Anarchismo

Enciclopedia delle scienze sociali (1991)

Anarchismo

George Woodcock

1. Introduzione

Non c'è un'ortodossia anarchica, né un corpo di principî dogmatici - paragonabile alle opere di Marx e di Engels nell'ambito del comunismo marxista - e neppure una tradizione organizzativa unitaria dell'anarchismo. Nel suo significato più ampio esso comprende un insieme di dottrine e di tendenze che, in un arco di tempo di oltre tre secoli, e cioè dalla Rivoluzione inglese del XVII secolo alla fine del XX, colpiscono più per il loro carattere proteiforme che per la loro omogeneità. Tuttavia al centro di questo variegato insieme di posizioni e di correnti vi è una ferma convinzione comune: il governo è tanto dannoso quanto inutile. Di qui deriva il termine 'anarchismo' - la radice greca significa 'mancanza di governo' - usato almeno dalla metà del XVII secolo, e originariamente con significato spregiativo.

Nella guerra civile inglese i democratici estremisti, i levellers, furono chiamati Switzerizing anarchists dai loro avversari; durante la Rivoluzione francese il capo girondino Jacques-Pierre Brissot accusò il gruppo radicale degli enrangés di favorire l'anarchia, e nel corso del processo diede di quest'ultima una definizione negativa che prefigurava la valutazione che sarà data dai critici dell'anarchismo durante il XIX secolo: "Leggi non rispettate, autorità deboli e disprezzate, crimini impuniti, proprietà insidiata, sicurezza individuale violata, moralità pubblica corrotta, assenza di costituzione, di governo, di giustizia: questi sono i caratteri dell'anarchia". In seguito gli anarchici avrebbero accettato di buon grado molte delle accuse di Brissot. Essi si opponevano, infatti, sia alle costituzioni che ai governi - colpevoli di inibire le naturali inclinazioni degli esseri umani alla cooperazione - anche se non respingevano l'idea di giustizia, che ritenevano sarebbe emersa spontaneamente in una società non oppressa dalle leggi.

Disprezzavano l'autorità e per lo più consideravano "la proprietà accumulata" (come William Godwin la chiamò nel 1793 - lo stesso anno del giudizio di Brissot) un mezzo con cui poche persone potevano opprimerne altre; credevano fermamente che il crimine andasse compreso piuttosto che punito e che esso fosse comunque il prodotto di una società priva di libertà. Credevano, anzi, che distruggendo le rigide strutture dell"'istituzione positiva" (il governo, nella terminologia di Godwin) avrebbero potuto aprire la strada a una società fondata sull'aiuto reciproco, armoniosa e pacifica, dove le potenzialità individuali avrebbero potuto svilupparsi alla luce della libertà.

Le concezioni anarchiche, la cui tendenza è stata quella di manifestarsi nei periodi di crisi che dal XVII secolo in poi hanno scosso e mutato la società europea, si differenziano da un liberalismo radicale come quello di John Stuart Mill - che parimenti insiste sull'importanza della libertà individuale - in virtù di tre elementi che fanno dell'anarchismo, in ogni sua fase e sfumatura, un movimento innovativo e anzi rivoluzionario: una critica negativa e il rifiuto dell'ordinamento sociale vigente basato sull'autorità; un modello ideale di società libertaria alternativa fondata sulla cooperazione anziché sulla coercizione; una strategia per passare dal primo ordinamento al secondo. In generale, anche se rivoluzionario, l'anarchismo non è utopistico: i suoi sostenitori non prospettano quasi mai dei progetti particolareggiati di società ideale; sarebbe presunzione, infatti, secondo loro, per individui che vivono in un mondo senza libertà, anticipare le preferenze che saranno proprie degli uomini liberi. Ciò non toglie, ad ogni modo, che per gli anarchici sia possibile delineare una certa immagine del tipo di società che potrà operare efficientemente e pacificamente senza governo.

2. Prime manifestazioni: Winstanley e Godwin

Nel Medioevo vi furono sette ereticali, come i catari e i bogomili, che predicavano contro le autorità terrene; a rigore, però, non si trattava di anarchici: rifiutare il potere e sottrarvisi era solo un aspetto del proposito di ritirarsi dal mondo materiale nel regno della grazia spirituale e rientrava nella ricerca della salvezza individuale piuttosto che della liberazione sociale. Il primo vero tentativo di comunità anarchica, orientata al cambiamento della vita terrena di uomini e donne, si ebbe in Inghilterra durante il cosiddetto 'Commonwealth', con il movimento radicale dei diggers. Il loro leader, Gerrard Winstanley, pubblicò nel 1649 un pamphlet, Truth lifting up its head above scandals, dove si trovano per la prima volta compendiati quelli che sarebbero diventati i principî anarchici fondamentali: che il potere corrompe, che la proprietà è incompatibile con la libertà, che l'uno e l'altra sono le cause principali del crimine, che gli uomini possono vivere felicemente solo in una società senza governanti, dove il lavoro e i suoi prodotti siano ripartiti equamente e in cui l'uomo agisca non sottoponendosi alle leggi ma ascoltando la propria coscienza.In un certo senso Winstanley, identificando Dio e Ragione, stava portando le dottrine delle sette protestanti, caratterizzate dalla diffidenza nei confronti dell'autorità, verso la loro logica conclusione pratica. In Inghilterra egli guidò i suoi seguaci nell'occupazione e nello sfruttamento delle terre incolte e nell'organizzazione della resistenza passiva alle ritorsioni dei proprietari terrieri.

I suoi esperimenti fallirono, i diggers non divennero mai un movimento di massa ed egli stesso fu dimenticato per diversi decenni. Quando, però, alla fine del XVIII secolo si creò un'altra situazione rivoluzionaria, in Francia, le idee anarchiche riemersero e la loro più notevole manifestazione, An inquiry concerning the principles of political justice and its influence on moral and happiness di William Godwin (1793), fu influenzata proprio dalla tradizione dissidente inglese - oltreché, certamente, dagli avvenimenti della Rivoluzione francese.

