ANDREA d'Agnolo, detto Andrea del Sarto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANDREA d'Agnolo, detto Andrea del Sarto

Emma Micheletti

Figlio di un sarto, dal mestiere del quale derivò il suo soprannome, nacque a Firenze il 17 luglio 1486. La tradizione, confermata dal Vasari, vuole che a sette anni fosse dal padre messo a imparare l'arte presso un orafo, fino a quando un quasi ignoto pittore, Giovanni Barile, convinto delle sue notevoli attitudini, lo avviò alla pittura, introducendolo nella bottega del fantasioso Piero di Cosimo. Certo, di più, egli subì il fascino di quanto nel campo dell'arte si era fatto a Firenze e si faceva ancora, volgendosi specialmente a Raffaello, a Michelangelo, a fra' Bartolommeo e, soprattutto, a Leonardo da Vinci.

Attraverso i cicli di affreschi della SS. Annunziata e del Chiostro degli Scalzi, che costituiscono il nucleo più importante della sua attività e che occupano, particolarmente il secondo, molti anni della sua vita, si segue lo svolgimento dello stile di A., dalle forme un po' deboli e tradizionali dell'arte quattrocentesca fiorentina fino alla visione più ampia del Cinquecento, in cui il dolce sfumato di Leonardo si unisce all'armonia compositiva di Raffaello.

Certo il pittore studiava, insieme con quelli di Leonardo, i cartoni di Michelangelo per la Battaglia di Cascina, conservati nella Sala papale di S. Maria Novella, e si incontrava probabilmente in quell'occasione col Franciabigio, iniziando allora il loro lavoro associato nella comune bottega presso la loggia del Grano. Nel 1508 si immatricola nell'Arte dei medici e speziali e dal 1509 fino al 1510 affresca nel Chiostro dei Voti della SS. Annunziata le Storie di s. Filippo Benizzi.

Nella prima, La guarigione del lebbroso, si notano ancora evidenti elementi cari al Franciabigio, ma già vi è sensibile l'afferinazione degli elementi naturalistici di chiara ascendenza leonardesca, mentre ampi paesi sfuggenti lontano, tra un tenue sbiadire di tinte turchine e violette ravvivano il Castigo dei bestemmiatori e imponenti architetture, che mirano ormai ad effetti monumentali, costituiscono lo sfondo, nella Guarigione dell'ossessa e nei Funeri di san Filippo, alle figure ancora esili, ma armoniosamente bilanciate ed unite secondo una linea compositiva ben netta e precisa. Il dolce sfumare leonardesco vibra lievissimo nella Guarigione del fanciullo cieco, dove perfetti già appaiono l'equilibrio delle masse, ormai più plasticamente intese, e l'annoniosa intonazione di vibranti colori.

A questi affireschi si aggiunsero, nello stesso Chiostro dei Voti, rispettivamente nel 1511 e nel 1514, il Corteo dei Magi e la Natività della Vergine.

Nel primo, il cielo è padrone dell'intera composizione, lasciato libero com'è dalle figure e dalle architetture che si aggruppano in primo piano o all'estrema destra. Nella Natività, per la composizione, A. si ispira ancora una volta al Quattrocento, particolarmente all'affresco del Ghirlandaio in S. Maria Novella. Ma si fondono con l'ambiente, nella morbida atmosfera viola, sempre cara al pittore, le plastiche forme delle belle donne brillanti intensamente nel verde, nel rosso, nel giallo delle vesti e nel tenue rosa delle carni sottili, in una fusione felice di toni che richiama alle armonie tizianesche.

Contemporaneo è forse il bel ritratto di Giovane donna agli Uffizi, una delle opere più significative di Andrea. Analoghe vi sono infatti la morbideiza della posa e l'armonia dei colori, particolarmente del cupo turchino dell'abito e del bianco prezioso delle morbide maniche che dolcemente accompagnano il moto delicato delle bellissime mani. In essa vibra il ricordo dell'armoniosa composizione della Gravida di Raffaello ed insieme il soffuso chiaroscuro sottile dello sfumato leonardesco che appare, particolarmente, nel sorriso arguto e gentile. E dello stesso tempo è, quasi con sicurezza, il Ritratto femminile del Prado, anch'esso tutto vibrante di memorie raffaellesche del tempo fiorentino. In quegli anni A. aveva intanto dipinto una Annunciazione per San Godenzo, ora a Pitti, dove aveva ripreso i tipi di fra' Bartolomeo e l'ordinata composizione raffaellesca, pure dissolvendo gli uni e l'altra nello sfumare intenso dell'atmosfera. E un'altra Annunciazione, anch'essa ora a Pitti, condusse intorno al 1515 per la chiesa di San Gallo, distrutta durante l'assedio di Firenze (1530), dove egli appare più fedele al tradizionale schema fiorentino, ma attento alle novità pittoriche e luministiche negli sfondi e nei panni colpiti dalla luce. Intorno a questi anni A. iniziò la decorazione del Chiostro degli Scalzi con affreschi a monocromato, nei quali lavorò a più riprese dal 1515 al 1526.

