Anagogico

Enciclopedia Dantesca (1970)

anagogico

Francesco Tateo

. Il termine a. (cfr. il latino anagogicus, adattamento del greco ἀναγωγιχός) indica ciò che " conduce su ", " solleva ", e applicato all'ermeneutica biblica, della quale è termine tecnico, designa quel procedimento interpretativo (‛ senso a. '), per il quale il testo delle Scritture, letto alla luce delle verità supreme, diviene uno strumento di superiore conoscenza. D. stesso lo chiama sovrasenso. Nella tradizionale quadripartizione dei sensi biblici il senso a. figura al quarto posto dopo quello letterale, allegorico e morale, e riguarda propriamente l'interpretazione escatologica delle Scritture.

La definizione di esso, già presente in Beda, rimane generalmente costante nel Medioevo: " Anagoge, id est ad superiora ducens locutio, est quae de praemiis futuris et ea quae in caelis est vita futura sive mysticis seu opertis sermonibus disputat " (P.L. 91 410). Tuttavia, non sempre nella tradizione ermeneutica esso fu trattato distintamente, venendo spesso a indicare, genericamente, il senso opposto a quello letterale. In s. Tommaso il senso a. è il terzo dei tre sensi in cui si suddivide il senso ‛ spirituale ', che è applicabile soltanto al testo biblico, e ha la prerogativa di ‛ significare ' attraverso le res, a loro volta ‛ significate ' dalle parole, la beatitudine celeste, " ea quae sunt in aeterna gloria " (Sum. theol. I 1 10; ma cfr. anche Ugo da San Vittore De Script. et scriptor. sacris III; Erudit. didascal. V 2; Alessandro di Hales Summa 11; s. Bonaventura Breviloquium prol. 4; Collat. in Hexaemeron II 11-18; III 11-33).

D., nel Convivio, accanto alla distinzione dei grammatici tra senso letterale e allegorico, riprende la tradizionale quadripartizione dei teologi, e per il senso a. si vale della definizione tomistica insistendo sul fatto che esso va ricercato nella narrazione ‛ vera ' del testo biblico, come a dire che il significato escatologico non può risultare dalle favole poetiche: e questo è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale ancora [sia vera] eziandio nel senso litterale, per le cose significate significa de le superne cose de l'etternal gloria (II I 6). L'esempio successivamente riportato, del salmo 113 (" In exitu Israel "), che apparirà in Pg II 46-48 a significare appunto la liberazione dell'anima (cfr. Pd XXV 55-57), serve quindi nel Convivio a distinguere il senso a. dal senso allegorico propriamente detto, per il quale D. porta invece l'esempio della favola ‛ poetica ' di Orfeo. D. così, allontanandosi dalla schietta enunciazione tomistica, mostra di voler fondare la differenza fra allegoria e anagogia non solo sull'ordine diverso delle verità rispettivamente significate, ma sul diverso genere d'involucro letterale (favoloso nel primo caso, reale nel secondo).

Questo compromesso fra la bipartizione dei grammatici (favola e allegoria) e la quadripartizione dei teologi pare venir meno in Ep XIII 21, dove il senso a. viene incluso, in concordanza con la dottrina teologica, fra i tre sensi in cui si suddivide il senso mistico o spirituale, e soprattutto il medesimo esempio del Salmo 113 viene sottoposto, ora, a tutte e quattro le interpretazioni (così nell'ermeneutica biblica era tipico l'esempio di ‛ Gerusalemme ' interpretata secondo i vari sensi). Quanto all'interpretazione della vicenda biblica, nell'Epistola XIII si ricalca quella data nel Convivio: significatur exitus animae sanciae ab huius corruptionis servitute ad aeternae gloriae libertatem. Tale interpretazione, che risale a s. Paolo (Cor. I), era diffusa nell'esegesi medievale.

Tuttavia D., come non ricorse mai all'applicazione effettiva dell'interpretazione a. alle sue canzoni, sebbene promettesse nel Convivio di ricorrere incidentalmente al senso a. e a quello morale, così nell'Epistola XIII, sebbene sembri attribuire anche il senso a. al poema, in realtà non va oltre l'indicazione di un generico senso allegorico (§ 23 ss.). È probabile che D. non ritenesse in definitiva di poter attribuire alla sua opera il più tipico dei sensi biblici.

Bibl. - B. Nardi, I sensi delle Scritture, in Il mondo di D., Roma 1944, 55-61; H. De Lubac, Exégèse Médiévale, Parigi 1964, IV 319-325. Cfr. Ch. Singleton, " In exitu Israel de Aegypto ", in " Annual Report of the Dante Society " LXXVIII (1960) 1-24; D.J. Tucker, " In exitu Israel de Aegypto ". The D. C. in the light of the easter liturgy, in " The American Benedectine Review " XI (1960) 43-61; e, circa la possibile applicazione di questo canone interpretativo alla ‛ visione ' della D. C., G. Padoan, La " mirabile visione " di D., in D. e Roma. Atti del convegno di studi, Firenze 1965, 300 ss.