La Political justice fu una delle molte opere scritte in risposta a Edmund Burke e alle sue Reflections on the French revolution (1790), di ispirazione conservatrice. In essa, invece di criticare direttamente l'autore, con il quale era anzi d'accordo nel deplorare gli eccessi terroristici dei giacobini, Godwin sottopose a una critica serrata le stesse istituzioni politiche, formulando così la prima esposizione organica delle idee anarchiche. Essa non solo comprende la classica teoria anarchica, secondo cui l'autorità è contro natura e i mali sociali persistono perché gli uomini non sono liberi di agire secondo ragione, ma delinea anche un'immagine di società decentrata, fondata essenzialmente su piccole comunità autonome. Secondo Godwin la "proprietà accumulata" è fonte di potere sugli altri e il governo della maggioranza è una forma di tirannia, mentre alcune procedure come il voto (la pretesa di ottenere la verità contando) riducono la responsabilità degli individui. Perciò egli ipotizza un sistema economico improntato a semplicità e libertà, in cui gli uomini danno e prendono secondo le loro necessità, e propone di sostituire le ordinarie procedure democratiche con una discussione che miri al consenso.

Su questi punti basilari Godwin anticipa gli anarchici delle epoche successive, anche se è tenue il legame diretto tra Political justice e il vasto movimento anarchico sviluppatosi, principalmente sul continente europeo, intorno alla metà del secolo scorso.

Godwin godette di una considerevole reputazione in Gran Bretagna durante gli anni novanta del XVIII secolo ed ebbe una notevole influenza sui circoli letterari: Shelley, Wordsworth, Coleridge, Hazlitt e anche Lytton furono tutti, anche se temporaneamente, suoi discepoli. Il suo impatto sul pensiero sociopolitico del tempo avvenne soprattutto attraverso gli scritti di un suo tardo discepolo, Robert Owen: grazie alla comunità fondata da quest'ultimo e ai suoi esperimenti cooperativi e sindacali, Political justice esercitò un'influenza sotterranea sugli aspetti più libertari della politica della classe lavoratrice inglese.

3. Il mutualismo di Proudhon

In un'Europa continentale politicamente inquieta - l'ultima monarchia borbonica, quella del 're cittadino' Luigi Filippo, sarebbe stata di lì a poco spazzata via dalla rivoluzione del 1848 - Pierre-Joseph Proudhon fissò, indipendentemente da Godwin, le basi teoriche dell'anarchismo. Figlio di un birraio di estrazione contadina originario della Franca Contea, nel corso degli anni trenta si era legato a società segrete radicali di Lione, in particolare ai mutualisti. Qu'est-ce que la proprieté? (1840) - dove per la prima volta impiegò il termine 'anarchico', liberandolo da connotazioni negative, per caratterizzare l'atteggiamento contrario a ogni forma di governo - lo rivelò come polemista. L'incontro con personalità quali Karl Marx e Mikhail Bakunin, nonché l'esperienza della rivoluzione del 1848 (fu anche direttore di diversi giornali, presto soppressi dalla censura) lo aiutarono a sviluppare i concetti di mutualismo economico, federalismo sociale e azione diretta, che rappresentano il suo contributo alla tradizione anarchica e che più tardi faranno dire a Bakunin: "Proudhon è il maestro di noi tutti".

Mutualismo, per Proudhon, è la volontaria riorganizzazione dell'economia su basi egualitarie, ma non, si badi, in senso comunista. Per usare la sua celebre formula, "la proprietà è un furto" se sfrutta l'altrui lavoro; non lo sarà più quella che permetterà al singolo produttore o al gruppo di lavoratori di controllare la terra, gli impianti o gli elementi necessari alla produzione. Questa forma modificata di proprietà - il "possesso" - non solo non è combattuta da Proudhon, ma è anzi ritenuta una condizione essenziale della libertà. Il futuro da lui preconizzato, pur contemplando il formarsi di concentrazioni di lavoratori, occupati nelle fabbriche e nei servizi pubblici di recente introduzione (reti idriche, ferrovie, gasdotti), ricalca per il resto la situazione francese del tempo: rivoluzione industriale ai suoi primi, difficili passi e produzione affidata prevalentemente ai piccoli laboratori artigianali. Contadini e artigiani avrebbero pur sempre formato la maggior parte della forza lavoro; ma i rapporti tra questi lavoratori, autonomi o associati, non sarebbero più stati, pena il sacrificio della libertà, di tipo politico, bensì di natura economica: un vasto sistema di mutuo credito e scambio, incentrato su una rete di banche del popolo.

Nel corso della rivoluzione del 1848 lo stesso Proudhon cercò invano di dar vita alla prima di queste banche (molti anni dopo, una versione modificata della proudhoniana banca del popolo apparirà nell'unione di credito o caisse populaire).

Nemico, come tutti gli anarchici, dello Stato centralizzato di tradizione giacobina, in due dei suoi libri più influenti - Idée générale de la Révolution au XIXe siècle (1851) e Du principe fédératif (1863) - Proudhon sviluppò l'idea di sostituire allo Stato-nazione un sistema di comunità locali autonome e di associazioni industriali federate tra loro e legate per contratto e reciproco interesse, piuttosto che da leggi e costituzioni (all'Assemblea rivoluzionaria del 1848 dichiarò di aver votato contro la costituzione proposta per la Seconda Repubblica solo "perché è una costituzione"). Giurie arbitrali, l'autogestione dei lavoratori e un sistema educativo capace di integrare lavoro intellettuale e attività pratica avrebbero sostituito i tribunali, la burocrazia e l'istruzione tradizionale. "L'anarchia è ordine", dichiarò Proudhon: egli vedeva nel suo modello federativo la garanzia di un'unità sociale naturale, opposta, quindi, al caos del sistema vigente, dove ogni ricerca di ordine prelude a una "tirannia senza fine".