Se nei primi, particolarmente nella Predica del Battista e nel Battesimo delle turbe, il pittore rivela ancora qualche incertezza formale, col passare degli anni egli arriva al di là dei risultati conseguiti nel Chiostro dei Voti all'Annunziata. E, attraverso le tappe dell'Arresto del Battista (1517), dove particolarmente si afferma la grandiosità michelangiolesca, del Banchetto di Erode (1522), dove in modo particolare incanta l'argentina bellezza del cielo, della Decollazione di s. Giovanni (1523), dove gli atteggiamenti e le figure si fanno più grevi e quasi accademiche, della Danza di Salomé e dell'Annuncio a Zaccaria, dove le emozioni diventano più violente e più fremente vibra il contrasto fra le ombre e le luci, egli giunge al suo capolavoro, e forse a una delle espressioni più sorprendenti della pittura fiorentina, cioè alla Visitazione, del 1524. Mentre l'architettura si riduce a purissime linee orizzontali e a piani verticali in successione perfetta e le figure si fanno incomparabilmente leggere, la sensibilità pittorica di A. riesce a dare, pur nel monocromo, un senso vivissimo del colore, disfatto nell'atmosfera.

Fra le opere eseguite negli anni della decorazione degli Scalzi la Madonna delle Arpie, dipinta nel 1517 per la chiesa di S. Francesco in via dei Pentolini, ora agli Uffizi, appartiene al momento di più accentuato michelangiolismo, qui mediato attraverso l'arte solenne di fra' Bartolommeo, e temperato in un modulato alternarsi di più teneri volumi, in una quasi idillica pacificazione di gesti e di espressioni, in un più caldo e diffuso colorismo.

Nel 1517 A. aveva sposato Lucrezia di Bartolommeo del Fede, vedova di Carlo di Domenico berrettaio, che divenne il modello di tutte le sue immagini femminili, e che, secondo l'aneddotica probabilmente malevola del Vasari, avrebbe per sempre amareggiato, col suo carattere impossibile, la vita del pittore. Intorno al 1517 egli dipinse l'immagine del Redentore nellacappella della Madonna, alla SS. Annunziata; del 1518 è la Disputa della Santissima Trinità dipinta per S. Iacopo tra i Fossi, ora alla Galleria Palatina. Di questo momento sono anche le Storiedi Giuseppe, dipinte per la camera nuziale di Francesco Borgherini (Pitti), piacevoli espressioni di puro colore, e una perduta Pietà per Giovanni Battista Puccini.

Nel maggio 1518, preceduto dalla fama delle sue opere, A. accolse l'invito di Francesco I e si recò in Francia dove rimase fino al 1519. Delle opere là compiute non resta che una Carità, invero di non alto valore, conservata al Louvre. Tornato a Firenze, A. riprese l'interrotta decorazione degli Scalzi e nel 1521 iniziò il grandioso affresco col Tributo a Cesare nella villa medicea del Poggio a Caiano, più tardi terminato da Alessandro Allori.

Esso è come una visione lontana, in un giuoco di luci sempre più diffuse a mano a mano che la distanza aumenta, mentre le macchie di colore, arretrando nei piani, si fanno sempre più lievi. Nell'atmosfera luminosamente vibrante e velata, gli edifici sembrano muoversi e la linea corre a zig-zag di figura in figura, dando una rapidissima visione di persone e di cose.

Mentre dipingeva la Sacra Famiglia con s. Caterina, ora all'Ermitage di Leningrado, il pittore iniziò l'affresco con l'Ultima Cena nel cenacolo vallombrosano di S. Salvi, che, allogato nel 1519, fu portato a termine soltanto nel 1529. Esso è forse l'espressione più fredda, più arida e vuota dell'arte di Andrea. Vi scompare ogni morbidezza d'impasto ed ogni trasparenza di velature; solo la bella loggia, nell'alto, respira vibrante nell'intenso azzurro del cielo. Nel 1523, per sfuggire la peste scoppiata a Firenze, il pittore si rifugiò a Luco di Mugello e dipinse per le suore di S. Pietro la Deposizione di Cristo, ora a Pitti, compiuta nel 1524. La composizione, evidentemente derivata da quella famosa di fra' Bartolommeo, è ricca di delicate penombre, di bagliori splendenti, di luci vibranti, ma teatrale nei gesti. Tornato a Firenze, nel 1524-25 A. eseguì la copia del ritratto di Leone X di Raffaello, ora a Napoli (Museo di Capodimonte). Del 1525 è anche la Madonna del Sacco affrescata nel Chiostro grande dell'Annunziata, assai vicina alla Visitazione degliScalzi. Qui, un sentimento idillico si insinua nello spirito del pittore, dando al suo pennello un'intensa vibrazione e una inquietudine nuova, che lo portano alle soglie del sentire mameristico. Gli elementi compositivi sono pochi e disposti in una gradazione quasi aerea, con estrema semplicità, ma con perfetto equilibrio per l'altemanza sicura delle figure e per l'armonia dei colori.

