Amnesia

Universo del Corpo (1999)

Amnesia

Alberto Oliverio

Per amnesia si intende la mancanza o la perdita della memoria, soprattutto come incapacità a rievocare esperienze passate. Nel linguaggio della neuropsicologia si distinguono l'amnesia 'anterograda' e quella 'retrograda' o 'retroattiva'. Si parla di amnesia anterograda quando la perdita dei ricordi è relativa a eventi che si sono verificati dopo un trauma cranico o dopo una malattia, il che implica l'incapacità di memorizzare nuove esperienze. L'amnesia retrograda si riferisce invece a eventi precedenti il trauma o la malattia i quali hanno provocato la perdita dei ricordi, un vero e proprio 'buco' nella memoria. In un'accezione più ampia, le amnesie fanno parte dei processi di oblio, che contribuiscono a far sì che alcune memorie decadano, siano meno vive o vengano riaggiornate. In questo senso, le amnesie rappresentano fatti comuni nell'ambito dei processi cognitivi, legati sia a una momentanea difficoltà di accesso alla memoria, sia a un blocco, spesso emotivo o indotto da dinamiche inconsce.

I. Studi sperimentali

Lo studio sperimentale delle amnesie risale all'inizio del Novecento, quando G.E. Müller e A. Pilzecker sottoposero alcuni volontari a un esperimento durante il quale essi dovevano apprendere del materiale verbale composto di sillabe o numeri. Se veniva loro richiesto di imparare dell'altro materiale subito dopo il primo apprendimento, essi dimenticavano il materiale appreso nella prima seduta, mentre l'oblio era meno rilevante se intercorreva un certo lasso di tempo tra le due sedute. I due psicologi tedeschi giunsero alla conclusione che la seconda seduta di apprendimento esercitava un effetto negativo sulla memorizzazione, in quanto interferiva con il consolidamento del primo apprendimento e produceva una perdita della memoria, la cosiddetta amnesia retrograda (Müller-Pilzecker 1959).

Il concetto di 'interferenza retroattiva', alla base dell'amnesia retrograda, venne ripreso intorno alla fine degli anni Quaranta dagli psicologi sperimentali che, oltre a ispirarsi agli studi di Müller e Pilzecker, erano stati suggestionati dai dati clinici ottenuti da U. Cerletti e L. Bini, gli psichiatri italiani cui si deve l'introduzione dell'elettroshock nella terapia delle psicosi. Questa pratica terapeutica, oggi utilizzata sotto anestesia generale prevalentemente nella terapia delle forme depressive gravi, comporta una disorganizzazione di varie funzioni nervose, tra cui un effetto amnestico che colpisce la memoria degli avvenimenti verificatisi prima del trattamento elettroconvulsivo. Un effetto analogo si verifica a seguito di traumi cranici, per es. quelli da incidenti automobilistici, dove la persona presenta un'amnesia selettiva per gli eventi immediatamente precedenti l'incidente, mentre i ricordi più antichi non subiscono alterazioni.

Questo tipo di amnesia retrograda si riscontra anche negli animali sottoposti a un trattamento con elettroshock subito dopo il test di apprendimento e costituisce un modello sperimentale in uso per studiare i tempi e i modi del processo di consolidamento, sin da quando C.P. Duncan (1949) stabilì che l'effetto amnestico dell'elettroshock è tanto più evidente quanto più il trattamento è vicino alla fine dell'esperienza di apprendimento. Nel suo esperimento, divenuto ormai un classico negli studi sperimentali sulla memoria, Duncan utilizzò diversi gruppi di ratti che dovevano imparare a evitare una blanda punizione e notò che si verificava un'amnesia retrograda soltanto nel caso in cui l'elettroshock venisse somministrato entro un'ora dalla fine dalla prova, mentre l'apprendimento non veniva alterato se l'elettroshock era più tardivo. Secondo l'interpretazione data da Duncan di questi risultati, se entro breve tempo dalla fine di un'esperienza si perturba l'attività elettrica dei neuroni attraverso l'azione dell'elettroshock si interferisce con il consolidamento della memoria, mentre trattamenti più tardivi sono inefficaci in quanto si sono formate delle stabili modifiche a livello delle sinapsi.