Proudhon non cercò mai dei seguaci, pur avendone molti, né aspirò a fondare un partito, ma nella sua opera postuma, De la capacité politique des classes ouvrières (1865), insiste sul fatto che la liberazione dei lavoratori deve essere compito dei lavoratori stessi, organizzati nelle loro associazioni industriali, ponendo così le basi di un movimento che avrebbe respinto la politica democratica e parlamentare a favore di varie forme di azione diretta.Proudhon morì nel 1864, ma visse abbastanza per apprendere che un gruppo di lavoratori francesi, i quali si richiamavano alle sue concezioni e si definivano mutualisti, si erano riuniti a Londra con sindacalisti inglesi e rifugiati politici europei per fondare l'Associazione Internazionale dei Lavoratori (più nota come Prima Internazionale). All'interno di questa organizzazione si sviluppò una lotta tra i suoi seguaci e quelli di Marx, difensori dell'azione politica volta alla conquista del potere statale e all'instaurazione della dittatura del proletariato.

4. Bakunin e la Prima Internazionale

L'Europa, quando nacque l'Internazionale, era ancora al centro di una crisi politica. Nel 1870 il Secondo Impero crollò in seguito alla sconfitta francese nella guerra franco-prussiana; con la fondazione della Terza Repubblica iniziò a Parigi una rivolta di federalisti, la Comune, cui parteciparono simpatizzanti di Proudhon e altri membri dell'Internazionale. La brutalità dimostrata dalle autorità repubblicane nel reprimere questa sollevazione armata spinse il nascente anarchismo al di là della prospettiva proudhoniana di una rivoluzione attuata mediante la persuasione e l'esempio, verso l'atteggiamento più violento di un russo di estrazione aristocratica, Mikhail Bakunin, il quale aveva dichiarato una volta che "la spinta alla distruzione è, insieme, un'esigenza di creazione", e dalla fine degli anni sessanta era ormai il leader dell'opposizione libertaria ai tentativi marxisti di controllare l'Internazionale. In precedenza Bakunin aveva appoggiato i moti rivoluzionari nazionalisti in regioni slave come la Polonia e la Boemia, e, prima di fuggire in Occidente, aveva passato molti anni nelle prigioni russe e in esilio in Siberia; negli anni sessanta, non ancora entrato nell'Internazionale, aveva fondato una propria organizzazione semiclandestina, l'Alleanza internazionale della democrazia socialista, che gli procurò un seguito in Spagna, Italia, Francia meridionale e Giura svizzero.

Proudhoniano quanto a federalismo e a insistenza sulla necessità dell'azione diretta della classe lavoratrice, nemico di ogni forma di autorità politica quanto il suo predecessore, Bakunin riteneva però inattuabili le modifiche del diritto di proprietà proposte da quest'ultimo, alle quali, pur riaffermando il criterio della redistribuzione proporzionale al lavoro effettivamente prestato, opponeva la proprietà collettiva dei mezzi di produzione.

L'insistenza di Bakunin sull'azione rivoluzionaria violenta e sul collettivismo - piuttosto che il più moderato mutualismo di Proudhon - avrebbe dominato la corrente principale dell'anarchismo dalla Prima Internazionale fino alla vittoria, nel 1939, dei nazionalisti reazionari nella guerra civile spagnola, che segnò la fine dell'anarchismo come movimento di massa. Lo scontro all'interno dell'Internazionale si trasformò nella lotta tra due fazioni che aderivano entrambe all'idea della rivoluzione violenta: i marxisti, che propugnavano un'insurrezione guidata da un partito disciplinato che avrebbe dato vita a una dittatura rivoluzionaria, e i bakuninisti, che sostenevano una sollevazione spontanea dei diseredati, che avrebbe creato una società fondata sulla cooperazione e non sulla coercizione.

L'Internazionale si divise definitivamente in due frazioni al Congresso dell'Aia del 1872. I bakuninisti mantennero il controllo del movimento dei lavoratori nei paesi latini - Italia, Spagna, Francia meridionale e Svizzera francese -, che sarebbero rimasti i capisaldi dell'anarchismo europeo. Nel 1873, al Congresso di St. Imier nel Giura, i bakuninisti fondarono una propria Internazionale; nello stesso periodo i suoi membri iniziarono a definirsi anarchici piuttosto che collettivisti.

5. Kropotkin e il comunismo anarchico

Anche se l'anarchismo rimase una corrente minoritaria tra i movimenti rivoluzionari russi del secolo scorso, i suoi leaders più influenti a livello internazionale furono russi: Bakunin e Kropotkin, un principe di antico lignaggio e brillante geografo, quest'ultimo, il quale, rinunciando sia al proprio titolo che alla propria vocazione, l'anno stesso della morte di Bakunin (1876) diventò un rivoluzionario. Come Bakunin, Pëtr Kropotkin ebbe una movimentata carriera di militante, vividamente descritta nell'autobiografia, Memoirs of a revolutionist (1899). Imprigionato per attività cospirative in Russia e per propaganda sovversiva nella Francia meridionale, nel 1886 si stabilì in Inghilterra, dove scrisse i libri che costituiscono il suo contributo principale alla tradizione anarchica, e vi restò fino al 1917 (allo scoppio della Rivoluzione tornò nel suo paese, dove morì nel 1921).

Il nome di Kropotkin è legato soprattutto alla tendenza generalmente nota come 'comunismo anarchico', tendenza che accentuava l'assunto proudhoniano secondo cui la vera rivoluzione dev'essere economica piuttosto che politica. Convenendo sulla necessità della proprietà comune dei mezzi di produzione, insieme al geografo Élisée Reclus, suo seguace, Kropotkin dava però espressione a quel sentimento, piuttosto diffuso tra gli anarchici, secondo cui il collettivismo bakuniniano (a ognuno secondo il proprio lavoro) non era sufficientemente equo e generoso. A esso veniva opposta una particolare forma di comunismo che, riprendendo lo slogan "da ognuno secondo la sua capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni", accettava che i mezzi di produzione fossero di proprietà comune, ma postulava una libera distribuzione dei beni secondo le necessità: Kropotkin espose nel modo più organico la dottrina del comunismo anarchico in La conquête du pain (1892). Il modello qui delineato di una società rivoluzionaria organizzata come una federazione di libere comuni troverà ulteriore sviluppo in Mutual aid: a factor in evolution (1902), un classico dell'anarchismo, in cui s'intende appunto dimostrare che gli sviluppi dell'evoluzione animale e umana sono stati favoriti più dalla cooperazione che dalla competizione.