Nel 1526 A. pose termine alla decorazione degli Scalzi con la Nativitàdi s. Giovanni. Nello stesso anno dipinse l'Assunzione della Vergine per Margherita Passerini di Cortona, ora a Pitti, un po' accademica e manierata nella composizione, ma ricca di colori sgargianti, forse alquanto crudi. Per l'altra Assunzione, sempre a Pitti, che la precede di qualche anno, indubbiamente A. ebbe presente il grande prototipo tizianesco dei Frari, ma le forme vi appaiono stanche ed usate; il colore non ha più, ormai, l'antica armonia. Forse in questi anni il pittore condusse il suo bell'Autoritratto su tela, ora agli Uffizi, tracciato con rapida sicurezza a segnare i tratti caratteristici del volto tranquillo e, con certezza, nel 1528 l'Annunciazione ora a Pitti e i Quattro Santi degli Uffizi, già uniti questi ultimi coi Piccoli angeli cantori (nello stesso museo) in una tavola per il convento di Vallombrosa. Vi torna tutta la ricchezza cromatica di A., nelle gamme più vive del verde smeraldo, del giallo intenso e del rosso, ormai al di fuori di ogni leonardesco sfumare. Ancora in quest'anno egli eseguì, per Ottaviano de' Medici, la Sacra Famiglia, ora a Pitti. Si assiste, ormai alla fine della sua attività artistica, a un ritorno involontario e spontaneo all'arte di Michelangelo: non tanto, però, alla sua monumentalità solenne quanto alla sua forza energetica, creatrice di un moto contenuto eppure vivo. Girano le figure in una lenta spirale, senza sforzo palese, temperando pur sempre la loro massa in indescrivibili dolcezze di colore purissimo e fuso, in un'armonia di gesti che ancora una volta richiama alle più serene composizioni raffaellesche. Ultima opera del pittore furono probabilmente le immagini dei Capitani traditori simbolicamente impiccati, affrescate sulle pareti esterne del Bargello, dopo l'assedio del 1529.

Ce ne restano solo i disegni, che insieme con moltissimi altri, conservati al Gabinetto dei disegni e delle stampe di Firenze, al Louvre, all'Albertina di Vienna, a Cambridge e ad Oxford, ci danno forse l'immagine più schietta e più sincera di A.: sono essi i suoi sogni, le sue fantasie di poeta, fermate dal carboncino e dal rosso di seppia, non ancora appesantite dai problemi intellettualistici o di tecnica o di colore o di luce quasi mai, in lui, ben del tutto chiariti e superati, né condizionate dalle esigenze del pubblico e dei committenti.

L'arte di A. del Sarto, infatti, indubbiamente derivata da quella di fra' Bartolommeo, non seppe raggiungere mai la grande energia morale di Michelangelo, ed egli, nello sforzo continuo di mantenersi sul piano intellettuale e ideale dei tempo, confuso nella ricerca affannosa di una fusione felice fra i diversi ideali formali e coloristici di Raffaello, di Leonardo e di Michelangelo, non seppe esprimere sempre quello che di più poetico e dolce aveva chiuso nell'animo; e che talvolta appare, invece, nei suoi ritratti e soprattutto appunto nei suoi bellissimi disegni La sua fecondissima attività lasciò vivissima traccia, e la sua arte fu diffusa poi e variamente interpretata, trasformata e tradotta dalla numerosissima schiera dei suoi discepoli.

A. del Sarto morì a Firenze il 28 o il 29 sett. 1530, vittima della peste che era seguita all'assedio.

Numerose sono le opere a lui attribuite come il San Giovannino di Pitti, la Sacra Famiglia del Prado, il S. Giacomo degli Uffizi, la Madonna in trono col Bambino e santi di Berlino, il Sacrificio d'Abramo di Dresda, la Sant'Agnese dei duomo di Pisa.

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