagnoni e Angelo Cunio. Ponchielli si cimentò anche in composizioni orchestrali, fra le quali due sinfonie, nello stile delle ouvertures d’opera (1850, 1852), e una Scena campestre, brano sinfonico a programma (1853).

Conseguito il diploma di composizione il 4 settembre 1854, Ponchielli si stabilì a Cremona, dove iniziò a impartire lezioni private di musica. Il 19 marzo 1855 divenne organista in S. Imerio, incarico che mantenne fino al 2 marzo 1860: deriva da questa attività buona parte della sua produzione organistica, nonché la perizia che egli maturò sullo strumento (negli anni seguenti fu spesso incaricato di collaudare organi di nuova costruzione). Nel carnevale 1855 Ponchielli divenne anche maestro sostituto di Ruggero Manna, il principale musicista cremonese, a capo sia del teatro Concordia (l’odierno teatro Ponchielli) sia della cappella musicale in cattedrale. Si dedicò quindi al suo primo vero melodramma, I promessi sposi (libretto di vari autori, fra cui Giuseppe Aglio, Cesare Stradivari, Carlo Ercole Colla, dal romanzo di Manzoni); la ‘prima’, a Cremona il 30 agosto 1856, ebbe una notevole eco locale e spinse l’editore Francesco Lucca a pubblicarne degli estratti; ma l’opera non fu ripresa sulla piazza milanese. Il successivo «dramma lirico», Bertrando dal Bornio (Filiberto Balegno), era destinato al teatro Carignano di Torino, autunno 1858, come risulta dal libretto stampato a Cremona: ma lo spettacolo venne cancellato. Nel 1860 Ponchielli si esibì anche come direttore d’orchestra in alcune opere liriche ad Alessandria e al teatro Carcano di Milano. Dello stesso anno sono una Messa e un suo contributo (l’introduzione e un duetto) al «melodramma romantico» La vergine di Kermo (Francesco Guidi), opera collettiva per la quale Ruggero Manna aveva mobilitato quindici musicisti, rimasta per allora ineseguita. Anche la seconda opera data a Cremona, La savojarda (Guidi; teatro Concordia, 19 gennaio 1861), riscosse solo un successo locale.

Stretto dalle necessità economiche, nell’aprile 1861 Ponchielli accettò il posto di capomusica della banda municipale di Piacenza. Per un triennio lavorò alacremente all’ampliamento del corpo bandistico e del repertorio. Impartì altresì lezioni di pianoforte, canto e composizione e si accinse a una nuova opera, Roderico l’ultimo re dei Goti (Guidi): rappresentata al teatro Municipale di Piacenza (26 dicembre 1863), dopo una sola recita fu ritirata per difficoltà insorte con i cantanti. Scoraggiato dagli insuccessi teatrali e insoddisfatto dell’esperienza bandistica, nel luglio 1864 Ponchielli lasciò Piacenza; approfittando del riordino della banda municipale di Cremona, ne assunse il ruolo di capomusica: anche qui consolidò la compagine strumentale e compose molte musiche originali o trascrizioni e adattamenti. Il ritorno a Cremona fu senz’altro suggerito anche dalla prematura morte di Manna: Ponchielli fece domanda per succedergli come maestro di cappella in cattedrale, invano. A Cremona riprese con vigore anche le attività teatrali: diresse numerosi spettacoli; fece eseguire suoi balletti (La grisetta, 1865; Un viaggio nella luna, 1866; Orsowa ossia Il genio della montagna, 1871); nel 1867 avviò, lasciandola però in tronco, la composizione dell’ultimo libretto di Francesco Maria Piave, Vico Bentivoglio; nel 1870 fece allestire la collettiva Vergine di Kermo di dieci anni prima. Nel frattempo, nel 1868, concorse al posto di insegnante di armonia e contrappunto nel Conservatorio di Milano: vinse, ma all’atto della nomina si vide sorpassato da Franco Faccio. L’episodio, che aggravava il disagio di non potersi dedicare al melodramma e di dover invece dirigere la banda, amareggiò profondamente Ponchielli.