In Fields, factories and workshops (1899) Kropotkin avanzò delle ipotesi sulla centralizzazione dell'industria e sull'integrazione di lavoro agricolo e industriale, considerate appropriate a una società non sottoposta a una qualche forma di governo, ipotesi che ritroveremo in molte delle argomentazioni degli ambientalisti della fine del XX secolo.Queste opere completano la rappresentazione teorica di un futuro anarchico, e gli scritti successivi hanno fatto poco più che adattare alle via via diverse situazioni sociali e politiche del mondo contemporaneo le concezioni già delineatesi nel periodo che va da Godwin a Kropotkin.

6. La propaganda dei fatti

L'anarchismo è sempre stato, comunque, oltre che un fatto ideologico, un modo di sentire, e si è espresso tanto attraverso la riflessione intellettuale, quanto per mezzo di un'azione dai forti toni emotivi. Anzi, alla fine del secolo scorso gli scritti teorici di Kropotkin relativi alle forme di una società anarchica e alle basi scientifiche dell'anarchismo ebbero, per lo sviluppo del movimento, minor rilevanza immediata della comparsa tra i bakuninisti italiani della nozione di 'propaganda dei fatti'.

Nel 1876 Errico Malatesta, dichiarando che "l'atto insurrezionale, volto ad affermare i principî socialisti con i fatti, è lo strumento di propaganda più efficace", esprimeva una convinzione ormai diffusa tra i suoi compagni italiani. Le prime azioni promosse da Malatesta e dai suoi sodali furono le rivolte contadine, con l'intento di destare le masse analfabete delle campagne dell'Italia meridionale. Fallite tali azioni, anzitutto per l'inerzia di queste masse, l'attività degli anarchici assunse caratteri più individualistici. Diverse personalità politiche furono uccise o rischiarono di esserlo: gli anarchici speravano così di dimostrare la vulnerabilità dell'autorità e, inoltre, di sollecitare le masse con il proprio martirio (spesso, infatti, essi affrontavano la ghigliottina e la forca con i loro canti di sfida). Fu così decisa, tra il 1890 e il 1901, una serie di omicidi simbolici, diretti soprattutto contro capi di Stato: tra le vittime, re Umberto I in Italia e i presidenti Carnot e McKinley rispettivamente in Francia e negli Stati Uniti. Questa breve ma drammatica sequenza di attentati fissò nell'immaginario collettivo l'idea dell'anarchico come crudele nichilista.

Dopo il 1901, comunque, gli anarchici continuarono a praticare un terrorismo su vasta scala soltanto in paesi come la Spagna e la Russia, dove il clima politico generale era propizio a una violenza di questo tipo.Raramente gli atti terroristici furono eseguiti da gruppi organizzati. Essi furono, anzi, l'indice di una tendenza all'individualismo che determinava una situazione paradossale: col rapido diffondersi delle idee anarchiche cresceva pure la frammentazione organizzativa. Col disgregarsi dell'Internazionale il piccolo gruppo, che faceva propaganda con i fatti o con la parola, divenne l'organismo tipico. Da tutta una serie di congressi mondiali (i più importanti si svolsero a Londra nel 1881 e ad Amsterdam nel 1907) non scaturì una duratura organizzazione internazionale, né ebbe maggior successo la ricerca di un coordinamento su scala nazionale, persino dove gli anarchici erano numerosi, come in Francia e in Italia. La riluttanza verso qualsiasi forma di disciplina di partito rendeva difficile la formazione di un solido movimento di massa.

7. L'anarcosindacalismo

Molti anarchici, però, compresero che nell'inquieto clima dell'industria di fine secolo vi era un grande seguito potenziale se solo essi avessero saputo raccoglierlo. In Francia decisero quindi di entrare in quei sindacati in nuce che, con il graduale attenuarsi della repressione seguita alla Comune parigina, cominciavano ad apparire. Gli anarchici si concentrarono nelle bourses de travail, reti a carattere locale - si ricordi l'opzione degli anarchici per il decentramento - di associazioni originariamente nate per procurare lavoro ai propri membri. Nel 1893 nacque una confederazione nazionale di bourses de travail, la quale divenne il campo d'azione per quegli anarchici che propendevano per una qualche forma di organizzazione, più di altri loro compagni orientati in senso individualistico. Nel 1895 costoro avevano già assunto il virtuale controllo di questo organismo della classe operaia e, guidati da Fernand Pelloutier ed Émile Pouget, svilupparono quella teoria e quella pratica dell'azione operaia che furono poi note come anarcosindacalismo o sindacalismo rivoluzionario.

La tesi di fondo di questa corrente era che il ruolo tradizionale dei sindacati, e cioè la lotta per salari e condizioni di lavoro migliori, non avrebbe mutato in nulla una società fatta di coercizione e disuguaglianza. I sindacati avrebbero dovuto invece dedicarsi alla distruzione del capitalismo e dello Stato; loro scopo precipuo avrebbe dovuto essere quello di assumere il controllo dei luoghi di lavoro, e creare così la struttura di base di una società postrivoluzionaria. Era dunque necessaria una continua lotta, la cui grande arma doveva essere lo sciopero generale. Diversi sindacalisti credevano che uno sciopero generale internazionale, "una rivoluzione delle braccia incrociate", avrebbe causato il crollo dello Stato e la fine del sistema capitalistico. Non si tentò mai di realizzare nulla di simile; tuttavia l'impegno degli anarcosindacalisti procurò loro un grande prestigio tra i lavoratori francesi e, più tardi, in Spagna e in Italia. La conseguenza fu che il movimento anarchico si sviluppò al di là dei limiti dei vecchi gruppi proudhoniani di artigiani indipendenti, e si diffuse tra gli operai: al punto che, quando nel 1902 fu fondata la Confédération Générale du Travail, gli anarchici ne assunsero il controllo (lo conservarono fino al 1908 e anche in seguito ebbero una grande influenza nella CGT finché, sull'onda della Rivoluzione russa, i comunisti non ne ottennero la direzione).

