DELLA VALLE, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA VALLE (de Valle, Vallense), Andrea

Christina Riebesell

Nato a Roma il 30 dic. 1463 da Filippo, archiatra pontificio, e da Gerolama Margani, il D. apparteneva a una famiglia di medici e giuristi con salde tradizioni umanistiche.

I Della Valle, famiglia di origine mercantile recentemente nobilitata, appartenente alla fazione colonnese, furono protagonisti nella lotta intestina sotto il pontificato di Sisto IV. Nel 1484 dovettero abbandonare la città per aver partecipato alla rivolta dei Colonna e Sisto IV fece demolire le loro case nel rione di S. Eustachio.

La notizia che il D., in seguito a questi avvenimenti, abbia intrapreso un lungo viaggio che lo avrebbe portato fino in Persia, non è documentabile, ed è contraddetta dal fatto che il 12 sett. 1485 egli risulta presente a Roma, in qualità di scrittore apostolico. Non si sa quali studi abbia compiuto, ma è singolare che egli, e non il fratello minore Bartolomeo, abbia scelto la carriera ecclesiastica. Nel novembre del 1483 ottenne un canonicato a S. Pietro che tenne fino al giugno del 1517 e poi di nuovo negli anni 1525-26. Alessandro VI, che era favorevole alla famiglia Della Valle, nominò il D., subito dopo l'ascesa al trono di S. Pietro, suo cubiculario (31 ag. 1492) e gli assegnò il vescovato di Crotone. Il 27 nov. 1503 il vicecancelliere Ascanio Sforza lo nominò suo sostituto, una carica che il D. teneva ancora nel 1505, dopo la morte dello Sforza. Durante il pontificato di Giulio Il diventò segretario apostolico (gennaio 1506) e vescovo di Mileto (23 febbr. 1508). Nel 1512 partecipò al V concilio lateranense.

Leone X lo nominò, in occasione della grande creazione di cardinali del 6 luglio 1517, cardinal prete di S. Agnese e pare che le disponibilità finanziarie del D. non siano state del tutto estranee a questa scelta. Lo stesso papa lo colmò di benefici assegnandogli successivamente i vescovati di Caiazzo (2 dic. 1517), Gallipoli (5 febbr. 1518), Nicastro (5 maggio 1518), Sulmona e Valva (26 ott. 1519). Nel 1519 Ottenne anche il vescovato di Malta, ma vi rinunciò prima ancora di averne preso possesso, per ricevere invece da Carlo V la dignità di archimandrita di Messina che tenne fino al 1524 e poi di nuovo nel 1530-32. Nel 1520 gli furono assegnati i vescovati di Umbriatico (21 marzo) e il titolo di arciprete di S. Maria Maggiore (30 settembre). Nel 1521 e nel 1523 partecipò ai conclavi; nel primo il suo nome fu persino proposto per la candidatura. Durante il pontificato di Clemente VII fu nominato abate commendatario dell'abbazia delle Tre Fontane nel 1524, e nel 1525 gli fu assegnato il titolo di S.Prisca (27 marzo). Negli stessi anni è-ricordato anche come camerlengo del Collegio cardinalizio. Durante il sacco dei Colonna del 1526 cercò invano di mediare tra il papa e i ribelli. L'anno successivo, in occasione del grande Sacco di Roma, il D. ospitò inizialmente nel suo palazzo ben trecentottanta persone, convinto che un cospicuo riscatto gli avrebbe garantito una sicura protezione. Ma si sbagliò, perché già una settimana dopo il palazzo venne assalito e saccheggiato dai lanzichenecchi. Il D. si rifugiò prima nel palazzo Colonna, poi a Orvieto, dove si era ritirata la corte pontificia. Il fatto che il D. fosse uno dei primi cardinali a tornare a Roma (il 17 sett. 1528), dimostra la fiducia nutrita nei suoi confronti da Clemente VII. Nel 1529 ricoprì l'ufficio di governatore di Roma, in assenza del pontefice. Nella sua funzione di cardinal protettore dei francescani (dal 1523) nel 1532 compose, insieme con il cardinal Del Monte, il conflitto tra osservanti e eremitani. Il 12 apr. 1533 Clemente VII lo nominò cardinale vescovo di Albano e il 12 dicembre di Palestrina.

Morì il 4 ag. 1534, e fu sepolto nella cappella della sua famiglia nella chiesa di S.Maria in Aracoeli. Della sua tomba è stata tramandata soltanto l'iscrizione, la quale, riprendendo una tradizione umanistica, sottolinea il proposito del D. di riportare Roma ai suoi antichi splendori.

