GIDE, André

Enciclopedia Italiana (1933)

GIDE, André

Diego Valeri

Scrittore, nato a Parigi il 22 novembre 1869. In un libro di memorie, Si le grain ne meurt, egli ha narrato distesamente i suoi anni di fanciullezza e giovinezza; e, nel narrare, ha obbedito a una così deliberata e ostinata volontà di dire il vero da non lasciar in ombra alcun punto del suo essere, neppure la tendenza, invano contrastata, ad amori innaturali. Della sua biografia l'elemento più notevole è forse la sua origine ed educazione protestante, che serve a illuminare i tratti più salienti della sua fisionomia morale: il bisogno e l'abito dell'esame di coscienza, la mistica aspirazione, vana ma insopprimibile, a una purità assoluta, a un cristianesimo intero, il ricordo dei precetti evangelici, che torna, perentorio e quasi persecutorio, ogni qualvolta l'anima s'è piegata avidamente alle sensuali "nourritures terrestres" e se n'è ritratta senza avervi trovato la sazietà e la pace: né è da tacere che lo stesso "corydonisme" di G. può essere spiegato come una conseguenza morbosa del puritanismo eccessivo in cui fu costretta la sua adolescenza, solitaria e fantastica.

L'intera sua opera è la storia di un'anima contesa dalle opposte tendenze dello spirito e della materia: storia antica che il G. rinnova con un elemento tutto moderno: la naturale disposizione, confermata dalla volontà, a non uscire da quel travaglio, a non sacrificare l'uno all'altro io; il rifiuto della coscienza a "prendre un parti", a scegliere ("Choisir quelque chose, c'est sacrifier autre chose"). È chiaro che da una tale disposizione non può derivare che uno stato d'anarchia morale, consistente nell'accettare tutto quello che è, soltanto perché è: tutto il bene e tutto il male, posti sullo stesso piano e tenuti egualmente necessarî a realizzare nell'uomo l'umano. Ed è proprio caratteristico del G. l'equilibrio ch'egli sa raggiungere, non tra gli estremi (diciamo cristianesimo e paganesimo, in quanto aspirazioni contrarie a totalità di vita), ma negli estremi, passando alternativamente dall'uno all'altro. A ragione egli nega che si possa definirlo un inquieto, poiché appunto nella vicenda perpetua del suo spirito, egli trova, se non la quiete, un suo acquietamento, provvisorio ma pieno.

Si pensa inevitabilmente a Montaigne; se non che si avverte subito che lo scrittore moderno si distingue dall'antico per lo stato di tensione, passione, ebbrezza - angosciosa o gioiosa, lucida sempre - in cui vive e scrive, sdegnoso d'ogni compromesso, d'ogni accomodante saggezza. Anche si distingue per aver adoperato, a esprimere la sua vita interna, oltre che le forme dell'essai, quelle del mito: récit, parabola, romanzo, sotie, dramma.

Da L'Immoraliste (1903) a L'Ècole des femmes e Robert (1929-30), attraverso La Porte étroite (1909), Isabelle (1912), Les Caves du Vatican (1913), La Symphonie pastorale (1919), Les Faux-Monnayeurs (1926), egli ha sperimentato molte varietà di racconto; con Le Roi Candaule (1901), Saül (1902), Oedipe (1931), ha tentato le forme della rappresentazione scenica. Opere mirabili per nitore e compostezza classica, ma a cui si sente spesso mancare il caldo suggello d'una fantasia creatrice sovranamente viva, libera, spontanea. Il critico e il moralista - cioè il cerebrale - pesano sul poeta, gl'impediscono di abbandonarsi e obliarsi interamente nelle sue finzioni. Perciò paiono più veramente vitali gli scritti nei quali l'io - plurale e contraddittorio, ma sempre chiaro e fedele a sé stesso - si manifesta per più diretta via: i giovanili Cahiers d'André Walter (1891) e le Nourritures terrestres (1897), che sono lirica schietta; il Retour de l'Enfant prodigue (1907), ch'è un'allegoria profondamente vissuta; il saggio su Dostoïevsky (1911), i Prétextes, i Nouveaux Prétextes, le Incidences (1905, 1911, 1924), il Journal des Faux-Monnayeurs (1927), e Divers (1931), che sono critica, letteraria ed etica, tra la più acuta e penetrante; e soprattutto il libro di memorie già citato, Si le grain ne meurt (1928): nel quale, oltre al protagonista, conseguono interezza di vita poetica anche le figure circostanti. È quanto dire che solo nel racconto immediatamente autobiografico il G. ha potuto esprimere tutta la sua moralità, attuando al tempo stesso tutte le sue possibilità d'artista creatore.

Bibl.: Per una compiuta bibl., v. l'Hommage à A. G., Parigi 1929; A. Naville, Notes bibliogr. sur l'øuvre d'A. G., Parigi 1930. Cfr. D. Valeri, A. G., in Poeti francesi del nostro tempo, Milano 1924; R. Fernández, A. G., Parigi 1929; Ch. Du Bos, Le Dialogue avec A. G., Parigi 1929; M. Arland, Essais critiques, Parigi 1931; E. Jaloux, A. G., in Revue Hebdomadaire, 16 gennaio 1932.