Molti degli anarchici più tradizionalisti dissentivano sul carattere monolitico, approvato dai sindacalisti, delle grandi organizzazioni operaie; al Congresso di Amsterdam (1907) Errico Malatesta espresse con forza la preoccupazione che tali potenti sindacati avrebbero potuto portare i loro interessi già consolidati all'interno di una società rivoluzionaria. Resta il fatto che, nella misura in cui l'anarchismo riuscì a essere un movimento tale da influenzare le masse, e anzitutto il proletariato urbano, ciò avvenne soprattutto attraverso il sindacalismo rivoluzionario.In Russia l'influenza degli anarcosindacalisti declinò rapidamente - e lo stesso, di riflesso, accadde in Francia - con il consolidarsi del potere bolscevico dopo la vittoria nella guerra civile (1917-1921). Nonostante l'influenza di emigrati quali Bakunin e Kropotkin in Europa occidentale, in Russia l'anarchismo fu un movimento relativamente secondario e solo per un breve periodo, dopo la Rivoluzione, apparve qualcosa di simile a un movimento di massa. Ma anche allora, nelle città, i piccoli gruppi anarchici si dimostrarono impotenti di fronte ai bolscevichi; lo stesso Kropotkin, rientrato dall'esilio, scoprì di aver perduto tutta la sua influenza quando tentò di persuadere Lenin ad adottare misure più umane. Vero è che nel sud del paese un contadino anarchico, Nestor Makhno, organizzò un vero e proprio esercito insurrezionale, assai efficiente, e con brillanti tattiche di guerriglia sottrasse gran parte dell'Ucraina sia all'Armata Rossa che all'Armata Bianca. Tuttavia, nello stato di guerra permanente che prevaleva nella regione, Makhno e i suoi compagni furono in grado di attuare solo rudimentali esperimenti di innovazione sociale, che del resto ebbero fine nel 1921, quando egli fu sconfitto e costretto all'esilio.Nonostante le sconfitte subite in Francia e in Russia, in altri paesi la forza dell'anarcosindacalismo si conservò intatta.

Nel 1922 i suoi militanti costituirono una loro organizzazione che riprese il nome della vecchia Associazione internazionale dei lavoratori (di cui sopravviveva qualcosa in Svezia) e fissò la propria sede centrale a Berlino. Vi aderirono l'Unione Sindacale Italiana (mezzo milione di iscritti) e leghe e federazioni presenti in Argentina, Portogallo, Germania, Svezia e Olanda (ciascuna con cento-duecentomila membri). Nel frattempo, al di là dell'Atlantico, dove operavano anarchici individualisti nordamericani quali Benjamin Tucker e Josiah Warren, nonché gruppi anarcocomunisti di immigrati guidati da personalità quali Emma Goldman e Alexander Berkman, la tendenza sindacalista diede vita all'Industrial Workers of the World (IWW), un movimento di lavoratori che, oltre a lottare per miglioramenti immediati, mirava alla distruzione dello Stato e del capitalismo. L'IWW organizzò attivamente minatori, taglialegna, e lavoratori non specializzati negli Stati dell'Ovest e in Canada, ma a partire dalla prima guerra mondiale la sua influenza cominciò a diminuire.

8. L'anarchismo in Spagna

Fu in Spagna, comunque, che l'incontro di anarchismo e sindacalismo ebbe il maggior successo. Qui il più numeroso movimento anarchico del mondo fu a lungo anche il più forte movimento di lavoratori del paese. Il primo giornale anarchico del mondo, El Porvenir, fu fondato a La Coruña nel 1845 da un seguace di Proudhon, Ramón de la Sagra, le cui idee influenzarono i cantonalisti i quali, durante la rivoluzione del 1871, cercarono di trasformare lo Stato in una confederazione decentrata. Con l'arrivo, nel 1868, dell'italiano Giuseppe Fanelli come delegato dell'Internazionale la situazione cambiò e all'influenza di Proudhon si sostituì quella di Bakunin. L'Internazionale si sviluppò rapidamente in Spagna. Nel 1873 essa poteva contare su 60.000 membri, organizzati in associazioni di lavoratori, i quali appoggiarono l'Internazionale libertaria di St. Imier.

Nel corso dei decenni successivi l'anarchismo spagnolo fu costretto alla clandestinità; tuttavia continuò a crescere, facendo leva su due gruppi sociali eterogenei, gli operai catalani e i contadini poveri andalusi.Nel corso degli anni ottanta e novanta il movimento anarchico spagnolo non si discostò da quello francese e italiano, per la propensione all'insurrezione (soprattutto tra i contadini andalusi) e al terrorismo (causato in larga misura dalla violenza esercitata dai datori di lavoro catalani durante le lotte sociali). L'influenza del sindacalismo rivoluzionario francese divenne forte all'inizio del XX secolo. Nel 1907 i lavoratori di Barcellona diedero vita a una propria organizzazione sindacale, Solidaridad Obrera, che si allargò rapidamente a tutta la Catalogna e che nel 1909 organizzò uno sciopero generale per protestare contro il richiamo dei riservisti per combattere in Marocco. Seguì la 'semana trágica', una settimana di violenze su vasta scala, con centinaia di morti e molte chiese bruciate per protesta contro l'alleanza del cattolicesimo con l'autocrazia spagnola. Le autorità risposero con una dura repressione; gli anarchici furono torturati nella fortezza di Montjuich, dove, sulla base di false accuse, venne giustiziato Francisco Ferrer, fondatore della Escuela moderna e innovatore dei metodi pedagogici. Ciò provocò proteste in tutto il mondo e le dimissioni del governo spagnolo.La stessa Confederación Nacional del Trabajo (CNT), la più forte organizzazione del lavoro spagnola, nacque in seguito a questi avvenimenti.