A fine 1872 ci fu una svolta radicale nella sua vita: il 5 dicembre una nuova versione dei Promessi sposi fu allestita al teatro Dal Verme di Milano, riscuotendo largo successo di pubblico e di critica (nella riscrittura intervenne il poeta scapigliato Emilio Praga, e la musica fu ampiamente rifatta). L’opera venne rapidamente ripresa in numerosi teatri italiani.

Per quanto rinfrescati, I promessi sposi non erano certo espressione delle nuove tendenze moderniste filowagneriane, anzi si collocavano saldamente nel solco della scuola italiana: forse anche per questo il maggiore editore musicale italiano, Giulio Ricordi, intravide in Ponchielli il possibile continuatore della florida (anche economicamente) tradizione verdiana e decise di sostenerne la parabola ascendente. Già all’indomani del successo milanese dei Promessi sposi Ricordi concluse con lui il contratto per un grand opéra da dare alla Scala, il «dramma lirico» I Lituani (Antonio Ghislanzoni, dal Corrado Wallenrod di Adam Mickiewicz).

Nel febbraio 1873 La Scala diede il ballo Le due gemelle (coreografia di Girolamo Pallerini); nel corso dell’anno Ponchielli, nominato cavaliere della Corona d’Italia a seguito del successo dei Promessi sposi, compose una Marcia funebre e un’Elegia funebre per Alessandro Manzoni (morto il 22 maggio 1873), fece eseguire al Conservatorio di Milano il Quartetto per fiati e orchestra (di almeno quindici anni prima), e diede a Lecco la ‘prima’ dello scherzo comico Il parlatore eterno (Ghislanzoni, da Charles-Maurice Descombes, Le parleur éternel; teatro Sociale, 18 ottobre). Lo sforzo maggiore fu però concentrato sulla composizione dei Lituani: l’opera fu acclamata (La Scala, 7 marzo 1874), pur con qualche riserva della critica, che indusse il compositore a predisporre una seconda versione (La Scala, 6 marzo 1875); e però non riuscì a radicarsi in repertorio.

Poco dopo la ‘prima’ dei Lituani, il 16 maggio 1874, Ponchielli sposò il soprano Teresa Brambilla (comunemente chiamata Teresina per non confonderla con l’omonima zia), la prima Lucia nei nuovi Promessi sposi.

Del 1875 è la cantata Omaggio a Donizetti (versi di Ghislanzoni), composta per la traslazione dei resti mortali del musicista in S. Maria Maggiore in Bergamo (teatro Riccardi, 13 settembre).

L’8 aprile 1876 alla Scala La Gioconda consacrò definitivamente Ponchielli come il maggiore fra i nuovi operisti italiani.

Il libretto di Tobia Gorrio (anagramma di Arrigo Boito) si rifaceva al dramma di Victor Hugo Angelo, tyran de Padoue (1835), rinnovando dunque il filone dei fortunatissimi melodrammi italiani derivati dal drammaturgo romantico francese (Lucrezia Borgia di Donizetti ed Ernani e Rigoletto di Verdi in primis), estremizzandone il gusto per l’intreccio sensazionalistico, gli effetti orrorosi, i drastici contrasti. Sul modello del grand opéra, che in Italia fu talvolta designato «opera ballo», la partitura annovera ben sei parti principali e però rimescola a bella posta i ruoli e le tipologie vocali: tra i poli estremi di una satanica scelleratezza (il baritono Barnaba) e di un religioso candore (il contralto La Cieca), i personaggi centrali – un soprano esulceratamente drammatico (La Gioconda), un mezzosoprano soavemente lirico (Laura Adorno), un tenore spinto e insieme mellifluo (Enzo Grimaldi), un basso austero e feroce (Alvise Badoero) –, irretiti in una vischiosa trama di delazioni, agguati, insidie e vendette, ondeggiano perigliosamente tra infamia e nobiltà. La cornice generale alterna episodi di spettacolare sfarzo scenico in luoghi vuoi pubblici (il cortile del Palazzo Ducale di Venezia) vuoi privati (la festa in casa di Alvise) a visioni notturne di serena oppure fosca seduzione paesaggistica (il brigantino all’ormeggio sulla riva deserta di Fusina; il tugurio della Gioconda sul Canal Orfano alla Giudecca). La caleidoscopica pluralità degli ingredienti si riflette nella dovizia e nettezza dei molti stili musicali sfoderati da Ponchielli, che spaziano dai cori di gaudio all’innodia sacra, dalle danze cittadine ai grandi ballabili aristocratici di gusto francese (celeberrima la Danza delle Ore, coreografia di Luigi Manzotti), dalle arie intensamente effusive ai monologhi straziati (famosissimo quello della protagonista all’ultimo atto, Suicidio! in questi fieri momenti / tu sol mi resti…); non mancano il ricco apporto atmosferico dell’orchestra in ampi squarci sinfonico-strumentali, l’espediente dei motivi ricorrenti che identificano sia singoli personaggi (il demoniaco Barnaba) sia attrezzi scenici gravidi di significato (il salvifico rosario della Cieca), le scene simultanee (come nel «coro, furlana e preghiera» del finale I). La Gioconda ebbe immediato successo; ripetutamente ritoccata nelle riprese di Venezia (1876), Roma (1877) e Genova (1879), si stabilizzò infine nella riedizione scaligera del 12 febbraio 1880. Da allora, è rimasta in cartellone nei teatri italiani e nei grandi teatri stranieri.