L'elettroshock modifica quindi il consolidamento della memoria attraverso un'amnesia retrograda che impedisce il passaggio della memoria dalla forma a breve termine (ancora fragile, in quanto legata a perturbazioni elettriche dei neuroni e delle loro sinapsi) a quella a lungo termine, legata a modifiche ormai stabili della funzione e della struttura delle sinapsi nervose. Nell'uomo il fenomeno dell'amnesia è ancora più complesso perché, oltre alla memoria a breve termine e a quella a lungo termine, noi possediamo anche una memoria 'procedurale' e una 'dichiarativa' o 'proposizionale' (v. memoria).

La memoria di tipo procedurale, legata cioè ad abilità, viene espressa essenzialmente attraverso prestazioni di tipo motorio, non è accessibile alla coscienza, è estremamente antica dal punto di vista filogenetico e compare precocemente nel corso dello sviluppo postnatale. Al contrario, la memoria di tipo dichiarativo, che acquisisce informazioni su fatti ed episodi, è accessibile alla coscienza e rappresenta una tappa abbastanza tardiva sia in termini evoluzionistici, in quanto può essere considerata tipica dei Vertebrati, sia in termini di sviluppo postnatale umano. Una differenza sostanziale tra i due tipi di memoria, come hanno indicato B. Milner (1970), L.R. Squire e S. Zola-Morgan (1988), consiste nel fatto che le memorie di tipo procedurale vanno difficilmente incontro all'amnesia e non sono colpite da trattamenti inibitori come l'elettroshock. Inoltre, strutture nervose come l'ippocampo e la regione temporale media, responsabili dell'integrità delle memorie di tipo dichiarativo ‒ che vanno incontro a una grave disorganizzazione nel caso di lesioni localizzate nell'ippocampo e nella regione temporale media ‒, non sono invece responsabili delle memorie di tipo procedurale. Il ruolo critico esercitato dall'ippocampo nei processi di richiamo delle memorie, e quindi nell'amnesia, è stato accertato dagli studi di Milner e in particolare dalle sue osservazioni su un paziente, H. M. Questi era affetto da una gravissima forma di epilessia e, in seguito agli insuccessi di terapie farmacologiche, fu sottoposto a un intervento chirurgico in cui venne praticata una resezione bilaterale delle aree temporali mediali dell'ippocampo. Dopo l'intervento, l'epilessia di H. M. subì una netta regressione, ma la sua memoria rivelò un deficit gravissimo, un'amnesia anterograda che comportava la permanenza dei ricordi consolidati prima dell'intervento chirurgico, ma l'impossibilità di formare nuove memorie. H. M. poteva ricordare brevi liste di parole o di numeri per pochi minuti ma in seguito le dimenticava: il suo caso, e quello di altri pazienti con simili danni dell'ippocampo, fanno ritenere che questa struttura del sistema limbico svolga un ruolo critico nel processo di consolidamento della memoria, in particolare di quella spaziale, relativa cioè all'orientamento. L'ippocampo, tuttavia, non è la sede della memoria in quanto i ricordi sono codificati attraverso l'entrata in gioco di numerose strutture sottocorticali e della corteccia cerebrale.

2. L'amnesia infantile

Un particolare tipo di amnesia è l'amnesia 'infantile', che si riferisce all'impossibilità di ricordare gli eventi relativi ai primi anni della nostra vita: si tratta di una forma di amnesia che riguarda un periodo dell'esistenza durante il quale l'individuo apprende di continuo e per di più la quantità e l'estensione degli apprendimenti sono notevoli (v. apprendimento). Tra le diverse teorie che spiegano l'amnesia infantile, una delle più accreditate sottolinea le differenze che esistono tra l'elaborazione dell'informazione nell'età infantile e in età più tardive.

Per un bambino molto piccolo, non ancora in grado di parlare, un libro, per es., è solo un oggetto che appartiene all'ambiente circostante. In seguito, con lo sviluppo del linguaggio, questo oggetto acquisterà un nome e verrà definito come un libro: il bambino sarà capace di leggerne il titolo, comprenderne il contenuto e apprezzarlo rispetto a quello di altri libri. Col tempo crescono, dunque, i punti di riferimento, la possibilità di formare categorie e di generalizzare, cioè di prescindere dai puri e semplici aspetti sensoriali di un messaggio. Secondo gli studiosi del sistema nervoso, le cause dell'amnesia infantile vanno ricondotte al processo di 'mielinizzazione': le fibre nervose che si distaccano dal neurone sono formate da una sostanza, la mielina, che le isola dalle fibre circostanti, migliorando e rendendo più selettiva la conduzione nervosa tra i neuroni; la deposizione dell'involucro di mielina intorno alla fibra nervosa avviene lentamente nel corso dello sviluppo postnatale e soltanto intorno ai 5-6 anni di vita tale processo è fortemente avanzato.