Tale organizzazione era dominata da militanti anarchici i quali, nel 1927, fondarono una propria organizzazione, la Federación Anarquista Ibérica (FAI). Di fatto, all'interno della CNT fu costante il conflitto tra moderati e attivisti anarchici, ma il clima di violenza in cui agiva la sinistra spagnola consentì ai militanti più estremisti, come il famoso capo guerriglia Buenaventura Durruti, di esercitare un'influenza decisiva. La CNT era un'organizzazione fortemente decentrata, fondata sul volontariato (disponeva di una sola segretaria retribuita); già nel 1919 contava 700.000 membri, i quali, quando nel 1936 iniziò la guerra civile spagnola, erano diventati 1.600.000 (saliranno a 2.000.000 prima della fine del conflitto).Quando re Alfonso XIII abdicò (1931), la CNT uscì dalla clandestinità, dimostrandosi però ostile alla repubblica tanto quanto lo era stata alla monarchia, com'è testimoniato dalle numerose insurrezioni anarchiche dell'inizio degli anni trenta. Tuttavia, quando iniziò la guerra civile, gli anarchici, esperti in guerriglia urbana, furono i principali artefici della sconfitta dei generali insorti: a Barcellona, a Valencia e nelle campagne catalane e andaluse. Essi guardarono alla guerra civile come al segnale per la rivoluzione sociale a lungo preparata: i comitati dei lavoratori s'impadronirono delle fabbriche e dei servizi pubblici in Catalogna; in centinaia di villaggi i contadini occuparono le terre e fondarono comuni libertarie, al cui interno la terra era coltivata in comune, la moneta abolita e i prodotti alimentari e gli altri generi di prima necessità equamente ripartiti.

Nel corso della guerra civile gli anarchici dovettero affrontare l'ostilità del crescente potere dei comunisti, la cui posizione in Spagna era favorita dai rifornimenti di armi dalla Russia, e nel maggio del 1937 ci fu un aspro scontro tra i due gruppi a Barcellona. Con la conquista della città da parte di Franco (1939) si concluse il periodo più glorioso dell'anarchismo spagnolo in quanto movimento di massa; infatti in esilio non ne sopravvisse che una parvenza.

9. Recenti manifestazioni dell'anarchismo

Nel periodo che precede la sconfitta dell'anarchismo spagnolo, nel 1939, in alcuni altri paesi (Italia, Germania, Portogallo) i movimenti anarchici erano stati repressi dai governi totalitari, mentre gli Stati Uniti, in seguito all'assassinio McKinley (1901), avevano adottato leggi che discriminavano gli anarchici.

Nonostante ciò l'anarchismo riuscì a sopravvivere, almeno come movimento di minoranze, e durante l'ultimo conflitto mondiale costituì importanti centri di attività antimilitarista in Inghilterra e negli Stati Uniti; inoltre la sua influenza indiretta in molti paesi e in contesti diversi fu considerevole. L'anarcosindacalista Ricardo Flores Magon esercitò una notevole influenza su Emiliano Zapata, il leader contadino della rivoluzione messicana dell'inizio del secolo.

Gli insegnamenti libertari di Lev Tolstoj - il quale, pur rifiutando sempre l'appellativo di anarchico, denunciava lo Stato e insisteva sulla necessità di una società fondata sul decentramento e la cooperazione - si radicarono soprattutto in India, grazie a Gandhi. Quest'ultimo, che in diverse occasioni si definì anarchico, mise in pratica la lezione di disobbedienza civile dello scrittore russo già lottando in Sudafrica contro la discriminazione razziale; tornato in India, oltre a sviluppare le tattiche dell'azione diretta non violenta - che costituirono un fattore determinante nella lotta dell'India per l'indipendenza - prospettò altresì per il proprio paese, dopo la sua liberazione, un progetto di società decentrata, imperniato sul collegamento tra quei villaggi dove ancor oggi vive l'80% degli Indiani. Al momento della dichiarazione d'indipendenza dell'India (1947), i dirigenti politici del Congresso non seguirono tali indicazioni e optarono, invece, per uno Stato nazionale militaristico di stampo europeo. Dopo la morte di Gandhi, però, il movimento Sardovaya, guidato da Vinoba Bhave, e il movimento Jayaprakash Narayan diffusero sempre più la teoria e la pratica del gramdan, associazione di villaggi basata sulla cooperazione e sul possesso comune della terra.

Nell'Europa occidentale e nell'America settentrionale si è avuta una rinascita dell'anarchismo nel corso degli anni sessanta, quando i giovani radicali iniziarono a riscoprire il pensiero e gli scritti libertari; la tradizione e la filosofia anarchiche sembrarono importanti per affrontare i problemi del momento e guadagnarono un certo grado di rispettabilità intellettuale. Proprio per questo, durante la rivolta parigina del 1968, le nere bandiere degli anarchici sventolarono sugli edifici pubblici.Sin dai tempi di Godwin l'anarchismo ha esercitato, con l'austera semplicità dei suoi insegnamenti, un forte richiamo su intellettuali e artisti. Pittori come Camille Pissarro e Augustus John, poeti come Herbert Read e Kenneth Rexroth entrarono nelle file anarchiche; pianificatori sociali come Patrick Goddes e Lewis Mumford si dimostrarono, nei loro studi di urbanistica, assai sensibili alle tesi di Kropotkin sul decentramento. La diffidenza verso la grande industria e verso uno smodato progresso tecnologico ha naturalmente spinto gli anarchici a partecipare alle battaglie ambientaliste; su questo punto è avvenuto il loro incontro con un pensatore poliedrico come Aldous Huxley, convinto che solo il decentramento e la semplificazione, uniti a una politica "kropotkinistica e cooperativisitica", potrebbero evitare le conseguenze negative implicite negli sviluppi sociali contemporanei. Intellettuali anarchici come Herbert Read (in Education through art) e Paul Goodman si sono ispirati a Godwin sviluppando forme creative di libera educazione.

Forse però la novità più importante nell'anarchismo attuale è rappresentata dal progressivo abbandono della retorica rivoluzionaria e della speranza di realizzare una società pienamente libertaria in un futuro immediato. La tendenza, nel caso di teorici anarchici contemporanei come Paul Goodman, Colin Ward e George Woodcock, è stata quella di insistere, come per primo aveva fatto Kropotkin in Mutual aid, sul fatto che sono le 'istituzioni' spontanee a dare un senso autentico alla vita della società e che la resistenza a un governo coercitivo può fruttuosamente combinarsi con lo sviluppo delle tendenze innovative già esistenti. E infatti, in anni recenti, gli anarchici sono stati attivi nel movimento ambientalista e in quello pacifista, nella difesa dei diritti delle minoranze e della libertà di parola, in diversi tipi di gruppi cooperativi e di comunità di base, nella difesa di un'educazione libera e spontanea, e soprattutto nel promuovere quello che Herbert Read ha chiamato "un processo di individuazione, accompagnato da un'istruzione generale e una disciplina personale". Le antiche speranze millenaristiche dell'anarchismo restano una pietra di paragone per giudicare la società esistente piuttosto che un obiettivo raggiungibile a breve scadenza.