Ormai famoso, Ponchielli si divise tra la ricerca di soggetti per opere nuove e il completamento (o la revisione) delle precedenti, nonché la cura degli allestimenti di quelle già in repertorio. Durante il lungo soggiorno romano per la ripresa della Gioconda nacque il primo figlio, Annibale (15 agosto 1877). Sul finire dello stesso anno Ponchielli ripropose una nuova versione della Savojarda, con il titolo mutato in Lina (revisione di Carlo D’Ormeville; Milano, Dal Verme, 17 novembre 1877): l’opera tuttavia non venne accolta con grande favore, forse perché, radicata nei modelli del melodramma di metà Ottocento, non offriva un’alternativa convincente al grand opéra. Ponchielli lavorò poi a due nuovi libretti, I mori di Valenza (Ghislanzoni) e Olga (D’Ormeville), senza portarli a compimento: la partitura del primo fu completata dal figlio Annibale nel 1902 e in seguito nuovamente ricostruita e strumentata anche da Arturo Cadore nel 1911. Nel 1880 Ponchielli concorse a un posto di docente di composizione nel Conservatorio di Milano: ottenne la nomina a partire dal giugno, ma già in luglio si dimise per potere attendere a tempo pieno al suo lavoro per il teatro. Il 26 dicembre andò in scena alla Scala Il figliuol prodigo (Angelo Zanardini), ancora un grand opéra all’italiana, che però non eguagliò il successo dei precedenti. Nel gennaio 1881 il Conservatorio di Milano ingaggiò di nuovo Ponchielli, che stavolta tenne l’incarico. Fra gli allievi più acclamati ci furono Giovanni Tebaldini, Marco Enrico Bossi, Pietro Mascagni e Giacomo Puccini.

Poco dopo, il 7 febbraio 1881, nacque il secondo figlio, Giovanni.