Un incompleto rivestimento delle fibre nervose non consentirebbe ai vari nuclei del cervello di interagire in maniera coerente per formare quella mappa complessa che costituisce la memoria di specifici eventi, che per questa ragione andrebbero incontro all'amnesia infantile o, più in generale, all'oblio. Bisogna inoltre considerare che la fase infantile rappresenta un periodo in cui i ricordi vengono man mano ristrutturati e aggiornati nelle loro valenze cognitive e che il massiccio apprendimento che caratterizza l'infanzia implica un forte ruolo dei processi di interferenza proattiva e retroattiva, il che comporta un progressivo oblio.

Memoria e oblio

L'amnesia, nel linguaggio comune l'oblio, comporta una totale scomparsa dei ricordi o semplicemente una difficoltà ad accedervi? Alcuni, come W. Penfield (1975), sostengono che alcuni ricordi, anziché scomparire, si sottraggono ai processi di reminiscenza, rimanendo sepolti nelle trame nervose come tracce fossili di un lontano passato, nascosto alla coscienza, cui tuttavia, in alcune situazioni, è possibile ridar vita.

Nel corso di un intervento chirurgico sul cervello effettuato in anestesia locale per individuare la sede di una lesione nervosa (bisogna ricordare che il cervello non prova dolore), Penfield stimolò elettricamente, attraverso un sottile ago, diverse aree superficiali e profonde della corteccia. In alcuni casi, i pazienti riferirono che in seguito alla tenue corrente elettrica 'vedevano' scene della loro infanzia, come se ricordi ormai perduti riemergessero. Penfield ipotizzò di aver stimolato dei neuroni in cui erano registrate antiche e sopite memorie, ma studi più recenti suggeriscono che la stimolazione di diverse regioni cerebrali si traduce in sensazioni visive, acustiche, ecc. che, a posteriori, possono essere rivestite dal paziente di significati logici, legati a ricordi già esistenti, come avviene nel caso delle allucinazioni. Non sembrerebbe pertanto che singole memorie siano depositate in neuroni o circuiti specifici, né che sia l'attivazione elettrica di queste microstrutture a far emergere i ricordi. Questi, in effetti, pur essendo depositati nelle trame nervose, sono distribuiti tra numerosi e vasti circuiti che, in sintonia tra loro, codificano e fanno riemergere le memorie.

Perché, allora, i ricordi vanno incontro all'oblio? Gli psicologi sostengono che i processi di interferenza giocano un ruolo fondamentale, ma anche che col passare del tempo alcune specifiche memorie possono andare perdute poiché vengono trasformate in memorie più vaste, dotate di un significato più generale, in grado di raggruppare un insieme di informazioni. Per gli psicoanalisti, le amnesie e i processi di oblio hanno invece un significato diverso. Essi infatti sottolineano l'importanza dei fenomeni di rimozione che contribuirebbero a tenere in ombra alcuni ricordi, scomodi o dolorosi. Secondo Freud la rimozione investe la memoria e produce una dimenticanza o un blocco di esperienze e azioni traumatiche o comunque dolorose. Per questa ragione, per es., i soldati dimenticherebbero alcuni aspetti sconvolgenti della guerra o altri rimuoverebbero inquietanti esperienze infantili.

Una particolare amnesia è quella che colpisce gli anziani affetti da forme di involuzione cerebrale, come per es. il morbo di Alzheimer. In questi casi si riscontrano deficit cognitivi ed emotivi che dipendono in gran parte dalla degenerazione di neuroni di tipo colinergico, localizzati prevalentemente in alcuni nuclei profondi del cervello (nucleo di Meynert, setto, ippocampo) e diffusi fino alla corteccia, in particolare quella temporale. In seguito a lesioni di questo tipo, si verifica un'amnesia che colpisce prevalentemente la memoria dichiarativa o semantica, ma non quella procedurale, coinvolta nelle memorie di tipo motorio, cioè in quegli automatismi che ci consentono di camminare, vestirci ecc.Le amnesie, e più in generale i rapporti tra memoria e oblio, sono stati considerati sotto una nuova luce in base agli studi sul concetto di 'stato-dipendenza' che gettano un ponte tra una concezione prettamente neuropsicologica di questi fenomeni cognitivi e una concezione psicodinamica. Il concetto di 'stato-dipendenza' ricorda quanto si verifica in presenza di alcuni farmaci ipnotici, di droghe o di alcol. È noto che le esperienze vissute nel corso dell'ipnosi, durante un'ubriacatura o sotto droghe pesanti, non sono che parzialmente accessibili, se non del tutto inaccessibili, nello stato normale; esse sembrano dimenticate o sepolte nei meandri del cervello, ma possono riemergere quando si ritorna a quello stato fisiologico, quando cioè l'individuo è di nuovo sotto ipnosi, alcol o droga.

