PAOLUCCIO, Anafesto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PAOLUCCIO, Anafesto

Giorgio Ravegnani

PAOLUCCIO (Paulicio) Anafesto. – Il suo nome nelle fonti più antiche compare come Paulicio a cui poi si unisce la variante Paoluccio anche con il cognome Anafesto, che secondo i genealogisti veneziani sarebbe stato quello originario della famiglia Falier.

Le notizie su di lui sono estremamente scarse: secondo Giovanni Diacono, storico veneziano dell’XI secolo, fu un eminente cittadino di Eraclea, la capitale della Venezia marittima fondata al tempo dell’imperatore bizantino Eraclio (610-641), eletto duca dall’assemblea popolare dei Venetici, come allora si definivano gli abitanti delle lagune, per mettere fine al regime dei tribuni che per centocinquant’anni ne avevano governato le isole.

I tribuni, secondo lo storico, venivano eletti annualmente «affinché provvedessero ad amministrare la giustizia» (in realtà i loro compiti erano più ampi), ma l’opera da questi svolta si rivelava insufficiente per contenere la pressione dei barbari, per cui fu attuata la scelta unanime di optare per un governo dei duchi, accentrando quindi il potere in un’unica persona.

L’assemblea elettorale, forse convocata dal patriarca di Grado e composta da tutti gli aventi diritto presenti nel territorio venetico, con l’aggiunta del patriarca stesso e dei vescovi, fece cadere la scelta dopo una lunga discussione su Paulicio definito «un uomo espertissimo e illustre» al quale promise fedeltà proclamandolo duca a Eraclea. Paulicio divenne così il primo duca veneziano, destinato ad aprire la serie dei successivi centodiciannove che, a parte una breve interruzione dal 737 al 742, allorché il governo fu retto da cinque magistri militum, si sarebbe prolungata fino al 1797. L’elezione secondo Giovanni Diacono ebbe luogo: «ai tempi dell’imperatore Anastasio e del re dei Longobardi Liutprando» (quindi tra 713 e 715): secondo altre fonti più tarde tuttavia cadrebbe nel 706 o anche, più correttamente, nel 697, come si legge nella Chronica extensa del doge Andrea Dandolo, che costituisce la prima fonte ufficiale della storia di Venezia e mostra maggiore attendibilità nelle date rispetto all’opera di Giovanni Diacono.

L’elezione di Paulicio si colloca nel quadro politico amministrativo conseguente all’invasione longobarda dell’Italia sotto il dominio bizantino e alla costituzione intorno al 584 dell’esarcato d’Italia (o di Ravenna).

Dopo l’insediamento dei Longobardi in Italia nel 568 (o secondo altri nel 569), di fronte al fallimento dei tentativi di respingerli con le armi, i Bizantini diedero vita infatti a un nuovo assetto amministrativo consistente nella militarizzazione del territorio. A Ravenna venne insediato un esarco inviato da Costantinopoli con amplissimi poteri militari e civili e, ai suoi ordini, quanto restava del territorio italiano passò sotto il controllo di ufficiali con il titolo di duces o magistri militum, a capo di regioni militari più o meno ampie; i due termini nella prassi corrente paiono intercambiabili, ma in realtà esisteva una sottile differenza in termini amministrativi: il dux era il governatore provinciale, che come Paoluccio poteva essere espressione della nobiltà cittadina, mentre magister militum era il grado di un soldato di carriera che poteva assumere occasionalmente funzioni di duca. Al di sotto di questi alti ufficiali venivano poi, con un rango inferiore, i tribuni o comites al governo delle città o dei castelli laddove comandavano il relativo presidio militare ed esercitavano varie funzioni amministrative volte essenzialmente alla difesa e al mantenimento della convivenza civile. I primi ducati risultano istituiti nel VI secolo, ma nel secolo successivo ne vennero formati di nuovi e questo potrebbe essere il caso di Venezia, con un passaggio dall’amministrazione tribunizia a quella ducale o anche, con la separazione della Venetia dall’Histria, con la quale in origine costituiva un’unica regione. Le modalità di elezione di Paulicio rientrano almeno apparentemente nell’ordinamento imposto da Bisanzio alla provincia italiana, per cui l’insieme degli uomini adatti a portare le armi costituiva l’exercitus, il nucleo principale dell’assemblea generale, detta anche concio generalis o arengo, di cui facevano parte anche il patriarca di Grado, i vescovi e gli abati e che costituiva come in altre regioni soggette all’impero un nucleo primordiale di associazione politica. Questa stessa assemblea, che però nelle fonti veneziane vediamo chiaramente in attività soltanto dall’887, dovette procedere all’elezione del primo duca. La procedura, almeno a giudicare dal poco che si conosce per quei tempi, potrebbe anche essere corretta; resta però in ombra il ruolo svolto dall’esarco ravennate che, essendo le lagune provincia bizantina, sarebbe dovuto intervenire quanto meno con l’ordinatio, ossia il conferimento formale della carica a Paulicio. L’anomalia può essere tuttavia spiegata in due modi: o con la tradizionale reticenza degli storici veneziani nell’ammettere l’originario dominio di Bisanzio sulla loro città o anche con una momentanea eclissi dell’autorità esarcale, che a cavallo fra VII e VIII secolo pare vivere un momento molto difficile con la successione di diversi governatori la cui cronologia è tutt’altro che sicura.