In occasione degli anni santi il D. soleva svolgere funzioni cerimoniali. Nel 1500 depose la sacra lancia nel ciborio di S. Pietro e nel 1525 aprì e chiuse la porta santa 'nel Laterano. Per ricordare questa cerimonia fu coniata una medaglia d'argento con il suo ritratto, l'unico tramandato. Le fonti lasciano trapelare ben pòco del suo carattere, ma i suoi interessi erano indubbiamente di natura umanistica. Era famosa la sua raccolta di monete, oggi dispersa. Fece molto scalpore anche l'arco di trionfo ornato di statue antiche che il D. fece erigere sulla via papalis davanti al suo palazzo in occasione della solenne intronizzazione di Leone X nel 1513. Nelle iscrizioni egli celebrava il nuovo papa come mecenate degli artisti. Il D. stesso si distinse come committente di opere d'arte e soprattutto come collezionista.

La prima opera da lui commissionata è il sepolcro del padre Filippo (morto nel 1494) che il D., insieme con il fratello Bartolomeo, fece erigere nella chiesa di S. Maria in Aracoeli, e in cui il defunto medico, che, giace sui libri, è raffigurato come un filosofo. Insieme con Alessandro Farnese e Vianesio Albergati commissionò poi nel 1526 la tomba dell'amico Bartolomeo Saliceto in S.Maria dell'Anima, l'iscrizione della quale elogia il defunto umanista come un secondo Socrate. Come cardinal prete di S.Prisca il D. fece confezionare un sigillo (Oxford, Ashmolean Museum) con una scena devozionale che illustra il suo rapporto con la Chiesa. L'iconografia e la qualità artistica di questo sigillo, attribuito a Lautizio Rotelli da Perugia, rispecchiano la competenza del D. nel campo dell'arte.

L'impegno e l'attività dei D. nel campo dell'architettura ebbe inizio nel 1508. Di quest'attività si distinguono tre fasi: la ricostruzione, cominciata nel 1508, del palazzo della famiglia distrutto nel 1484, l'ampliamento dello stesso palazzo a partire dal 1518 circa per destinarlo a dimora del cardinale e infine, dal 1526 circa, la costruzione di un nuovo palazzo.

Come documentano le iscrizioni su porte e finestre, il D. cominciò i lavori di ricostruzione del palazzo Della Valle (più tardi Della Valle Rustici, Del Bufalo) sull'attuale corso Vittorio Emanuele, mentre era vescovo di Mileto, cioè non prima del 23 febbr. 1508. A questa prima fase si debbono attribuire le sette assi orientali della facciata, la scalinata incrostata di lastre di marmo e il cortile porticato. La presenza di alcune mensole ornate con uno stemma di cavaliere lascia pensare che anche il fratello del D., Bartolomeo, abbia partecipato a questi lavori di ricostruzione.

Nella seconda fase il palazzo fu ingrandito mediante l'annessione della casa attigua, del cugino Renzo Stefano, la facciata della quale venne assimilata a quella del palazzo. Una veduta di Heemskerck tramanda l'aspetto dei cortile, famoso perché vi erano collocate, tra le altre, due statue di Pan (oggi nei Musei Capitolini). A datato attorno al 1518 e attribuito a Lorenzo Lotti, detto Lorenzetto.

La decorazione interna fu eseguita per la maggior parte nella seconda fase, in cui il palazzo fu adattato per servire come dimora del cardinale. Il Vasari ricorda un affresco raffigurante la Madonna (oggi perduto) di Raffaellino Del Colle sopra l'apertura di una porta. A Raffaellino vengono attribuiti anche gli affreschi della sala grande di scarsa qualità pittorica: quelli rimasti variamente testimoniano l'interesse del cardinale per l'antichità e fanno in parte riferimento alla sua raccolta.

Infine il D. iniziò la costruzione di un nuovo palazzo che non era ancora finito al momento della sua morte. Si conoscono due progetti alternativi per questo palazzo (Firenze, Uffizi, A. 982 e A. 1274) di Antonio da Sangallo il Giovane, il ruolo del quale nella storia della progettazione rimane però oscuro. A partire dal 1526 circa i lavori erano diretti infatti dal Lorenzetto. Il nuovo palazzo Della Valle, più tardi Capranica, si trovava immediatamente dietro il vecchio palazzo. Si cominciò con la costruzione della scuderia e del giardìno pensile situato sopra di essa, destinato esclusivamente ad accogliere la raccolta del cardinale. Solo in seguito furono costruite le parti destinate ad abitazione, completate ed abitate dopo la morte del D. da sua nipote Camilla Capranica. Oggi non se ne conserva più nulla, perché nel Settecento il palazzo fu sventrato per far posto al teatro Valle.

Ambedue i palazzi erano famosi per la collezione di statue che ospitavano. La peculiarietà della collocazione delle statue nel cortile del palazzo vecchio stava nel fatto che queste - "nudae omnes" - erano poste in dodici nicchie semicircolari "superius inter finestras" (van Waelscapple) per adornare il primo piano. Una lupa di porfido (torso, oggi agli Uffizi di Firenze) e un mostro marino (disperso) erano posti sopra le cornici dell'edicola delle finestre centrali (Francisco de Hollanda li riprodusse in situ nel suo libro di disegni conservato all'Escorial); le facciate erano poi ulteriormente decorate da un fregio antico con grifoni e Nikai che sacrificano i tori, proveniente probabilmente dalla basilica Ulpia (oggi al Louvre e nella Glittoteca di Monaco), il quale era inserito nella trabeazione sopra le arcate.