All’apice del successo, nel 1881-82 Ponchielli ricevette numerosi incarichi e onorificenze: fu elevato a commendatore della Corona d’Italia; gli venne offerta la direzione del Conservatorio di Pesaro (invito che declinò); partecipò a una commissione ministeriale per le riforme musicali; compose un’Elegia funebre per pianoforte in memoria del suo maestro Felice Frasi, l’Inno al Gottardo per orchestra e banda per l’inaugurazione della galleria ferroviaria, un’Elegia per banda per la morte di Garibaldi; e curò in vari teatri italiani la messinscena delle sue opere. Nel 1881 venne invitato a concorrere al posto di maestro di cappella in S. Maria Maggiore a Bergamo: in un primo momento rifiutò, perché poco propenso al genere sacro e completamente assorbito dall’attività compositiva, dall’insegnamento e dagli allestimenti operistici. Ma i responsabili della basilica bergamasca seppero convincerlo ad accettare, garantendogli una serie di deroghe contrattuali che gli permettessero di seguire l’attività operistica. Ponchielli prese quindi servizio a fine 1882, recuperando alcune musiche sacre scritte in precedenza (in particolare un Magnificat risalente forse al 1866) e creando alcune nuove partiture di ampio respiro: una Messa per il Natale 1882, un Miserere per la Pasqua 1883 e, infine, le Lamentazioni di Geremia nel 1885 (rimaste incompiute alla morte). In queste partiture Ponchielli seppe coniugare la larga cantabilità dell’aria d’opera con una ricca presenza corale, la scrittura severa di tradizione ecclesiastica con spunti derivati dal melodramma. Oltre al servizio bergamasco, Ponchielli continuò a comporre (del 1883 è una Cantata a Manzoni, versi di Ghislanzoni; Milano, La Scala, 22 maggio) e a seguire le sorti delle sue opere in giro per i teatri: spicca in particolare nell’autunno 1884 il viaggio a Pietroburgo, dove al teatro Mariinskij andarono in scena La Gioconda (6 ottobre) e I Lituani (20 novembre, con il titolo Aldona).

Con l’ultima opera, Marion Delorme (Enrico Golisciani, dal dramma omonimo di Victor Hugo: Milano, La Scala, 17 marzo 1885; revisione di Ghislanzoni: Brescia, teatro Grande, 9 agosto 1885), Ponchielli volle tentare un orientamento nuovo, distaccandosi dal grand opéra per ricercare una dimensione più intima; nel contempo, puntò sullo svolgimento di un tessuto musicale più omogeneo, imbastito su un accompagnamento orchestrale fluente ed espressivo, secondo un indirizzo che trovò poi sbocco nella generazione di Mascagni e Puccini, allievi suoi.

Ai primi di gennaio 1886 Ponchielli si ammalò di polmonite: trascurata, la malattia degenerò rapidamente e lo condusse a morte il 16 gennaio. Ebbe funerali solenni in Milano il 21 gennaio. Nell’agosto 1886 nacque postuma una figlia, battezzata Amilcarina Gioconda, detta Pina.

La parte preponderante dell’opera ponchielliana è costituita dai melodrammi, già citati. Resta da ricostruire la produzione vocale sacra, certamente secondaria. A essa va aggiunta la Cantata per papa Gregorio VII (1885, su versetti biblici). Nel contesto ecclesiastico si colloca in prevalenza, se non esclusivamente, la non copiosa produzione organistica (ed. a cura di M. Ruggeri, Cremona 1999). La musica vocale da camera consta di una quarantina abbondante di romanze a una o più voci su versi di autori italiani classici (Dante e Petrarca) e contemporanei (Ferdinando Fontana, Ghislanzoni, Andrea Maffei, Praga) e di autori tedeschi in traduzioni italiane (Ludwig Rell-stab e soprattutto Heinrich Heine).

La sezione più consistente della produzione strumentale è costituita dalle musiche per banda (quasi 200 lavori, fra opere originali e trascrizioni di brani altrui): spaziano dalle marce solenni e funebri ai ballabili, dalle parafrasi operistiche ai concerti solistici fino alle composizioni di taglio sinfonico; accanto a brani d’occasione o semplici musiche di consumo ci sono opere che esaltano impasti timbrici originali e mettono in luce abilità virtuosistiche non comuni negli esecutori. Fra i lavori di maggiore respiro: i concerti per tromba e per flicorno basso, le Marce funebri per Francesco Lucca e Alessandro Manzoni, le variazioni sul Carnevale di Venezia, il Canto greco, la Fantasia sulla ‘Traviata’, l’Elegia sulla tomba di Garibaldi. Una decina sono i pezzi orchestrali (alcuni già citati), tra cui una Elegia per grande orchestra (è stata avanzata l’ipotesi che fosse destinata alle celebrazioni in morte di Wagner, 1883; cfr. Gerhard, 2010). La musica strumentale da camera non è copiosa, ma ha brani di pregio: Il convegno per due clarinetti e pianoforte; Paolo e Virginia per clarinetto, violino e pianoforte; il Capriccio per oboe; le Ricordanze della ‘Traviata’ per flauto, oboe, clarinetto e pianoforte; il Quartetto per flauto, oboe e due clarinetti; il Quartetto per archi. Completano il quadro della musica da camera le composizioni per pianoforte, senza particolari pretese, salvo l’Elegia.