Paulicio resse con equilibrio la provincia affidatagli anche se sotto il suo governo è ricordato un forte contrasto dai contorni non definiti con il patriarca di Grado. Concluse un trattato di pace con il re longobardo Liutprando (712-744), ancora in vigore ai tempi di Giovanni Diacono, e con lui definì i confini di terraferma del territorio di Eraclea (o Cittanova) compresi fra la Piave maggiore e la Piavesella. A questa definizione di confini (la cosiddetta terminatio liutprandina), confermata poi dal re Astolfo (749-756), fa espresso riferimento come fatto pregresso il Pactum Lotharii dell’841 in cui al paragrafo 26 si legge espressamente che per quanto concerne i confini di Cittanova doveva considerarsi valida la definizione fattane al tempo del re Liutprando tra il duca Paulicio e il magister militum Marcello e che doveva restare valido quanto concesso dal re Astolfo: «De finibus autem Civitatis novae statuimus, ut, sicut a tempore Liuthprandi regis terminatio facta est inter Paulitionem ducem et Marcellum magistrum militum, ita permanere debeat, secundum quod Aistulfus ad vos Civitatinos novos largitus est». Più avanti poi, al paragrafo 28 dello stesso documento, si precisa che il pascolo delle greggi poteva aver luogo con sicurezza all’interno del territorio delimitato da Paulicio: «Peculiarumque vestrarum partium greges pascere debeat cum securitate usque in terminum, quem posuit Palitius dux cum Civitatinis novis, sicut in pacto legitur, de Plave maiore usque in Plavem siccam, quod est terminus vel proprietas vestra». Altro non si conosce di Paulicio se non che morì dopo aver governato il ducato per venti anni e sei mesi, quindi nel 727 secondo la cronologia più probabile, e fu seguito da un nuovo duca di nome Marcello, in cui è verosimilmente da identificare lo stesso personaggio ricordato nel Pactum Lotharii.

Paulicio venne sepolto in Eraclea e morì apparentemente di morte naturale. La vicenda è però controversa e gli storici antichi scrivono anche di una rivolta contro di lui da parte di alcuni maggiorenti di Malamocco ed Equilio (Iesolo) che avrebbero preso e incendiato Eraclea uccidendolo assieme a tutti i parenti a eccezione di un chierico che avrebbe continuato la discendenza generando due figli.