Il cortile che, come dimostra un alzato di H. Vischer il giovane, esisteva nella forma descritta già nel 1515, è l'esempio più antico di una simile decorazione. Per identificare le statue bisogna però ricorrere ad altre fonti. Nella descrizione di G. G. Penni dell'intronizzazione di Leone X nel 1513 sono menzionate nove statue antiche collocate sull'arco di trionfo fatto erigere dal D., le stesse che sono anche contenute nel taccuino London I (British Museum) di A. Aspertini datato al 1530 circa. Come risulta dal confronto con la descrizione del palazzo Del Bufalo lasciata dall'Aldrovandi, sette di queste facevano parte della decorazione del cortile (cinque sono oggi agli Uffizi), mentre i due panischi provenivano dalla casa del cugino.

Con il giardino pensile del palazzo Della Valle Capranica, il cui aspetto ci è tramandato sia nel disegno di Francisco de Hollanda (Escorial), sia in un'incisione di H. Cock, il Lorenzetto ha creato un tipo di architettura concepita esclusivamente in funzione della collezione che doveva accogliere. E non soltanto questo: il giardino concepito per illustrare il rapporto tra antichità e natura, doveva anche dare l'illusione di essere costruito con materiale antico. Perciò le nuove mura venivano ricoperte di edera; le basi delle nicchie in cui si trovavano le statue e i parapetti delle aiole poste davanti alle pareti lunghe del suo perimetro erano rivestiti di bassorilievi antichi. Il singolo monumento perdeva la sua importanza a favore dell'effetto decorativo complessivo.

Uno schema rigidamente simmetrico, che determinava anche la collocazione delle statue, regolava l'impianto del giardino pensile. Alle tre nicchie rettangolari centrali nella parte inferiore corrispondevano nella parete di fronte tre finestre che permettevano di intravedere l'uccelliera attigua. Nella zona superiore le nicchie per le statue si avvicendavano con bassorilievi monumentali (provenienti in parte dall'Ara Pietatis). Sopra le nicchie della parte inferiore si trovavano altre nicchie tonde con busti, sopra quelle della parte superiore maschere, e, tra queste, tavole con iscrizioni moderne che spiegavano lo scopo di questo giardino pensile. L'Antiquarum rerum vivarium voleva essere un monumento per gli avi e contemporaneamente un luogo di studio per artisti e poeti, mentre piante ed uccelli dovevano vivificare le antichità salvate dalla rovina e deliziare, insieme all'attiguo bagno, gli amici. Delle logge che, secondo il progetto, dovevano aprirsi sui lati più corti dell'edificio furono erette soltanto le colonne antiche, mentre la trabeazione prevista non fu mai eseguita. Nonostante questo si cominciò a mettere al loro posto le statue. La loro collocazione fu poi continuata, ma anche modificata, dai Capranica. Nel 1584 il cardinal Ferdinando de' Medici comprò la collezione per il prezzo di 4.000 ducati. I bassorilievi furono inseriti, secondo il modello di palazzo Della Valle, nella facciata posteriore di villa Medici e le statue collocate sul Pincio, da dove furono portate a Firenze nel sec. XVIII.

I contemporanei si resero ben conto dell'impegno del D. per far rivivere l'antichità e lo apprezzarono: "unicus est nunc qui maiorum vetera monumenta diligenter curat", disse di lui A. Fulvio. Per tutto il sec. XVI numerose testimonianze sia letterarie sia iconografiche documentano la sua collezione che è presente in quasi tutti i libri di disegni e nelle raccolte di stampe raffiguranti statue antiche di quel secolo. La collezione del D. era famosissima non solo per il modo in cui le statue erano state collocate, ma anche per il loro restauro, eseguito dal Lorenzetto su incarico del D., che era considerato esemplare e che, secondo, il Vasari, sarebbe diventato vincolante per tutta la generazione successiva di collezionisti: "alcune statue pur antiche ... le quali se non erano intere ... l'accomodò non di meno benissimo havendo fatto rifare a buoni scultori tutto quello che mancava. La quale cosa fu cagione, che altri signori hanno poi fatto il medesimo, e restaurato molte cose antiche, come il cardinale Cesis, Ferrara, Farnese, e per dirlo in una parola, tutta Roma". Oggi non si conosce nessuna statua della collezione del D. che permetta di studiare la tecnica di restauro usata dalla bottega del Lorenzetto, a causa dei molteplici restauri successivi. Risulta però dall'iúventario del 1584, come anche dal taccuino di P. Jacques (dopo il 1570), che le statue erano state restaurate per poter essere collocate, senza che ci si preoccupasse però di sostituire tutti i pezzi mancanti (gli arti, ad esempio), mentre i bassorilievi furono completati, senza rispetto per il loro genere, da sculture a tutto tondo.

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