10. Marginalità sociale e geografica dell'anarchismo

Uno degli aspetti salienti dell'anarchismo - in sede di considerazione retrospettiva - è stata la sua marginalità geografica e sociale rispetto alle linee di sviluppo dominanti nei due secoli che ci separano dalla Political justice di Godwin (1793). Esso fu veramente forte non nei centri nevralgici dello sviluppo industriale, ma in quelle regioni che, sul finire del secolo scorso, si era soliti considerare 'arretrate' e, dunque, non nell'ambito della sempre più ricca e potente middle class o del più stabile proletariato industriale, al quale i marxisti facevano appello, ma all'interno di altre classi. Il gruppo di sostenitori di Bakunin nell'Internazionale - grazie al quale la frazione libertaria riuscì a sopravvivere come organizzazione, anche se nettamente distinta dai marxisti e dal loro Consiglio Generale di New York - apparteneva ai paesi latini (Spagna, Italia, Francia meridionale e Svizzera francese), marginali rispetto ai centri industrializzati del XIX secolo, che si affacciano sul Mare del Nord.

Analogamente, in Russia l'anarchismo si presentò come un movimento di massa solo nell'Ucraina meridionale, lontano dai grandi centri urbani di Pietrogrado e Mosca.In termini sociali l'anarchismo all'inizio fu, con Proudhon, un movimento che si rivolgeva ai contadini e agli artigiani (autonomi o occupati in piccoli laboratori), e fu tra questi che trovò i suoi primi sostenitori; furono questi proudhoniani a formare il contingente francese nei primi tempi dell'Internazionale e a partecipare alla Comune parigina del 1871. Bakunin sottolineò il contrasto fra il suo approccio e quello dei marxisti, insistendo sulle potenzialità rivoluzionarie delle popolazioni contadine (curiosamente anticipando in ciò Mao Zedong) e di quegli strati non produttivi e ribelli delle classi inferiori che formavano la formidabile massa della 'plebe' urbana dei primi dell'Ottocento, il Lumpenproletariat, secondo la sprezzante definizione marxiana.Molti furono i contadini che aderirono all'anarchismo nella Spagna meridionale, in particolare in Andalusia e nelle aree rurali della Catalogna, e nell'Ucraina meridionale di Nestor Makhno; mentre i tentativi di Malatesta di risvegliare i contadini poveri dell'Italia meridionale ebbero, invece, scarso successo. Inoltre, l'anarchismo dei contadini ebbe una sua rilevanza nella rivoluzione messicana, e in particolare nell"esercito del sud' - l'esercito rivoluzionario contadino guidato da Zapata e influenzato dall'insegnamento di Ricardo Flores Magon.

La più significativa adesione all'anarchismo da parte di piccoli artigiani si ebbe forse nel Giura svizzero durante gli anni settanta del secolo scorso, quando esso si diffuse non tra gli operai, ma tra gli artigiani orologiai che lavoravano a contratto in casa propria. Essi furono, all'interno dell'anarchismo, i più fedeli seguaci di Bakunin e i mentori di Kropotkin.L'anarchismo si diffuse anche tra gli operai soprattutto attraverso l'anarcosindacalismo, le cui dottrine sulla lotta permanente, sul controllo operaio dell'industria e sullo sciopero generale di carattere millenaristico trovavano un terreno favorevole in quelle aree dove la produzione industriale era ai suoi esordi e in cui le relazioni tra operai e datori di lavoro erano dirette e brutali, non mediate da sindacati riconosciuti e da meccanismi di contrattazione. Questo spiega il successo temporaneo dell'anarcosindacalismo in Francia nei decenni che seguirono la Comune, quando la classe lavoratrice francese stava assai faticosamente riguadagnando i suoi diritti sindacali, e inoltre il seguito che esso ebbe nell'Italia settentrionale durante il caotico periodo che precedette l'avvento del fascismo. Ma spiega, soprattutto, il suo radicamento in Catalogna, dove i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori furono caratterizzati, fino a tutti gli anni trenta, da un eccezionale grado di violenza. Negli Stati Uniti l'anarchismo, pur senza radicarsi, ebbe un certo seguito tra le masse nel periodo che va dagli anni ottanta del XIX secolo al primo conflitto mondiale, in special modo tra i gruppi marginali, tra quegli immigrati che lavoravano nelle città e quei lavoratori stagionali dell'Ovest che formavano la maggioranza dell'IWW filoanarchica.

La marginalità sociale dell'anarchismo risulta evidente dallo status dei suoi dirigenti, i quali solitamente appartennero alle classi che, nel corso del XIX secolo, si sentirono minacciate dallo sviluppo dell'industria e dello Stato centralizzato. Bakunin, Kropotkin, Tolstoj e Cherkesov provenivano dalla classe dei proprietari terrieri russi; William Godwin e Domela Nieuwenhuis, padre dell'anarchismo olandese, erano uomini di chiesa delusi e, in Francia, Sebastien Faure ed Élisée Reclus, poi famoso geografo, avevano compiuto gli studi per intraprendere la carriera ecclesiastica; i dirigenti più importanti dell'anarchismo italiano (Malatesta, Fanelli, Cafiero, Berneri) appartenevano in prevalenza alla classe dei professionisti; Proudhon, Jean Grave, i militanti anarchici francesi dell'Internazionale e, poi, del movimento sindacalista erano solitamente degli artigiani autonomi, o comunque degli artigiani come il carpentiere Joseph Trotelier, e non degli operai.L'anarchismo ha sempre riscosso simpatie tra scrittori e artisti, un altro gruppo marginale, e proprio nei paesi industriali che si affacciano sul Mare del Nord, dove gli operai si mostrarono pressoché insensibili all'anarchismo. Si pensi, in Francia, a Gustave Courbet, devoto amico e seguace di Proudon, a maestri dell'impressionismo e militanti anarchici come Camille Pissarro e Paul Signac, nonché a diversi scrittori simbolisti (Stuart Merril, Francis Viélé-Griffin, Laurent Tailhade, Octave Mirbeau); lo stesso Stéphane Mallarmé scrisse su riviste anarchiche. Tra gli scrittori libertari di lingua tedesca ricordiamo 'B. Traven', Gustav Landauer e Erich Muehsam; nei paesi di lingua inglese l'anarchismo ebbe fra i suoi adepti pittori come Augustus John e scrittori come Oscar Wilde, Herbert Read, Alex Comfort, Kenneth Rexroth, Kenneth Patchen, Dwight Macdonald e Denise Levertov.