I principali fondi di manoscritti e di lettere ponchielliani sono conservati a Milano (Archivio Ricordi; Biblioteca del Conservatorio), Cremona (Biblioteca Statale; teatro Ponchielli), Cambridge, Mass. (Harvard University, Houghton Library).

Fonti e Bibl.: E. Hanslick, Musikalisches Skizzenbuch, Berlin 1888, pp. 39-50; G. Cesari, A. P. nell’arte del suo tempo: ricordi e carteggi, Cremona 1934; G. De Napoli, A. P. (1834-1886): la vita, le opere, I’epistolario, le onoranze, Cremona 1936; A. Polignano, La storia della ‘Gioconda’ attraverso il carteggio Ponchielli-Ricordi, in Nuova Rivista musicale italiana, XXI (1987), pp. 228-245; Tuo affezionatissimo A. P. Lettere, 1856-1885, a cura di F. Cesari - S. Franceschini - R. Barbierato, Padova 2010.

J. Nicolaisen, Italian opera in transition, Ann Arbor, Mi., 1980, pp. 71-121, 274-276, passim; A. P., 1834-1886, a cura di N. Albarosa, Casal-morano 1984; A. P., a cura di B. Angeloni - G. Tintori, Milano 1985; L. Sirch, Catalogo tematico delle musiche di A. P., Cremona 1989; T.G. Kaufman, Verdi and his major contemporaries: a selected chronology of performances with casts, New York 1990, pp. 221-246; E. Voss - G. Schüller, La Gioconda, in Pipers Enzyklopädie des Mu-siktheaters, a cura di C. Dahlhaus, V, München 1990, pp. 36-41; J. Budden, Gioconda, La, in The new Grove dictionary of opera, a cura di S. Sadie, II, London 1992, pp. 421-423; E. Borri, I manoscritti di P. dalla collezione ‘G.C. Sonzogno’, Milano 1996; L. Sirch, P., A., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XIII, Kassel 2005, coll. 752-756; P. e la musica per banda, a cura di L. Sirch, Pisa 2005; P. Zappalà, La nomina di A. P. a maestro di cappella a Bergamo e la sua Messa (1882), in Il coro polifonico cremonese, Cremona 2008, pp. 225-249; F. Bissoli, La ‘Lina’ di P. nel solco di un genere medio, Lucca 2010; A. Gerhard, P., Wagner e il «genere sinfonico orchestrale» negli anni Ottanta, in Studi pucciniani, IV (2010), pp. 17-36; Bissoli, Storia e fonti della ‘Marion Delorme’ di P., Lucca 2012; L. Sirch, La formazione del compositore nell’I.R. Conservatorio di Milano a metà ’800. Il caso P., in L’insegnamento dei Conservatori, la composizione e la vita musicale nell’Europa dell’Ottocento, a cura di L. Sirch - M.G. Sità - M. Vaccarini, Lucca 2012, pp. 545-603; P. Zappalà, A. P. e la musica sacra: nuove acquisizioni, in Atti del Congresso internazionale di Musica sacra in occasione del centenario di fondazione del PIMS, a cura di A. Addamiano - F. Luisi, Città del Vaticano 2013, pp. 1177-1194; L. Sirch, «Forme insoliteunità delle idee». Aggiornamenti bibliografici ponchielliani, in Rivista italiana di musicologia, XLIX (2014), pp. 233-251; H. Howey, The band music of A. P.: the glory of a bandmaster, http://www.shsu.edu/ academics/music/ponchielli/index.html (22 settembre 2015).

CATEGORIE
TAG

Francesco maria piave

Alessandro manzoni

Giovanni tebaldini

Marco enrico bossi

Paderno ponchielli