Questo stato di amnesia selettivo o stato-dipendente non riguarda la memoria nella sua globalità, ma un particolare aspetto della memoria, quella 'esplicita' che ‒ a differenza di quella implicita, più svincolata dal contesto ‒ si basa su associazioni tra esperienze e contesti emotivi. Per es., possiamo associare la mappa spaziale di un edificio o di un itinerario stradale con un fatto che ci ha colpito in quel luogo, come un incontro piacevole o spiacevole, un incidente di macchina ecc. e tale associazione rimarrà tale per sempre. L'emozione, dunque, può modulare la memoria e l'oblio generando dei fenomeni di stato-dipendenza: alcune memorie possono essere rievocate soltanto in un particolare stato emotivo e non in altri.

Simili fenomeni sono implicati nelle cosiddette personalità multiple, descritte all'incirca un secolo fa, quando J. Breuer e il giovane Freud (Breuer-Freud 1895) si imbatterono in un caso che avrebbe segnato la storia della psichiatria. Una giovane donna, Anna O., presentava una curiosa e insolita sintomatologia: in alcune ore della giornata o per giorni interi comparivano delle paralisi che colpivano il braccio destro ed entrambe le gambe della donna e ciò si accompagnava a vere e proprie allucinazioni, a stati di agitazione durante i quali Anna O. parlava prevalentemente in inglese; successivamente questi sintomi svanivano e la giovane, sebbene un po' depressa e ansiosa, riprendeva a comportarsi normalmente e ritornava a parlare la sua lingua madre, il tedesco. Ancora più stupefacente era il fatto che Anna O., dopo essersi ripresa dalle fasi di agitazione e allucinazione, dai soliloqui e dalle conversazioni in inglese, riassumeva la sua usuale personalità senza nulla ricordare di quanto era avvenuto.

Lo studio del caso di Anna O. fu il primo tentativo scientifico di analizzare quelle che oggi vengono definite le 'personalità multiple', vere e proprie dissociazioni dell'Io in cui una o più personalità diverse possono coesistere con quella originaria o prevalente. Si tratta di una complessa costruzione cognitiva che dà luogo a una mente coabitata da due diverse personalità, a due sistemi di memorie, a dinamiche emotive che si esprimono essenzialmente nell'una o nell'altra personalità, non coscienti l'una dell'altra, anche se capaci, talvolta, di dialogare tra loro come due persone diverse. La coscienza risulta in tal modo frammentata e il suo carattere unitario può allora entrare in crisi.

Bibliografia

j. breuer, s. freud, Studien über Hysterie, Leipzig-Wien, Deuticke, 1895 (trad. it. in s. freud, Opere, 1° vol., Torino, Boringhieri, 1967, pp. 161-439).

c.p. duncan, The retroactive effect of electroshock on learning, "Journal of Comparative Physiological Psychology", 1949, 42, pp. 32-44.

b. milner, Memory and the temporal regions of the brain, in Biology of memory, ed. K.H. Pribram, D. Broadbent, New York, Academic Press, 1970, pp. 234-56.

g.e. müller, a. pilzecker, Experimentelle Beiträge zur Untersuchung des Gedächtnisses, "Zeitschrift für Psychologie", 1959, 6, pp. 81-190.

w. penfield, The mistery of the mind, Princeton (NJ), Princeton University Press, 1975 (trad. it. Firenze, Vallecchi, 1991).

r.l. squire, s. zola-morgan, Memory, brain systems and behavior, "Trends in Neuroscience", 1988, 11, pp. 170-75.

h. weinrich, Lethe. Kunst und Kritik des Vergessens, München, C.H. Beck, 1997.

h.h. wieck, Psychologie und Psychopatologie der Erinnerungen, Stuttgart, Thieme, 1955.

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