La storicità di Paulicio, su cui sono concordi le fonti veneziane, è stata messa in discussione dalla storiografia moderna a partire dal Novecento. La critica più serrata sotto questo profilo è stata avanzata da Roberto Cessi, secondo cui non fu il primo doge di Venezia (così come Marcello non sarebbe stato il secondo) e in realtà la serie dei dogi veneziani va fatta partire dal terzo della lista tradizionale, Orso (o Orso Ipato), eletto verso il 726 dalle popolazioni in rivolta contro la dominazione bizantina a motivo dell’introduzione in Italia, da parte dell’imperatore Leone III (717-741), del decreto contrario al culto delle immagini sacre fortemente osteggiato dalla Chiesa romana. Partendo dall’assunto dell’inaffidabilità dei cataloghi ducali veneziani più antichi, Cessi ritiene infatti arbitrario l’inserimento in questi di Paulicio e l’inattendibilità della sua elezione da parte della popolazione locale in un ambiente, come quello venetico del tempo, ancora sotto la stretta dipendenza bizantina. Mentre a Marcello lo storico riconosce la probabile appartenenza alla gerarchia bizantina del ducato veneto, nega al contrario che il sottoscrittore del patto con Liutprando potesse essere un duca venetico, non in possesso in quanto tale di prerogative spettanti alla suprema autorità imperiale, quali appunto la definizione di un confine, essendo il territorio lagunare parte integrante del territorio dell’esarcato d’Italia. Non vi sarebbe stato di conseguenza un patto fra Veneziani e Longobardi al tempo di Liutprando, bensì una definizione di confini fatta dalle autorità bizantine. In via ipotetica, infatti, Cessi esclude l’esistenza di un «doge» Paulicio e lo identifica con l’esarco Paolo, a capo dell’Italia negli anni intorno al 727 (forse dal 724-725 al 727) sotto il quale sarebbe stata effettuata la terminatio liutprandina. A questa conclusione egli giunge tenendo conto del rango nobiliare di patricius regolarmente detenuto dai governatori italiani che nella tradizione testuale corrotta si sarebbe fuso con il nome proprio (Paulus patricius = Paulicius), dando luogo all’inesistente Paulicius, e del fatto che il patrizio Paolo, già duca di Sicilia, può avere conservato questo titolo all’inizio del suo mandato esarcale. Un’interpretazione più recente, infine, identifica in realtà in Paulicio il duca longobardo di Treviso e pensa all’accordo come risultante di una logica dei rapporti fra le aree di confine in quell’epoca.

Fonti e Bibl.: Origo Civitatum Italiae seu Venetiarum (Chronicon Altinate et Chronicon Gradense), a cura di R. Cessi, Roma 1933, pp. 28, 46, 115, 127, 154-157, 165, 169 s.; A. Dandolo, Chronica per extensum descripta, a cura di E. Pastorello, in RIS, XII, Bologna 1938-1958, pp. 104 s.; Documenti relativi alla storia di Venezia anteriore al Mille, I, secoli V-IX, a cura di R. Cessi, Venezia 1991 (ristampa corretta dell’edizione del 1942 a cura di C.F. Polizzi), p. 28; Giovanni Diacono, Historia Veneticorum, a cura di L.A. Berto, Bologna 1999, II, 2, p. 94, II, 10, p. 98.

R. Cessi, Paulicius dux, in Archivio veneto-tridentino, X (1926), pp. 158-179 (poi inId., Le origini del ducato veneziano, Napoli 1951, pp. 155-173); G. Maranini, La costituzione di Venezia, I, Dalle origini alla serrata del Maggior Consiglio, Venezia 1927, pp. 30 s.; A. Da Mosto, I dogi di Venezia con particolare riferimento alle loro tombe, Venezia 1939, p. 33; R. Cessi, Venezia ducale, I, Duca e popolo, Venezia 1963, p. 95; G.P. Bognetti, Natura, politica e religioni nelle origini di Venezia, in Id., L’età longobarda, IV, Milano 1968, p. 523; A. da Mosto, I dogi di Venezia, Firenze 1977, pp. 4 s.; A. Carile - G. Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna 1978, pp. 226 s.; G. Zordan, L’ordnamento giuridico veneziano, Padova 1980, pp. 30 s.; S. Gasparri, Dall’età longobarda al secolo X, in Storia di Treviso, II, Il Medioevo, Venezia 1991, pp. 15-19; G. Arnaldi, Le origini dell’identità lagunare, in Storia di Venezia, I, Origini. Età ducale, Roma 1992, p. 431; S. Gasparri, Venezia fra i secoli VIII e IX. Una riflessione sulle fonti, in Studi veneti offerti a Gaetano Cozzi, Vicenza 1992, pp. 5 s.

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