Il dibattito teorico in tali paesi è stato, a partire dagli anni del secondo conflitto mondiale, di alto livello: con ogni probabilità i contributi più originali al pensiero anarchico sono venuti, negli anni recenti, proprio dal mondo di lingua inglese, ad opera di scrittori provenienti prevalentemente dalla classe media.Inoltre, un tratto importante del neoanarchismo, che inizia a svilupparsi negli anni sessanta, è stato quello dell'appartenenza alla classe media dei suoi adepti. Esso si connetteva alla generale rivolta della gioventù borghese del mondo occidentale contro quel mondo materialistico e pago di sé, rappresentato dalle società industriali: fu un fenomeno, quindi, che ancora una volta nasceva da un sentimento di emarginazione, anche se, in questo caso, si trattava dell'emarginazione non di una classe bensì di una generazione.

Bibliografia

Avrich, P., The anarchists in the Russian revolution, London 1973 (tr. it.: Gli anarchici nella Rivoluzione russa, Milano 1976).

Bakunin, M., Scritti editi e inediti di Michele Bakunin (a cura di P. C. Masini), 3 voll., Bergamo 1960.

Bookchin, M., Post-scarcity anarchism, New York 1971 (tr. it.: Post-scarcity anarchism. L'anarchismo nell'età dell'abbondanza, Milano 1980).

Carr, E. H., Michael Bakunin, London 1937 (tr. it.: Bakunin, Milano 1977).

Carter, A., The political theory of anarchism, London 1971.

Dolgoff, S., The anarchist collectives: workers' management in the Spanish revolution 1936-1939, New York 1974.

Drinnon, R., Rebel in Paradise. A biography of Emma Goldman, Chicago 1961.

Godwin, W., An enquiry concerning the principles of political justice and its influence on moral and happiness, London 1793, ed. riv., 2 voll., 1796 (tr. it. parziale: Ricerca sulla giustizia politica e sulla sua influenza su morale e felicità, in Gli anarchici, a cura di G. M. Bravo, Torino 1978, pp. 85-305).

Godwin, W., The enquirer. Reflections on education, manners and literature, London 1797.

Goldman, E., My disillusionment with Russia, New York 1923.

Goldman, E., Living my life, London 1931 (tr. it.: Autobiografia. Vivendo la mia vita, 3 voll., Milano 1980-1985).

Goodman, P., Growing up absurd, New York 1960.

Goodman, P., New Reformation: notes of a neolithic conservative, New York 1969.

Guerin, D., L'anarchisme. De la doctrine à l'action, Paris 1965 (tr. it.: L'anarchismo, dalla dottrina all'azione, Roma 1969).

Horowitz, I., The anarchists, New York 1964.

Joll, J., The anarchists, London 1964 (tr. it.: Gli anarchici, Milano 1970).

Kropotkin, P., La conquête du pain, Paris 1892 (tr. it.: La conquista del pane, Milano 1921).

Kropotkin, P., Fields, factories and workshops, London 1899 (tr. it.: Campi, fabbriche, officine, Milano 1975).

Kropotkin, P., Memoirs of a revolutionist, 2 voll. London-Boston 1899 (tr. it.: Memorie di un rivoluzionario, Milano 1952).

Kropotkin, P., Mutual aid: a factor in evolution, London 1902 (tr. it.: Il mutuo appoggio, Bologna 1950).

Lubac, H. de, Proudhon et le christianisme, Paris 1945.

Maitron, J., Histoire du mouvement anarchiste en France (1880-1914), Paris 1947.

Nettlau, M., Der Anarchismus von Proudhon zu Kropotkin: seine historische Entwicklung in den Jahren 1859-1880, Berlin 1927.

Proudhon, P.-J., Qu'est-ce-que la propriété? ou Recherche sur le principe du droit et du gouvernement, Paris 1840 (tr. it.: Che cos'è la proprietà?, Bari 1967).

Proudhon, P.-J., Idée générale de la Révolution au XIXe siècle, Paris 1851.

Proudhon, P.-J., Du principe fédératif ou de la nécessité de reconstituer le parti de la révolution, Paris 1863 (tr. it.: Del principio federativo, Roma 1979).

Proudhon, P.-J., De la capacité politique des classes ouvrières, Paris 1865 (tr. it.: La capacità politica delle classi operaie, Città di Castello 1921).

Read, H., The philosophy of anarchism, London 1940.

Read, H., Education through art, London 1943 (tr. it.: Educare con l'arte, Milano 1980⁶).

Read, H., Anarchy and order, London 1954.

Rocker, R., Anarcho-syndicalism, London 1938.

Simmons, E.-J., Tolstoy, Boston 1946.

Ward, C., Anarchy in action, London 1973.

Winstanley, G., The law of freedom and other writings, Harmondsworth 1973.

Woodcock, G., William Godwin, London 1946.

Woodcock, G., Pierre-Joseph Proudhon, London 1956.

Woodcock, G., Anarchism: a history of libertarian ideas and movements, Harmondsworth 1962 (tr. it.: L'anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, Milano 1966).

Woodcock, G., The anarchist reader, London 1977.

Woodcock, G., Avakumovic, I., The anarchist prince: a biography of Peter Kropotkin, London 1950.

CATEGORIE
TAG

Sindacalismo rivoluzionario

Autogestione dei lavoratori

Unione sindacale italiana

Rivoluzione industriale

Immaginario collettivo